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1. Premesse

A distanza di alcuni anni dall’incardinamento delle concessioni di servizi nell’alveo dei contratti pubblici, si impone oggi una riflessione in merito all’attuale assetto giurisprudenziale, medio tempore sviluppatosi al fine di ripercorrerne i più recenti orientamenti.

Prima di addentrarci nell’analisi delle prassi giurisprudenziali recentiori, è opportuno dapprima ricordare quali siano gli elementi fondativi di tale genus contrattuale.

La giurisprudenza più risalente si è dedicata precipuamente alla delimitazione concettuale dell’istituto della concessione di servizi, con l’obiettivo di definirne le principali caratteristiche in rapporto di distinzione con la liminare figura dell’appalto di servizi.

Si è chiarito che “la dottrina tradizionale ha individuato la distinzione fra l’appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, in base a molteplici criteri fra cui: la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, contrapposta al carattere negoziale dell’appalto; il carattere surrogatorio dell’attività del concessionario di pubblico servizio, chiamato a realizzare i compiti istituzionali dell’ente pubblico concedente, mentre l’appaltatore compie attività di mera rilevanza economica nell’interesse del committente pubblico; il trasferimento di potestà pubbliche al concessionario, mentre l’appaltatore esercita solo prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico. La dottrina più recente ha posto l’accento sulla diversità dell’oggetto dei due contrapposti istituti: l’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore della P.A., mentre la concessione di servizi riguarda sempre un rapporto trilaterale, fra P.A., il concessionario e gli utenti del servizio; nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta alla P.A. compensare l’attività svolta dal privato”.[1]

La ricostruzione dottrinaria appena riportata, da cui, in tutta evidenza la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva attinto, non si è però rivelata isolata.

Infatti, ponendo maggior attenzione alla fase attuativa/esecutiva dell’assetto di interessi sotteso al sinallagma contrattuale proprio della concessione di servizi, Palazzo Spada ha avuto modo di gettar le basi per l’attuale sistemazione concettuale dell’istituto, come risulta oggi codificata per via legislativa a livello comunitario nelle Direttive Comunitarie nn. 17 e 18 del 2004 e, successivamente, traslata nel D.Lgs. 163/06 e s.m.i. a livello nazionale.

A distanza di un solo mese dal precedente (n. 2294/2002) sopra citato, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato[2] del 2002 asseriva inoltre che “Le concessioni di servizi pubblici, nel quadro del diritto comunitario, non si distinguono dagli appalti di servizi per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato. Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sull’utente mediante la riscossione di un canone o tariffa, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Pertanto un servizio pubblico si rivela quale appalto di servizi quando il suo onere sia interamente a carico dell’amministrazione, mentre se il servizio venga reso non a favore dell’amministrazione ma di una collettività indifferenziata di utenti, e venga almeno in parte pagato dagli utenti all’operatore del servizio, allora si è in ambito concessorio. Sono applicabili alle concessioni di servizi i principi comunitari di non discriminazione in ragione della nazionalità, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento, di proporzionalità”.

“In via generale la concessione di servizi si differenzia dall’appalto di servizi in quanto il servizio è generalmente prestato in favore della collettività piuttosto che dell’amministrazione aggiudicatrice e la remunerazione del concessionario consiste principalmente nel diritto di gestire il servizio piuttosto che nella corresponsione di un corrispettivo”[3].

Il legislatore delegato del D.Lgs. 163/06 e s.m.i. (di seguito “Codice”), ampiamente influenzato da quanto ricostruito dalla giurisprudenza nazionale, si è limitato di fatto a codificare i profili principali come enucleati in seno al processo interpretativo sopra ricordato.

Già la definizione dell’istituto recata al comma 12 dell’art. 3 del Codice riecheggia quanto asserito dalla giurisprudenza in ordine alle modalità di remunerazione del prestatore di servizi, laddove si è previsto che “La «concessione di servizi» è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30”.

La definizione dell’art. 3 richiama l’art. 30 del Codice, che risulta essere l’unico articolo che governa e disciplina l’istituto, e così recita:

“1. Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi.

2. Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare.

3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza.

5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi, l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni aggiudicatrici.

6. Se un’amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un’attività di servizio pubblico, l’atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture conclusi con terzi nell’ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile l’articolo 143, comma 7”.

Corte Giustizia CE, Sez. III, 10 settembre 2009, C-206/08: “si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi”.

La noma parrebbe di chiara esegesi e di piana applicazione pratica.

D’altro verso, occorre sottolineare che, ferma restando l’applicabilità dei principi del Trattato, per quanto la disposizione di cui al primo comma appaia assoluta e perentorea nello stabilire la totale inapplicabilità del Codice alle concessioni di servizi, salvo le poche deroghe contenute nel medesimo articolo 30, si rinvengono comunque alcuni interventi giurisprudenziali i quali, utilizzando il concetto di principio generale quale strumento di effrazione di quanto disposto al primo comma dell’art. 30, hanno esteso l’applicabilità di alcune norme del Codice alle concessioni di servizi, – interventi pretori – di cui nel prosieguo si intende dar conto.    

2. I principi generali

Il comma 3 del citato articolo 30 del Codice prescrive che “La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.  

Tale norma, facendo proprio quanto auspicato ed indicato nella Comunicazione Interpretativa della Commissione Europea(2006/C 179/02) “relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici»”[4], ha chiaramente stabilito che per quanto concerne le procedure concorsual-selettive tese all’affidamento di una concessione di servizi, è obbligo per le amministrazioni conformarsi ai principi fondamentali del Trattato riguardanti in particolare la libera circolazione delle merci (articolo 28 del trattato CE), il diritto di stabilimento (articolo 43), la libera prestazione di servizi (articolo 49), la non discriminazione e l’uguaglianza di trattamento, la trasparenza, la proporzionalità e il riconoscimento reciproco[5].

L’articolo 30 si rivela, quindi, “norma fondamentale e di applicazione generale per quanto riguarda le concessioni di servizi, qualora non esista una legislazione speciale che, in relazione a determinati settori, disponga diversamente. Il carattere generale e di principio delle previsioni contenute nell’articolo 30 è confermato dall’articolo 216 del Codice, in base al quale le norme stabilite per i contratti pubblici nei settori speciali non si applicano alle concessioni sia di lavori sia di servizi aventi a oggetto l’esercizio di attività afferenti ai suddetti settori salva, tuttavia,l’applicazione dell’articolo 30”[6].

Ciò premesso, numerose sono oggi le concrete applicazioni del terzo comma dell’art. 30 di cui la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la vigenza, determinando il consolidarsi di un nucleo di disposizioni del Codice, comunque, applicabili alle concessioni di servizi, in quanto emanazione legislativa dei principi generali anzi citati, circostanza, ad una analisi superficiale, in apparente contrasto con quanto stabilito dal c. 1 dell’art. 30, laddove lo stesso dispone l’inapplicabilità del Codice agli affidamenti de quo

3. La casistica giurisprudenziale

La proteiforme casistica posta negli anni all’attenzione del giudice amministrativo in ordine alle concrete modalità di applicazione dell’art. 30 c. 3 del Codice, ha indotto i Collegi giudicanti a dover verificare con spirito critico e puntuale la reale ratio sottesa ad ogni singola norma prevista dal Codice, onde valutarne la propria valenza e portata. Tale verifica si è resa necessaria al fine di stabilire se e quali norme possano considerarsi espressione di un principio generale e pertanto estendibili anche alle concessioni di servizi in forza del comma 3 dell’art. 30.     

Preliminarmente occorre sottolineare che costituisce ius receptum, “secondo la giurisprudenza comunitaria, che le concessioni di servizi pubblici, pur non rientrando nell’ambito di applicazione delle direttive riguardanti gli appalti pubblici, sono comunque sottoposte alle regole fondamentali dei Trattati, e in particolare al principio di non discriminazione sulla base della nazionalità. In questo senso vi sono numerose pronunce (v. C.Giust. Sez. VI 7 dicembre 2000 C-324/98, Telaustria e Telefonadress, punto 60; C.Giust. Grande Sezione 21 luglio 2005 C-231/03, Coname, punto 16; C.Giust. Sez. I 13 ottobre 2005 C-458/03, Parking Brixen, punto 46; C.Giust. Sez. I 6 aprile 2006 C 410/04, Anav, punto 18; C.Giust. Sez. II 17 luglio 2008 C-347/06, ASM Brescia, punto 58). A partire dalla prima di queste pronunce può considerarsi raggiunto il requisito della certezza del diritto, con l’automatica estensione dell’obbligo della procedura a evidenza pubblica nei confronti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici del mercato unico”[7].

Quanto sopra è peraltro confermato dal tono letterale del comma 3 laddove prescrive che l’affidamento de quo deve avvenire “…previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.

Di maggior rilievo innovativo risulta essere invece la recente pronuncia del TAR Lombardia Brescia sez. II 10/4/2012 n. 618, laddove il Giudice lombardo ha chiarito che “non coglie nel segno, sul punto, l’obiezione (….) circa l’inapplicabilità del termine di “stand still” alle concessioni di servizi (e quindi alla procedura in esame di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale). L’art. 11 comma 10 del D. Lgs. 163/2006 trova ingresso per tutte le procedure di affidamento dei contratti pubblici (cfr. rubrica della disposizione e art. 1 del Codice), tenuto conto di quanto dispone l’art. 3 comma 36 ai sensi del quale “Le «procedure di affidamento» e l’«affidamento» comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l’affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee”. Né può sottacersi che l’uniforme operatività di prescrizioni che garantiscono adeguata tutela ai concorrenti di una selezione ad evidenza pubblica è coerente con i principi enucleati all’art. 2 comma 1 del Codice dei contratti, per cui “L’affidamento … di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve … svolgersi nel rispetto dei principi di …. libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione …”. Osserva poi il Collegio che la scelta del concessionario di un servizio deve in ogni caso avvenire “nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, ..” (cfr. art. 30 del D. Lgs. 163/2006) e l’art. 11 del Codice è collocato nel titolo I recante principi e disposizioni comuni a tutti i contratti pubblici”.

Tale pronuncia, lungi dall’essere esclusivamente riconducibile, nella sua portata applicativa, al precetto per il quale risulta applicabile alle concessioni di servizi il termine di stand still di cui al comma 10 dell’art. 11 del Codice, essa invece risulta innovatrice poiché avverte apertis verbis che tutto l’articolo 11 del Codice, in quanto collocato nel “titolo I recante principi e disposizioni comuni a tutti i contratti pubblici”, è invero applicabile agli affidamenti ex art. 30.

E’ opportuno poi ricordare quanto chiarito dal Consiglio di Stato[8], laddove ha stabilito che:

a) in applicazione dell’art. 30 cit. – d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – , la lesione dell’imparzialità e della trasparenza deve essere accertata in concreto (salvo il diverso caso di diretta violazione di diverse e ulteriori norme che del principio ex art. 30 siano corollari positivizzati) non essendo sufficiente la mera potenzialità lesiva della condotta sospetta;

b) la causa di incompatibilità sancita dall’art. 84, co.4, cit. è di stretta interpretazione e deve essere letta in correlazione con l’obbligo di astensione (delimitato ai casi di cui all’art. 51 c.p.c.), sancito dal comma 7 del medesimo articolo 84; essa richiede, pertanto, che il componente della commissione abbia agito nell’interesse proprio o in quello di una delle imprese concorrenti;

c) il giudizio positivo di incompatibilità presuppone che l’attività svolta dal membro della commissione si rifletta in via immediata e diretta sulla procedura di gara, sicché esso non può riferirsi ai funzionari della stazione appaltante che svolgono incarichi (amministrativi o tecnici) che non sono relativi allo specifico appalto (come la progettazione o il controllo sulla progettazione posta a base di gara), ovvero a quanti abbiano svolto semplice attività di consulenza sulla documentazione di gara”.

Nel precedente appena riportato, invece, il Collegio pone la propria attenzione sulla valutazione dell’applicabilità dell’art. 84 c. 4[9] del Codice in tema di compatibilità dei componenti della commissione di gara alle concessione di servizi. A detta del Giudice adito la norma, essendo espressione del principio di trasparenza, risulterebbe applicabile in linea di principio alle procedure di affidamento de quo, fermo restando la necessaria sussistenza della violazione in concreto del principio sotteso alla norma “non essendo sufficiente la mera potenzialità lesiva della condotta sospetta”.

Sempre in tema di nomina della commissione di gara, un ulteriore profilo applicativo di interesse ai fini della presente ricognizione giurisprudenziale, si rinviene nella pronuncia del Consiglio di Stato sez. V 23/5/2011 n. 3086, dove si afferma la necessaria applicazione, anche alla procedure di aggiudicazione delle concessione di servizi, del comma 10 dell’art. 84 in ordine al momento di nomina della commissione di gara. Nella citata sentenza si chiarisce, infatti, che: “il Collegio condivide il presupposto indicato dal Tribunale amministrativo regionale in ordine al fatto che, al di là di una specifica normativa che ricomprenda anche le concessioni di servizi nell’ambito della regolamentazione degli appalti, l’art. 30 del decreto legislativo n. 163 del 2006, pur derogando, relativamente alle concessioni di servizi, alle altre disposizioni del medesimo provvedimento, non tocchi di quel medesimo provvedimento quelli che possono individuarsi come principi generali di un giusto procedimento, e tra essi vi è, per le ragioni prima esplicitate, quello della nomina della commissione dopo che è scaduto il termine per la presentazione delle offerte”.

Un ulteriore recentissimo spunto applicativo lo si ritraccia nel precedente del Consiglio di Stato sez. IV 23/4/2012 n. 2402. Con tale pronuncia Palazzo Spada, in tema di progettazione, ha avuto modo di affermare che “La disciplina contenuta nell’art. 90, comma 8, del D.L.vo 163 del 2006 va reputata quale espressione di un principio generale (cfr. sul punto, ad es., anche Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 2007 n. 1302), in forza del quale ai concorrenti ad una procedura di scelta del contraente da parte della Pubblica Amministrazione deve essere riconosciuta un’omogenea posizione, ex se implicante la più rigorosa parità di trattamento, dovendo comunque essere valutato se lo svolgimento di pregressi affidamenti presso la stessa stazione appaltante possa aver creato, per taluno dei concorrenti stessi, degli speciali vantaggi incompatibili con i principi – propri non soltanto dell’ordinamento italiano, ma anche di quello comunitario – di libera concorrenza e di parità di trattamento.”[10]

Infine si vuole ricordare che il TAR Firenze, in una sentenza del 2010, in ossequio al principio di matrice comunitaria per il quale la sostanza deve prevalere sulla forma laddove quest’ultima non è posta dalla lex specialis a pena di esclusione, ha voluto chiarire: ”Per quanto la concessione di servizi non sia soggetta alle norme del Codice, sarebbe contrario ai principi di non discriminazione e parità di trattamento non applicare al caso di specie il disposto di cui all’art.41, comma 3, del Codice stesso in base al quale il concorrente che non sia in grado, per giustificati motivi, di presentare le referenze richieste dalla legge di gara, può essere ammesso a provare la propria capacità economica e finanziaria con qualsiasi altro documento richiesto dalla stazione appaltante. La disposizione, tra i motivi giustificanti, comprende espressamente la costituzione della società concorrente da meno di tre anni.”[11]

E’ opportuno ricordare, seppur brevemente, che l’apertura delle buste in seduta pubblica, l’avvalimento ex art. 49 del Codice, nonché la sussistenza dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 del Codice, in quanto espressione di principi generali risultano, per consolidata giurisprudenza, del tutto applicabili alle concessioni di servizi.

4. Conclusioni

L’excursus giurisprudenziale tracciato, senza pretesa alcuna di esaustività, è di per sé indicativo dell’indirizzo verso cui l’interpretazione pretoria mostra di tendere. Si assiste, soprattutto negli ultimi anni, infatti al consolidarsi di un orientamento propenso all’astratta applicabilità di un sempre crescente numero di singole disposizioni del Codice alle procedure di affidamento delle concessioni di servizi, fermo restando il vaglio giurisdizionale in ordine alla lesione in concreto degli interessi legittimi coinvolti.

Quanto sopra, si invéra a tutto discapito dell’effettività della cogenza del dettato del c. 1 dell’art. 30 secondo cui “le nome del presente codice non si applicano” alle concessioni di servizi ed in contrasto con i principi di informalità e discrezionalità (cui la ratio della norma mira) – principi – che dovrebbero improntare le procedure di aggiudicazione delle concessioni de quo.

Il meritorio intento della giurisprudenza di cercare di dar certezza giuridica alle norme applicabili alle procedure di affidamento delle concessioni di servizi, attraverso l’indicazione puntuale delle singole norme del Codice, in virtù di una loro asserita diretta espressione e derivazione dei principi generali, sembra invero condurre a lidi lontani dallo spirito ispiratore delle norme che governano l’affidamento delle concessioni di servizi.

Qualora sorretto da radicalismi, tale indirizzo, potrebbe condurre ad una completa elusione del dettato normativo di cui al comma 1 dell’art. 30.

Infatti, a ben vedere, ogni norma del Codice dei Contratti è concreta applicazione, seppur mediata, dei principi del Trattato. Ogni singola norma del Codice, a meno che non si voglia considerare la legislazione in materia di contrattualistica pubblica del tutto disancorabile dalle norme del Trattato che governano il mercato interno, è stata scientemente posta ed emanata dal legislatore nazionale a presidio di almeno uno dei principi fondanti del Trattato.

Peraltro, lo stesso comma 1 dell’art. 2 del Codice stesso chiarisce che “L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”, affermando pertanto che le concrete modalità di applicazione di detti principi generali si estrinsecano proprio nelle successive norme del Codice.  

Sicché ogni singola norma del Codice, in ragione della sua astratta riconducibilità ad almeno uno dei principi del Trattato, potrebbe potenzialmente essere applicabile alle concessioni di servizi, con la paradossale conseguenza della potenziale applicabilità tuot court del Codice dei Contratti, in aperto contrasto col perentoreo dettato del più volte citato comma 1 dell’art. 30.

Come sempre, è compito della giurisprudenza dover bilanciare i principi in gioco nelle singole fattispecie, al fine di risolvere la dicotomia appena prospettata.

Ferma restando, quindi, la discrezionalità delle singole stazioni appaltanti di poter prevedere per le singole procedure concorsuali “discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza” ex c. 4 dell’art. 30,compito specifico del Giudice è calibrare con particolare attenzione le proprie pronunce giurisprudenziali, onde rintracciare quali siano realmente le norme del Codice espressione dei principi generali e pertanto legittimamente applicabili alla fattispecie de qua, al fine di dare concreta e reale attuazione a quanto previsto dal comma 1. E’ infatti auspicabile che il Giudice Amministrativo rivolga il proprio primario interesse verso il tentativo, non semplice, di  contemperare, da un lato, l’esigenza, palesata per via legislativa dallo stesso articolo 30, di non irrigidire eccessivamente le procedure di affidamento delle concessioni di servizi, che al contrario dovrebbero essere improntate secondo “un modulo procedimentale caratterizzato da amplissima discrezionalità dell’Amministrazione nella fissazione delle regole selettive, con conseguente non soggezione alle regole interne e comunitarie dell’evidenza pubblica, ferma restando la sola necessità del rispetto dei principi di logicità e parità di trattamento tra i concorrenti” (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III; 13 giugno 2005, nr. 980; T.A.R. Toscana, sez. II, 20 maggio 2002, nr. 1020), e, dall’altro lato, con l’esigenza di dare certezza giuridica e concretezza normativa ai principi generali applicabili al concessioni di servizi, ma che, inevitabilmente, trovano positiva codificazione nelle singole norme previste da Codice.


[1] Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2294 del 30 aprile 2002.

[2] Consiglio di Stato, sez. 6a, n. 2634 del 15 maggio 2002.

[3] N. Bicchieri, in Edilizia e Territorio – Sole 24 ore, n. 19 del 2006, pag. 12

[4] Comunicazione interpretativa 2006/c179/02, cfr.: “Tali norme si applicano all’aggiudicazione di concessioni di servizi, agli appalti inferiori alle soglie e agli appalti di servizi di cui all’allegato II B della direttiva 2004/18/CE e all’allegato XVII B della direttiva 2004/17/CE quando si tratta di aspetti non disciplinati dalle predette direttive. La Corte ha esplicitamente dichiarato che «sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi fondamentali del trattato»”.

[5] AVCP – Deliberazione n. 73 del 20/07/2011: “L’affidamento della concessione di servizi, pur trattandosi di fattispecie che esula dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti, tuttavia, non può essere sottratto ai principi del Trattato in tema di tutela della concorrenza”.

[6] N. Bicchieri, in Edilizia e Territorio – Sole 24 ore, n. 19 del 2006, pag. 14

[7] TAR Lombardia Brescia, Sez. II, 16 agosto 2011, n. 1245.

[8] Consiglio di Stato, Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2552: “In una con la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez.III, 15 luglio 2011, n. 4332; sez. III, 12 luglio 2011, n. 4168; sez. V, 24 marzo 2011, n. 24; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1255; sez. V, 4 gennaio 2011, n. 2; sezione V, 22 giugno 2010, n. 3890 cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 120, co. 10, c.p.a.)”.

[9] Art. 84 c. 4  del Codice: “ I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.”

[10] Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 aprile 2012, n. 2402: “Tale valutazione deve essere effettuata in concreto dalla stazione appaltante, con eventuale sua verifica in punto di legittimità da parte del giudice amministrativo, nel contesto del vizio di eccesso di potere, ove reputato sussistente: tutto ciò – si ribadisce – nella consapevolezza che la regola generale dell’incompatibilità, come sopra fissata, garantisce la genuinità della gara (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 ottobre 2007 n. 5087) e che, in tale contesto, non devono essere ricercate ipotesi tipiche, normativamente individuate dal legislatore, ma deve essere valutato se vi sia stata – per l’appunto, in concreto – una differente posizione di partenza nella partecipazione alla procedura per l’affidamento dell’incarico di progettazione, che abbia dato origine a un possibile indebito vantaggio per taluno dei partecipanti. In tal modo, quindi, è assicurata nel nostro ordinamento la materiale e costante applicazione del principio di libera concorrenza, notoriamente valorizzato al massimo grado della normativa comunitaria, e alla stregua del quale la scelta del contraente, al di là delle ipotesi legislativamente disciplinate, incontra, in ogni caso, i limiti indicati dalle norme del Trattato istitutivo dell’UE in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento e la trasparenza, imponendosi per questa via una scelta ispirata a criteri obiettivi e trasparenti, tali dunque da assicurare in ogni caso la libera concorrenza tra i soggetti interessati (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008 n. 889 e l’ulteriore giurisprudenza ivi indicata).

[11] Tribunale Amministrativo Regionale Toscana, Firenze, Sez. I, 20 dicembre 2010, n. 6780.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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