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1. La disciplina normativa

Come è noto tra i costi di sicurezza si annoverano quelli da interferenze, ex artt. 26, commi 3, 3-ter e 5, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e 86, comma 3-ter, 87, comma 4, e 131 del Codice e quelli interni o aziendali, cui si riferiscono l’art. 26, comma 3, quinto periodo, del d.lgs n. 81 del 2008 e gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, secondo periodo, del Codice.

I costi della sicurezza da interferenze servono a eliminare i rischi da interferenza, intesa come contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore, oppure tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. Detti costi sono quantificati a monte dalla stazione appaltante, nel D.U.V.R.I (documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze, art. 26 del d.lgs. n. 81/2008) e, per gli appalti di lavori, nel PSC (piano di sicurezza e coordinamento, art. 100 d.lgs. n. 81/2008); e non sono soggetti a ribasso, perché ontologicamente diversi dalle prestazioni stricto sensu oggetto di affidamento.

Mentre i costi interni o aziendali sono quelli propri di ciascuna impresa connessi alla realizzazione dello specifico appalto, sostanzialmente contemplati dal DVR, documento di valutazione dei rischi e sono soggetti a un duplice obbligo in capo all’amministrazione e all’impresa concorrente.

Quanto all’amministrazione, gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del Codice si riferiscono necessariamente agli oneri di sicurezza aziendali, poiché considerano eventuali anomalie delle offerte e giudizi di congruità incompatibili con i costi di sicurezza da interferenze, i quali sono fissi e non soggetti a ribasso. Ne deriva che per tali oneri la stazione appaltante ha il dovere di stimarne l’incidenza, secondo criteri di ragionevolezza e di attendibilità generale, nella determinazione di quantità e valori su cui calcolare l’importo complessivo dell’appalto.

Quanto alle imprese concorrenti, le stesse devono indicare specificamente gli oneri di sicurezza aziendali, atteso che si tratta di valutazioni soggettive rimesse alla loro esclusiva sfera valutativa. Tale tipologia di oneri, infatti, varia da un’impresa all’altra ed è influenzata dalla singola organizzazione produttiva e dal tipo di offerta formulata da ciascuna impresa.

2. La querelle e le decisioni Plenarie nn. 3 e 9 del 2015

Si è a lungo dibattuto sulla definizione dell’ambito di applicazione dell’art. 87, comma 4, del Codice.

Nel campo degli appalti di lavori pubblici manca una previsione normativa sull’obbligo di indicazione separata nell’offerta dei costi di sicurezza, obbligo che invece è previsto per gli appalti pubblici di servizi e di forniture.

Dalla lettura dell’art, 87 comma 4 emerge che il primo periodo ribadisce, per tutti gli appalti, che gli oneri della sicurezza non sono soggetti a ribasso d’asta in relazione al piano di sicurezza e coordinamento, mentre il secondo periodo precisa che l’indicazione relativa ai costi della sicurezza deve essere sorretta da caratteri di specificità e di congruità ai fini della valutazione dell’anomalia dell’offerta, facendo però, questa volta, esplicito riferimento solo ai settori dei servizi e delle forniture. La querelle pertanto si è incentrata anzitutto nello stabilire se la disposizione riguarda soltanto gli appalti di servizi e di forniture – cui si riferisce espressamente l’inciso finale della richiamata norma – o anche gli appalti di lavori.

Considerata la scarsa chiarezza delle menzionate disposizioni, circa l’obbligatorietà (o meno), negli appalti di lavori, dell’indicazione separata (nell’offerta economica), dei costi sulla sicurezza interna aziendale, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 99 cod. proc. amm., per dirimere l’incertezza interpretativa. E così, con la sentenza 20 marzo 2015, n. 3, l’Adunanza Plenaria ha affermato l’obbligo di indicare separatamente, nell’offerta economica, i costi per la sicurezza aziendale anche per le procedure di affidamento relative a contratti pubblici di lavori, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non espressamente prevista nel bando di gara. Trattandosi, secondo l’Adunanza plenaria, di conseguenza discendente da cogente imposizione di legge e  perciò stesso indipendente dal fatto che l’obbligo di indicazione separata sia o meno riportato nella lex specialis di gara. A questa soluzione si è pervenuti sulla base di “un’interpretazione sistematica delle norme regolatrici della materia date dagli articoli 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008 e 86, comma 3-bis, e 87, comma 4”, del d.lgs. n. 163 del 2006, in modo tale da evitarne un’“illogica lettura” e per mantenere il necessario presidio dei diritti fondamentali dei lavoratori sanciti nella Costituzione italiana.

Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare separatamente nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche. E ciò indipendentemente da una previsione in tal senso della lex specialis. Questo è il principio di diritto di recente espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 20 marzo 2015, n. 3, che, nella sua funzione nomofilattica, ha risolto la querelle concernente, tra l’altro, l’ambito di applicazione dell’art. 87, comma 4,  del Codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 163/2006 e s.m.i..

Tale decisione ha accolto l’orientamento giurisprudenziale di matrice estensiva[1]secondo cui la ratio della norma, che impone ai concorrenti di indicare già nell’offerta l’incidenza degli oneri di sicurezza aziendali, risponde a finalità di tutela della sicurezza dei lavoratori e, quindi, a valori sociali e di rilievo costituzionale che assumono rilevanza anche nel settore dei lavori pubblici. Infatti, il ripetersi di infortuni gravi proprio in quest’ultimo settore- per lo più dovuto all’utilizzo di personale non sempre qualificato – ha portato ad affermare che l’obbligo di indicare sin dall’offerta detti oneri debba valere ed essere apprezzato con particolare rigore. Inoltre, depone in tal senso anche la collocazione sistematica della norma citata, che è appunto inserita nella parte del Codice dedicata ai “Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421; sez. V, 19 luglio 2013, n. 3929). D’altra parte “tale indicazione costituisce sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture un adempimento imposto dagli artt. 86 comma 3 bis e 87 comma 4, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 all’evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare; stante la natura di obbligo legale rivestita dall’indicazione, è irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis; poiché la medesima indicazione riguarda l’offerta, non può ritenersene consentita l’integrazione mediante esercizio del potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante, ex art. 46 comma 1 bis, cit. d.lg. n. 163 del 2006, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti” (Cons. Stato, sez. III, 3 luglio 2013, n. 3565).

Del resto, non appare coerente imporre alle stazioni appaltanti di tenere espresso conto nella determinazione del valore economico di tutti gli appalti dell’insieme dei costi della sicurezza, che devono altresì specificare per assicurarne la congruità, e non imporre ai concorrenti, per i soli appalti di lavori, un identico obbligo di indicazione nelle offerte dei loro costi specifici, il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in via eventuale, nella non indefettibile fase della valutazione dell’anomalia. D’altra parte non si comprende quale sarebbe la ratio di non prescrivere la specificazione dei detti costi per le offerte di lavori, nella cui esecuzione i rischi per la sicurezza sono normalmente i più elevati.

Diversamente opinando, infatti, si tratterebbe in definitiva di una normativa che, incidendo negativamente sulla completezza della previsione dei costi per la sicurezza per le attività più rischiose, risulterebbe incoerente con la prioritaria finalità della tutela della sicurezza del lavoro, che ha fondamento costituzionale negli articoli 1, 2 e 4 e, specificamente, negli articoli 32, 35 e 41 della Costituzione, e “trascende i contrapposti interessi delle stazioni appaltanti e delle imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, rispettivamente di aggiudicare questi ultimi alle migliori condizioni consentite dal mercato, da un lato, e di massimizzare l’utile ritraibile dal contratto dall’altro” (Cfr. Cons. di St., sez. V, n. 3056 del 2014).

Un approccio ermeneutico che non imponesse la specificazione dei costi interni nell’offerta per lavori priverebbe il giudizio di anomalia delle previe indicazioni al riguardo da sottoporre a verifica così inficiando l’attendibilità del giudizio finale.

A tale orientamento si è adeguata ANAC con il comunicato del Presidente del 27 maggio 2015, invitando le stazioni appaltanti all’adeguamento dei bandi di gara sul punto.

Va evidenziato inoltre che, nel frattempo, con ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria 16 gennaio 2015, n. 88, la V sezione del Consiglio di Stato ha chiesto di valutare tale questione e di verificare se, in ogni caso, la sanzione dell’esclusione avrebbe dovuto essere comminata anche in assenza di espressa prescrizione da parte della lex specialis circa l’obbligo di specificazione di detti oneri.

A tal riguardo con sentenza 2 novembre 2015 n. 9, la Plenaria ha statuito che,ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice, l’omessa specificazione nelle offerte per lavori dei costi di sicurezza interni configura un’ipotesi di “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare “incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta” per difetto di un suo elemento essenziale, e comporta perciò, anche se non prevista nella lex specialis, l’esclusione dalla procedura dell’offerta difettosa per l’inosservanza di un precetto a carattere imperativo che impone un determinato adempimento ai partecipanti alla gara (cfr. Cons. Stato, A.P. sentenza n. 9 del 2014), non sanabile con il potere di soccorso istruttorio della stazione appaltante, di cui al comma 1 del medesimo articolo, non potendosi consentire di integrare successivamente un’offerta dal contenuto inizialmente carente di un suo elemento essenziale.

La sanzione dell’esclusione deve essere comminata anche laddove l’obbligo di specificazione degli oneri non sia stato prescritto dalla normativa di gara. Il mancato adempimento di un obbligo di tal fatta non è sanabile con il potere di soccorso istruttorio dell’amministrazione.

La medesima Plenaria, inoltre, nel confermare la lettura interpretativa della precedente 3/2015, ha affermato che essa ha natura esclusivamente dichiarativa e non, invece, di produzione del diritto. Sicché “non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015”.

3. I successivi risvolti giurisprudenziali

All’indomani di dette sentenze il TAR Piemonte con ordinanza n. 6 dicembre 2015, n. 1745 ha rimesso alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale riguardante tale tema.

In particolare, il quesito interpretativo sottoposto al vaglio della Corte  concerne l’eventuale incompatibilità con i principi comunitari in materia[2] di una normativa nazionale – quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 87, comma 4, e 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, e dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, così come interpretato, in funzione nomofilattica, ai sensi dell’art. 99 cod. proc. amm., dalle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015 – secondo la quale la mancata separata indicazione dei costi di sicurezza aziendale nelle offerte economiche determina in ogni caso l’esclusione della ditta offerente, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata non sia stato specificato né nella lex specialis né nell’allegato modello di compilazione per la presentazione delle offerte, ed anche a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale.

La questione, in specie, tende ad appurare se i richiamati principi euro-unitari possano essere declinati nel senso che, laddove – come nel caso sottoposto al vaglio del TAR – la normativa di gara (bando e disciplinare) non abbia prescritto espressamente la separata indicazione dei costi di sicurezza aziendale nell’offerta economica, e laddove non sia neanche revocato in dubbio che tale offerta, dal punto di vista sostanziale, rispetti i necessari costi di sicurezza, quei principi possano condurre all’esito di mantenere in gara l’impresa che non abbia indicato, nella propria offerta economica, i costi per la sicurezza aziendale, nonostante altre concorrenti lo abbiano invece fatto, anche in chiave di rispetto del canone di favor partecipationis.

Sotto un ulteriore angolo prospettico il Collegio si domanda se il principio della tutela del legittimo affidamento, insieme a quelli della certezza del diritto e della proporzionalità, come affermati nel diritto dell’Unione europea, ostino (o meno) ad una regola del diritto italiano, come sopra ricostruita – anche sulla base della giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato-, che consenta di escludere da una procedura di evidenza pubblica un’impresa che abbia fatto affidamento, per l’appunto, sulla completezza degli atti amministrativi con i quali sia stata indetta una gara.

Secondo il TAR Piemonte l’aspetto centrale della questione attiene la valutazione dell’effettiva sussistenza di una colpa inescusabile nel comportamento dell’impresa che sia stata espulsa dalla competizione per la mancata indicazione degli oneri di sicurezza: si assume, infatti, che tale impresa, nel silenzio degli atti di gara, fosse tenuta ad eterointegrare la lex specialis non semplicemente con riguardo a quanto disposto, in via generale, dalla legge (oggettivamente di incerta applicazione) ma nei sensi derivanti dalla richiamata interpretazione estensiva fatta propria dall’Adunanza plenaria, anche indipendentemente dal fatto che quest’ultima si sia pronunciata anteriormente alla conclusione della fase di presentazione delle offerte. Sicché sempre secondo detto Collegio la rigorosa applicazione della legge italiana, come interpretata dalle più volte richiamate pronunce dell’Adunanza plenaria, nel non ammettere la possibilità del c.d. soccorso istruttorio, conduce quindi all’automatica esclusione delle imprese che abbiano omesso l’indicazione separata, indipendentemente dal fatto che il requisito, nella sostanza, fosse posseduto. Con la conseguenza di restringere indebitamente la platea dei possibili concorrenti e, quindi, con sostanziale violazione dei connessi principi di libera concorrenza e di libera prestazione dei servizi nell’ambito del territorio dell’Unione sanciti dal TFUE. Ciò in quanto, come è evidente, la censurata normativa italiana potrebbe vieppiù comportare discriminazioni applicative nei confronti delle imprese comunitarie non italiane che volessero partecipare ad un appalto di lavori bandito da un’amministrazione aggiudicatrice italiana, attese sia le oggettive difficoltà di conoscenza del diritto italiano, quale risultante dalla riportata interpretazione c.d. nomofilattica dell’Adunanza plenaria, sia dalla connessa riconosciuta prevalenza del profilo formale (mancanza dell’indicazione separata) rispetto al profilo sostanziale (effettivo rispetto dei costi di sicurezza interni).

Sulla scia del TAR Piemonte anche il TAR Molise (sez. I, 12 febbraio 2016, n. 77) e il  TAR Marche (sez. I, 19 febbraio 2016, n. 104) e da ultimo il TAR Campania Salerno (sez. I, 8 marzo 2016, n. 516) hanno rimesso alla Corte di giustizia dell’UE, in sede di rinvio pregiudiziale, analoghe questioni.

La querelle interpretativa è stata peraltro ampliata anche dall’iniziativa della V sezione del Consiglio di Stato, che di recente ha rimesso – con due separate pronunce di analogo tenore n. 1116 del 18 marzo 2016 e n. 1090 del 17 marzo 2016 – all’Adunanza Plenaria il seguente quesito “il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria n. 9/2015, è rispettoso dei principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, dei principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché dei principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza”?

La V Sezione ha ritenuto, quindi, di porre un ulteriore quesito di diritto all’Adunanza Plenaria, affinché quest’ultima possa, eventualmente, rivedere il principio di diritto enunciato con la propria sentenza n. 9/2015, ovvero rimettere la questione alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

Come si è già detto, la sentenza citata, ha infatti, escluso la doverosità dell’uso dei poteri di soccorso istruttorio nei casi in cui la fase procedurale di presentazione delle offerte si sia perfezionata prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria 20 marzo 2015, n.3, con la quale è stato chiarito che l’obbligo, codificato all’art. 87, comma 4, del Codice, di indicazione degli oneri di sicurezza aziendale si applica anche agli appalti di lavori.

Tuttavia, secondo la V Sezione, il principio di diritto enunciato con la Plenaria n. 9/2015, potrebbe risultare in contrasto con i principi euro-unitari sopra richiamati, posto che la stessa Plenaria[3], in altre circostanze nel valutare la sussistenza di altre ipotesi di esclusione a carico dei concorrenti, ha precisato che una simile conseguenza possa derivare solo dalla espressa previsione della regola che si assume violata all’interno del bando di gara ovvero in caso di violazione sostanziale del precetto.

4. Conclusioni

L’intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria, lungi dal dipanare le incertezze interpretative anche intertemporali in ordine alla questione di che trattasi, ha, come si è illustrato, sortito l’effetto opposto.

Appare evidente che dai rigidi principi espressi dalla Plenaria 9/2015 discende, nell’eventuale silenzio degli atti di gara, l’obbligo in capo all’impresa concorrente di compiere una sorta di eterointegrazione della lex specialis.

Ma un intervento di eterointegrazione della lex specialis postula logicamente l’omissione, nella legge di gara, di un adempimento viceversa sancito chiaramente da una disposizione normativa imperativa (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 11 marzo 2015, n.1250). Mentre nella specie si tratterebbe dell’inserimento automatico nel bando di una clausola di certo non rinvenibile nel diritto positivo. Il che a parere di chi scrive finisce con il costituire una clausola espulsiva atipica, che si pone in palese spregio del principio di tassatività delle cause di esclusione codificato all’art.46, comma 1-bis, del Codice.

Vero è che la latitudine applicativa dell’art. 46, comma 1-bis, è stata decifrata come comprensiva anche dell’inosservanza di adempimenti doverosi prescritti dal Codice, ancorché non assistiti dalla sanzione espulsiva (cfr. Ad. Plen. n.9 e n. 16 del 2014).

Ma vero anche è che l’applicazione di tale principio esige, in ogni caso, l’esistenza di una prescrizione legislativa espressa, chiara e cogente.

Tuttavia una siffatta prescrizione non è chiaramente rintracciabile nel Codice dei contratti pubblici, essendo per lo più il frutto di un’interpretazione giurisprudenziale ancorché costituzionalmente orientata[4].

Del resto, il Consiglio di Stato in una recente sentenza, ha affermato che “lo scopo della disposizione dettata dall’art. 46, comma 1 bis … è principalmente quello di evitare la possibile esclusione da una gara pubblica non a causa della mancanza dei requisiti (soggettivi o oggettivi) di partecipazione ma a causa del mancato rispetto di adempimenti solo documentali o formali o privi, comunque, di una base normativa espressa” (Cons. St.,sez. III, 20 gennaio 2016, n. 193).

I Giudici comunitari dovranno dunque ridefinire in materia i contorni dei principi di affidamento, tassatività delle clausole di esclusione, par condicio dei partecipanti, non discriminazione, mutuo riconoscimento, proporzionalità e trasparenza. Nel frattempo il velo di grave incertezza interpretativa ed operativa è destinato a protrarsi.


[1] A tale lettura si era di recente contrapposto un diverso orientamento (in particolare Cons. Stato, sez. V: 7 maggio 2014, n. 2343; 9 ottobre 2013, n. 4964), secondo il quale l’obbligo di indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza aziendali riguardava solo gli appalti di servizi o di forniture. E ciò in ragione della “speciale disciplina normativa riservata agli appalti di lavori, che appunto si connota per l’analisi preventiva dei costi della sicurezza aziendale, che sua volta si spiega alla luce della maggiore rischiosità insita nella predisposizione di cantieri”. Sicché “l’obbligo di dichiarare, a pena di esclusione, i costi per la sicurezza interna previsto dall’art. 87, comma 4, d.lgs. n. 163/2006 si applica alle sole procedure di affidamento di forniture e di servizi. Per i lavori, al contrario, la quantificazione è rimessa al piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 cod. contratti pubblici”. Non si poteva infatti trascurare – si sosteneva – che è comunque obbligatoria la valutazione, ai fini della congruità dell’offerta, del costo del lavoro e della sicurezza in forza del comma 3-bis dell’art. 86 del Codice secondo cui: <<…nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture>>, essendosi così indicate espressamente tutte le possibili tipologie di appalti pubblici, compresi i lavori, per cui si deve ritenere, a contrario, che, non avendo utilizzato la medesima locuzione estensiva nel comma 4 dell’art. 87, tale ultima norma va riferita ai soli contratti pubblici presi espressamente in considerazione, ossia quelli aventi ad oggetto servizi e forniture.

[2] La questione interpretativa rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea concerne la compatibilità della descritta normativa nazionale, così come interpretata dalle citate sentenze dell’Adunanza plenaria in funzione nomofilattica, con i principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui (da ultimo) alla direttiva n. 2014/24/UE.

[3] Si pensi al principio di diritto enunciato dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 21/2012: “In tema di appalti pubblici l’art. 38 comma 2 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, sia prima che dopo l’entrata in vigore del D.L. 3 maggio 2011 n. 70, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa la quale deve essere riferita, quanto al profilo della moralità professionale di cui all’art. 38 comma 1 lett. c), anche agli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione, nel limite temporale ivi indicato, con la precisazione che in caso di mancata allegazione dell’atto de quo la Ditta va estromessa dalla gara solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione, mentre in caso contrario, quest’ultima può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali” e dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 23/2013: “Nelle gare d’appalto, l’art. 38 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, nella parte in cui elenca i soggetti tenuti ad effettuare le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali ha come destinatari dell’obbligo non soltanto coloro che rivestono formalmente le cariche di amministratori, ma anche coloro che, in qualità di procuratore ad negotia, abbiano poteri di rappresentanza dell’impresa e possono compiere atti decisionali (c.d. amministratori di fatto), con l’avvertenza che qualora la lex specialis non contenga al riguardo una specifica comminatoria di esclusione, quest’ultima può essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione, ma solo quando sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione”.

[4] In senso opposto, con sentenza del 3 marzo 2016, n. 879, il Consiglio di Stato, sez. IV, ha di recente affermato che l’omessa indicazione dei costi di che trattasi rende l’offerta incompleta di un requisito la cui essenzialità è direttamente stimata dalla legge. Sicché a nulla varrebbe opporre l’assenza di una specifica previsione in seno alla lex specialis, attesa la natura immediatamente precettiva della disciplina contenuta nelle disposizioni, idonea ad eterointegrare le regole procedurali.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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