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Cenni introduttivi

Gli artt. 11, 12 e 13 del D.P.R. n. 207/2010 specificano in dettaglio la disciplina in tema di programmazione di lavori pubblici dettata dall’art. 128 del D.Lgs. n. 163/2006.

Prima di esaminare i contenuti e le novità che caratterizzano la regolamentazione attuativa dell’istituto, è opportuno delinearne i tratti salienti.

Com’è noto, la programmazione degli interventi di importo superiore a 100.000 euro, imperniata sul programma triennale e relativi aggiornamenti annuali, nonché sull’elenco dei lavori da eseguire nell’anno stesso, risponde all’esigenza di determinare le opere pubbliche che possono essere effettivamente e completamente realizzate in funzione delle disponibilità finanziarie, secondo un ordine di priorità che si fonda sulla valutazione dei costi e dei benefici.[1]

Trattasi, quindi, di un atto fondamentale di individuazione degli obiettivi da raggiungere da parte degli organi di governo dell’ente,[2] finalizzato non solo a rendere concreti in materia i principi di imparzialità e buon andamento, ma anche a responsabilizzare l’attività delle pubbliche amministrazioni.[3]

La disciplina primaria – compendiata nel già richiamato art. 128 del codice – si ispira al duplice principio della rigidità relativa della programmazione e della conformità di questa rispetto alla pianificazione urbanistica.

Sotto il primo profilo, viene in rilievo il carattere vincolante degli atti programmatici, nel senso che le opere pubbliche legittimamente realizzabili sono quelle inserite nell’elenco annuale predisposto in base al programma triennale ed ai suoi aggiornamenti.[4]

Il menzionato principio, sintetizzabile nella regola secondo cui la programmazione dell’opera ne configura il presupposto realizzativo, soffre deroghe nei casi tassativamente elencati nell’art. 128 comma 9 del codice. Detta norma, invero, al fine di consentire margini di flessibilità operativa per un equo apprezzamento delle singole fattispecie, eccezionalmente legittima l’esecuzione di interventi non inseriti nell’elenco annuale purché finanziati con fondi diversi da quelli previsti in sede di formazione dell’elenco stesso, oppure utilizzando risorse resesi disponibili per effetto di ribassi d’asta o di economie.[5]

Quanto all’ulteriore principio ispiratore della disciplina in esame, i commi 1 e 8 dell’art. 128 del codice stabiliscono che i progetti di lavori da inserire nel programma e nell’elenco devono essere coerenti alla normativa urbanistica vigente o adottata, imponendo così una verifica preventiva in ordine alla compatibilità di ogni intervento infrastrutturale con la destinazione di zona ed i vincoli impressi dagli strumenti di pianificazione territoriale.

In sintesi, il requisito della conformità urbanistica – in difetto del quale la programmazione dei lavori pubblici si rivela illegittima – è integrabile, alternativamente, mediante:

a) approvazione di una variante urbanistica ad hoc, avente appunto ad oggetto l’opera pubblica realizzanda;

b) approvazione del progetto preliminare o definitivo dell’opera stessa da parte del consiglio comunale, alla quale l’art. 19 del D.P.R. n. 327/2001 annette valenza tipica ed implicita di adozione di variante urbanistica.

Disposizioni preliminari per la programmazione dei lavori (art. 11 del D.P.R. n. 207/2010)

L’art. 11 del D.P.R. n. 207/2010 in parte reitera e in parte innova i contenuti precettivi del corrispondente – e abrogato – art. 11 del D.P.R. n. 554/1999.

Innanzitutto, il comma 1 riproduce la previsione secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici elaborano uno studio per individuare il quadro dei bisogni e delle esigenze, al fine di identificare gli interventi necessari al loro soddisfacimento.

Viene reiterata anche la precisazione, rinvenibile nel comma 3, che detti studi costituiscono la base per la redazione degli studi di fattibilità, a loro volta necessari per l’elaborazione del programma triennale.

I commi 1 e 3 dell’art. 11 del nuovo regolamento (nei quali viene trasfusa la precedente disciplina regolamentare), letti in correlazione tra loro, si collocano in prospettiva di continuità applicativa rispetto all’art. 128 comma 2 del codice, il quale definisce il programma triennale proprio come momento attuativo di studi di fattibilità, di identificazione e di quantificazione dei bisogni delle amministrazioni aggiudicatrici.[6]

Carattere prettamente innovativo riveste, invece, il comma 2 dell’art. 11, che riconosce alle amministrazioni aggiudicatrici la facoltà di avvalersi degli studi di fattibilità presentati da soggetti pubblici e privati nell’ambito delle proposte per la realizzazione di lavori pubblici non presenti nella programmazione triennale, secondo lo schema procedurale proprio della finanza di progetto, ai sensi dell’art. 153 comma 19 del codice.

La finalità sottesa a tale previsione è di agevolare le amministrazioni aggiudicatrici, conferendo loro la possibilità di utilizzare la documentazione tecnica fornita da terzi nel contesto della procedura di project financing, senza sopportare gli oneri economici correlati.

La nuova disposizione, più in particolare, prevede che:

– le amministrazioni possono avvalersi degli studi anzidetti ai fini dello sviluppo degli elaborati del programma triennale e dell’elenco annuale;

– nel caso in cui i soggetti pubblici o privati abbiano corredato le loro proposte di uno studio di fattibilità redatto in conformità ai criteri enunciati dall’art. 128 comma 2 del codice, oppure di un progetto preliminare, gli stessi possono essere inseriti, rispettivamente, nel programma triennale (studio di fattibilità) o nell’elenco annuale (progetto preliminare).

Pertanto, qualora gli studi di fattibilità provenienti da soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici – onde consentire la realizzazione di opere pubbliche non finanziabili con le risorse a disposizione delle stesse amministrazioni – presentino un contenuto definitorio che rispecchi i dettami normativi di riferimento (art. 128 comma 2 del codice), tali studi potranno essere direttamente inseriti nella programmazione triennale; altrimenti, potranno essere utilizzati solo quale supporto elaborativo dei documenti programmatori.

La sequenza degli atti in cui si articola la procedura per la programmazione delle opere pubbliche, delineata dall’art. 11 del nuovo regolamento è, dunque, la seguente:

  • studio preliminare per l’individuazione del quadro dei bisogni e delle esigenze;
  • studio di fattibilità dell’opera pubblica, redatto anche da soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici;
  • programma triennale;
  • progetto preliminare (per i lavori di importo pari o superiore a 1000.000 di euro);[7]
  • elenco annuale.

Accantonamento per transazioni e accordi bonari (art. 12 del D.P.R. n. 207/2010)

La disposizione di cui all’art. 12 del D.P.R. n. 201/2010, nel riprodurre sostanzialmente il testo dell’art. 12 del previgente regolamento, prescrive, al comma 1, l’inserimento obbligatorio di un accantonamento in ciascun programma degli interventi pari ad almeno il tre per cento delle spese previste per l’attuazione degli interventi stessi, stabilendo altresì che detto accantonamento è destinato:

  • all’eventuale copertura degli oneri derivanti dall’applicazione degli artt. 239 (transazioni) e 240 (accordo bonario) del codice;
  • ad eventuali incentivi per l’accelerazione dei lavori.

Le modifiche apportate, dunque, riguardano il titolo che figura nella rubrica (“Accantonamento per transazioni e accordi bonari”, in luogo dell’originaria formulazione “Fondo per accordi bonari”), il documento nel quale deve essere inserito l’accantonamento (non più il bilancio, com’era nell’abrogato regime, bensì ciascun programma degli interventi), l’estensione del vincolo di destinazione alla copertura degli oneri derivanti da eventuali transazioni.[8]

Modifica di rilievo attiene alla qualificazione dell’accantonamento come modulabile annualmente; il ché esprime l’intento di adeguare l’azione amministrativa alle mutevoli contingenze del caso.

Resta, invece, inalterata la previsione secondo cui i ribassi d’asta e le economie comunque realizzate nella esecuzione del programma possono essere destinate, su proposta del responsabile del procedimento, ad integrare l’accantonamento (comma 2). Parimenti immutata è la norma che ricollega l’estinzione del vincolo all’ultimazione dei lavori (comma 3).

Le ulteriori disposizioni contenute nell’art. 12 del D.P.R. n. 554/1999 (commi 2, 5 e 6) sono state soppresse.

Programma triennale ed elenchi annuali (art. 13 del D.P.R. n. 207/2010)

L’art. 13 del D.P.R. n. 207/2010, nel disciplinare le modalità redazionali e i contenuti sia del programma triennale, sia dell’elenco annuale, immuta solo in parte la primigenea regolamentazione di settore.

In primis, viene confermata la previsione che obbliga alla redazione del programma dei lavori pubblici non solo sulla base degli studi per l’identificazione dei bisogni e delle esigenze da soddisfare nonché degli studi vertenti sulla fattibilità dell’opera, ma anche in ossequio allo schema-tipo definito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.[9]

Viene altresì mantenuta la struttura del programma, stabilendo che esso viene redatto ogni anno, aggiornando quello precedentemente approvato.

Resta immutata anche la norma che, per le amministrazioni aggiudicatrici diverse dallo Stato, contestualizza l’approvazione della programmazione, del bilancio di previsione e del bilancio pluiriennale, prescrivendo l’onere di allegazione dell’elenco dei lavori da avviare nell’anno.

Venendo ai contenuti, il programma deve indicare, per tipologia ed in relazione alle specifiche categorie di interventi:

  • le finalità;
  • i risultati attesi;
  • le localizzazioni;
  • le problematiche di ordine urbanistico, ambientale e paesistico;
  • le relazioni con i piani di assetto territoriale o di settore;
  • le risorse disponibili;
  • la stima dei costi e dei tempi di attuazione.

Dall’elenco dei contenuti del programma, di cui al comma 2 dell’art. 13 del nuovo regolamento, è stato espunto il riferimento al “grado di soddisfacimento della domanda”, che, invece, compariva nell’abrogata disposizione regolamentare.

Per quanto concerne i limiti temporali, il comma 3 dell’art. 13 conserva quale termine ultimo per la redazione dello schema di programma e dei suoi aggiornamenti la data del 30 settembre di ogni anno, mentre introduce quale elemento innovativo il termine per la sua adozione da parte dell’organo competente – da considerare ordinatorio – coincidente con il 15 ottobre di ogni anno.[11]

Il medesimo comma 3 fissa un ulteriore termine, a carico delle amministrazioni statali, relativo all’aggiornamento definitivo del programma triennale, che deve intervenire entro novanta giorni dall’approvazione della legge di bilancio da parte del Parlamento.

Infine, l’ultimo comma del riformulato art. 13 puntualizza, con previsione dal tenore anch’esso in parte innovativo, che l’elenco dei lavori da avviare nell’anno successivo è redatto, sempre entro il 30 settembre di ogni anno, sulla base dell’aggiornamento del programma “con l’indicazione del codice unico di progetto, previamente richiesto dai soggetti competenti per ciascun lavoro”.


[1] L’art. 128 comma 2 del codice, pur attribuendo alla discrezionalità degli enti le scelte programmatiche, assegna priorità agli interventi volti alla manutenzione, al recupero del patrimonio pubblico e al completamento delle opere già iniziate, ai progetti esecutivi già approvati, agli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario.

[2] L’approvazione dello schema del programma triennale dei lavori pubblici e del suo aggiornamento annuale, configurando un atto di proposta e di impulso, rientra nelle competenze della giunta comunale, ai sensi dell’art. 48 del D.Lgs. n. 267/2000; spetta invece al consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. cit., l’approvazione definitiva del programma e dell’elenco annuale delle opere da realizzare, trattandosi di atto di programmazione e di indirizzo (Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 6917).

[3] T.A.R. Umbria, 1 ottobre 2001, n. 499:  la programmazione dei lavori pubblici costituisce uno “strumento di pianificazione e razionalizzazione della spesa, previa ricognizione delle risorse, delle esigenze e delle relative priorità”; cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 2002, n. 6436; Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2002, n. 5824.

[4] Ex multis: T.A.R. Lazio, sez. II, 8 ottobre 2001, n. 8271; T.A.R. Sicilia, Catania, sez, I, 22 marzo 2005, n. 468.

[5] I lavori non programmati e non riconducibili alle ipotesi derogatorie tassativamente enucleate dall’art. 128 comma 9 del codice non possono in alcun modo essere finanziate dalle pubbliche amministrazioni (art. 128 comma 10).

[6] Ai sensi del comma 6 dell’art. 128 del codice, l’inclusione nell’elenco annuale è subordinata, per i lavori di importo inferiore a 1.000.000 di euro, alla previa approvazione di uno studio di fattibilità. Detto studio, oltre ad individuare i lavori strumentali al soddisfacimento dei bisogni identificati e quantificati dalle pubbliche amministrazioni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico funzionali di tali lavori, contenendo altresì l’analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche,  di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche (comma 2 dell’art. 128 cit.).

[7] A norma dell’art. 128 comma 6 del codice, l’inclusione nell’elenco annuale è subordinata, per i lavori di importo pari o superiore a 1000.000 di euro, alla previa approvazione della progettazione preliminare.

[8] L’art. 12 del D.P.R. n. 554/1999 richiamava l’art. 31 bis della L. n. 104/1994, che si riferiva esclusivamente agli accordi bonari.

[9] Si rammenta, al riguardo, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 482 del 7 novembre 1995, ha escluso la fondatezza della questione di legittimità per presunta violazione dell’autonomia regionale sul rilievo che “lo schema di decreto ministeriale – tipo di programmazione triennale tecnica e finanziaria non impedisce l’esplicazione della competenza regionale in materia”.

[10] In relazione alle priorità, l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 13 del nuovo regolamento dispone che esse devono privilegiare valutazioni di pubblica utilità rispetto ad altri elementi “in conformità a quanto disposto dal codice”.

[11] In applicazione dei noti principi giurisprudenziali, i termini la cui inosservanza non venga sanzionata con una comminatoria di decadenza, esplicita od implicita, sono ordinatori e non perentori, con la conseguenza che la loro  scadenza non determina né l’estinzione del potere provvedimentale in capo alla P.A., né, di per sé sola, l’illegittimità dell’atto adottato tardivamente (tra le tante: Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1201).

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giangiuseppe Baj
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica.
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