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( votes)1. Una modifica che incide sulle procedure di affidamento
È stata pubblicata, finalmente, sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 agosto 2014 la legge 11 agosto 2014 n. 114 che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari) (GU n. 144 del 24-6-2014), che ha apportato delle novità assai importanti anche nell’ambito dei contratti pubblici.
Elementi indicativi del fine perseguito dal legislatore con tali modifiche sono presenti già nel titolo della legge: semplificazione e trasparenza sono i termini-manifesto che il legislatore ha usato molto spesso negli ultimi anni per sottolineare la volontà di rendere più efficaci ed efficienti i procedimenti amministrativi, a cui, tuttavia, non corrisponde un’effettiva chiarezza e semplicità nella formulazione delle leggi che presiedono tali procedimenti (concetti fondamentali per avere un’applicazione il più omogenea possibile della legge e una minor conflittualità in sede giudiziale), con la conseguente nascita di diversi dubbi interpretativi a livello applicativo.
Anche lo strumento con cui il legislatore va ad incidere in materia (ossia il decreto legge) è uno strumento che politicamente viene visto come molto malleabile per il perseguimento di scopi politici in maniera immediata, ma molto effimero per la sua incisività a lungo termine, dato che ha una vigenza limitata rispetto alla conversione in legge, che lo può modificare, anche stravolgendolo. Oltre a ciò, i decreti legge ultimamente emanati contengono disposizioni disomogenee fra loro, che vanno ad apportare modifiche in campi diversi l’uno dall’altro, creando antinomie e difficoltà interpretative, in totale contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale in tema di sindacato del decreto legge. Purtroppo, il decreto legge sta diventando “la” fonte del diritto privilegiata, che va a incrementare, sempre di più, quel fenomeno che viene definito «abuso del decreto legge»[1].
Il decreto legge, così come convertito, contiene diverse disposizioni che vanno a modificare il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
Particolare attenzione deve essere data all’articolo 39 (rubricato “Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”), il cui intento, pregevole, sarebbe quello di eliminare, o almeno diminuire, le esclusioni per motivi meramente formali, ma che, a livello pratico, crea parecchi dubbi operativi.
La dislocazione dell’articolo nel Titolo IV (“Misure per lo snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del processo civile telematico”) non è delle più felici, dato che esso avrebbe dovuto contenere, come si può leggere dalla sua denominazione, delle disposizioni che vanno ad incidere sul processo amministrativo e non sul procedimento amministrativo. Inoltre, l’articolo 39, come si vedrà di seguito, è una disposizione che incide sulla materia del contendere e non sulla procedura amministrativa.
Tuttavia, già nella rubrica dell’articolo in esame si possono ritrovare degli spunti interessanti per l’interpretazione della norma. Intanto, la ratio del legislatore è quella di evitare le esclusioni per oneri formali, che formano, in genere, la maggior parte dei motivi di ricorso. Inoltre, è un articolo applicabile a qualsiasi procedura di affidamento di contratti pubblici: perciò vi rientrano appalti e concessioni, indipendentemente dal loro importo che può essere sia sopra che sotto soglia, le procedure in economia, gli appalti aventi ad oggetto i servizi di cui all’allegato II B al Codice dei contratti, le procedure elettroniche come quelle trattate da Consip, come ad esempio le convenzioni Consip e il MEPA.
Si sottolinea fin da subito che tale articolo è stato oggetto di grande dibattito in sede di conversione, come si può rilevare dai diversi emendamenti proposti, perché, fin dalla sua prima applicazione, ha fatto nascere dei dubbi sulle espressioni usate all’interno del testo. Tuttavia, alla fine, la legge di conversione ha apportato delle modificazioni pressoché inutili e di per sé fuorvianti, alla faccia della tanto sbandierata “semplificazione”.
2. Il principio di soccorso istruttorio rispetto ai requisiti soggettivi di partecipazione prima della modifica
La nuova disposizione va ad introdurre nel Codice dei Contratti un’ulteriore ipotesi di soccorso istruttorio.
Prima della modifica, il soccorso istruttorio veniva individuato nell’articolo 46, comma 1 e comma 1-bis D.Lgs. 163/2006.
Originariamente, con l’entrata in vigore del Codice, esisteva solo l’articolo 46, comma 1, che prevede tutt’ora che «nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45[2], le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati». La legge n. 106 del 2011 ha aggiunto un’ulteriore comma 1-bis, tutt’ora vigente, per chiarire l’estensione del soccorso istruttorio e per evitare, conseguentemente, abusi di tale strumento da parte delle Stazioni appaltanti. Tale disposizione stabilisce che la stazione appaltante deve escludere i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e, nel caso che le contengano, queste devono considerarsi comunque nulle.
Quindi, il legislatore aveva già in mente di far prevalere il principio di favorire la maggior partecipazione su basi sostanziali (favor partecipationis) rispetto a quello della parità di trattamento su fondamenti formali (par condicio), evitando esclusioni basate su vizi puramente formali e imponendo alle stazioni appaltanti di invitare a regolarizzare la documentazione presentata, ad eccezione di alcuni casi in cui le stazioni appaltanti avrebbero dovuto in ogni caso escludere il concorrente per vizio insanabile.
Ulteriori indicazioni su come interpretare le disposizioni sopra citate possono ritrovarsi nella determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012 (“BANDO- TIPO. Indicazioni generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli articoli 64, comma 4-bis e 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici”), dove si delinea la disciplina del soccorso istruttorio (regola) e delle esclusioni (eccezione) al fine di redigere un bando in linea con le disposizioni normative.
Tuttavia, i dubbi sono continuati a persistere, tant’è che una sezione del Consiglio di Stato ha rimesso, all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, le questioni interpretative riguardo ai limiti del soccorso istruttorio.
La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 dd. 25 febbraio 2014 del Consiglio di Stato ha ulteriormente definito i limiti del soccorso istruttorio e ha enucleato una serie di principi di diritto su tale disposizione. Tra questi, l’Adunanza Plenaria ha statuito che «nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, co.1, del medesimo codice (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) – sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti – non consente la produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali».
Perciò, prima della recente modifica apportata al Codice dei contratti pubblici, appare chiaro come una dichiarazione mancante, ove richiesta dalla legge (come quella di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006), a cui veniva equiparata anche la dichiarazione incompleta, determinasse in ogni caso l’esclusione.
Con la nuova disposizione introdotta dal D.L. 90/2014, così come convertito dalla legge di conversione, invece, la mancanza o l’incompletezza delle dichiarazioni relative ai requisiti generali non potrà più comportare l’immediata esclusione, ma determinerà l’apertura di un sub-procedimento di regolarizzazione.
3. Le irregolarità essenziali e non essenziali: alcuni spunti per la loro definizione
L’articolo 39 D.L. 90/2010, così come modificato dalla legge di conversione, contiene quattro commi. La legge di conversione ha aggiunto il comma 3-bis e ha introdotto alcune modifiche, piuttosto formali, al testo.
Il primo comma inserisce il comma 2-bis[3] dopo il comma 2 dell’articolo 38 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163[4].
L’articolo 38 D.Lgs. 163/2006 è una delle basi delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Infatti, al primo comma, elenca i requisiti generali di affidabilità che un operatore economico deve possedere per poter partecipare alla procedura di gara, con la conseguente esclusione dei soggetti che non possiedono i requisiti indicati. Tali dichiarazioni vengono rese sotto forma di autocertificazione ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), così come prescritto dal secondo comma dell’articolo 38.
Dopo il secondo comma, il decreto legge così come convertito aggiunge il seguente comma: «La mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte».
L’unico elemento di novità apportato dalla legge di conversione è l’espressione “degli elementi e”. Tale specificazione risulta sicuramente ridondante rispetto al termine “dichiarazioni sostitutive”, visto che la Stazione appaltante può venire a conoscenza dell’esistenza degli elementi necessari per poter partecipare ad una gara esclusivamente tramite dichiarazioni sostitutive, a meno di non ammettere anche un potere di soccorso istruttorio d’ufficio, che complicherebbe a dismisura le procedure di affidamento. Non può considerarsi neppure ammissibile una tesi (estrema) che faccia leva proprio sul termine “elementi” per sostenere che l’unica cosa necessaria per partecipare alle procedure di scelta del contraente sia che l’operatore economico possieda i requisiti generali sostanzialmente, indipendentemente dal fatto che in sede di gara li dichiari in maniera completa, perché, in ogni caso, ci sarebbe la possibilità di regolarizzazione. Questo non è il fine del legislatore. Questi vuole porgere “un’unica possibilità di redenzione” nei confronti delle imprese poco attente nel redigere le autocertificazioni. Inoltre, ciò che interessa al legislatore è che sussistano i requisiti così come dichiarati. Solo dopo i controlli sulle autocertificazioni, la Stazione appaltante potrà verificare la veridicità o meno delle dichiarazioni ed eventualmente escludere il concorrente che abbia reso una dichiarazione falsa. Ammettere una tesi così smaccatamente sostanzialista comporterebbe un grave danno all’economia del procedimento, oltre al fatto di non essere in linea con quanto previsto dalla legge.
L’uso delle parole che fa il legislatore, come già si è potuto osservare, è molto infelice, dato che viene usato un linguaggio dai contorni non definiti, e ciò crea parecchi dubbi e perplessità, a cui non si può dare alcuna risposta in base alla dottrina, alla prassi dell’ANAC (ex AVCP) o alla giurisprudenza, al momento inesistente a riguardo, sebbene alcune ultime decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali facciano riferimento a tale modifica per quanto riguarda il principio espresso.
Prima di tutto, bisogna capire l’estensione del riferimento che viene fatto dal comma in esame al secondo comma dell’articolo 38 D.Lgs. 163/2006. Secondo alcuni autori[5], tale rinvio sarebbe riferito alle sole cause di esclusione espressamente individuate dalle lettere indicate. Tuttavia, sembra che debba prevalere un’interpretazione letterale della disposizione che pone l’accento sul fatto che «il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445». Dopo tale inciso, la disposizione fa semplicemente delle precisazioni sul significato delle cause di esclusione individuate dal primo comma.
Dopo aver appurato che le dichiarazioni ai sensi del D.P.R. 445/2000 devono prendere in considerazione tutti i requisiti generali elencati dal primo comma dell’articolo 38, la legge indica tre ipotesi in cui ricorre l’applicazione del soccorso istruttorio.
La prima è la mancanza degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 dell’articolo 38 D.Lgs. 163/2006. Questa ipotesi si ha quando mancano tutte le dichiarazioni di cui all’articolo 38, comma 1, D.Lgs. 163/2006 che devono essere rese da parte di soggetto dotato di legale rappresentanza. Il tipico esempio è quello dell’indicazione dell’esistenza di un legale rappresentante, che, tuttavia, non rende le dichiarazioni richieste.
La seconda è l’incompletezza degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 dell’articolo 38 D.Lgs. 163/2006. In tal caso, il soggetto obbligato a rendere tali dichiarazioni omette una o più dichiarazioni relative ai requisiti generali. Ad esempio, un direttore tecnico omette di dichiarare di non essere stato vittima di concussione o di estorsione, ai sensi della lettera m-ter) del comma 1 dell’articolo 38.
In entrambi i casi, appare pacifica la richiesta di integrazione, anche se con buona pace del principio di par condicio, dato che qualche operatore economico “particolarmente furbo” potrebbe presentare una richiesta di partecipazione mancante in qualche sua dichiarazione, ben certo di una richiesta di integrazione, tanto per rendere sicura la propria possibilità di partecipazione (le cosiddette richieste di partecipazione “tanto per provare”).
Più problematica è la terza ipotesi, che dovrebbe rappresentare una sorta di clausola di chiusura della disciplina del soccorso istruttorio. Infatti, si dovrebbe ricorrere alla regolarizzazione delle dichiarazioni in presenza di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 dell’articolo 38 D.Lgs. 163/2006.
Purtroppo, non esiste alcuna definizione, né normativa, né giurisprudenziale, né dottrinale, di “irregolarità essenziale”.
Sicuramente, rientrano tra le “irregolarità essenziali” la mancanza di dichiarazioni o la loro incompletezza. Per quanto riguarda eventuali altri casi, viene rimessa alla discrezionalità (molto ampia) della Stazione appaltante la loro definizione.
Problema non da poco, dato che la disposizione si basa proprio sulla differenza tra “irregolarità essenziale” e “irregolarità non essenziale”, riconducendo conseguenze diverse.
Infatti, nel caso di irregolarità non essenziale, la legge prevede che «nei casi di irregolarità non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione», applicando, invece, l’articolo 46, comma 1, D.Lgs. 163/2006. Negli altri casi, invece, bisogna dar inizio al sub-procedimento di regolarizzazione.
Alcuni esempi di irregolarità non essenziale o di dichiarazioni non indispensabili potrebbero essere le famose dichiarazioni richieste “a titolo collaborativo”, quale l’indicazione degli uffici a cui rivolgersi per effettuare i controlli sull’esistenza dei requisiti generali; neppure la mancata indicazione della PEC può risultare un’irregolarità essenziale, dato che basta avere il codice fiscale per ottenere la PEC tramite il programma informatico messo a disposizione delle CCIAA per effettuare i controlli.
Più difficili da risolvere potrebbero essere i casi di mancata indicazione del codice fiscale o della partita iva dell’impresa oppure la mancata indicazione di data e luogo di nascita o di codice fiscale del legale rappresentante oppure la mancata indicazione dei dati necessari a richiedere il DURC, visto che sono tutti dati necessari ai fini del controllo delle dichiarazioni sostitutive e servono a individuare univocamente l’impresa o il soggetto dotato di legale rappresentanza.
L’articolo 18 della L. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), confermato e attuato anche dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, prevede, in materia di autocertificazione, l’acquisizione d’ufficio dei documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento e la richiesta agli interessati da parte dell’amministrazione procedente dei soli elementi necessari per la ricerca dei documenti.
Gli elementi sopra citati risultano necessari per la completezza della dichiarazione? A parere di chi scrive, no, dato che ciò che preme al legislatore è l’esistenza dei requisiti generali in capo ai legali rappresentanti così come dichiarati e non l’indicazione degli elementi necessari ai fini del controllo degli stessi. Inoltre, con la banca dati creata dall’AVCP (AVCPASS), secondo quanto previsto dalla deliberazione dell’ANAC (ex AVCP) n. 111 dd. 20 dicembre 2012, al fine di garantire che le richieste di verifica dei requisiti interessino unicamente i partecipanti alla specifica procedura, prima di poter accedere alla comprova dei requisiti, la Stazione appaltante, attraverso il soggetto abilitato ai controlli, integra o conferma, usando l’apposita funzionalità di AVCPASS, l’elenco degli operatori economici partecipanti alla procedura di affidamento e, ai fini delle verifiche, il soggetto abilitato avvia tramite AVCPASS la richiesta dei documenti a comprova dei requisiti per gli operatori economici interessati; successivamente l’Autorità avvia presso gli Enti Certificanti le richieste dei documenti definiti dalla deliberazione. Perciò, tutti gli elementi necessari ai fini delle verifiche dovrebbero essere già in possesso dell’ANAC (ex AVCP) e perciò l’operatore economico non avrebbe la necessità di indicarli nelle autocertificazioni.
Un pericolo può sussistere in ogni caso: che un partecipante possa presentare un’autocertificazione incompleta, confidando sempre nella possibilità che la Stazione appaltante possa richiedere successivamente le integrazioni e assicurando, in ogni caso, la propria partecipazione alla gara.
Perciò, fondamentale diventa la chiarezza e la completezza con cui l’ente redige i modelli per le dichiarazioni di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006. I modelli usati dalle Stazioni appaltanti devono essere costantemente aggiornati, semplici e chiari nelle richieste, prediligendo l’elenco di tutte le dichiarazioni, rispetto ad autocertificazioni cumulative o riassuntive, sia per evitare che vi siano dichiarazioni mancanti o incomplete, sia per evitare che l’operatore economico sbagli nella compilazione degli stessi. Infatti, come bisogna comportarsi se i moduli predisposti dalla Stazione appaltante sono errati? In tal caso, si potrebbe trattare di errore scusabile con la conseguente richiesta di integrazione ma senza applicazione della sanzione pecuniaria. Tuttavia, gli operatori economici dovrebbero in ogni caso stare attenti a non essere tratti in inganno dai modelli predisposti dalle Amministrazioni e dare un’occhiata alla loro completezza, prima di redigere la domanda di partecipazione.
Se sussiste, quindi, una delle ipotesi in base alle quali ricorrere al soccorso istruttorio, vi è l’obbligo in capo al concorrente che ha presentato tali dichiarazioni “viziate” di pagare una sanzione pecuniaria a favore della Stazione Appaltante. Perciò, nel momento in cui la Stazione Appaltante dovesse ritrovare qualche mancanza essenziale nelle dichiarazioni, l’effetto immediato sarebbe la richiesta di pagamento della sanzione da parte del concorrente, con possibilità di regolarizzazione della documentazione, e l’eventuale esclusione interverrebbe in un secondo momento, solo in caso di inottemperanza alla richiesta di regolarizzazione avanzata dalla Stazione Appaltante.
4. La sanzione amministrativa pecuniaria: aspetti applicativi
L’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria è, in ogni caso, obbligatoria quando ricorrano i presupposti previsti dalla disposizione e l’ammontare della stessa deve essere stabilito nel bando di gara dalla Stazione Appaltante.
L’utilizzo del solo termine “bando di gara” potrebbe far credere che siano escluse da tale obbligo tutte le procedure che non prevedano un “bando di gara” in senso stretto, come può succedere nelle procedure (negoziate) senza pubblicazione di bando, ma precedute dalla pubblicazione di un avviso pubblico o di un’indagine di mercato, oppure nelle gare a cui vengano invitati i soggetti economici iscritti in appositi elenchi.
In tal caso, l’avviso pubblico o la lettera invito devono contenere tale previsione? Sembra corretto fissare tale sanzione pecuniaria ogni qualvolta si richiedano le dichiarazioni di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006.
L’importo della sanzione deve essere fissato dalla Stazione Appaltante. A tal riguardo sorgono dei dubbi sia sul soggetto che deve fissare l’ammontare di tale sanzione sia sulle modalità di determinazione dell’ammontare stesso.
Nel caso degli enti locali, si possono già intravedere le prime prassi discordanti. Si vedono alcune deliberazioni di giunta che fissano una percentuale da applicare per ogni gara[6]. Non sembrano tuttavia corretti tali atti, data la natura “strettamente politica” di questo organo, quando, in realtà, serve sostanzialmente una valutazione tecnica e amministrativa della questione. Sembra sicuramente più sostenibile la tesi che prevede che siano il dirigente o il responsabile di servizio o il titolare di posizione organizzativa a fissare con proprio atto, nel limite delle proprie competenze, tale importo, dato che, ai sensi dell’articolo 107 D.Lgs. 267/2000, a tali soggetti è attribuita la responsabilità delle procedure d’appalto.
Definita in tali termini la titolarità della competenza ad assumere l’atto di determinazione della sanzione, sorge un ulteriore dubbio operativo: tale soggetto deve individuare tale importo una volta per tutte con un proprio atto a sé stante oppure può fissarlo, di volta in volta, in ogni singolo bando? Non è cosa da poco, dato che alla base deve esserci una valutazione di ragionevolezza e proporzionalità rispetto a quanto previsto dalla legge, che prevede un limite minimo (1 per 1000) e un limite massimo (1 per 100) per la sanzione, con un tetto invalicabile di 50.000 euro.
Le soluzioni proposte possono essere le più disparate: fissare con un proprio atto una percentuale fissa, che rimane sempre invariata, da applicare a tutte le procedure, oppure prevedere degli importi a scaglioni, a seconda del valore della procedura (per esempio, per gare da 0 a 1.000 euro 1 per 1.000 di sanzione, per gare da 1.001 euro a 10.000 il 2 per 1000 di sanzione, etc etc etc). Oppure, e questa sembra la tesi più ragionevole, valutare di volta in volta, a seconda dell’importo di gara e delle specificità della procedura, la percentuale da applicare, rimanendo nei limiti edittali fissati dalla legge.
Un altro problema sorge relativamente al “quantum” di sanzione pecuniaria che si deve richiedere rispetto alla “gravità” dell’irregolarità essenziale. Infatti, bisogna applicare la stessa sanzione nell’importo indicato nel bando sia nel caso di dichiarazioni mancanti che nel caso di dichiarazioni incomplete? Oppure è meglio prevedere “quantum” diversi a seconda del tipo di irregolarità? Sicuramente, la mancanza totale delle dichiarazioni di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006 è questione ben diversa rispetto all’incompletezza delle dichiarazioni. Non sembra corretto comminare la stessa sanzione in entrambi i casi, proprio per il principio di proporzionalità. Sarebbe opportuno, quindi, indicare l’importo richiesto nel caso di mancanza di dichiarazioni, nel caso di incompletezza di dichiarazioni e negli altri casi di irregolarità essenziali, che dovrebbero essere fissati dalla Stazione appaltante nel bando. Ciò per evitare che vengano valutate in maniera uguale irregolarità diverse e che le imprese che redigano quasi correttamente tutte le dichiarazioni vengano, di fatto, maggiormente penalizzate rispetto a quelle che non le rendano proprio.
5. La cauzione provvisoria
Se l’operatore economico presenta delle dichiarazioni “viziate”, deve pagare la sanzione amministrativa pecuniaria, che diventa conditio sine qua non per attivare la procedura di soccorso istruttorio. In ogni caso, tale pagamento è garantito dalla cauzione provvisoria. Perciò, se l’impresa non dovesse provvedere al versamento della sanzione, prima di tutto, si dovrebbe “escutere” la cauzione provvisoria e, in secondo luogo, non si potrebbe proseguire con la procedura di regolarizzazione, escludendo l’impresa che ha presentato le dichiarazioni irregolari. Se provvede, invece, al pagamento, l’operatore economico viene ammesso alla procedura di regolarizzazione.
Prima di tutto, bisogna notare come il legislatore non abbia utilizzato “una cauzione provvisoria”, ma abbia usato “la cauzione provvisoria”. In base ad un’interpretazione sistematica, ciò sembrerebbe rinviare alla cauzione di cui all’articolo 75 D.Lgs. 163/2006.
A tal proposito, nascono diversi dubbi, come hanno fatto rilevare già diversi autori[7], che dipendono dalla natura della cauzione provvisoria, che, prima di questa modifica, andava a salvaguardare la Stazione appaltante dalla mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario e che, ora, si arricchisce di un nuovo significato, piuttosto “sanzionatorio”.
Ai sensi dell’articolo 75 D.Lgs. 163/2006, infatti, la cauzione provvisoria può essere resa con tre forme:
1)in contanti o in titoli del debito pubblico garantiti dallo Stato al corso del giorno del deposito, presso una sezione di tesoreria provinciale o presso le aziende autorizzate, a titolo di pegno a favore dell’amministrazione aggiudicatrice;
2)con assegno circolare;
3)come fideiussione bancaria o assicurativa.
Sicuramente, la soluzione più logica sarebbe quella di richiedere il pagamento della sanzione attraverso il versamento dell’importo di denaro presso la tesoreria ufficiale. Se ciò non venisse fatto, si dovrebbe escutere la cauzione provvisoria per l’ammontare corrispettivo ed escludere l’operatore economico.
Tuttavia, per le fideiussioni assicurative (che sono le più numerose), ciò non sembra possibile perché, ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle assicurazioni private”) sono vietate le assicurazioni che hanno per oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative (quello che, evidentemente, accade in tal caso), con conseguente nullità del contratto. Quindi, tra le soluzioni proposte, vi è la presentazione di una cauzione provvisoria di cui all’articolo 75 D.Lgs. 163/2006 per la copertura della mancata sottoscrizione del contratto e di una cauzione provvisoria per il pagamento della sanzione amministrativa, pari all’importo indicato nel bando, in contanti o con assegno circolare, per il pagamento della sanzione.
Oltre a ciò, il riferimento “alla cauzione provvisoria” e non “ad una cauzione provvisoria”, potrebbe determinare anche un rinvio all’importo che viene richiesto per la cauzione provvisoria di cui all’articolo 75 D.Lgs. 163/2006. Perciò, l’importo della sanzione non dovrebbe essere superiore, in ogni caso, alla cauzione provvisoria richiesta, con l’ulteriore problema relativo al fatto che la cauzione può essere al 2 % o all’ 1 % dell’importo di gara, se si è dotati della certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI ISO 9000.
In ogni caso, è evidente che vi sia un aggravamento sia per il concorrente, sia per la Stazione appaltante. Citando l’esempio della costituzione di una cauzione provvisoria ai sensi dell’articolo 75 D.Lgs. 163/2006 e di una cauzione provvisoria per il pagamento della sanzione pecuniaria, si pongono diversi problemi operativi a riguardo di quest’ultima:
1)se fosse costituita da soldi, non sembra opportuna la possibilità di richiedere che questi vengano inseriti nel plico amministrativo, sia perché si dovrebbero approntare tutta una serie di misure di protezione, quali la conservazione in cassaforte, sia perché con l’articolo 12 Decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”) convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214 si è cercato di ridurre l’uso del contante, ponendo il limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 Euro, che richiede forme di pagamento tracciabili (ad esempio il bonifico), sia perché sembra non opportuno avere dei soldi nelle buste contenenti le domande di partecipazione, per evitare atteggiamenti “corruttivi”. Perciò, sarebbe più opportuno richiedere il versamento della somma alla tesoreria ufficiale. Tuttavia, tale somma dovrebbe essere accertata in entrata con un atto ufficiale e, solo dopo aver verificato la completezza delle dichiarazioni, dovrebbe essere svincolata con un altro atto ufficiale.
2)se fosse resa sotto forma di assegno circolare, questo dovrebbe essere opportunamente conservato e restituito non appena verificata la completezza delle dichiarazioni.
Come si vede, il lavoro per le Stazioni appaltanti aumenterebbe.
Delle modalità di conservazione della cauzione provvisoria e della restituzione, si dovrebbe dar atto nei verbali delle sedute di gara.
6. L’applicazione della sanzione e la procedura di regolarizzazione
Nel momento in cui la Stazione appaltante accerta tale irregolarità, deve sospendere la seduta di verifica della documentazione amministrativa recante le dichiarazioni di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006 e deve, nell’ordine:
1) chiedere il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria;
e, solo dopo il pagamento,
2)assegnare al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere.
Tutto ciò deve avvenire attraverso comunicazioni ufficiali, di cui si deve dare notizia nel verbale della seduta che si redige. In particolare, si possono avere due ipotesi operative:
1)due comunicazioni distinte: con la prima si chiede il pagamento della sanzione amministrativa, indicando un termine perentorio entro il quale tale pagamento deve essere effettuato, e, solo dopo il pagamento, si invia la seconda comunicazione con cui si chiede la regolarizzazione delle dichiarazioni;
oppure
2)una comunicazione unica con cui si chiede il pagamento della sanzione e l’integrazione delle dichiarazioni, sottolineando che, in mancanza di pagamento, non si procederà alla verifica della documentazione integrativa.
Delle due soluzioni appare sicuramente maggiormente agevole la seconda, perché più snella. Tuttavia, quella più in linea con le disposizioni di legge appare la prima, con un ulteriore allungamento dei tempi della procedura di gara, dato che non viene fissato ex lege un termine per il pagamento della sanzione.
La comunicazione deve contenere l’indicazione del contenuto delle dichiarazioni e dei soggetti che le devono rendere. Perciò, la richiesta deve nascere da elementi già presenti nelle dichiarazioni e non da elementi nuovi, magari acquisiti durante una seduta pubblica o a seguito della presenza di una visura camerale nel plico amministrativo. Si ricorda, in quest’ultimo caso, che essendo la visura camerale un certificato relativo all’impresa, si commette violazione dei doveri d’ufficio, ai sensi dell’articolo 74, D.P.R. 445/2000, prendendola in considerazione. Inoltre, non si potrebbe richiedere l’integrazione nel caso in cui sia presente una dichiarazione falsa, perché, ad esempio, il soggetto ha introdotto nel plico amministrativo un certificato del casellario giudiziale da cui risulta la presenza di una condanna penale, di cui, tuttavia, non si è data notizia nell’autocertificazione.
Nella comunicazione bisogna indicare anche le modalità con cui devono pervenire tali integrazioni. Devono essere inviate con le stesse formalità con cui sono state presentate le domande di partecipazione, perciò sigillate e in busta chiusa, con conseguente apertura in una seduta appositamente dedicata, oppure potrebbero essere inviate senza particolari formalità e con un’apertura in sede informale? Per il principio della par condicio, sembra doversi ammettere la stessa forma con cui sono state inviate le domande di partecipazione, per non ledere il comportamento corretto assunto dagli altri operatori economici che hanno presentato le dichiarazioni complete.
Il termine che può essere dato dalla Stazione appaltante per presentare la regolarizzazione non può essere superiore a dieci giorni (da contarsi solo i giorni feriali o anche i giorni festivi?), termine che è perentorio, così come risulta dal successivo inciso “in caso di inutile decorso del termine […] il concorrente è escluso dalla gara”.
Il soggetto a cui vengono richieste tali integrazioni dovrebbe rispondere secondo quanto richiesto. Se dovessero pervenire ulteriori dichiarazioni non richieste, in tal caso, non le si dovrebbero prendere in considerazione per il principio di corrispondenza tra ciò che è stato richiesto dalla Stazione appaltante e ciò che deve pervenire all’ente.
Se, dopo la richiesta di regolarizzazione, le dichiarazioni risultano ancora incomplete, si ritiene corretto escludere definitivamente il soggetto, non ammettendo una nuova regolarizzazione, dato che il legislatore concede “un’unica possibilità di redenzione”.
7. Un periodo finale “amaro”
Il comma si conclude con un ultimo periodo, il cui significato rimane oscuro. Infatti, ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte. Se è una decisione che conferma l’esclusione, sicuramente non crea problemi né ai fini delle medie, né ai fini di calcolo della soglia di anomalia delle offerte. Ma se, invece, è una decisione che accoglie un ricorso contro l’esclusione e riammette il soggetto? Secondo una ricostruzione possibile, nel momento in cui vi sarebbe l’aggiudicazione provvisoria, questa si cristallizzerebbe e diventerebbe, salvo vizi sostanziali, definitiva. Perciò, l’unica cosa che il concorrente escluso per irregolarità essenziale e riammesso per pronuncia giurisdizionale potrebbe richiedere sarebbe il solo risarcimento dei danni, non potendo più incidere sulla procedura.
8. Il principio del soccorso istruttorio esteso alle dichiarazioni di terzi
Il secondo comma dell’articolo 39 inserisce un comma 1-ter dopo il comma 1-bis all’articolo 46 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e stabilisce che «le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara».
Anche in tal caso la legge di conversione introduce una modifica inutile, ovvero l’espressione “degli elementi e”, che, come si è già rilevato sopra, non aiuta nell’interpretazione della disposizione e non comporta modifiche sostanziali alla disciplina.
L’articolo 46 è l’altro articolo cardine delle procedure di affidamento, che prevede la possibilità di richiesta da parte della Stazione appaltante di completamento e chiarimento in ordine al contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni presentati e la tassatività delle cause di esclusione, che, a dispetto del fine del legislatore di perseguire il favor partecipationis, evitando esclusioni per vizi formali, ha dato origine ad una copiosa giurisprudenza in materia, a causa della vaghezza dei termini utilizzati.
Se il comma 1 dell’articolo 39 D.L. 90/2014, così come convertito, è chiaramente applicabile solo alle ipotesi relative alla mancata dichiarazione dei requisiti generali, anche il comma 2 sembra applicabile alle sole ipotesi di irregolarità delle dichiarazioni sui requisiti di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006.
Quindi, sebbene il nucleo della disposizione sia “ridondante” rispetto alle disposizioni sopra analizzate, la previsione servirebbe sostanzialmente a collocare le nuove ipotesi di soccorso istruttorio nell’articolo di riferimento (articolo 46 D.Lgs. 163/2006), per creare (vanamente) una certa omogeneità di argomento.
In realtà, le uniche novità sarebbero due: l’applicazione del principio del favor partecipationis anche alle dichiarazioni di soggetti terzi e l’applicazione di tale favor a tutte quelle ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.
Riguardo la prima, l’applicabilità dell’articolo 38, comma 2-bis, D.Lgs. 163/2006 avrebbe come conseguenza che, nel caso di dichiarazioni irregolari, i terzi dovrebbero pagare la sanzione, presentando, in sede di gara, anche una cauzione provvisoria per garantire il pagamento, oppure (e questa sembra la soluzione più sostenibile) sarebbe lo stesso concorrente a dover pagare tale sanzione, con diritto di rivalsa sul terzo che avesse omesso la dichiarazione o effettuato la dichiarazione incompleta. L’unico effetto positivo è sicuramente quello di garantire che il soggetto concorrente vigili sulla compilazione della documentazione amministrativa da parte del terzo.
Tipici esempi di dichiarazione sui requisiti generali resa da terzi sono la documentazione in caso di avvalimento, ai sensi dell’articolo 49 D.Lgs. 163/2006 (a cui si applicherebbe in toto il comma 2-bis dell’articolo 38 D.Lgs. 163/2006) e la documentazione in caso di subappalto, di cui all’articolo 118 D.Lgs. 163/2006 (a cui si potrebbe applicare sia la parte relativa all’obbligo di versamento della sanzione pecuniaria, sia la richiesta di integrazione, ma che avrebbe come conseguenza, in caso di mancato pagamento della sanzione o in caso di mancata risposta alla richiesta di regolarizzazione, non l’esclusione del subappaltatore, bensì la mancata autorizzazione al subappalto).
Riguardo alla seconda novità, le nuove ipotesi di soccorso istruttorio vanno applicate a qualsiasi dichiarazione che deve essere prodotta dai concorrenti in base alla legge, al bando oppure al disciplinare di gara. Ciò permette di definire, in qualche modo, le dichiarazioni ritenute “indispensabili” ai fini della partecipazione alla gara, che sono quelle previste dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara.
9. L’efficacia temporale delle disposizioni: il comma 3 dell’articolo 39
La legge di conversione ha confermato che le disposizioni previste dai primi due commi dell’articolo 39 si applicano alle procedure di affidamento indette successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Il decreto legge è del 24 giugno 2014 e l’entrata in vigore è fissata dall’articolo 54, secondo il quale il decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La pubblicazione è avvenuta con la Gazzetta Ufficiale n.144 del 24-6-2014. Anche in questo caso, come succede spesso ultimamente, non viene più prevista la vacatio legis di quindici giorni, che permette agli operatori di adeguarsi alla normativa. Quindi, risulta chiaro che tali disposizioni si applicano a tutte le procedure indette dopo il 25 giugno, dove per indizione si intende qualsiasi atto con cui si dà inizio ad una procedura di scelta del contraente.
Come sempre, non viene data una disciplina temporanea transitoria che vada a risolvere eventuali problemi sorti con le procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto legge e che non prevedevano la sanzione e la possibilità di soccorso istruttorio. Si può dire che, se il termine per la presentazione delle offerte o delle domande di partecipazione non è prossimo a scadere, sarebbe opportuno modificare il bando di gara al più presto. Altrimenti, è meglio operare, in sede di verifica delle dichiarazioni, applicando la ratio della legge, ovvero facendo prevalere il principio di favor partecipationis rispetto al principio di par condicio, evitando le esclusioni puramente formali. D’altra parte, se il bando non prevede tale disposizione, in che limiti potrebbe essere impugnato? Sicuramente, il fatto di non prevedere la sanzione e la richiesta di integrazione è lesivo solo nel momento in cui l’operatore economico è escluso per motivi formali. In tal caso, la Stazione appaltante dovrebbe agire in autotutela, riammettendo il soggetto, prima che questo possa impugnare l’esclusione.
10. Un “estraneo” nell’articolo 39
L’ultimo comma, il comma 3-bis, ha soppresso l’ultimo periodo dell’articolo 9, comma 3 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. Oltre all’inopportunità di inserire una disposizione così estranea al contenuto dell’articolo 39, questo va ad eliminare la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare Consip e dei soggetti aggregatori. Tale disposizione nasceva da un dato di fatto di cui si erano resi conto gli operatori del diritto. Infatti, in Consip è notorio che vengano fatti prezzi superiori rispetto ai prezzi che si possono trovare nel libero mercato. Perciò, dopo varie lamentele, legittime, il legislatore aveva introdotto tale disposizione “deroga”, il cui utilizzo andava comunque ampiamente motivato nell’atto di indizione o nell’atto di affidamento, in base ad una valutazione analitica. Tale deroga era anche suffragata da una decisione della Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 286 del 17.12.2013, la quale aveva osservato che «l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qualvolta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica contenuta nella norma (cfr. Sezione regionale di controllo per la Toscana n.151/2013). Quanto sopra pur, evidentemente, nella indispensabile giustificazione delle oggettive motivazioni del mancato esperimento della procedura della richiesta di offerta e/o della mancata adesione alla procedura da parte dell’offerente migliore, che dovrà, comunque, rispettare, ai sensi dell’art. 327 del D.P.R. 207/2010, i requisiti generali e di idoneità professionale previsti dagli art. 38 e 39 del codice dei contratti pubblici». Tuttavia, proprio le pesanti conseguenze del mancato utilizzo del MEPA previste dalla legge (nullità del contratto; illecito disciplinare; responsabilità amministrativa con conseguente danno erariale) hanno fatto intuire, ai più previdenti, che fosse comunque necessario rispettare l’obbligo di ricorrere al MEPA, anche dopo tale modifica normativa, proprio per evitare eventuali danni operativi.
11. Conclusioni: riuscirà il legislatore nell’intento di abbassare il numero dei ricorsi per “vizi formali”?
Il legislatore continua ad apportare modifiche al Codice dei Contratti con lo strumento del decreto legge che risulta inidoneo ad assicurare una certa certezza nelle situazioni giuridiche. Come tutti stanno richiedendo da più parti, vi è la necessità di procedere ad una riforma sistematica dei contratti pubblici, invece di procedere con queste modificazioni chirurgiche che comportano solo problemi interpretativi. Oltre a ciò, la tecnica redazionale è pessima e può creare confusione nell’operatore del diritto. Inoltre, sembra assurdo che un articolo di un decreto legge vada ad incidere su due campi completamente diversi (soccorso istruttorio, da una parte, e acquisti tramite Consip dall’altra).
Sicuramente, la modifica attuata dal legislatore ha lo scopo di garantire una partecipazione “sostanziale” e non “formale”, fondandosi su una distinzione (“irregolarità essenziale” e “irregolarità non essenziale”), il cui significato verrà, tuttavia, definito dalla prassi o dalla giurisprudenza o dalla dottrina, in mancanza di definizione normativa. Inoltre, riguarda esclusivamente le dichiarazioni di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006, non andando ad intaccare, invece, i requisiti speciali, per i quali continua ad essere vigente il soccorso istruttorio così come previsto dall’articolo 46, comma 1, D.Lgs. 163/2006.
Nel caso ricorrano le ipotesi definite dalla legge, il concorrente dovrà pagare una sanzione amministrativa pecuniaria, fissata nell’importo dalla Stazione appaltante, per accedere alla possibilità di regolarizzazione. Non è forse questo un modo per far fare cassa per le pubbliche amministrazioni? Solo a seguito del pagamento, la Stazione può attivare la procedura di regolarizzazione, con una richiesta in cui si indica il contenuto e i soggetti che devono rendere tali dichiarazioni. Se la risposta non viene data nel termine assegnato dalla Stazione appaltante, si deve ricorrere all’esclusione del concorrente.
Nel caso di irregolarità non essenziali, si ricorre al soccorso istruttorio regolato dall’articolo 46, comma 1, D.Lgs. 163/2006.
Ciò, da un certo punto di vista, innova il precedente assetto legislativo, dato che il soccorso istruttorio veniva ammesso solo in caso di irregolarità delle dichiarazioni, mentre la dichiarazione mancante o incompleta comportava sempre l’esclusione.
Tanto dipenderà dalla correttezza e completezza delle autocertificazioni predisposte dalla Stazione appaltante e dalla correttezza e dal senso di responsabilità del concorrente. Infatti, l’impresa impiega più tempo nel compilare le dichiarazioni richieste dalla Stazione appaltante che non nella redazione dell’offerta economica. E ciò potrebbe comportare, soprattutto nei casi in cui venga dato il minimo di giorni ammissibili per presentare offerta, che i soggetti utilizzino la carta dell’”incompletezza” per confidare in una sorta di “proroga” del termine per la sola documentazione di cui all’articolo 38 D.Lgs. 163/2006.
Comunque, si esortano le Stazioni appaltanti a modificare, al più presto, i proprio bandi, per renderli coerenti con la nuova disposizione.
Infine, bisognerà capire quali ulteriori problemi interpretativi nasceranno dall’applicazione del nuovo “soccorso istruttorio” e se, veramente, diminuiranno i ricorsi per esclusioni fondate su “vizi formali”. Io, francamente, lo dubito.
[1] Per una disamina di tale fonte del diritto, si rinvia a: A. Celotto, L’abuso del decreto legge, CEDAM, Padova, 1997
[2] Sono gli articoli che individuano i requisiti generali e speciali di partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici (Art. 38 Requisiti di ordine generale – Art. 39 Requisiti di idoneità professionale – Art. 40 Qualificazione per eseguire lavori pubblici – Art. 41 Capacità economica e finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi – Art. 42 Capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizi – Art. 43 Norme di garanzia della qualità – Art. 44 Norme di gestione ambientale – Art. 45 Elenchi ufficiali di fornitori o prestatori di servizi)
[3] Discutibile tecnica redazionale del legislatore, che, invece di riapprovare l’articolo, va ad aggiungere commi su commi, rendendo difficoltoso il lavoro dell’operatore del diritto
[4] Si riporta qui il comma 2 dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006: «Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione. Ai fini del comma 1, lettera g), si intendono gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602; costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili. Ai fini del comma 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266; i soggetti di cui all’articolo 47, comma 1, dimostrano, ai sensi dell’ articolo 47, comma 2, il possesso degli stessi requisiti prescritti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva. Ai fini del comma 1, lettera m-quater), il concorrente allega, alternativamente: a) la dichiarazione di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile rispetto ad alcun soggetto, e di aver formulato l’offerta autonomamente; b) la dichiarazione di non essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l’offerta autonomamente; c) la dichiarazione di essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l’offerta autonomamente. Nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c), la stazione appaltante esclude i concorrenti per i quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica»
[5] Si veda: E. Feresin, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa, D.L. 90 del 24/6/14”, in www.personaedanno.it
[6] E sembra che si possa escludere la competenza del Consiglio, dato che ciò non sembra rientrare nell’elenco tassativo delle sue competente di cui all’articolo 42 Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”)
[7] Si rinvia al blog della dott.ssa Sonia Lazzini: http://appaltieassicurazioni.blogspot.it/