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1 Premessa. E’ emergenza nei ritardi nei pagamenti.

Nella Relazione annuale del Presidente dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici per l’anno 2009 e’ dato leggere: “La questione in esame si pone in tutta la sua gravità soprattutto per le imprese che stipulano contratti con la Pubblica Amministrazione, le quali, in misura ancor più forte rispetto alle aziende che operano con committenze private, sono da sempre soggette al gravame di un onere aggiuntivo rappresentato dall’ulteriore costo che le stesse devono sostenere per far fronte al gap, spesso di proporzioni assai considerevoli, che si viene a determinare tra il momento della liquidazione dei costi gestionali e quello dell’incasso del corrispettivo pattuito; onere di cui ovviamente non si può non tener conto nella determinazione del prezzo offerto in sede di gara pubblica. … La conseguenza è che questo tipo di mercato finisce con il privilegiare le grandi imprese e colpisce, in maniera irreversibile, le piccole e medie imprese che rischiano, pertanto, di uscire definitivamente dal sistema. Il tutto, come è facile intuire, determina conseguenze di rilevante entità sulla concorrenza, falsando, in misura considerevole, il regolare andamento del mercato[i].

La questione ha assunto la dimensione di una vera e propria “emergenza nazionale”. L’Italia ha infatti conseguito il non invidiabile primato in Europa nel ritardo dei pagamenti.

Una recente inchiesta condotta da Intrum Justitia (Epi) su 25 paesi circa lo “European Payment Index 2011”,  ha confermato un trend gia’ noto anche per gli anni passati.

La ricerca ha rivelato come la perdita su crediti abbia raggiunto il valore di 40,88 miliardi di euro. In particolare, nel 2010, il 2.6 % del fatturato totale delle aziende risulta impagato.

Si registra una differenza in merito alle tempistiche di pagamento delle societa’ private e della pubblica amministrazione. Sempre in base alla ricerca citata infatti, il tempo medio di pagamento delle aziende italiane, dalla data di emissione della fattura, è di 103 giorni.

La pubblica amministrazione paga, invece, con una media di 180 giorni (con un leggero miglioramento rispetto al 2010, quando il ritardo era di 186 giorni).

Insomma: sarebbe sufficiente onorare i debiti (anche, ad esempio, solo nella misura del 50%!) per far ripartire l’economia e dare ossigeno vitale al Paese ed alle sue aziende. 

2 La normativa vigente.

Il legislatore comunitario era intervenuto sulla materia con la Direttiva 2000/35/CE, recepita dal legislatore italiano con il D. Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

I punti maggiormente qualificanti della normativa attualmente in vigore sono i seguenti:

  1. La previsione della decorrenza automatica degli interessi moratori dal giorno  successivo alla scadenza del termine di pagamento;
  2. La previsione del termine di pagamento di trenta giorni con decorrenza da uno dei seguenti eventi (art. 4 comma 2 del decreto):

a) trenta giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;

b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

d) trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

Il comma 11 dell’articolo 62 del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1, ha abrogato il comma 3 e 4 dell’articolo 4 del D. Lgs. 231 del 2002.

In particolare, il comma 4 consentiva alle parti, nella propria libertà contrattuale, di stabilire un termine superiore rispetto a quello legale di cui al comma 3 (sessanta giorni, Ndr).

Cio’ era consentito a condizione che le diverse pattuizioni fossero stabilite per iscritto e rispettassero i limiti concordati nell’àmbito di accordi sottoscritti, presso il Ministero delle attività produttive, dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della produzione, della trasformazione e della distribuzione per categorie di prodotti deteriorabili specifici.

Con l’abrogazione dei commi 3 (che stabiliva in 60 giorni il “termine legale”) e 4 (che prevedeva, come visto sopra, la possibilita’ per le Parti di stabilire un termine maggiore), si deve ritenere che il termine legale sia ora improntato al paradigma dei 30 giorni previsti al comma 2 e che le Parti godano ora di una ridotta capacita’ negoziale nello stabilire termini di pagamento piu’ lunghi.

Probabilmente questa situazione trovera’ presto una piu’ organica sistemazione, con il recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 (in merito alla quale vedi infra paragrafo 4).

  • salvo diverso accordo, la determinazione legale degli interessi moratori in misura  pari al saggio di interesse del principale strumento di rifinanziamento della  BCE, applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale,  effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione maggiorato  di sette punti percentuali (art. 5 D. Lgs. 231/02);
  • il risarcimento dei costi  sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte, salva la  prova del maggior danno (articolo 6);
  • la nullità di un accordo sulla data  del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento che, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti  gravemente iniquo per il creditore; il giudice puo’  dichiarare d’ufficio la nullità dell’accordo e modificarne il contenuto applicando i termini legali o riconducendolo ad equità, avendo  riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle  circostanze previste (articolo 7)[ii];
  • la legittimazione processuale delle associazioni  di categoria degli imprenditori, prevalentemente in rappresentanza delle piccole e medie imprese nonche’ di quelle artigiane, presenti nel Consiglio nazionale dell’economia  e del lavoro (CNEL), al fine di far accertare la grave iniquità delle condizioni  generali concernenti il pagamento (articolo 8).

Merita di essere richiamata una recente pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. IV, Sent. n. 469 del 02-02-2010) nella quale si affermano alcuni importanti principi: “[… conseguentemente: 1) è invalida ogni clausola contrattuale che preveda regole diverse e inique rispetto alle regole imperative, che automaticamente si sostituiscono a quelle invalide; 2) sarebbe illegittima ogni esclusione basata sulla non accettazione o sull’espresso dissenso, da parte di una partecipante, di una clausola contrattuale iniqua; 3) in sede di esecuzione contrattuale, le clausole invalide si porrebbero nel nulla a richiesta di parte o di ufficio (ai sensi del terzo comma dell’art. 7 il giudice dichiara anche di ufficio la nullità e applica i termini di legge o riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo: si tratta di una cosiddetta nullità speciale di derivazione comunitaria); 4) infine, e ciò rileva nel caso di specie, in caso di azione inibitoria intentata da associazioni di categoria a tutela di interessi collettivi le clausole da ritenersi inique sono poste nel nulla e quindi non applicabili, anche se comunque mantiene la sua funzione l’ordine inibitorio, a causa dell’effetto dissuasivo che tali clausole inique, per quanto insuscettibili di produrre effetti, potrebbero avere sulla volontà a partecipare delle imprese medie e piccole”.

In sintesi, dunque, di norma, in materia di appalti pubblici, decorso il termine ordinario di trenta giorni, le imprese potranno pretendere il pagamento delle somme ad esse dovute, fatto salva espressa previsione di un termine maggiore che, alla luce delle recenti novelle, deve comunque essere ritenuto legittimo se e nella misura in cui sia adeguatamente giustificato dall’operazione economica posta in essere.

3 Le conseguenze del ritardo nel pagamento.

In mancanza di tempestivo pagamento, saranno dovuti gli interessi moratori nella misura richiamata al punto n. 3 che precede (per l’anno 2012, ad esempio, il tasso di interesse applicabile e’ pari all’8% complessivo determinato dal 7% -quale addendo determinato dall’articolo 5 del D. Lgs. 231/02- al tasso di interesse calcolato nella misura dell’1% da parte del Ministero dell’economia e delle finanze con proprio Comunicato del 27 gennaio 2012 “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” (in Gazz. Uff. 27 gennaio 2012, n. 22).

a) In particolare: le conseguenze da ritardato pagamento nei lavori pubblici.

Nei lavori pubblici, si deve far riferimento al D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 (di seguito il “Regolamento”) che disciplina, agli articoli 142 e seguenti, le conseguenze da ritardo nel pagamento.

A sua volta, l’articolo 142 comma 1 del Regolamento, richiama l’art. 133 del D. Lgs. 163 del 2006 che, al comma 1, dispone: “In caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal contratto, che non devono comunque superare quelli fissati dal regolamento di cui all’articolo 5, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi, legali e moratori, questi ultimi nella misura accertata annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ferma restando la sua facoltà, trascorsi i termini di cui sopra o, nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell’importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell’articolo 1460 del codice civile, ovvero, previa costituzione in mora dell’amministrazione aggiudicatrice e trascorsi sessanta giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto”.

Il Regolamento stabilisce precisi termini per l’emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti e per l’erogazione del saldo (articolo 143, commi 1 e 2).

In particolare, l’art. 143 comma 1 del Regolamento, prevede che il termine per l’emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti del corrispettivo di appalto non puo’ superare i 45 giorni a decorrere dalla maturazione di ogni stato di avanzamento dei lavori.

Il termine per il pagamento del saldo (e di svincolo della garanzia fidejussoria) non puo’ superare i novanta giorni dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione (art. 143 comma 2).

Si prevede poi che i capitolati speciali ed i contratti possono prevedere termini inferiori (e, quindi, migliorativi per le imprese).

L’art. 144 del Regolamento, prevede poi che qualora il certificato di pagamento delle rate di acconto venga emesso oltre i quarantacinque giorni ed il ritardo sia imputabile alla stazione appaltante, all’esecutore vanno riconosciuti gli interessi corrispettivi al tasso legale sulle somme dovute, sin all’emissione del certificato. Se il ritardo supera i sessanta giorni, dovranno essere corrisposti dal giorno successivo gli interessi moratori.

E’ bene chiarire che gli interessi corrispettivi sono quelli dovuti ai sensi dell’art. 1282 del codice civile per le obbligazioni pecuniarie. Essi sono dovuti dal giorno della mora e per la loro quantificazione si fa riferimento all’articolo 1284 del codice civile. La loro determinazione e’ rimessa ad un Decreto annuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze (con D.M. 12 dicembre 2011, la misura del saggio degli interessi con decorrenza 1 gennaio 2012 e’ stata fissata al 2,5% in ragione d’anno).

Qualora il pagamento della rata di acconto sia effettuato oltre i 45 giorni dalla maturazione dello stato avanzamento dei lavori per causa imputabile alla stazione appaltante, spettano all’appaltatore gli interessi corrispettivi al tasso legale sugli importi dovuti.

Se il pagamento avviene oltre i sessanta giorni, sono dovuti gli interessi moratori dal giorno successivo fino al di’ del soddisfo.

Con riferimento al pagamento del saldo, il Regolamento (art. 144 comma 3) prevede che, qualora, per causa imputabile alla stazione appaltante, il pagamento del saldo non avvenga entro i novanta giorni dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio o di regolare esecuzione, sono dovuti gli interessi corrispettivi al tasso  legale sulle somme dovute. Qualora tale ritardo superi i 60 giorni da tale termine, sono dovuti gli interessi moratori.

Il saggio degli interessi di mora applicabile ai ritardati pagamenti in ambito lavori è fissato annualmente con apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’Economia e finanze. I capitolati possono prevedere che la misura di tale saggio sia comprensiva del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma 2, del Codice Civile.

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 27 maggio 2011 ha fissato la misura del tasso di interesse di mora per il periodo 1 gennaio – 31 dicembre 2011, nella misura del 4,08%.

E’ bene evidenziare come le disposizioni sopra richiamate non possano subire deroghe peggiorative per gli appaltatori.

Dunque il saggio degli interessi da ritardato pagamento nei lavori pubblici e’ nettamente inferiore a quello applicato nelle forniture e nei servizi (i quali, come si chiarira’ al paragrafo seguente, seguono invece il paradigma del D. Lgs. 231/02).

b) In particolare: le conseguenze da ritardato pagamento nei servizi e nelle forniture.

In ambito forniture e servizi, l’articolo 307 del Regolamento (“Contabilità e pagamenti”), prevede che la contabilità e’ predisposta secondo quanto previsto dall’ordinamento della singola stazione appaltante.

I pagamenti sono disposti nel termine indicato nel contratto, che indichera’ anche le relative modalità di pagamento, previo accertamento da parte del direttore dell’esecuzione, confermato dal responsabile del procedimento, della prestazione effettuata, in termini di quantità e qualità, rispetto alle prescrizioni previste nei documenti contrattuali.

L’appaltatore puo’ presentare contestazioni scritte in occasione dei pagamenti.

Il comma 2 dell’articolo 307 del Regolamento fa poi rinvio a quanto previsto dal D. Lgs. 231/02 in caso di ritardato pagamento e, quindi, al relativo saggio degli interessi di mora.

La disciplina di riferimento nelle forniture e nei servizi in merito ai ritardi nei pagamenti, sara’ dunque quella illustrata al superiore paragrafo 2.

L’articolo 10  della Legge 11 novembre 2011, n. 180 (“norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese.”), porta –tra l’altro- la  delega al Governo affinche’ apporti disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011 (“relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”), sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a)  contrasto degli effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese subcommittenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese;

b)  fermo quanto previsto dall’articolo 12 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, previsione che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato possa procedere ad indagini e intervenire in prima istanza con diffide e irrogare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese.

Il considerando n. 9 della Direttiva in commento, chiarisce che l’intento della stessa e’ quello di disciplinare tutte le transazioni commerciali “a prescindere che siano effettuate tra imprese pubbliche o private ovvero tra imprese ed amministrazioni pubbliche, dato che alle amministrazioni pubbliche fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese. Essa pertanto dovrebbe disciplinare anche tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali e i loro fornitori e subappaltatori”.

In particolare, in tema di transazioni tra imprese e pubblica amministrazione, si segnala l’articolo 4 della Direttiva in commento che prevede l’obbligo per gli Stati membri di garantire che il creditore abbia diritto agli interessi legali di mora senza che sia necessario il sollecito, qualora il creditore si adempiente agli obblighi contrattuali e di legge ed il ritardo sia imputabile al debitore.

Se il debitore e’ una pubblica amministrazione, il termine per il pagamento sara’ di norma –salvo diversa e motivata previsione contrattuale- di trenta giorni (il termine di trenta giorni decorrera’, a seconda dei casi, dalla data di ricevimento della fattura, delle merci, eccetera –cfr. Art. 4 comma 3 Direttiva, lettere i, ii, iii, iv).

Nei casi previsti dal comma 4 del richiamato art. 3, il termine potra’ arrivare ad un massimo di 60 giorni (e’ il caso, ad esempio, della c.d. impresa pubblica o degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria).

Qualora, inoltre, cio’ fosse espressamente concordato e purche’ cio’ risulti dal contratto e sia oggettivamente giustificato dalla natura del contratto medesimo o da talune sue caratteristiche, il termine potra’ essere superiore a quello di 30 giorni ma in ogni caso non superiore a 60.

Gli interessi legali di mora vengono definiti dall’articolo 2 della Direttiva, come gli interessi semplici di mora calcolati ad un tasso che e’ pari al tasso di riferimento, maggiorato di almeno otto punti percentuali. Dunque, rispetto alla maggiorazione prevista dall’attuale D. Lgs. 231/01 (pari a sette punti), la Direttiva prevede un ulteriore inasprimento del saggio degli interessi che sara’ concretamente applicabile.

Per completezza di ricognizione normativa, si segnala la Legge della Regione Liguria 7 febbraio 2012 n. 1 che, prima in Italia, ha recepito i principi del c.d. “small business act” contenuti nella Comunicazione della Commissione Europea COM (2008) 394 del 25 giugno 2008 (Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno ”Small Business Act” per l’Europa)), nella Direttiva attuativa del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 maggio 2010 e nella Comunicazione della Commissione Europea COM (2011) 78 del 23 febbraio 2011 (Riesame dello “Small Business Act” per l’Europa), e recepiti nella sopra richiamata normativa nazionale portata dalla legge 180 del 11 novembre 2011.

In particolare, l’articolo 5 comma 3 della citata legge regionale, nell’ambito    della piu’ generale lotta ai ritardi nei pagamenti che minano la stabilita’ e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, stabilisce che “la Regione svolge azioni di coordinamento ed indirizzo, anche nei confronti degli enti strumentali o dipendenti della Regione e degli enti appartenenti al settore regionale allargato di cui all’articolo 25 della legge regionale 24 gennaio 2006, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria – legge finanziaria 2006) e successive modificazioni ed integrazioni, al fine di assicurare alle imprese fornitrici di beni e servizi, anche attraverso un’attenta programmazione delle spese coerente con le risorse effettivamente disponibili, certezza e trasparenza dei tempi di pagamento, nel rispetto del termine di trenta giorni, secondo quanto previsto dalla vigente normativa statale e comunitaria”. Le norme, dunque, ci sono. Le pubbliche amministrazioni debbono imparare a pagare in modo tempestivo, programmando le spese alla luce delle risorse a loro effettiva disposizione. Viceversa, cio’ comportera’ ingenti oneri che graveranno sulle loro casse, finendo con l’aggravare la situazione di attuale difficolta’ delle imprese ma anche della stessa amministrazione che finira’ col dover devolvere ingenti somme a titolo di interessi (e, quindi, in modo del tutto improduttivo), anziche’ destinarle all’acquisto di opere, servizi o forniture a vantaggio della collettivita’ di loro rispettivo riferimento.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Fabio Salierno
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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