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( votes)E’ risaputo che, nelle procedure di evidenza pubblica, gli operatori economici che intendano partecipare ad una gara per l’aggiudicazione dell’appalto devono possedere specifici requisiti sotto il profilo della professionalità, solidità economica e moralità.
L’art. 38 del codice degli appalti, già individuato e trattato da questa rivista, contempla in maniera puntuale una molteplicità di cause di mancanza di legittimazione a partecipare alle procedure di affidamento o a stipulare contratti pubblici.
In questo numero si analizzerà la lettera m ter) del citato articolo, atteso che la previsione sanzionatoria in essa contenuta, ad una prima lettura, può suscitare delle perplessità.
Esaminiamone il contenuto.
Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure degli appalti di lavori e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “che pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’art. 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, ……non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’art. 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689….”.
Il commento della norma speciale richiede un preliminare studio, ad ampio raggio, delle norme penali in essa menzionate. Le condotte delittuose contemplate dai suddetti articoli rivestono un interesse di portata nazionale e, nell’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, incidono in maniera funzionale sul corretto svolgimento della attività pubblica. Trattasi, invero, di condotte moralmente gravi che ledono la trasparenza, la integrità delle amministrazioni pubbliche e dei suoi operatori.
La sede di trattazione non consente di esaminare entrambi i reati contemplati dalla legge speciale e, quindi, ci occuperemo del solo art. 317 del codice penale.
L’art. 317 c.p. rientra tra i “Delitti contro la pubblica amministrazione”.
Prima di addentrarci nello studio schematico del reato di concussione è opportuno riferire che tutte le figure delittuose trattate dal Titolo II del Libro II del codice penale hanno come obiettivo preciso la tutela dell’attività dello Stato e degli enti pubblici e tendono alla protezione della amministrazione pubblica, sia dagli attacchi provenienti dall’interno dell’ente (funzionari pubblici) sia da quelli provenienti dall’esterno (comuni cittadini). E, infatti, Il Titolo II è suddiviso in due Capi. Il Capo I include tutti i reati commessi dai pubblici ufficiali contro la p.a. (artt. 314-335 c.p.), mentre il Capo II riguarda i delitti commessi dai privati sempre in danno della p.a. (artt. 336-356 c.p.).
A causa del dilagarsi, negli ultimi anni, in maniera incontrollata, dei fenomeni corruttivi e di infiltrazione mafiosa, l’originaria disciplina dei delitti contro la p.a. ha subìto sostanziali modifiche tese a potenziare e ammodernare il controllo penale delle forme illecite di appropriazione delle risorse pubbliche e quelle di ingiustificato arricchimento, in danno dello Stato e dei cittadini.
E’ in questa ottica di prevenzione che si inserisce la Legge n. 190 del 2012.
Il Legislatore, per rendere più efficace l’attività di prevenzione, ha ridisegnato i delitti di corruzione; modificato quello di concussione, distinguendolo dall’autonomo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità; previsto la corruzione tra privati in ambito civile (art. 2635 c.c.); infine, ha inasprito il regime sanzionatorio.
Questo cappello introduttivo ci consente di comprendere a pieno l’evoluzione sostanziale che la fattispecie incriminatrice contemplata all’art. 317 c.p. ha subìto con la riforma legislativa.
Innanzitutto è bene dire che la concussione è il più grave dei reati realizzabili dai soggetti pubblici contro la pubblica amministrazione.
Leggiamo insieme l’attuale formulazione codicistica dell’art. 317: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
Seguendo un’analisi decisamente sintetica del delitto, possiamo subito dire che la concussione è un reato c.d proprio, realizzabile solo da un soggetto qualificato: il pubblico ufficiale. Si precisa che autore del reato può anche essere chi esercita la funzione pubblica solo di fatto, purché in forza di un titolo.
L’oggetto giuridico viene identificato nei valori costituzionali della imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione. Quest’ultima è, infatti, soggetto passivo del reato unitamente alla persona concussa, che subisce la costrizione.
La condotta del soggetto attivo consiste in un’attività di costrizione, intesa come pressione psicologica realizzata dal pubblico ufficiale, con abuso della sua qualità e dei suoi poteri, e idonea a ingenerare nel soggetto passivo la convinzione che soltanto sottostando alla minaccia subita possa evitare un male ingiusto.
Questi gli elementi strutturali del reato in commento, il quale rispetto alla sua formulazione originaria ha subìto delle evidenti modifiche. Il Legislatore, invero, per perseguire l’obiettivo politico-criminale innanzi specificato, ha, innanzitutto, delimitato l’ambito soggettivo di operatività della norma al solo pubblico ufficiale, mentre, prima della riforma del 2012, anche l’incaricato di pubblico servizio era soggetto attivo del reato. La scelta risiede nella consapevolezza che quest’ultima figura è priva di poteri coercitivi idonei a ingenerare nel privato una vera e propria soggezione psicologica e che, nell’ambito della pubblica amministrazione, unico soggetto detentore di poteri realmente autoritativi e costrittivi è il Pubblico Ufficiale.
L’ulteriore novità sostanziale è l’avere ristretto alla sola costrizione la condotta incriminatrice, scorporando la induzione e trasferendola in una autonoma e nuova fattispecie delittuosa, quella di cui all’art. 319 quater c.p., che contempla il reato di “Induzione indebita a dare o promettere utilità”.
Ora, soltanto la concussione costrittiva rileva penalmente e giustifica la impunità del privato-concusso. Quest’ultimo solo quando risulti essere effettiva vittima del reato, non potrà ritenersi penalmente responsabile.
Per una più agevole comprensione possiamo affermare che la concussione si configura “…quando la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali…” (Cass. Pen. Sez. II 26.02.2014 n. 12736). E per costrizione deve intendersi quel ..”comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue funzioni o dei suoi poteri, agisce con modalità o con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciato”. La massima riportata si riferisce ad un imprenditore che è stato costretto dal sindaco e dall’assessore dell’urbanistica di un piccolo comune, a nominare quale direttore dei lavori un soggetto a loro vicino per evitare di soggiacere a continui ricatti e ostacoli prospettatigli (Cass. Pen. Sez. VI, 19.12. 2013 n. 2305). Sostanzialmente il soggetto passivo subisce una vera e propria minaccia che non deve necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite e brutali, ma potrà essere anche implicita, potendo assumere anche la forma del consiglio, della esortazione, purchè il privato comprenda che solo con la dazione o con la promessa dell’indebito la sua richiesta legittima potrà essere esaudita. Ciò che rileva è il timore che il privato ha verso la potestà pubblica a causa della posizione di supremazia dell’intraneus (pubblico ufficiale). (Cass. Pen. Sez. Unite 14.03.2014 n. 12228)
Infine, il Legislatore ha elevato a sei anni la pena minima edittale.
Il nuovo testo dell’art. 317 realizza una concreta riduzione dell’ambito di impunità del privato-concusso, il quale, come già accennato, è esentato da responsabilità solo nel caso in cui subisca una reale costrizione da parte del pubblico ufficiale.
La nuova formulazione legislativa ha operato una vera e propria distinzione tra il reato di corruzione ex art. 318 e quello di cui all’art. 317. Da un punto di vista di giustizia sostanziale non è più consentita una assimilazione tra il privato (concusso) che paga il pubblico ufficiale per timore e soggezione e il privato (corrotto) che paga per il perseguimento di un interesse personale e che, pertanto, merita di essere punito esattamente come il pubblico ufficiale. La corruzione, invero, in quanto reato plurisoggettivo, consiste in un accordo criminoso, c.d. pactum sceleris, tra due soggetti, il funzionario pubblico e il privato, avente ad oggetto il mercimonio, il baratto dell’attività funzionale della pubblica amministrazione, presuppone quindi “la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole della volontà delle parti” (cfr. Cass. Pe. Sez. Unite 24.10.2013 n. 12228); mentre la concussione, che è un reato c.d. proprio, può essere commesso da un unico soggetto qualificato, il pubblico ufficiale, che con una condotta di prevaricazione abusiva costringe l’extraneus alla dazione o promessa indebita.
Oggetto di ampi dibattiti da parte dei Giudici di Legittimità è stata anche la individuazione del criterio discretivo tra le nuove fattispecie di concussione e di induzione indebita ex art. 319 quater.
L’art. 319 quater così recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”.
La fattispecie delittuosa appena descritta è il frutto di una scelta ben ponderata del legislatore. Quest’ultimo, invero, in prossimità della riforma, ha dovuto assumere una decisione: o eliminare completamente la condotta induttiva, facendola rientrare in quella della corruzione, o creare una fattispecie intermedia tra quest’ultima e la concussione. L’introduzione dell’art. 319 quater spiega la scelta operata dal riformista, il quale ha previsto così una “punibilità bilaterale”, estendendola anche al privato che subisce l’attività induttiva ma mantiene un margine di scelta tale da giustificare l’irrogazione di una pena nei suoi confronti. (cfr. Fiandaca-Musco- Relazione del Guardasigilli nella seduta del 10.05.2012 Camera dei Deputati)
Posto che le due norme hanno due elementi che le accomunano: lo stesso evento (dazione o promessa dell’indebito) e la medesima modalità di realizzazione: l’abuso della qualità o dei poteri dell’agente pubblico, il punto su cui si è focalizzata l’attenzione dei commentatori riguarda la capacità di distinguere appropriatamente la condotta concussiva da quella induttiva, alla luce proprio della prevista punibilità anche del privato.
Ebbene la linea di demarcazione tra la fattispecie ex art. 317 e quella di cui all’art. 319 quater, con riferimento al rapporto tra le condotte contemplate nelle suddette norme, è stata disegnata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza del 24 ottobre 2013. Leggiamo la soluzione adottata: “La fattispecie di induzione indebita di cui all’art. 319 quater cod. pen. è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario (il privato) della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio.
Nella concussione di cui all’art. 317 cod. pen., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario”.
La costrizione non lascia, dunque, alcun margine di scelta al destinatario, il quale viene posto di fronte all’alternativa “secca” di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto. Al contrario, il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente ..formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di un’omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito: dunque, egli non è vittima ma compartecipe laddove abbia conservato un significativo margine di autodeterminazione….” (cfr. Cass. Pen. sez. VI, 11.02.2013).
Una volta chiarita la portata della norma penale di cui all’art. 317, le modalità di realizzazione dell’abuso costrittivo e il ruolo di vittima che assume il concusso, contrariamente a quanto accade nel reato di corruzione (art. 318) e in quello di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater), passiamo a commentare la lettera m ter) del codice degli appalti.
Il testo della lettera m ter) dell’art. 38 del codice degli appalti prevede la esclusione dagli appalti pubblici degli imprenditori onesti, vittime del reato trattato in questa sede e aggravato ai sensi dell’art. 7 del D.L. 203/91.
Il Decreto citato, convertito con modificazioni dalla L. 12.07.91 n. 203, detta i provvedimenti da adottare in tema di criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa.
Orbene, l’imprenditore che subisca una condotta concussiva si trova in una posizione di soggezione rispetto al pubblico ufficiale, autore dell’illecito, e viene posto nell’alternativa o di cedere alla illecita richiesta o di mettere in pericolo un bene primario (es. salvare la propria vita), ciò significa che il più delle volte l’operatore economico pur volendo NON può denunciare.
Ma non solo. La norma speciale è rivolta alle vittime del reato di concussione consumato da parte di organizzazioni criminali.
Si pensi al Pubblico Ufficiale che costringa l’appaltatore ad assumere una determinata persona con la qualifica per esempio di direttore dei lavori, persona quest’ultima che fa parte della criminalità organizzata.
E’ plausibile pensare, in questo caso, che il soggetto passivo non conosca la reale provenienza della minaccia costrittiva, poiché il Pubblico Ufficiale -mandatario della richiesta, ovvero semplice nuncius – non la rivela.
Inoltre, dichiarare il vero mandante della richiesta illecita non è sempre necessario atteso che, come abbiamo avuto modo di vedere, il privato è mosso dal timore reverenziale nei riguardi della potestà pubblica ed è la paura di subire un danno ingiusto a deprivarlo di ogni capacità di resistenza e a costringerlo a soccombere. (Cass. Pen. Sez. Unite 14.03.2014 n. 12228)
La ratio della norma, che punisce imprenditori “puliti” e contempla una ipotesi “assolutamente distante e distinta rispetto a tutte quelle forme di concorso o connivenza tra imprenditori e associazioni criminali”, risiede nell’intento di contrastare il fenomeno criminale mafioso. L’obbligo di denuncia di ogni estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale, imposto dai protocolli di legalità sottoscritti tra enti aggiudicatori e stazioni appaltanti, è “funzionale a garantire la parità di trattamento e la trasparenza nel settore dei pubblici appalti”. (cfr. TAR Veneto Sez. I 04.10.10 n. 5269, TAR Veneto Sez. I 06.10.11 n. 1471)
L’imprenditore, dunque, che abbia omesso di denunciare le illecite richieste subite dalla criminalità organizzata è considerato un soggetto inaffidabile e che lede la libera concorrenza tra i contraenti con la p.a..
Il Legislatore, che comunque non è svincolato dalla realtà, ha previsto un paracadute per l’imprenditore onesto, stabilendo che la sanzione di esclusione non si applica qualora “ricorrano i casi previsti dall’art. 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689”.
L’art. 4 della legge appena menzionata contempla le cause di esclusione della responsabilità e testualmente recita: “Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”.
Le norme trattate in questo articolo fanno comprendere che la lotta alla criminalità è incessante e che il legislatore non può che adottare una politica rigida che non lasci spazi aperti alla organizzazione mafiosa.