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Premessa

La Regione Sardegna ha finalmente una legge sugli appalti pienamente operativa. La Corte Costituzionale si è infatti recentemente pronunciata sul ricorso di legittimità costituzionale presentato in via principale dal Governo avverso la legge regionale 13 marzo 2018, n. 8 recante “Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, emanata dalla Regione in applicazione di quanto prevede l’art. 2 del D. Lgs. n. 50/2016, ovvero che le Regioni a Statuto speciale adeguino la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.

Invero, il Governo non ha messo in discussione l’intero provvedimento legislativo, facendo salva gran parte dell’impianto dello stesso. Le disposizioni impugnate sono state infatti soltanto quattro: l’art. 34, riguardante la nomina e requisiti del responsabile di progetto e del responsabile per fasi; l’art. 37, rubricato <<Commissione giudicatrice>>; l’art. 39, recante <<Linee guida e codice regionale di buone pratiche>> e l’art. 45, rubricato <<Qualificazione delle stazioni appaltanti>>.  

I parametri costituzionali che il Governo ha asserito essere stati violati sono le lettere e) e l) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, ovvero le materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile, riservate alla competenza esclusiva dello Stato.

Dalla lettura della sentenza, la n. 166 depositata il 9 luglio scorso, emerge come anche la Corte Costituzionale abbia in sostanza voluto salvaguardare l’impianto della legge nel suo complesso[1]. Sono stati infatti dichiarati incostituzionali gli artt. 37, 39 e 45 mentre è stata dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità sollevata in merito all’art. 34 sul RUP che è, a guardar bene, una delle norme più rilevanti e innovative del provvedimento.

La legge regionale sarda sugli appalti, la n. 8 del 2018, ha superato il vaglio di costituzionalità della Consulta vedendo salvaguardato buona parte del proprio impianto. Le norme dettate in materia di programmazione, progettazione, sostenibilità ambientale e sociale e centralizzazione degli appalti da affidare ed eseguire nel territorio regionale non sono state intaccate dal giudizio della Consulta.

1. Il contenuto delle disposizioni impugnate dal Governo

La norma sul responsabile di progetto, ovvero l’art. 34, è particolarmente innovativa rispetto al Codice nazionale in quanto prevede che ciascuna amministrazione tra quelle rientranti nell’ambito di applicazione della legge regionale de qua[2], per ogni singolo intervento, debba nominare un responsabile unico del procedimento per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto pubblico, denominato “responsabile di progetto”. Le stazioni appaltanti possono tuttavia nominare sia un responsabile del procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione, esperto tecnico, che un responsabile del procedimento per la fase di affidamento che predisponga la documentazione di gara e curi le relative procedure, esperto in materie giuridico-amministrative. Il responsabile di progetto conserva tuttavia un ruolo di coordinamento e assume, in tal caso, funzioni di supervisione e controllo sui responsabili delle due suddette fasi.

La legge regionale si preoccupa poi di dettagliare le competenze professionali che il responsabile di progetto deve possedere, sia per quanto riguarda gli appalti di lavori e i servizi di ingegneria e architettura che per quanto concerne gli appalti di servizi e forniture. Si tratta di competenze simili a quelle richieste dalle Linee guida ANAC n. 3, ovvero titolo di studio specifico (in caso di appalti di lavori o servizi di ingegneria e architettura diploma tecnico o, per gli appalti di maggior valore, laurea triennale o quinquennale in discipline tecniche), nonché esperienza professionale o anzianità di servizio crescente al crescere del valore dell’appalto per il quale tale figura deve essere nominata.

La legge regionale inoltre precisa che, in caso di accertata carenza in organico di figure adatte al ruolo di responsabile di progetto, è possibile ricorrere all’esercizio associato delle funzioni o all’avvalimento.

L’incarico di responsabile del procedimento per fasi di svolgimento del processo attuativo del contratto pubblico invece è conferito ad un dipendente, di ruolo o in servizio, in possesso di titolo di studio e requisiti di professionalità adeguati, in relazione ai compiti per cui è nominato, tenuto conto delle competenze ed esperienze maturate nel settore cui si riferisce l’intervento. Il responsabile del procedimento per la fase di affidamento è un dipendente con formazione in materie giuridico-amministrative, economiche o equipollenti ed elevata competenza nel settore della contrattualistica pubblica. Il comma 18 dell’art. 34 prevede altresì che la Regione adotti linee guida in materia di qualificazione del responsabile di progetto, anche attraverso l’istituzione di un albo dei responsabili di progetto qualificati e l’indicazione dei livelli di formazione richiesti in relazione al valore e all’importanza del contratto pubblico e delle relative modalità di aggiornamento dello stesso, al fine di garantire forme di accreditamento per la gestione del progetto di sviluppo e realizzazione dei contratti pubblici.

La seconda disposizione impugnata è stata l’art. 37, rubricato <<Commissione giudicatrice>>, che prevedeva l’istituzione da parte della Regione Sardegna dell’Albo telematico dei commissari di gara, suddiviso per categorie di specializzazione, a cui le stazioni appaltanti assoggettate alla legge avrebbero dovuto avere accesso libero e diretto. La norma prevedeva che le stazioni appaltanti dovessero selezionare in esso, nel rispetto dei principi di rotazione, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, con modalità informatica, una lista di almeno dieci candidati idonei, da cui estrarre con sorteggio i commissari in possesso di comprovata professionalità ed esperienza, maturate nello specifico settore di interesse. Per i contratti sotto soglia, invece, la stazione appaltante avrebbe potuto nominare commissari interni esperti nel settore del contratto, nel rispetto del principio di rotazione. Un apposito decreto presidenziale avrebbe dovuto regolamentare i criteri e le modalità per la gestione ed aggiornamento dell’Albo telematico.

Detta norma è stata ora dichiarata incostituzionale in tutte le parti che facevano riferimento all’Albo. Non sono stati travolti dalla pronuncia di incostituzionalità i soli commi che afferiscono alla composizione, alle funzioni e al funzionamento della Commissione in quanto tale, in quanto non lesivi di alcun parametro costituzionale.

Con l’art. 39, invece, la legge regionale n. 8 conferiva alla Regione il potere di adottare atti regolativi sulla falsariga del potere di soft law che il Codice nazionale attribuisce all’ANAC. La Giunta regionale avrebbe infatti dovuto adottare linee guida, documentazione standard, capitolati speciali e schemi di contratto, predisposti dalla Centrale regionale di committenza, d’intesa con l’Osservatorio regionale dei contratti pubblici in coerenza con le linee guida e con i bandi tipo dell’ANAC. Le linee guida avrebbero dovuto fornire indicazioni sui parametri utili alla valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e della congruità delle offerte anomale, sul rispetto degli obblighi vigenti in materia di acquisti verdi, per favorire la riduzione della produzione di rifiuti ed incentivare l’utilizzo dei materiali a ridotto impatto ambientale, per valorizzare i parametri di responsabilità sociale, ambientale e fiscale delle imprese. Oltre alle Linee guida, la Regione avrebbe dovuto altresì approvare un codice regionale di buone pratiche, mirante a facilitare l’accesso delle micro, piccole e medie imprese agli appalti pubblici, in particolare favorendo, tra l’altro, la suddivisione degli appalti in lotti, la fissazione di requisiti di qualificazione congrui e proporzionati e il rispetto di criteri ambientali e sociali minimi. Tale disposizione è stata spazzata via per intero dalla sentenza della Consulta.

Infine, l’art. 45 prevedeva un sistema regionale di qualificazione delle stazioni appaltanti, con approvazione da parte della Giunta di un atto che definisse i requisiti necessari a tal fine, sulla base dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione, tra cui, per le centrali di committenza, il carattere di stabilità delle attività e il relativo ambito territoriale, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa statale. Anche tale articolo è stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 166.

La Consulta è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune norme della legge regionale sarda gli appalti: si tratta delle disposizioni concernenti il responsabile di progetto, l’Albo regionale dei commissari di gara, la qualificazione delle stazioni appaltanti e la possibilità per la Regione di adottare atti di regolazione flessibile quali linee guida e similari.

2.  I parametri costituzionali violati e le riflessioni della Corte costituzionale

Preliminarmente, appare utile riassumere quali siano le norme costituzionali in base alle quali la Regione Sardegna ha esercitato la potestà legislativa disciplinando in materia degli appalti pubblici di interesse regionale e, di converso, quali le norme che il Governo ha assunto come violate.

Secondo la Regione, la legge regionale n. 8 è stata emanata nell’esercizio della potestà legislativa di tipo primario, ai sensi dell’art. 3, lettere a) ed e) dello Statuto speciale di autonomia (organizzazione amministrativa e di lavori pubblici di esclusivo interesse regionale) e residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma della Costituzione.

Secondo la difesa regionale, la disciplina del responsabile unico del procedimento, definito nella L.R. n. 8, responsabile di progetto, attiene in particolare alla materia dell’organizzazione amministrativa.

Diversamente, secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri le disposizioni impugnate afferirebbero invece alla materia della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile, entrambe ascrivibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma della Costituzione.

Più precisamente, secondo il Governo, le disposizioni impugnate invaderebbero la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile quali parametri interposti delle norme del Codice dei contratti pubblici che la legge regionale mirerebbe a derogare (l’art. 31 in materia di responsabile unico del procedimento, l’art. 78 in materia di Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici, l’art. 38 in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti e l’art. 213 in tema di poteri di regolazione dell’ANAC). Dette disposizioni fungerebbero da norme fondamentali delle riforme economico-sociali ovvero da norme di attuazione degli obblighi internazionali dello Stato nei confronti dell’Unione europea, cui, in ogni caso, la potestà legislativa regionale deve soggiacere, anche nelle materie di competenza statutaria, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto speciale sardo.

La Corte costituzionale, infatti, prima di esaminare il merito delle questioni, ha ritenuto opportuno riepilogare gli approdi cui la stessa è giunta sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale in ordine alla disciplina, dettata dal Codice dei contratti pubblici, della scelta del contraente nelle procedure ad evidenza pubblica e del perfezionamento del vincolo negoziale e della sua esecuzione. Tali considerazioni, pur se espresse nella maggior parte dei casi in vigenza del vecchio Codice, sono, per espressa conferma della Consulta, tuttora valide.

<<È pacifico infatti – si legge nella sentenza n. 166 – che le disposizioni del Codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza; esse inoltre vanno ascritte all’area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (…). Le disposizioni dello stesso Codice che regolano gli aspetti privatistici della conclusione ed esecuzione del contratto sono riconducibili all’ordinamento civile (…); esse, poi, recano princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica (…) e norme fondamentali di riforma economico-sociale (…)>>.

La Corte, poi, prosegue ripercorrendo l’iter logico che occorre seguire per comprendere se vi sia stata un’invasione di competenza della Regione a statuto speciale nell’ambito della potestà legislativa statale.

La Consulta afferma infatti che <<la Regione resistente ha invocato alternativamente la propria competenza statutaria dell’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi e quella residuale dell’organizzazione amministrativa ex art. 117, quarto comma, Cost.. Quanto alla seconda, è palese che una Regione, nell’esercizio della propria competenza residuale, non può derogare a tassative e ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive statali. Quanto alla prima, invece, non è da escludere in linea di principio che gli statuti possano incidere su quest’ultime riservandole, in parte, alle autonomie speciali, ma ciò evidentemente richiede una puntuale allegazione dell’esistenza e della portata delle norme statutarie, in difetto della quale anche per esse non potrà non trovare applicazione la disciplina statale (…). Al contrario, in presenza di tali competenze statutarie occorrerà verificare se esse incontrino o meno i limiti propri della legislazione in questione: i principi dell’ordinamento giuridico, gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali e le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica>>.

I passaggi logici da compiere sono pertanto tre: a) verificare nell’esercizio di quale tipo di competenza legislativa regionale si assume che la Regione abbia agito; b) se si tratta di potestà legislativa residuale verificare che la stessa non intacchi in alcun modo materie riconducibili alla competenza esclusiva statale; c) se si tratta di potestà legislativa primaria in base a norme statutarie, questa può essere esercitata per disciplinare le relative materie in deroga alla normativa statale; tuttavia, tale deroga incontra i limiti dettati dai principi  dell’ordinamento giuridico, gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali e le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica secondo quanto previsto dall’art. 3 dello Statuto sardo.

Secondo il Governo le disposizioni impugnate della L.R. n. 8 hanno invaso la sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e ordinamento civile; di converso, la difesa regionale ha sostenuto la riconducibilità delle stesse alle materie dell’organizzazione amministrativa e dei lavori pubblici di esclusivo interesse regionale, rientranti nella potestà legislativa primaria regionale.

3. Le conclusioni della Consulta

Con riferimento all’art. 34, che disciplina la nomina e i requisiti del responsabile di progetto, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sostenuto che l’unicità del responsabile del procedimento – principio fondamentale dettato dal Codice dei contratti <<a tutela di unitarie esigenze di trasparenza e funzionalità della procedura di gara, preordinata alla corretta formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione, e di accentramento del regime della responsabilità dei funzionari>> – verrebbe meno allorché la legge regionale impugnata conferisca facoltà alle amministrazioni aggiudicatrici di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro responsabile per la fase di affidamento.

La Corte ha dichiarato infondata la questione richiamando una propria precedente pronuncia su una similare disposizione di una legge regionale umbra. Le amministrazioni aggiudicatrici – a parere della Consulta – nell’ambito dell’unitario procedimento di attuazione dell’intervento, possono individuare sub-procedimenti senza che ciò incida sulla unicità del centro di responsabilità. Sotto questo aspetto, la disciplina delle modalità organizzative dell’attività del responsabile unico del procedimento rientra, secondo la Corte, nella materia della organizzazione amministrativa, riservata alle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.. Allo stesso modo, il comma 3 dell’art. 34 oggetto di impugnazione, garantisce l’unicità del centro di responsabilità procedimentale mediante la figura del “responsabile di progetto”, il quale <<coordina l’azione dei responsabili per fasi, se nominati ai sensi del comma 2, anche con funzione di supervisione e controllo>>.

Per quanto attiene invece alla seconda questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 37, comma 1, nella parte in cui prevede che, <<ai fini della nomina dei componenti della commissione di gara, la Regione istituisce […] l’Albo telematico dei commissari di gara, suddiviso per categorie di specializzazione, a cui le stazioni appaltanti hanno accesso libero e diretto>>, e gestito <<secondo criteri e modalità individuati con apposito decreto del Presidente della Regione (…)>>, il Governo ha rilevato un insanabile contrasto tra detta norma e quella contenuta nell’art. 78 del nuovo codice dei contratti pubblici, che istituisce presso l’ANAC l’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici e conferisce all’Autorità la competenza di definire, con apposite linee guida, i criteri e le modalità di iscrizione, nonché le modalità di funzionamento delle commissioni giudicatrici.

La Corte ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità in esame. Secondo la Consulta, infatti, il nuovo Codice dei contratti pubblici ha operato la scelta <<drastica>> di sottrarre la nomina dei commissari di gara alle stazioni appaltanti e ha conferito tale compito in via esclusiva e centralizzata all’ANAC, che dovrà curare la tenuta dell’Albo, il suo aggiornamento, nonché garantire il rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e imparzialità, in ciò superando anche l’iniziale proposta di costituire un’articolazione regionale dell’Albo nazionale. Tale articolazione territoriale avrebbe infatti probabilmente vanificato gli sforzi volti a garantire i suddetti principi in quanto vi sarebbe stata la pressoché sistematica nomina, quali commissari, di soggetti radicati nella medesima area geografica interessata dall’appalto.

La Corte prosegue rammentando il proprio precedente orientamento, espresso in vigenza del vecchio D. Lgs. n. 163, volto a considerare la tematica delle commissioni giudicatrici riconducibile all’organizzazione amministrativa. Tuttavia, tale inquadramento <<non può più ritenersi attuale, – afferma la Corte – dal momento che la sottrazione della scelta dei commissari di gara alle stazioni appaltanti rappresenta una radicale innovazione del nuovo Codice dei contratti chiaramente ispirata a finalità di trasparenza, imparzialità, tutela della concorrenza e prevenzione di reati>>.

La Consulta conclude affermando che la norma di cui all’art. 37, comma 1, impugnato <<pur incidendo sull’organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e dell’ordine pubblico (esercitate con l’invocato art. 78 del nuovo codice dei contratti pubblici)>> e, conseguentemente la disposizione impugnata deve essere dichiarata incostituzionale, unitamente ai commi 2, 3, 4 e 8 dello stesso art. 37, i quali risultano illegittimi in via consequenziale perché inscindibilmente connessi e funzionalmente legati a quanto disposto dal comma 1 caducato.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in merito alla disposizione sul responsabile di progetto. Secondo la Consulta, la necessità di ricondurre ad un unico centro di responsabilità tutto il procedimento dell’appalto non è pregiudicata dalla possibilità di nominare più responsabili per fasi, laddove gli stessi siano comunque coordinati dall’unico responsabile di progetto.

Anche la terza questione di legittimità costituzionale, che ha investito l’art. 39, commi 1 e 3, attributiva della possibilità per la Regione Sardegna di adottare Linee guida e altri atti generali volti a fornire modelli di condotta omogenei alle stazioni appaltanti, è stata dichiarata fondata dalla Corte.

Secondo il Governo, tale norma si sovrapponeva alle competenze che l’art. 213, comma 2, del D. Lgs. n. 50/2016 attribuisce all’ANAC, chiamata ad adottare atti di indirizzo, quali linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile.

<<Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, – si legge nella sentenza n. 166 – il rapporto tra le funzioni dell’Autorità di vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti risponderebbe ad esigenze unitarie, che escludono margini di intervento del legislatore regionale. A ciò si dovrebbe aggiungere che le funzioni svolte dall’Autorità di regolazione mirano a garantire la tutela e la promozione della concorrenza e la realizzazione di mercati concorrenziali>>.

La Corte, concordando con il ricorrente, contesta al legislatore regionale di aver voluto creare un sistema parallelo e alternativo a quello nazionale, in cui le linee guida, i bandi-tipo, i capitolati-tipo, i contratti-tipo che, secondo il Codice, deve adottare l’ANAC, vengono sostituiti da linee guida, documentazione standard, capitolati speciali, schemi di contratto e dal codice regionale di buone pratiche da adottarsi ad opera della Regione Sardegna. Tali atti avrebbero avuto competenza ad individuare parametri utili alla valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e della congruità delle offerte anormalmente basse, nonché avrebbero potuto incidere sulla regolazione sia della procedura ad evidenza pubblica a monte sia del negozio pubblico a valle. Alla luce di tali considerazioni, detta disposizione, lungi dall’essere riconducibile alla materia dell’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, si pone in contrasto con la norma codicistica secondo cui l’attribuzione all’ANAC della regolazione unitaria di tali aspetti, afferenti alla procedura pubblica e alla fase negoziale ed esecutiva, è esplicazione della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile.

Né vale a superare detto contrasto la previsione legislativa della necessaria “coerenza” che deve esservi tra le linee guida e gli altri atti generali regionali e quelli adottati dall’ANAC, in quanto la Consulta ha più volte ribadito che <<il rapporto tra le funzioni dell’Autorità di vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti risponde ad esigenze unitarie, che non tollerano alcun margine di discrezionalità “intermedio”>> riservato al legislatore regionale.

Unitamente all’art. 39, comma 1, è caducato in via consequenziale anche il comma 2, dal momento che esso assegna ulteriori contenuti alle linee guida di cui al comma 1, già travolto dalla pronuncia, così che la norma ivi contenuta viene a mancare di oggetto.

La quarta e ultima questione di legittimità costituzionale ha riguardato l’art. 45 della L.R. n. 8 del 2018, rubricato «Qualificazione delle stazioni appaltanti», che dispone che la Giunta regionale debba stabilire i requisiti necessari alla qualificazione delle stazioni appaltanti, sulla base dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione, <<tenendo conto dei principi previsti dalla normativa statale vigente>>.

Secondo il ricorrente tale disposizione si poneva in contrasto con l’introduzione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, gestito dall’ANAC, <<teso a valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa, sulla base di parametri obiettivi, nonché attraverso adeguate forme di centralizzazione delle committenze e di riduzione del numero delle amministrazioni aggiudicatrici basate proprio sul sistema di qualificazione, che consente di gestire contratti di diversa complessità a seconda del grado di abilitazione conseguito>>, in tal modo contribuendo alla razionalizzazione delle procedure di spesa attraverso l’applicazione di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione delle stazioni appaltanti. Anche in quest’ultimo caso la Consulta ha ritenuto la questione di costituzionalità fondata. L’introduzione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti è considerato dalla Corte costituzionale una delle innovazioni più importanti del Codice del 2016, addirittura un “pilastro” del sistema degli acquisti pubblici. Il legislatore ha infatti optato per una scelta decisa a favore della riduzione del numero delle stazioni appaltanti nonché della loro professionalizzazione, mediante la qualificazione concepita secondo vari livelli crescenti, che consentono di appaltare opere, lavori e servizi di importo sempre più elevato e di sempre maggiore complessità. Posto che il sistema di qualificazione risponde ad esigenze di creazione di economie di scala e di ottenimento di importanti risparmi di spesa, nonché di aumento del potere contrattuale delle stazioni appaltanti oltre che di prevenzione di fenomeni corruttivi e di tutela della corretta gestione delle commesse pubbliche, essendo ridotto il novero dei soggetti da controllare, tale sistema, anche se incide sull’organizzazione, va invero inquadrato <<in un ambito materiale caratterizzato dal concorso delle competenze statali esclusive della tutela della concorrenza, dell’ordine pubblico, e di quella concorrente del coordinamento della finanza pubblica. (…) La disposizione censurata, dunque, introducendo un non meglio precisato sistema di qualificazione affidato alla Giunta regionale, parallelo e distinto rispetto a quello nazionale, pur incidendo sull’organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e dell’ordine pubblico>>.

La Corte costituzionale boccia i sistemi “paralleli e alternativi” rispetto a quelli statali, che il legislatore regionale ha ritenuto di introdurre, riguardo all’istituzione dell’Albo regionale dei commissari, alla qualificazione delle stazioni appaltanti e all’adozione di linee guida, sistemi giudicati insanabilmente in contrasto con le esigenze unitarie di tutela della concorrenza spettanti allo Stato e, quale sua diretta emanazione, all’ANAC.

4. Ciò che resta della L.R. n. 8/2018: i temi principali del provvedimento

Nonostante la pronuncia di incostituzionalità di tre importanti disposizioni della legge regionale in esame, la stessa risulta, ad un’analisi generale, passata pressocché indenne al vaglio della Corte in quanto il suo impianto complessivo è rimasto in piedi. In proposito, si tenga anche conto del fatto che gli “omologhi nazionali” di due degli istituti bocciati dalla Consulta, ovvero l’Albo nazionale dei Commissari di gara e le Linee guida vincolanti dell’ANAC non stanno, al momento, attraversando un periodo, per così dire, felice, se si considera che l’Albo nazionale dei Commissari stenta a decollare tanto è vero che il recente Decreto Sblocca Cantieri ne ha sospeso l’operatività fino al 31 dicembre 2020, e le Linee guida vincolanti dell’ANAC dovranno a breve essere sostituite da un Regolamento di attuazione unico da adottarsi in forma di D.P.R..

Ciò detto, le stazioni appaltanti operanti nel territorio regionale dovranno dunque ora “fare i conti” anche con la L.R. n. 8/2018 ed applicarla. Ciò comporterà una non sempre facile operazione di interpretazione della norma speciale da applicare ai vari casi, in quanto nelle ipotesi in cui la norma codicistica e la norma regionale prevedano soluzioni differenti, andrà applicata quella regionale in base al principio di competenza.

Appare, in conclusione, opportuno riassumere brevemente quali sono le linee direttrici fondamentali della legge regionale finora esaminata. Tra queste, la principale è forse la tutela e la sostenibilità ambientale degli interventi pubblici e la valorizzazione della qualità architettonica ed artistica. Un intero titolo della legge è infatti dedicato alla trasparenza, alla qualificazione e sostenibilità ambientale e, al suo interno, un capo riguarda il Piano di azione per gli acquisti verdi. Tale strumento programmatorio deve essere approvato dalle amministrazioni aggiudicatrici e periodicamente aggiornato, con il fine di elaborare un programma operativo per l’introduzione dei criteri ambientali nelle procedure di acquisto di forniture e servizi e di realizzazione di lavori pubblici. Al fine di garantire e potenziare i livelli di salute e sicurezza nel governo del territorio, la L.R. n. 8 prevede inoltre che, nell’ambito del programma triennale dei lavori pubblici, almeno il 30 per cento dell’importo complessivo degli interventi da realizzare debba essere obbligatoriamente destinato ad opere di prevenzione per la riduzione del rischio idrogeologico (tema “caldo” in Sardegna a causa dei tristemente noti eventi alluvionali di cui il territorio regionale è stato in passato più volte vittima), per il miglioramento della sicurezza degli edifici scolastici e, in generale, della sicurezza impiantistica degli edifici pubblici e di infrastrutture pubbliche, per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche ed, infine, per la riduzione dei consumi energetici da fonti non rinnovabili. La Regione si impegna inoltre a tutelare e promuovere la qualità dell’ideazione e la qualità architettonica nella progettazione delle opere pubbliche e, a questi fini, adotta il Piano triennale per la qualità architettonica delle opere pubbliche, promuovendo, tra l’altro, concorsi di idee e di progettazione per le opere di particolare rilevanza, stimolando in particolare la partecipazione ad essi dei giovani professionisti ed istituendo borse di studio ad hoc a favore dei giovani laureati.

Altra linea direttrice della legge regionale sarda n. 8 è la promozione della razionalizzazione degli acquisti mediante, tra l’altro, la centralizzazione della committenza. La legge infatti riconosce rilievo ad un organismo già presente nella Regione Sardegna, la Centrale Regionale di committenza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. La centralizzazione delle commesse avviene anche mediante lo sviluppo di una imponente piattaforma telematica di negoziazione.

Un altro aspetto fondamentale trattato dalla legge sarda sugli appalti è senza dubbio quello della programmazione delle opere pubbliche di competenza regionale. Entro sessanta giorni dall’approvazione del bilancio annuale, la Regione deve approvare il programma pluriennale di spesa per il finanziamento delle opere pubbliche di sua competenza ed aggiornare i programmi di spesa approvati in precedenza. Una novità di rilievo nel panorama ordinamentale sardo è la previsione della possibilità per la Regione di costituire una società di capitali avente ad oggetto lo studio, la progettazione, la realizzazione e la gestione di opere pubbliche di competenza regionale, al fine di accelerare la realizzazione, in particolare, di opere pubbliche di rilevanza strategica. Tale società, a totale capitale regionale, avrà la natura di organismo in house della Regione e sarà assoggettata a controllo analogo.

La L.R. n. 8 è ora pienamente operativa e cogente per le stazioni appaltanti operanti nel territorio regionale: dovranno dunque essere applicati tutti gli istituti innovativi dalla stessa introdotti per valorizzare, tra l’altro, la tutela e la sostenibilità ambientale, la qualità architettonica ed artistica e la centralizzazione e razionalizzazione degli acquisti.


[1] Già in vigenza del vecchio Codice degli appalti pubblici, la Regione Sardegna aveva emanato una legge regionale in materia, la n. 5 del 2007, che aveva avuto tuttavia una sorte infelice, essendo stata la stessa dichiarata incostituzionale per gran parte del suo articolato, ritenuto dalla Consulta invasivo della competenza esclusiva dello Stato, per quanto attiene alle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile.

[2] Si tratta dell’Amministrazione regionale, del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, degli enti, agenzie, aziende e istituti regionali, costituenti il sistema Regione ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis L.R. n. 31/1998; degli enti locali, loro associazioni e unioni; delle aziende sanitarie della Sardegna; degli organismi di diritto pubblico la cui attività è finanziata o sottoposta al controllo degli enti del sistema Regione; degli enti aggiudicatori del territorio regionale, ad esclusione degli enti aggiudicatori dello Stato e degli enti pubblici statali; delle società con capitale pubblico partecipate delle amministrazioni del sistema Regione, in misura anche non prevalente, che hanno ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati a essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza; dei concessionari di lavori e servizi pubblici delle amministrazioni del sistema Regione; dei soggetti privati sovvenzionati direttamente in misura superiore al 50 per cento dalle amministrazioni del sistema Regione, relativamente ai lavori o servizi di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) e b) del Codice dei contratti pubblici, nella misura in esso stabilita (Cfr. art. 3 L.R. n. 8/2018).

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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