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( votes)Premessa
Attorno all’esecuzione di una pubblica commessa orbitano interessi del tutto eterogenei.
Tra i tanti, a quello (solo apparentemente) principale della Amministrazione a conseguire l’utilità richiesta, si affianca certamente l’attenzione a che non vengano – proprio in ragione della vicenda pubblica che permea l’intero rapporto – nemmeno svilite le tutele minime approntate dall’ordinamento in punto di lavoro.
Sarebbe quantomai sconveniente, se non inaccettabile, infatti, che proprio con riferimento a prestazioni erogate comunque in favore della ‘cosa pubblica’ si assistesse a lesioni di diritti di primaria importanza, là dove, al contrario, è proprio la peculiarità del carattere pubblico delle stesse a giustificare invece una maggiore attenzione – e maggiore intransigenza – circa le vicende lavoristiche.
Condivisibilmente con questo assunto, di recente, il giudice amministrativo—–1—— ha risolto una articolata questione che, come si dirà più avanti, si lascia apprezzare per le importanti puntualizzazioni fornite, relative al mancato rispetto dei minimi salariali richiesti dalla contrattazione collettiva di riferimento in sede di offerta, anche con riguardo al giudizio di anomalia che vi si affianca e alla corretta operatività del ‘nuovo’ meccanismo di revisione prezzi di cui all’art. 60 del Codice.
Note
1. T.a.r. Lombardia, sez. I, 17 febbraio 2025, n. 519.
1. Il fatto.
La contesa portata all’attenzione del giudice amministrativo origina dall’indizione, ad opera di una Stazione Unica Appaltante, di una procedura aperta di gara per l’affidamento del servizio di assistenza educativa specialistica finalizzata all’inclusione scolastica di alunni portatori di disabilità e dei servizi pre e post scolastici per le scuole primarie statali, per un importo complessivo stimato superiore alla soglia comunitaria.
La procedura, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è stata bandita, con pubblicazione degli atti di gara – e la data assume rilevanza per le ragioni che appresso verranno meglio indicate – il primo luglio del 2024.
Pervenivano alla Stazione Appaltante solo due offerte, una delle quali proposta dall’attuale fornitore del servizio, collocatosi (in questa occasione) secondo in graduatoria.
L’ Amministrazione, auto-vincolatasi nel disciplinare di gara a verificare la congruità della relativa offerta, richiedeva giustificazioni al primo graduato, e ad essa seguiva tempestivo riscontro dell’operatore.
Alla luce delle considerazioni svolte da quest’ultimo, il RUP concludeva che la documentazione prodotta fosse adeguata a dimostrare la congruità dell’offerta; e ciò, dal momento che, per dirlo con le parole del giudicante – e questo è il dato in assoluto maggiormente rilevante per il presente commento – “il ribasso riguardante il costo del lavoro deriva[va] da legittime scelte organizzative aziendali [e] gli scostamenti dalle tabelle ministeriali di cui all’art. 41, comma 13, d.lgs. n. 36/2023 [erano] dunque, […] sufficientemente motivati”.
Alla luce di ciò, seguiva il formale provvedimento di aggiudicazione in suo favore.
A fronte di tale determinazione instaurava tempestivamente il giudizio l’altro Operatore e si costituivano in giudizio, in resistenza, il vincitore e l’Amministrazione procedente.
In seguito, ed inoltre, la controinteressata proponeva ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale.
2. Le tutele in materia di lavoro nella disciplina degli appalti…
L’oggetto principale del ricorso instaurato dal secondo graduato afferisce, nella sostanza, al mancato rispetto dei minimi salariali da parte dell’altro concorrente in sede di formulazione della propria offerta economica: mancato rispetto, si intende, dei minimi salariali, per come previsti dalla contrattazione collettiva presa a riferimento nell’ambito della procedura di gara.
La vicenda è resa, in questo caso, ancora più particolare dalla circostanza che il contratto collettivo interessato – CCNL Cooperative sociali sottoscritto nel marzo del 2024 – reca un interessante meccanismo di aggiornamento, tale che al superamento di certi scaglioni temporali predeterminati, durante l’intera vigenza del contratto stesso, opera un’automatica rivalutazione delle retribuzioni.
Più in dettaglio, si legge in sentenza che gli “scatti […] [interessati, hanno operato ed opereranno nei mesi di] ottobre 2024, gennaio 2025, settembre 2025, ottobre 2025 [fino a] gennaio 2026”.
Di tali scatti retributivi, sostiene parte ricorrente, non avrebbe debitamente tenuto conto l’aggiudicatario, il quale avrebbe invece formulato la propria offerta sulla base della retribuzione prevista dall’adeguamento salariale del solo mese di ottobre 2024 e, per dirlo con la sentenza, “senza tener conto [, quindi,] dei numerosi successivi [adeguamenti]”.
Tra l’altro, evidenzia ancora nel ricorso la parte, l’offerta sarebbe viziata anche perché insostenibile, poiché “l’utile di impresa […] [sarebbe] inidoneo per far fronte agli aumenti salariali previsti dal CCNL [che] dal gennaio 2025 [prevede] […] per la prima volta anche la quattordicesima mensilità”.
A corredo, tra ulteriori plurimi profili di illegittimità dell’offerta, interessa qui rilevare che il ricorrente contesta pure l’incapienza dell’offerta dell’aggiudicatario rispetto alla precisa accettazione della clausola sociale prevista nella lex di gara, da cui discende(va) l’obbligazione di assumere i dipendenti chiamati a svolgere il servizio oggetto di gara presso l’operatore uscente, con il conseguente riconoscimento della relativa anzianità di servizio non solo maturata, ma anche di quella maturanda.
Ebbene, dando per assodato che non è contestato tra le parti che (effettivamente) il costo della manodopera in tesi impiegata dal vincitore sia stato calcolato “sulla base dei livelli contrattuali e degli scatti di anzianità […] [espressi nel] mese di Ottobre d[a]l CCNL delle Cooperative Sociali” – ultimo aggiornamento contrattuale disponibile al momento di formulazione dell’offerta – sulla scorta delle censure mosse, il giudice sfrutta la preziosa occasione di richiamare l’attenzione sul complesso di disposizioni codicistiche poste a presidio delle garanzie lavoristiche nell’esecuzione di un pubblico appalto.
Muovendo da ciò, e a voler ricondurre l’analisi giudiziale (anche) in una dimensione di contesto complessiva e più ampia ai fini del presente lavoro, da subito, allora, viene in rilievo il disposto dell’art. 11 del D. Lgs. 36/2023.
Nella parte dedicata ai principi generali che ispirano la nuova disciplina, detto articolo sancisce al primo comma, con perentoria chiarezza che “[a]l personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.
Alla precisa presa di posizione che veicola l’intendimento normativo in apertura di articolo – id est: àncorare la gestione del rapporto di lavoro al contratto collettivo, quale strumento che si presume di massima garanzia previsto dall’ordinamento – segue la (forse superflua) precisazione prevista al secondo comma, a mente del quale è “[n]ei documenti iniziali di gara e nella decisione di contrarre di cui all’articolo 17, comma 2 [che] le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, in conformità al comma 1 e all’allegato I.01”.
Al fine di non comprimere eccessivamente le scelte imprenditoriali, poi, lo stesso articolo prevede al comma terzo che è fatta salva, comunque, la possibilità per l’operatore economico di “indicare nella propria offerta [un] differente contratto collettivo da ess[o] applicato” ma – ed è bene sottolinearlo – alla concorrente condizione che detto contratto “garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”.
Si parla, al riguardo, di ‘equivalenza’ di tutele e – come si dirà meglio pure più avanti – l’accertamento circa la effettiva eguaglianza tra i contratti interessati dal confronto, in punto di tutele – economiche e giuridiche – è demandata allo stesso RUP in sede di anomalia dell’offerta.
Il Codice, assieme all’art. 11, tratta di lavoro anche in un’altra disposizione codicistica: l’art. 41.
Tale articolo, infatti, nel regolare i livelli ed i contenuti della progettazione di gara, ai commi 13 e 14 dedica ampio spazio alla corretta modalità di calcolo della manodopera impegnata nelle ‘lavorazioni’ contrattuali.
Così, se il comma 14 prevede che “nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13”; al (precedente) comma 13, richiamando ai valori economici – ancora una volta – prescritti dalla contrattazione collettiva, si afferma che “per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo medio del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali […] tenuto conto della dimensione o natura giuridica delle imprese, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali.” Solo in mancanza di contratto collettivo eventualmente applicabile, continua il comma in parola, “il costo medio del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più affine a quello preso in considerazione”.
La lettura, in combinato, delle due disposizioni, restituisce un chiaro quadro di riferimento che, retto sulla importanza conferita (e rivestita) dalla contrattazione collettiva anche nel ‘sistema degli appalti pubblici’, garantisce nell’intento del Legislatore, mediante la fattiva applicazione della contrattazione stessa, un ottimale livello di ‘guarentigia’ dei lavoratori e, più in generale, del lavoro, per quanti si trovino ad interfacciarsi con la Pubblica Amministrazione nell’esecuzione di prestazioni contrattuali.
In maniera convincente, anche in sentenza, il giudice amministrativo chiosa nel senso che “la disciplina […] è volta a garantire la regolare esecuzione della commessa e il rispetto del costo del lavoro stabilito in modo equo e condiviso in sede di contrattazione collettiva, dalla data di presentazione dell’offerta fino alla scadenza del contratto di appalto al fine di evitare elusioni della disciplina”.
3. …ed il giudizio di anomalia come garanzia.
Insieme con le due disposizioni poc’anzi richiamate, il giudice amministrativo riflette anche su un’altra peculiare disciplinare che, per i temi che ci occupano, riveste carattere dirimente.
Nel proprio argomentare, infatti, egli richiama alla lettura dell’art. 110 che, come noto, al comma 5, nell’ambito della regolamentazione del giudizio di anomalia radicato in capo al RUP, dispone chiaramente che la stazione appaltante “esclude l’offerta se [la stessa] è anormalmente bassa in quanto: […] [tra le altre cose] d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle [già richiamate] di cui all’articolo 41, comma 13”. Chiarendo, tra l’altro, lo stesso comma, che in relazione al costo del personale “non sono ammesse giustificazioni”.
La chiara lettera della legge, pertanto, conferma l’impianto sistematico di cui si è tentato di dare traccia nel paragrafo precedente e, anzi, senza lasciare adito a dubbi, riconosce nel valore salariale minimo espresso in ambito collettivo il limite invalicabile entro cui il mercato è chiamato a muoversi nella definizione dei compensi previsti.
Ne viene, come si legge in sentenza, che “il concorrente che riporta in offerta un trattamento salariale dei propri dipendenti inferiore a quello minimo indicato nelle tabelle ministeriali che recepiscono il trattamento minimo stabilito in sede di contrattazione collettiva, non potendo giustificare il diverso trattamento offerto, è escluso dalla gara”.
Tra l’altro, il giudizio di anomalia rappresenta anche l’esatto momento procedimentale in cui il RUP potrà, sempre più frequentemente – come in parte anticipato – svolgere quel delicato compito di valutazione (discrezionale) inerente all’equivalenza delle tutele, nel caso di indicazione di CCNL differenti rispetto a quelli indicati dalla Stazione Appaltante nella documentazione di gara.
Ne danno conferma la stessa relazione al Bando Tipo Anac n. 1—–2—— – attualmente in vigore – e la stessa giurisprudenza di merito amministrativa—–2——- chiamata a confrontarsi con tali tematiche nelle prime applicazioni pratiche.
In tale compito, è bene ricordarlo, considerata anche la delicatezza delle valutazioni oggetto di analisi, il RUP non è lasciato solo a sé stesso, ma, al contrario, è assistito da una serie di puntuali prescrizioni normative – oggi confluite all’ Allegato I.01 al Codice – che, se non ne agevolano del tutto l’operato, stante la sua intrinseca complessità, quantomeno dettano una chiara linea di azione cui potersi tendenzialmente riferire.
Ora, nel caso peculiare oggetto di analisi – si è detto in precedenza – il CCNL considerato dagli offerenti non era certamente diverso rispetto a quello indicato nei documenti di gara dalla Stazione Appaltante.
Tuttavia, come anticipato, l’aggiudicatario non avrebbe debitamente considerato il meccanismo di adeguamento retributivo che quello stesso CCNL prevedeva.
Come correttamente evidenziato dal giudice “si pone […] la necessità di verificare se l’aumento salariale che si registra nel corso della gara debba, o meno, essere tenuto in debito conto dall’operatore ai fini della formulazione del costo del personale”.
E così, condivisibilmente, lo stesso giudicante, nel dichiarare la illegittimità dell’operato del RUP circa la (ritenuta) correttezza delle giustificazioni prodotte in sede di anomalia nonostante la mancata considerazione del meccanismo revisionale dei salari, esprime l’importante intendimento per cui, “contrariamente a quanto sostiene [l’aggiudicatario], chiedere all’operatore economico di prendere in considerazione l’aumento dei salari dei lavoratori a seguito del rinnovo della contrattazione collettiva non è un onere eccessivo poiché l’aumento salariale è circostanza fisiologica nei rapporti di lavoro contrattualizzati e quindi è un evento prevedibile da un datore di lavoratore diligente, soprattutto laddove questi partecipa ad una procedura ad evidenza pubblica in cui trova applicazione la disciplina sul rispetto dei minimi salariali inderogabili”.
Di tal che, avendo lo stesso aggiudicatario “ formulato la propria offerta con riguardo all’aumento salariale in essere dal [solo] mese di ottobre 2024, [e] senza considerare gli altri scatti retribuitivi già previsti per i livelli del personale indicato […] dal CCNL che di fatto incide sul costo del lavoro e in particolare sul rispetto della retribuzione minima” ha finito per violare i minimi salariali indicati nelle Tabelle ministeriali andando, così, incontro – per le ragioni ampiamente riferite supra – all’esclusione dalla gara.
Note
2. Vd. Relazione illustrativa al Bando Tipo A.N.AC. che a p. 35 chiaramente afferma: “Al fine di accelerare il sub-procedimento di verifica dell’anomalia, il Disciplinare riconosce ai concorrenti la facoltà di presentare i giustificativi dell’offerta economica insieme all’offerta stessa. Nella stessa ottica, nel disciplinare è previsto che i concorrenti alleghino all’offerta tecnica la relazione di equivalenza delle tutele in caso di adozione di un CCNL diverso da quello indicato dalla stazione appaltante, nonostante la norma preveda che tale dichiarazione sia richiesta soltanto all’aggiudicatario”.
3. Si confronti, tra le prime applicazioni, T.A.R. Piemonte, sez. I, 25 novembre 2024, n. 1222.
4. La revisione prezzi (non) ammessa (in linea generale) per la rivalutazione dei salari nei CCNL
Un aspetto complementare alle questioni appena analizzate, pure oggetto della controversia in commento, e di cui conviene dare conto anche per le ricadute applicative che determina, involge l’interrogativo circa la possibilità, o meno, di ricorrere all’istituto della revisione prezzi per far fronte – eventualmente – ad adeguamenti retributivi del tipo di quelli previsti come nella CCNL del caso de quo: nel senso di affermare, o meno, la legittimità di un’offerta che, se da un lato, viene tarata (solo) sulle indicazioni economiche valevoli al momento di presentazione della stessa, dall’altro, fa affidamento nella possibilità di ricorrere all’istituto della revisione prezzi per gli eventuali necessari adeguamenti che si dovessero dimostrare necessari in corso di esecuzione secondo la disciplina del CCNL stesso.
Per dirla con le parole del giudice in sentenza, “la problematica principale […] concerne proprio l’applicabilità dell’istituto della revisione dei prezzi di cui all’art. 60 del Codice nel caso in cui l’aggiudicatario sia tenuto ad adeguare, in corso di esecuzione, i minimi salariali previsti nelle tabelle ministeriali.”
A tale interrogativo, nel caso specifico, si è ritenuto di fornire risposta negativa.
La risposta tiene luogo in ragione del necessario confronto, anzitutto, con la normativa di riferimento, a mente della quale, ex art. 60 del Codice, la revisione si attiva al verificarsi di sole, particolari, condizioni: le stesse debbono determinare una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo, ed operano nella sola misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire.
Tra l’altro, e sempre secondo la legge, le “particolari condizioni” al verificarsi delle quali è giustificata la revisione, anche se prevedibili al momento di stipula del contratto, debbono avere carattere necessariamente oggettivo e, si può aggiungere – pur ricavandolo implicitamente dalla disposizione – deve necessariamente sopravvenire in corso di esecuzione del contratto.
Se tanto è, allora, come correttamente statuito in sentenza, “[l]’aumento del trattamento salariale minimo retributivo, [se] riconosciuto dal rinnovo contrattuale avvenuto prima della partecipazione alla gara, rimane […] estraneo alla disciplina sulla revisione dei prezzi”; e ciò perché, detto aumento, “non è una sopravvenienza che si verifica nella fase esecutiva del rapporto, ma è, [al contrario], un dato economico presente al tempo della pubblicazione della gara che l’operatore deve prendere in considerazione al momento della redazione dell’offerta.”
L’aumento salariale, si fa rilevare ancora in sentenza, “è [correttamente inquadrabile come] un evento certo sia sotto il profilo dell’an che del quantum” che ‘esiste’ già al momento di redazione dell’offerta.
A conferma di ciò, la stessa Stazione Appaltante, nel recepire la disciplina sulla revisione dei prezzi all’interno della legge di gara, “aveva inteso consentire la possibilità di compensare, tramite la revisione, l’aumento del trattamento salariale minimo retributivo già cristallizzatosi al momento della gara”, come facilmente intuibile pure dalla chiara disposizione contenuta nel disciplinare di riferimento che, non a caso esordisce, nel trattare delle modifiche revisionali ex art. 60, con l’espressione “[qualora] nel corso di esecuzione del contratto”.
Un chiaro indice che conferma, ancora, la bontà dell’agere amministrativo dell’Amministrazione, insieme con la correttezza delle riflessioni presenti in sentenza di cui si è cercato di dare conto, si ricava pure dalle modifiche apportate dal Legislatore al Codice, col Correttivo.
Al nuovo comma 2-bis dell’art. 60, infatti, muta la disciplina, per gli appalti di servizi e quelli di fornitura, a seconda che si prendano in considerazione meccanismi revisionale ‘in senso stretto’ o quegli altri meccanismi revisionali che, più correttamente, possono qualificarsi come meccanismi convenzionali di ‘solo’ adeguamento dei prezzi o dei costi. A quest’ultimi appartengono quelle regolamentazioni che in sede di CCNL prevedono adeguamenti salariali a cadenze prestabilite.
E così, come si legge al comma in parola, logicamente, nel caso di revisioni del secondo tipo “l’incremento di prezzo riconosciuto in virtù [dell’] […] adeguamento del prezzo del contratto non è [quindi] considerato nel calcolo della variazione del costo del servizio o della fornitura rilevante, ai sensi del comma 2, lettera b), ai fini dell’attivazione delle clausole di revisione prezzi”.
5. Conclusioni
A valle delle osservazioni condotte, possono essere avanzate brevi considerazioni finali, muovendo dall’assunto che le questioni lavoristiche, affrontate nella particolare prospettiva dei pubblici appalti, non possono essere certamente sottovalutate dal RUP e, per esso, più in generale dalla Stazione Appaltante.
Come visto, infatti, in sede di anomalia, il RUP assume un ruolo dirimente nelle valutazioni in ordine alla bontà dell’offerta, non solo sul piano della sua sostenibilità per la corretta ‘riuscita’ dell’appalto; ma, forse, lo assume a maggior ragione con riferimento, sul piano delle tutele, alla più che legittima aspettativa dei lavoratori impegnati nella commessa a vedersi riconosciuta una giusta retribuzione.
Una retribuzione che, in linea con l’insegnamento Costituzionale di cui all’art. 36, va ricordato assume i caratteri della proporzionalità rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto e, soprattutto, “in ogni caso [deve essere] sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Se ciò vale per qualunque impiego, in generale, valere e a maggior ragione anche quando la committente delle prestazioni sia, in senso amplissimo, lo Stato.
L’Amministrazione si impegna allora in questo compito, e lo fa (recte: dovrebbe farlo) nella consapevolezza che, a dispetto delle questioni tecniche e teoriche, l’attenzione garantita a certe tematiche, ancora prima di interessare la migliore realizzazione degli interessi pubblici, impatta (ed interessa) maggiormente il singolo come individuo, per l’incidenza che dette tematiche assumono per lo stesso e, come detto in linea col dato costituzionale, anche per il suo personalissimo centro di interessi ed affetti.
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