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( votes)1. Premessa
La recessione economica da cui l’Italia faticosamente tenta di risollevarsi, ha fatto emergere, con sempre maggiore vigore, la necessità di riformare lo Stato-apparato, nell’ottica di una sempre crescente attenzione ai processi di efficientamento dei procedimenti amministravi.
La “semplificazione amministrativa”, ha assunto una rilevanza cardinale in tale processo, travalicando i soli confini strettamente giurdico-amministrativi, e costituendo, secondo il comune sentire degli economisti attenti alla “crescita economica”, un presupposto ineludibile per rilanciare il nostro paese sotto il profilo della competitività nell’economia globale di mercato.
In tale ottica, tra i provvedimenti legislativi di recente incardinati dall’attuale governo in tema di “semplificazione” burocratica, deve innestarsi quanto di recente previsto in tema di formalità relative alla stipula dei contratti pubblici di cui al d.l. 179/2012, in virtù del quale sembrerebbe “imporsi” alle stazioni appaltanti, la digitalizzazione delle forme di stipula negoziale a partire dal primo di gennaio 2013.
Occorre rassegnare alcune considerazioni in merito, onde sgombrare il panorama interpretativo dal alcuni approcci eccessivamente rigidi.
2. Il quadro normativo
La codificazione del 2006, seppur limitatamente al settore dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, aveva già innovato considerevolmente il quadro normativo relativo alla forma dell’attività negoziale della pubblica amministrazione, tentando di “sdoganare” la scrittura privata quale legittima alternativa percorribile rispetto al “classico” atto pubblico.
L’originaria disposizione dell’art. 11 comma 13 del D.Lgs. 163/06, rimasta invariata sino al recente intervento novellatore (d.l. 179/2012), prevedeva infatti che “Il contratto e’ stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Si è pertanto assistito, tramite il citato articolo 11 c. 13, all’espresso conferimento di pari dignità alla scrittura privata, accanto all’atto pubblico, previsto originariamente, durante il periodo pre-unitario, quale unica forma adottabile dalla p.a. ai sensi dell’art. 16 del R.D. n. 2440/1923 (recante disciplina generale in tema di amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) ed in forza del quale si prevedeva che “I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante”.
Come ricorda l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici[1] secondo la disciplina del Regolamento sulla contabilità di Stato, “tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, anche quando quest’ultima agisce iure privatorum, richiedono la forma scritta ad substantiam, pur se consistono in appalti di manufatti di modesta entità e vanno consacrati in un unico documento (Corte di Cassazione, sez. I civile, 4 settembre 2009, n. 19206). In particolare è richiesta la forma pubblica amministrativa (art. 16), fatte salve le deroghe di cui all’art. 17 che consente, in caso di trattativa privata, la stipula a mezzo di scrittura privata ed anche la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.”
Tale impostazione risulta mutata, con l’intervento novellatore del Codice dei Contratti del 2006 (art. 11 c. 13 del testo originale), laddove si era invece conferito alla scrittura privata rango paritario rispetto alla forma pubblica amministrativa.
Non venne mutata, ne oggi è scalfita, invece la necessità che il contratto pubblico rispetti i crismi della forma ad substantiam.
E’ infatti incontrastato orientamento giurisprudenziale del giudice ordinario l’assunto secondo cui “La forma scritta ad substantiam è invero considerata strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa pubblica amministrazione, rispondendo all’esigenza di identificare con precisione l’obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell’atto e, specularmente, di rendere possibile l’espletamento della indispensabile funzione di controllo da parte dell’autorità tutoria. In questo senso, il requisito in parola può considerarsi espressione dei principi di buon andamento od imparzialità dell’amministrazione sanciti dalla carta costituzionale (art. 97)” (Corte di Cassazione Civile sez. III 28/9/2010 n. 2030).
Tale impostazione risulta altrettanto avallata dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, laddove, di recente, si è ricordato che “poiché la Pubblica Amministrazione nella stipula di ogni contratto è tenuta all’osservanza di tutti gli adempimenti richiesti dall’evidenza pubblica, primo fra tutti il requisito della forma scritta ad substantiam, che ne costituisce elemento essenziale avente funzione costitutiva e non dichiarativa (Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2010, n. 4809) e la cui mancanza produce la nullità assoluta dell’atto, rilevabile anche d’ufficio, e poiché tale stipula nel caso di specie non risulta sia mai intervenuta, sembra evidente che la ricorrente è allo stato titolare nella vicenda in questione di una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, in quanto non è mai stato stipulato un contratto tra le parti […]. La forma scritta ad substantiam è invero fondamentale strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa pubblica amministrazione, rispondendo all’esigenza di identificare con precisione l’obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell’atto e, specularmente, di rendere possibile l’espletamento della indispensabile funzione di controllo; per cui il requisito in parola – come è stato puntualmente evidenziato (Cass. Civ., sez. III, 28 settembre 2010 , n. 20340) – può considerarsi espressione dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione sanciti dalla carta costituzionale” (da ultimo: TAR Abruzzo, Pescara, sez. I 10/1/2012 n. 6).
In materia di contratti stipulati dalla pubblica amministrazione deve ritenersi necessaria la stipulazione in forma scritta a pena di nullità e, pertanto, deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di una conclusione tacita per facta concludentia, posto che altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il requisito della forma scritta. (Consiglio di Stato sez. VI 3/6/2010 n. 3507).
Ciò premesso, venendo al tema di cui alla presente trattazione, deve infine sottolinearsi che, accanto alla stipula del contratto tramite la apposizione contestuale della firma “di pugno” da parte dei contraenti sul medesimo documento (ovvero per scambio di corrispondenza[2] in ipotesi residuali), nelle forme alternative anzi indicate (atto pubblico o scrittura privata), in prima applicazione dei processi di digitalizzazione dell’agire amministrativo canonizzati dal D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), il previgente art. 11 c. 13 prevedeva la facoltà di procedere alla stipula contrattuale “in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Nella prassi amministrativa tale facoltà è rimasta lettera morta.
A porre rimedio a tale specifica inerzia riscontrata nella prassi della pubblica amministrazione, interviene oggi l’art. 6, commi 2 e 3, del d.l. 179/12 in virtù del quale, nell’ambito delle azioni volte a sviluppare la digitalizzazione dell’operato della pubblica amministrazione, in tema di forme dell’attività negoziale, si prevede dal un lato la riforma del citato art. 11 comma 13, e dall’altro si prevede l’obbligo di digitalizzazione per gli accordi tra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15 l. 241/90.
3. La novella legislativa e dubbi di coordinamento sistematico
Per quanto riguarda il codice dei contratti (d.lgs. 163/06), il comma 3 dell’art. 6 del citato decreto n. 179/12 convertito in legge n. 221/2012, interviene sul comma 13 del d.lgs. 163/06, prevedendo la soppressione del precedente testo e riformandolo nei seguenti termini: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
La citata disposizione di cui al terzo comma, consente quindi ai notai di redigere gli atti pubblici in formato elettronico, ai sensi del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 110, utilizzando il sistema di conservazione degli stessi nell’apposita struttura istituita presso il Consiglio nazionale del notariato, in attesa dell’adozione dei decreti attuativi di cui all’articolo 68-bis della legge 16 febbraio 1913, n. 89 introdotto con il medesimo decreto.
Inoltre il decreto prevede che, l’accordo tra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15 della Legge 241/90, va invece stipulato esclusivamente mediante apposizione di firma digitale secondo le modalità prevista dall’art. 24 d.lgs. 82/05.
E’ bene da subito sottolineare che tali norme trovano applicazione dal 1° gennaio 2013, nell’auspicio che medio tempore le pubbliche amministrazioni si siano dotate delle attrezzature necessarie per poter procedere alla stipula tramite tali procedure.
Chiaro ed inequivoco scopo della novella in parola, come esplicitato nella relazione illustrativa al decreto, è quindi quello di prevedere misure orientate all’eliminazione progressiva della produzione di documentazione in formato cartaceo, in presenza di norme da tempo vigenti che hanno introdotto la possibilità di passare a documenti redatti in formato digitale.
In attuazione, dunque, del processo di digitalizzazione di cui alla codificazione del D.Lgs. 82/2005, il legislatore ha inteso per certi versi imporre apertis verbis un indirizzo rispetto le modalità operative, anche in relazione alla formalizzazione digitale della volontà negoziale in materia di contratti pubblici.
Infatti, con l’espressione “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, […] in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante” la norma prevede chiaramente che, posta la facoltà di provvedere alla stipula mediante atto digitale notarile, è obbligo per le stazioni appaltanti di procedere alla sottoscrizione dei contratti in via elettronica/digitale, anche se si opti per l’atto pubblico in forma amministrativa, ovvero la scrittura privata.
Dunque, le tre alternative sembrerebbero pertanto non lasciar spazio alla stipula su supporto cartaceo.
Una tale interpretazione, seppur legittimata da una non perspicua formulazione, appare invero eccessivamente restrittiva e non del tutto o coerente con l’assetto complessivo dalle norme ad oggi vigenti.
Non deve infatti sottacersi quanto previsto dall’art. 17 del R.D. n. 2440/1923 (norma assolutamente vigente) nel quale si annovera la scrittura privata in forma cartacea tra le forme di stipula del contratto.
Tale norma deve essere letta in combinato disposto con l’ultima delle possibile forme di cui al novellato art. 11 c. 13, appunto la scrittura privata, pertanto, a meno di interpretazioni difformi provenienti dalla giurisprudenza, appare ancora possibile procedere alla stipula scrittura privata su supporto cartaceo.
L’assetto normativo come novellato deve trovare integrazione sistematica e coordinamento ermeneutico con le norme di cui all’art. 21 del D.Lgs. 82/2005 e s.m.i. (codice amministrazione digitale), laddove si specificano le modalità di sottoscrizione con firma elettronica di un documento informatico.
Il comma 2 bis del medesimo articolo, d’altro canto, sembrerebbe restringere il campo di applicazione di tale norma (ipoteticamente escludendo i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), dal momento che stabilisce che “le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale”.
Il richiamo all’art. 1350 c.c., risulta però foriero di incongruenze ermeneutiche circa l’ambito di applicazione di tali disposizioni, dal momento che, sotto il profilo oggettivo, le categorie elencate dai numeri 1 a 12 (diritti reali ed atti dispositivi ad esse relativi) risultano in buona parte escluse dall’applicabilità del codice dei contratti (v. ad esempio l’art. 19 del D.Lgs. 163/06), svelandosi una crepa nel coordinamento sistematico tra norme circa le concrete modalità (elettronica ovvero digitale) di stipula dei contratti relativi ai lavori, servizi e forniture di cui all’art. 11 comma 13 del D. Lgs. 163/06.
A fortori tale ragionamento risulta giustificato dal momento che il legislatore del codice dell’amministrazione digitale ha scientemente evitato di ricomprendere nel richiamare l’art. 1350 c.c il n. 13 (altri atti indicati dalla legge), unico appiglio che avrebbe consentito l’aggancio alla categoria dei contratti pubblici.
E’ bene infine ricordare che, per quanto concerne i contratti sotto soglia comunitaria, per cui ai sensi del dell’art. 7, d.l. 52/2012 (conv. in l. 94/2012) le stazioni appaltanti sono onerate del ricorso alla procedure delle aste elettroniche previste dall’art. 328 del D.P.R. 207/2010, sembrerebbe essere derogato l’assetto normativo sopra richiamato, laddove si possa procedere alla stipula contrattuale secondo forme diverse.
4. Conclusioni
Senza alcun dubbio, l’intervento “semplificatorio” in tema di digitalizzazione del forme di stipula della volontà negoziale della pubblica amministrazione, consente concretamente, se si pone attenzione all’ampiezza territoriale da cui provengono gli operatori economici del mercato dei contratti pubblici europei, di snellire considerevolmente le formalità connesse alla stipula, nell’ottica di un completo superamento della necessaria contestualità della sottoscrizione del documento da parte dei contraenti, ormai anacronistica in una economia globalizzata e tecnologica.
Residuano però alcune incongruenze interprative, nei termini anzi tratteggiati, che, in assenza di interventi in sede di regolazione secondaria e di dettaglio, potrebbero ingenerare confusione e disomogeneità esecutive in ordine alle corrette modalità di stipula dei contratti, attivandosi, in caso errori, l’ipotesi della nullità contrattuale.
Non risultano in effetti chiaramente identificabili quali possano essere le “norme vigenti per ciascuna stazione appaltante” in relazione alle “modalità elettroniche”, secondo cui procedere alla stipula del contratto.
Tale incertezza mal si concilia con il divieto di libertà delle forme in tema di contratti pubblici – si rammenta – non intaccato dalla novella in parola che quindi conferma la necessità del requisito della forma ad substantiam seppur nelle forme indicate dal codice dell’amministrazione digitale, potendosi inverarsi prassi amministrative potenzialmente illegittime, sull’assunto che ogni stazione appaltante possa liberamente stabilire una propria procedura di stipulazione.
Una incertezza applicativa di tale tenore, per di più in una fattispecie per cui la legge commina la sanzione della nullità, se si pone riguardo a realtà amministrative meno dotate di mezzi e competenze tecniche, lungi dall’essere di minor rilievo, rischia di poter incidere direttamente sulla legittimità dell’operato della amministrazione pubblica, con inevitabili riflessi sul piano del contenzioso, che in ipotesi di nullità per vizi propri del contratto e non derivanti da presupposte illegittimità del procedimento di aggiudicazione, potrebbe ragionevolmente instaurarsi dinanzi al giudice ordinario.
[1] AVCP, Parere n. AG 43/2010 del 27 gennaio 2011
[2] L’art. 17 regio decreto n. 2440 del 1923 prevede che i contratti possano essere conclusi mediante trattativa privata e scambio di corrispondenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1999, n. 178). In giurisprudenza si ritiene non necessaria la contestualità della manifestazione della volontà negoziale (cfr. Corte Cass., 18 luglio 1997, n. 6629; 13 maggio 1997, n. 4185)