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Tra le novità di maggior rilievo del nuovo codice degli appalti e delle concessioni – nel testo di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 3 marzo 2016 ed ora presentato per i pareri delle commissioni competenti – riveste una particolare importanza l’introduzione di una specifica disciplina che consente di modificare il contratto in vigore al fine  di evitare l’avvio di ulteriori procedure di affidamento. 

Come si legge nella relazione tecnica che accompagna il testo del decreto legislativo, l’articolo 106 (Modifica di contratti durante il periodo di validità) recepisce gli articoli 72 della direttiva 2014/24/UE, nonché dall’articolo 89 direttiva 2015/25/UE ed attua quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, lett. ee) della legge delega 28 gennaio 2016, n. 11.

La fase di esecuzione del contratto e, in particolare, l’aspetto delle possibili modifiche contrattuali, viene affrontata per la prima volta dal legislatore comunitario sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia e, conseguentemente, la Corte ha ritenuto che alcune modifiche contrattuali, evidentemente nei contratti di lunga durata, devono considerarsi inevitabili e consentite e contestualmente ha affermato che deriva dai principi generali in materia di appalti pubblici un generale divieto di apportare modifiche oggettive e soggettive al contratto già concluso ed in corso di esecuzione.

In sintesi, ed in prima lettura senza pretesa di essere esaustivi, con la disposizione in commento,il legislatore si è fatto carico di considerare quella serie di eventi, anche fisiologici, durante la fase esecutiva del contratto che incidono sul rapporto contrattuale e che  il RUP si trova – ora – a presidiare senza che risulti una disciplina specifica.   

Situazioni pertanto, come si vedrà nel prosieguo, che secondo questa disciplina, consentono – pur con specifici adempimenti di trasparenza e di comunicazione –  la possibilità di proseguire il rapporto con lo stesso affidatario, con lo stesso CIG, adattando il preesistete rapporto contrattuale senza dover necessariamente avviare un nuovo procedimento di gara e, di conseguenza, riducendo tutte quelle implicanze che possono sorgere con continuo aggravio di costi – non solo in termini finanziari – per la stazione appaltante.

1. La modificabilità del contratto

Le ipotesi di modifica sono disciplinate dall’attuale testo dell’articolo 106   composto di ben 14 commi.

Il primo comma chiarisce che i contratti in corso di validità possono essere modificati senza un nuovo affidamento esclusivamente – e quindi si tratta di norma che non può essere applicata analogicamente –   nelle circostanze declinate da questa norma.

Nel dettaglio, come si legge nella relazione tecnica,  “lo ius variandi può essere esercitato se le modifiche contrattuali, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali”. Ipotesi declinata nella lettera a) del primo comma dell’articolo in commento.

Pertanto, ed in via generale, per superare il logico divieto della modifica di un contratto il cui contenuto risulta determinato dalle risultanze di una gara pubblica – sia pur attraverso un procedimento informale – la condizione indispensabile è che la possibilità di apportare delle variazioni siano state previamente ammesse con specifiche clausole già inserite nella legge speciale di gara in cui vengono tratteggiati gli ambiti operativi della stazione appaltante che l’appaltatore deve accettare quale conseguenza dell’aggiudicazione della competizione.

Il primo comma, che prevede ben 5 possibilità di variare il contratto in corso di validità, alla lett. a) ammette pertanto l’inserimento nei documenti di gara  di clausole di modifica del contenuto contrattuale comprese le clausole di revisione dei prezzi.

Queste clausole devono fissare  “la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazione dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro”.

Il RUP, pertanto, sarà tenuto ad introdurre dei riferimenti oggettivi per poter avviare la revisione del prezzo del contratto sempre che tali modifiche non alterino la causa del contratto. 

In relazione ai contratti di lavori – sempre la lett. a) – “le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate solo per l’eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà”.

Mentre, sempre restando nella disposizione in commento, per i contratti relativi a servizi o forniture  stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.

La norma contiene un riferimento agli obblighi – in vigore dal 1° gennaio 2016 –  per i contratti stipulati in ossequio all’obbligo di approvvigionamento dai soggetti aggregatori, vincolo esteso con la legge di stabilità (legge 208/2015) anche agli enti locali).

L’adesione alle iniziative dei soggetti aggregatori (le centrali di committenza, anche regionali, qualificate dall’ANAC) è imposto in relazione a specifiche  tipologie  di  beni/servizi e per acquisti sopra le soglie indicate dal recente DPCM del  24 dicembre 2015,  in G.U. del 9 febbraio 2016 n. 32.

In relazione a questi contratti – e circa la possibilità della revisione dei prezzi – il comma 511, articolo 1, della legge di stabilità per il 2016, prevede che nel caso “in cui la clausola di revisione e adeguamento dei prezzi (nda inserita nel contratto) sia collegata o indicizzata al valore di beni indifferenziati, qualora si sia verificata una variazione nel valore dei predetti beni, che abbia determinato un aumento o una diminuzione del prezzo complessivo in misura non inferiore al 10 per cento e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale, come accertato dall’autorità indipendente preposta alla regolazione del settore relativo allo specifico contratto ovvero, in mancanza, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere, con decorrenza dalla data dell’istanza presentata ai sensi del presente comma, una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo. In caso di raggiungimento dell’accordo, i soggetti contraenti possono, nei trenta giorni  successivi a tale accordo, esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 1373 del codice civile. Nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo le parti possono consensualmente risolvere il contratto senza che sia dovuto alcun indennizzo come conseguenza della risoluzione del contratto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1467 del codice civile. Le parti possono chiedere all’autorità che provvede all’accertamento di cui al presente comma di fornire, entro trenta giorni dalla richiesta, le indicazioni utili per il ripristino dell’equilibrio contrattuale ovvero, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi”.

Un meccanismo, si potrebbe dire, penalizzante per l’appaltatore già noto perché – in relazione ad altre ipotesi – già introdotto dalla legislazione spending review ed in particolare dalla legge 135/2012, articolo 1 (c.d. seconda legge spending).

2. Le commesse supplementari

La lettera b) – sempre del primo comma – dell’articolo in commento introduce invece una delle ipotesi “recuperate” dall’art. 57 comma 5, lettera a) del D.lgs. 163/2006 che consente l’utilizzo della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara per lavori o servizi complementari. Nel testo del predisponendo codice la previsione – oggi inserita tra le procedure negoziate senza pubblicazione del bando di gara – viene innestata invece, forse più correttamente, tra le ipotesi che ammettono la modifica del contratto con conseguente inserimento nell’ambito relativo all’esecuzione contrattuale (nell’ambito civilistico).   

Per effetto di quanto, la modifica del contratto è ammessa (lett. b)) per lavori, servizi o forniture, supplementari da parte del contraente originale a condizione che tali commesse supplementari si siano rese necessarie e non risultassero già incluse nell’appalto iniziale.  

Nel caso degli appalti nei settori ordinari,  “il contratto può essere modificato se l’eventuale aumento di prezzo non eccede il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice”.

L’ipotesi appena sintetizzata è da ritenersi ammessa nel caso in cui il mutamento di affidatario: 

1) risulti impraticabile per motivi economici o tecniciquali il rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperabilità tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito dell’appalto iniziale;

2) comporti per l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi.

Inoltre, al comma 8, si prevede – nel caso specifico sopra riportato – che la stazione appaltante comunichi all’ANAC le modificazioni al contratto, nel caso di modifica in questa ipotesi,  entro trenta giorni dal loro perfezionamento.

E’ bene annotare, che in caso di mancata o tardiva comunicazione l’ Autorità irroga una sanzione amministrativa al RUP di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo. Viene introdotto pertanto un nuovo obbligo per il responsabile unico del procedimento anche pesantemente sanzionato.

L’Autorità pubblica sulla sezione del sito Amministrazione trasparente l’elenco delle modificazioni contrattuali comunicate, indicando l’opera, l’amministrazione o l’ente aggiudicatore, l’aggiudicatario, il progettista, il valore della modifica.

3. La modifica per circostanze sopravvenute

Ulteriori ipotesi di modifica sono previste nella lettera c) – sempre nell’ambito del comma 1 – se rispettate vincolanti condizioni che il  RUP non potrà estendere in via analogica, ovvero:

1) la necessità di modifica sia determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;

2) la modifica non risulti in grado di  alterare la natura generale del contratto;

3) l’eventuale aumento di prezzo non sia superiore al cinquanta per cento del valore iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice.

4. Adempimenti obbligatori

Il successivo comma V dell’articolo in commento chiarisce che se le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori hanno modificato un contratto nelle situazioni di cui al comma 1, lettere b) e c), – e quindi, rispettivamente, nel caso di commesse supplementari e/o per circostanze sopravvenute – sono tenute a pubblicare un avviso sulla modifica “nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea” che deve contenere “le informazioni di cui all’allegato XIV (nda Informazioni che devono figurare negli avvisi e nei bandi nei settori ordinari e speciali), parte I, lettera G, ed è pubblicato conformemente all’articolo 72  per i settori ordinarie e all’articolo 130 per i settori speciali”.

5. La sostituzione del pregresso appaltatore

Ipotesi sicuramente innovativa è quella prevista nella lettera d), in cui si afferma l’ammissibilità di una modifica soggettiva del contratto, con la sostituzione di un nuovo contraente a quello aggiudicatario dell’appalto iniziale.

In particolare, la lettera d) prevede la possibilità di una modifica soggettiva se un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto” a causa di peculiari circostanze preventivamente fissate dal legislatore anche queste, evidentemente, non suscettibili di interpretazione estensiva da parte de RUP.

In specie, per effetto di “una clausola di revisione inequivocabile” prevista negli atti di gara iniziali che porta al recesso del pregresso affidatario.   

Nel caso in cui,  “all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del presente codice;

La modifica è ammessa anche nel caso in cui “l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente

principale nei confronti dei suoi subappaltatori”.

Infine – lett. d)) -, la modifica del rapporto contrattuale è ammissibile se le modifiche non sono sostanziali (…)”.

In relazione a questa ipotesi, le stazioni appaltanti  “possono stabilire nei documenti di gara soglie di importi per consentire le modifiche”.

5. Il concetto di  modifica sostanziale

Il comma 4° dell’articolo in commento definisce il concetto (e la misura) della modifica sostanziale che non può essere tollerata nella modifica del contratto.

Secondo la disposizione predetta, una modifica di un contratto di un accordo quadro durante il periodo della sua validità è considerata sostanziale “quando muta sostanzialmente la natura del contratto quadro rispetto a quello inizialmente concluso”.

In ogni caso, una modifica è considerata sostanziale se vengono soddisfatte una o più delle seguenti condizioni descritte dalla norma e precisamente:

a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;

b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;

c) la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto;

d) se un nuovo contraente sostituisce quello cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore aveva inizialmente aggiudicato l’appalto in casi diversi da quelli disciplinati al comma 1, lettera d) (recesso per rifiuto di adeguare il prezzo del contratto nella misura legislativa).

5. Le modifiche in presenza di errori od omissioni

Il secondo comma ammette la possibilità di modifica il contratto in presenza di difetti del progetto esecutivo  – ferma restando la responsabilità dei progettisti – “che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione, senza necessità di una nuova procedura” a condizioneche il contratto sia sottosoglia comunitaria (valori di cui all’articolo 35 del nuovo codice degli appalti e delle concessioni ([1])). Ed a condizione che “il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizio e fornitura sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali”.

In ogni caso, la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche.

Il prezzo da prendere in considerazione – anche nel caso delle ipotesi di modifica di cui al comma 1 (lett. a) b)) e del successivo comma 7 – “è il valore di riferimento quando il contratto prevede una clausola di indicizzazione”.

6. L’errore/omissione della  progettazione

Il successivo comma 10 dell’articolo chiarisce quando si può parlare di errore/omissione  dei progettazione.

Secondo il legislatore si verificano le ipotesi che legittimano la modifica nel caso di inadeguata  “valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali”.

Come si evidenziava sopra in sede di considerazione della fattispecie, la modifica non libera dalla responsabilità i progettisti  che rimangono (comma 9)  responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione. Inoltre, nel caso di appalti aventi ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori, “l’appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze del progetto esecutivo”.

Anche in questo caso (comma 8) la stazione appaltante comunica all’ANAC le modificazioni al contratto entro trenta giorni dal loro perfezionamento ed in caso di mancata o tardiva comunicazione l’autorità irroga una sanzione amministrativa al RUP di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo.

Si amplia l’obbligo della trasparenza a cui è tenuta l’Autorità anticorruzione.

Infatti, questa è tenuta a  pubblicare sulla sezione del sito Amministrazione trasparente l’elenco delle modificazioni contrattuali comunicate, indicando l’opera, l’amministrazione o l’ente aggiudicatore, l’aggiudicatario, il progettista, il valore della modifica.

Chiaramente la possibilità di modifica per circostanze differenti non è ammessa e la stazione appaltante dovrà procedere ad una nuova gara (comma 6). 

7. Una disciplina per la proroga e per il rinnovo del contratto

I successivi commi 11 e 12 disciplinano le ipotesi di opzione di durata del contratto adeguando la carente normativa agli approdi della consolidata giurisprudenza. 

Ai sensi del comma 11, dell’articolo in commento – primo  periodo –  “la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se previstanel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga”.

La precisazione, pertanto, conferma l’orientamento giurisprudenziale che ha ammesso la possibilità di  estendere la durata del contratto esclusivamente nel caso in cui il bando abbia previsto espressamente tale possibilità.

Questo implica, evidentemente, che nella base d’asta risulti espressamente  previsto il “costo” dell’opzione di durata e chi si aggiudica l’appalto, pertanto, si aggiudica anche la potenziale possibilità di estensione rimessa comunque  alle valutazioni tecniche del RUP.  Il riferimento al bando sembrerebbe limitare l’utilizzo dell’opzione solamente nel caso della classica procedura ad evidenza pubblica.

La proroga, nella legge,  si atteggia come previsione di una proroga programmata  della durata del contratto per il tempo minimo necessario per l’espletamento della gara per individuare il nuovo affidatario.

In questo senso, nel comma in parola, ancora,  si legge che “la proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante”.

Si rimane, pertanto, nello stesso contratto – quindi con un unico CIG – e l’aggiudicazione dell’opzione determina un obbligo dell’affidatario ad eseguire le prestazioni almeno agli stessi patti e condizioni.

La previsione di prorogare a potenziali condizioni migliorative introduce, anche questa è una novità, la possibilità per il RUP di rinegoziare le condizioni contrattuali al fine migliorarle.

Non è chiaro se la possibilità di avere condizioni migliorative possa essere “negoziata” dal RUP con l’affidatario condizionando la stessa possibilità di quest’ultimo di avere la proroga del contratto. Sotto il profilo pratico, si è indotti a ritenere che anche la questione delle condizioni contrattuali e/o il margine di negoziazione debba essere ben chiarito nel bando e nei documenti di gara.     

Il successivo comma 12 disciplina invece il rinnovo del contratto. Secondo la disposizione, “il contratto di appalto può essere, nei casi in cui sia stato previsto nei documenti di gara, rinnovato per una sola volta, per una durata e un importo non superiori a quelli del contratto originario. A tal fine le parti stipulano un nuovo contratto, accessorio al contratto originario, di conferma o di modifica delle parti non più attuali, nonché per la disciplina del prezzo e della durata”.

La differenza rispetto alla proroga – peraltro già nota ma non disciplinata dal legislatore – sembra essere evidente: la proroga estende la  durata del contratto nel caso in cui ciò risulti necessario per reperire un nuovo appaltatore mentre il rinnovo è un nuovo contratto depurato delle varie parti non più attuali rispetto alle necessità della stazione appaltante.

Nel caso di specie, non viene richiamato il bando di gara ma solamente i documenti. E’ chiaro però che in fase di predisposizione degli atti il RUP dovrà aver una cura particolare nel prevedere questa prerogativa in modo che i partecipanti – come anche sostenuto dalla giurisprudenza – risultino chiaramente edotti di tali potenzialità e possano formulare l’offerta più competitiva possibile.

Anche in questo caso rimane aperta la questione del margine di rinegoziazione delle condizioni contrattuali che portano al “nuovo” contratto. Tutti aspetti che dovrebbero risultare chiaramente esplicitati nel bando e negli atti di gara da parte del RUP.   

8. La disciplina dell’estensione quantitativa

Il comma 13 ridisciplina l’istituto del c.d. quinto d’obbligo – secondo quanto già previsto dalla legislazione del 1865, nel R.D. 2440/1923 e regolamento di esecuzione n. 827/1924 nonché,  per i lavori, all’ art. 161 e  per  servizi e forniture all’articolo 311 del regolamento attuativo del codice -,  prevedendo che la  stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso la richiesta è possibile a prescindere da ipotesi specifiche – come imposto dalla legislazione pregressa ed attuale -, ovviamente,  l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.

Infine, il comma 14 puntualizza l’applicazione delle disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 – sulla cessione dei crediti di impresa –  evidenziando che ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti, “le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici che, previa comunicazione all’ANAC, le rendono efficaci e opponibili a seguito di espressa accettazione”.


[1] Norma che detta le disposizioni applicabili in relazione ai contratti di importo sotto la soglia  comunitaria svincolati dalla rigidità che caratterizza gli appalti di interesse comunitario. 

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Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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