Questo articolo è valutato
( votes)Premessa
Il nuovo codice dei contratti, con previsione inedita rispetto al pregresso ordinamento, detta una articolata disciplina (art. 106) in tema di continuità (tra contratti) e di modifiche contrattuali.
Gran parte della norma è focalizzata, evidentemente, sulle potenziali modifiche dei contratti e quindi sulla possibilità – a contratto in vigore (senza necessità di espletare una nuova gara) – di forme di “prosecuzione” (anche con diverso appaltatore) delle prestazioni affidate.
Alcune disposizioni – alcune inedite – invece, sono destinate a disciplinare forme di differimento della scadenza del contratto come, a titolo esemplificativo, la proroga.
E’ bene premettere che, nella prima versione dell’articolo in commento, il legislatore del codice aveva previsto – anche seguendo le indicazioni espresse nella direttiva comunitaria 24/2014 (ma così anche quelle pregresse) – la disciplina del “rinnovo” del contratto.
L’ipotesi era stata ritenuta legittima dallo stesso Consiglio di Stato con il parere – sullo schema di codice – n. 856/2016 – il quale, però, si limitava a precisare l’esigenza che la previsione venisse inserita in altra disposizione e non direttamente nel corpo dell’articolo in commento (destinato, come detto, a disciplinare sostanzialmente le modifiche del contratto mentre il rinnovo non si sostanzia in una modifica ma in una reiterazione dell’affidamento già programmata – ed aggiudicata – con la precedente gara).
Il rinnovo, a prescindere dalla esistenza o meno di una previsione specifica nell’articolo 106 risulta in realtà richiamato dall’articolo 35 del codice dei contratti, comma quarto, e viene pacificamente ammesso sia dalla giurisprudenza e dalla stessa ANAC e sul punto è sufficiente rinviare alle chiare clausole inserite nei vari bandi tipo.
Indicazione molto importante per il RUP nella fase di predisposizione di legge di gara soprattutto – se non essenzialmente – nel caso di appalto di servizi (ed in specie, nel caso di situazioni specifiche come negli appalti per i servizi sociali e similari).
Alcune disposizioni dell’articolo 106 – alcune inedite – invece, sono destinate a disciplinare forme di differimento della scadenza del contratto come, titolo esemplificativo, la proroga.
1. La questione della continuità del contratto
La “prosecuzione” del contratto (o meglio, della prestazione) senza modifiche, pone – almeno limitatamente ad una fattispecie – una importante questione in tempi recentissimi riaffrontata dal giudice amministrativo ovvero quella dell’adeguamento dei prezzi pattuiti (della c.d. revisione contrattuale).
Il problema si pone soprattutto – al netto, come si è detto di autentiche ipotesi di modifica del contratto di cui si dirà a tempo debito – nel caso della proroga del contratto ma non anche in fattispecie simili come, appunto, il rinnovo o la ripetizione del servizio (o dei lavori visto la nuova previsione codicistica).
Negli ultimi due casi, che sostanziano autentici affidamenti “nuovi” senza “continuità” – il secondo addirittura una autentica procedura contrattuale vera e propria – non si pongono questioni di revisione dei prezzi visto che l’appaltatore deve espressamente accettare gli “stessi patti e condizioni” la questione della revisione non si pone neppure.
Ponendosi invece, con valenza sostanziale, nel caso della proroga con una importante differenza rispetto al pregresso regime codicistico.
Nel decreto legislativo 163/2006 (art. 115), infatti, la revisione/adeguamento del prezzo di contratto nel caso di continuità di prestazioni oltre la durata originaria si imponeva come obbligatorio per la stazione appaltante con valenza eterointegrativa (la norma operava, pertanto, anche nel caso di assenza di una previsione specifica nel disciplinare o nel contratto d’appalto).
Nel nuovo regime codicistico (e proprio ai sensi dell’articolo 106 come si vedrà meglio più avanti) la revisione/adeguamento del prezzo di contratto non rappresenta più un obbligo ma viene rimessa – la sua previsione – ad una autonoma decisione della stazione appaltante e quindi del RUP che, come si vedrà, deve soppesare con il dirigente/responsabile del servizio le eventuali conseguenze in caso di mancata previsione.
2. La proroga (continuità) del contratto
Ai sensi del comma 11, dell’articolo 106 del codice, la legge di gara può prevedere la possibilità di estendere la durata del contratto (appunto con una proroga) e, secondo il legislatore, anche questa fattispecie integra una modifica del contratto ma occorre ben intendere l’ultimo inciso. Infatti, ciò che viene modificato non è il contratto – come nelle varie fattispecie disciplinate dai commi dell’articolo in parola – ma, semplicemente, la scadenza del contratto che viene “posposta”, differita per specifici motivi.
E’ chiaro che il differimento incide anche sul dato “quantitativo” della prestazione ma questa è una conseguenza della posposizione nel senso che nella proroga RUP ed appaltatore hanno concordato – quest’ultimo aggiudicandosi la prerogativa con l’appalto – un’unica modifica. Pertanto non si rientrerà nella fattispecie della proroga nel caso in cui vengano variati anche gli originari rapporti definiti con l’appalto rispetto alla “quantità” della prestazione.
Il servizio/fornitura dovrà essere quella pattuita con la differenza che viene “esteso” il periodo di erogazione.
Il dato afferente la prestazione tollerabile potrebbe essere solo quello in diminuzione e non in aumento.
3. Le condizioni minime per poter prorogare la durata del contratto
Il comma 11 dell’articolo 106, chiarisce le condizioni minime indispensabili per poter “prorogare” la scadenza (e quindi la prestazione) del contratto.
Queste condizioni devono ricorrere contemporaneamente a pena di illegittimità dell’estensione della durata del contratto.
In particolare:
a. La durata del contratto può essere modificata se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga.
La previsione, assolutamente coerente con il disposto di cui all’articolo 35 – comma quarto – del codice dei contratti, impone una regola “comunitaria” essenziale ed imprescindibile ovvero la previsione della possibile/potenziale estensione della durata contrattuale nel bando di gara o nella lettera di invito.
Non solo per una ovvia esigenza di trasparenza (gli appaltatori devono sapere anticipatamente che a fronte di una base d’asta predefinita vi è una possibilità ulteriore rimessa in ogni caso alla volontà/discrezionalità tecnica della stazione appaltante) ma per il rispetto delle stesse disposizioni del codice che distingue – e non in modo irrilevante – tra appalti sotto e sopra soglia comunitaria.
Pertanto, la previsione nel bando di gara delle opzioni rende necessaria, da parte del RUP, la somma tra questi due valori (al netto dell’IVA) al fine di comprendere se all’appalto deve essere applicata una disciplina “semplificata” oppure la rigorosissima disciplina comunitaria.
Come si diceva, la differenza è rilevantissima si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla differenza tra un appalto aggiudicato con le disposizioni del solo art. 36 (e delle linee guida ANAC n. 4) e il rigore che comporta l’applicazione delle norme codicistiche in tema di pubblicità e via discorrendo.
In caso di mancata previsione, non si può parlare di proroga come fattispecie disciplinata dal comma in commento ma di un autentico affidamento diretto che esige l’adozione di un CIG nuovo e, soprattutto, deve risultare comunque motivata.
La decisione di effettuare una proroga non prevista “a monte” del procedimento si atteggia in effetti come un atto “non ordinario” e potrebbe suscitare più di un “dubbio” tecnico.
Si pensi al caso del frazionamento: il RUP invece di effettuare una gara con applicazione delle norme codicistiche riduce arbitrariamente l’importo dell’appalto confidando sulla possibilità di una proroga contrattuale.
In questo caso vengono in considerazione altre norme dell’articolo 106 come le variazioni anche oggetto – a seconda dell’importo – a fondamentali comunicazioni all’ANAC a pena di sanzioni pecuniarie per il RUP.
b. la proroga può essere esperita solamente nei confronti di un contratto in corso di esecuzione. Il differimento della durata deve essere stabilito “a monte” della procedura ma diventa operativo solo nel momento in cui la stazione appaltante “scioglie” la riserva sull’esperibilità o meno dell’opzione di prosecuzione.
Nel momento in cui si prevede la proroga è necessario che il RUP stabilisca nella legge di gara anche un minimo di disciplina che possa presidiare la propria istruttoria. Ad esempio, il termine entro il quale l’appaltatore deve essere “consultato” al fine di comprendere se accetta o meno il differimento della scadenza contrattuale. Questa operazione, ovviamente, deve essere fatta in termini utili prevedendo anche il fatto che l’appaltatore possa non accettare l’offerta agli stessi patti e condizioni. Imponendo, pertanto, al RUP l’affidamento in urgenza ad altro affidatario per un periodo tale da consentire l’espletamento della nuova gara d’appalto.
Occorre, in sostanza, evitare di porre la stazione appaltante in una situazione tale da dover “subire” i desiderata dell’appaltatore.
c. la proroga deve essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente.
Una delle condizioni richieste consente di chiarire, immediatamente, l’essenza della proroga “ponte” prevista dal legislatore nell’articolo 106. Questo differimento della scadenza contrattuale viene stabilita a priori proprio “analizzando” le potenziali difficoltà tecniche nell’esperimento della nuova gara. Queste difficoltà possono essere determinate – secondo una previsione oggettiva e “serena” – anche dalla carenza di organico. Nel senso che, per meglio intendersi, la carenza di organico ben può giustificare la previsione di una proroga del contratto ma non anche l’affidamento diretto.
Nel primo caso, ovvero programmare delle proroghe prevedendo, in modo razionale, possibili problemi nel riappaltare la gara, si pensi alla tematica del contenzioso, alla complessità dell’appalto e via discorrendo, è uno degli aspetti che deve caratterizzare l’attività del RUP nel senso che questi deve avere un notevole senso organizzativo/programmatorio per evitare poi di lasciare la stazione appaltante senza le prestazioni necessarie.
La disposizione codicistica non indica un termine per la proroga rimettendola, quindi, ad una valutazione discrezionale della stazione appaltante. Stazione appaltante che potrebbe disciplinare la fattispecie anche nel regolamento interno sui contratti.
In ogni caso, questa durata – che deve essere preventivata – deve prendere in considerazione, come detto, le reali difficoltà che potrebbero sorgere. Naturalmente, la durata della proroga deve essere proporzionata anche alla durata dell’appalto originario. Ad esempio, si potrebbe non ritenere legittima una proroga di 6 mesi a fronte di un contratto di un anno. Un semestre potrebbe riguardare l’appalto almeno biennale ipotizzando che il riavvio del procedimento implichi, molto probabilmente, l’applicazione delle norme codicistiche previste per il sopra soglia comunitario.
In ogni caso, le motivazioni diventano rilevanti nel momento in cui si procede con la determina che autorizza la proroga e che comporterà l’assunzione dell’impegno di spesa. In questo caso, la proroga non potrà essere motivata solo con riferimento alla previa “programmazione” negli atti di gara ma dovrà essere corredata da attente motivazioni anche perché potrebbe emergere che della proroga – e quindi del differimento del termine di scadenza del contratto – non vi è alcuna necessità.
d. il contraente deve accettare una prosecuzione agli stessi patti e condizioni.
La condizione sulla esigenza che l’appaltatore accetti lo stesso prezzo pattuito in occasione dell’aggiudicazione è, evidentemente, di fondamentale importanza anche per evitare danni erariali.
Nella predisposizione della clausola sul differimento, il RUP deve essere molto chiaro nel senso che alla proposta di prorogare il contratto, l’appaltatore – anche tentando di “approfittare” della condizione della stazione appaltante che ha l’esigenza di avere la prestazione non potendo avviare immediatamente la nuova gara – non può pretendere alcunché che non sia già stato pattuito né modifiche del contratto tali che possano alterarlo.
Sono possibili quindi solo alcuni ritocchi, tutti a vantaggio della stazione appaltante e l’appaltatore non può pretendere di “migliorare” le condizioni che sono scaturite dall’aggiudicazione.
Queste ultime considerazioni, come si evidenziava in premessa, impongono però di affrontare praticamente la questione dell’adeguamento del prezzo del contratto (nel senso della revisione).
La proroga deve essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente.
4. La revisione del prezzo del contratto
Si rilevava in premessa che la giurisprudenza ammette l’adeguamento dei prezzi contrattuali solo nel caso di proroga (e non anche nel caso di rinnovo), che integra una sostanziale continuità di contratti, se il contratto prevede questa clausola e se il contraente dimostra oggettivamente un peggioramento dei propri prezzi.
Il giudice del Tar Lombardia, Milano, sez. III, con la sentenza del 28 febbraio 2018 n. 595 si è pronunciato proprio sul tema dell’adeguamento del prezzo del contratto.
La norma contenuta nell’articolo 115 del pregresso codice dei contratti non è stata ripresa nel nuovo codice pur con una disposizione – in tema di adeguamento di prezzi da ritenersi pertanto ora facoltativa – nell’articolo 106 del codice dei contratti.
L’adeguamento deve ritenersi ammesso nel caso di proroga. Sul punto, in sentenza si legge che è “sufficiente in proposito far rinvio alla costante giurisprudenza secondo la quale la revisione dei prezzi si applica solo alle proroghe contrattuali, previste come tali ab origine negli atti di gara ed oggetto di consenso a monte nonché note ai concorrenti della procedura selettiva per l’affidamento del contratto originario (e quindi coinvolte nell’offerta economica da costoro presentata), ma non anche negli atti successivi al contratto originario, con i quali, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, pur se di contenuto identico a quello originario in merito alla remunerazione del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica del corrispettivo, che pure la parte privata era libera di formulare, nel contesto di un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale, attraverso cui vengono liberamente pattuite le condizioni del rapporto (T.A.R. Lazio – Roma sez. II, 4 settembre 2017, n. 9531)”.
Sulla facoltatività, in tempi recentissimi, è tornato lo stesso Consiglio di Stato. La sentenza del giudice di Palazzo Spada, sez. III, del 19 giugno 2018 n. 3768 ribadisce infatti che nel nuovo codice degli appalti, la revisione non è obbligatoria per legge come nella previgente disciplina, ma opera solo se prevista dai documenti di gara. Ciò comporta l’inapplicabilità della giurisprudenza, già richiamata, sulla natura imperativa e sull’inserimento automatico delle clausole relative alla revisione prezzi e alla loro sostituzione delle clausole contrattuali difformi; ulteriore differenza tra la disciplina recata tra i due codici si rinviene in ordine all’applicabilità della revisione prezzi anche ai “settori speciali”, che era esclusa nel regime recato dal D.Lgs. n. 163/06 ed è invece ora ammessa dall’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016.
In relazione al pregresso codice, inoltre, si puntualizza che non essendo prevista per gli appalti relativi ai servizi di cui all’Allegato II B una espressa previsione di applicabilità delle norme del codice degli appalti, come nel caso dei contratti relativi ai servizi di cui all’Allegato II A, né essendo rinvenibile nel D.Lgs. n. 163/06 un’altra disposizione che estenda anche a questa tipologia di appalti di servizi la norma recata dall’art. 115, legittimamente l’amministrazione ha negato la revisione dei prezzi, tenuto conto che non sussiste un obbligo di legge di riconoscerla.
Pur essendo facoltativa, è bene dar conto della posizione espressa dall’ANCI che ritiene l’inserimento della clausola di revisione del prezzo come doverosa – in particolare per appalti di servizi – onde evitare che un aumento sconsiderato di costi per l’appaltatore possa indurre questo a fornire prestazioni scadenti. Quindi la scelta è chiara se la clausola sulla revisione del prezzo non viene inserita il direttore dell’esecuzione deve attentamente vigilare sulla qualità delle prestazioni rese onde evitare che l’appaltatore abusi della propria posizione e non esegua correttamente le proprie obbligazioni.
La norma contenuta nell’articolo 115 del pregresso codice dei contratti, sulla revisione del prezzo di contratto, non è stata ripresa nel nuovo codice pur con una disposizione – in tema di adeguamento di prezzi da ritenersi pertanto ora facoltativa – nell’articolo 106 del codice dei contratti.
5. Le considerazioni dell’ANCI sulla clausola di revisione
Come si annotava, per la rilevanza – sotto il profilo istruttorio dei compiti del RUP – in tema si deve riportare la riflessione espressa dall’ANCI (in relazione ad uno specifico quesito sulla obbligatorietà o meno della clausola di adeguamento del prezzo).
Secondo gli uffici di consulenza dell’ANCI, “L’art. 106 lettera a) del D.Lgs. 50/2016 prevede che i contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento (…) “se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi”. L’apposizione della clausola, da parte dell’amministrazione, è facoltativa, in linea con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui l’istituto della revisione è preordinato, nell’attuale disciplina (si faceva riferimento all’art. 115 del D.Lgs. 163/2006, oggi abrogato), alla tutela dell’esigenza, propria dell’Amministrazione, di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (Cons. St., sez. V, 23.4.2014, n. 2052). Solo in via mediata l’istituto in esame tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni (Consiglio di Stato (sez. III 1/4/2016 n. 1309). Si ricorda inoltre che la norma fa salve le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 208/2015 (Legge stabilità 2016), che prevede la facoltà per l’appaltatore o il committente di chiedere una revisione nel caso di contratti di servizi e forniture ad esecuzione continuata o periodica che prevedono una clausola di revisione dei prezzi indicizzata al valore di beni indifferenziati, quando tale indicizzazione abbia determinato un aumento o una diminuzione del prezzo indicato al momento dell’offerta superiore al 10% e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale; in alternativa sono possibili la risoluzione del contratto o il recesso, senza che sia dovuto alcun indennizzo.”
Pur essendo facoltativa, è bene dar conto della posizione espressa dall’ANCI che ritiene l’inserimento della clausola di revisione del prezzo come doverosa – in particolare per appalti di servizi – onde evitare che un aumento sconsiderato di costi per l’appaltatore possa indurre questo a fornire prestazioni scadenti.
6. Il procedimento amministrativo (di competenza del RUP)
La revisione contrattuale, pertanto, deve essere operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi e deve essere basata sui c.d. costi standard.
Le parti possono chiedere all’ANAC, che provvede all’accertamento, di fornire le indicazioni utili per il ripristino dell’equilibrio contrattuale o, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi. A tutt’oggi i costi standard non sono ancora stati determinati.
Nelle more di tale determinazione, il comma 7 dell’articolo 9 del d.l. 66/2014 ha incaricato l’ANAC di fornire, a partire dal 1° ottobre 2014, attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici, un’elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e servizi, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, nonché di pubblicare sul proprio sito web i prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisti di tali beni e servizi. L’apposizione di una clausola di revisione dei prezzi può essere opportuna per evitare il rischio che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario su cui è avvenuta la stipula del contratto e il rischio per l’impresa di subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino nell’arco dell’esecuzione, che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.
Pur facoltativa si ritiene che l’adeguamento – soprattutto per contratti di servizi a prestazioni continuative – debba essere previsto dal parte del RUP anche per evitare lo “scadimento” delle prestazioni determinato dall’erosione dell’utile dell’appaltatore per effetto dell’andamento dell’inflazione. Questo, si ripete, nel caso insista effettivamente il pericolo di uno scadimento delle prestazioni e non vi siano oggettivi strumenti di controllo. In difetto, è bene che l’aspetto venga valutato attentamente anche perché potrebbe emergere che con un affidamento diretto (ad altro appaltatore limitato per il tempo necessario per l’espletamento della gara) la stazione appaltante subirebbe un esborso economico inferiore. Insomma, occorre far attenzione a non procurare un danno erariale.
Se la clausola viene inserita, il RUP dovrà anche curare – come si diceva sopra – la previsione nella legge di gara, di una adeguata disciplina dell’ applicazione pratica.
L’adeguamento non potrà che operare per il solo momento del periodo di proroga (e non di rinnovo che, autenticamente, è un nuovo contratto) e la dimostrazione del differenziale di prezzo deve essere dimostrata dall’appaltatore e riconosciuta previa verifica (sulla congruità del prezzo) da parte del RUP (o del direttore dell’esecuzione);
Anche in questo senso, il periodo successivo del comma in commento, puntualizza che le clausole (oltre che autorizzative di modifiche ma anche di revisione dei prezzi) “fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti”.
Copertura finanziaria, per la proroga, che non viene assicurata nel momento in cui si dispone l’impegno di spesa contestuale all’aggiudicazione. In quanto, per effetto della contabilità armonizzata, l’impegno deve essere tarato sull’importo economico che scaturisce dall’obbligazione giuridica. Ora l’obbligazione giuridica, concreta, per la stazione appaltante è nella misura della base d’asta aggiudicata (la base d’asta meno il ribasso).
7. La determinazione della proroga del contratto
Il primo comma dell’articolo 106 rimette le modifiche contrattuali alla competenza del RUP. In questo senso, nella disposizione predetta si legge che “le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende”. Questa disposizione, evidentemente, vale anche per disporre la proroga del contratto.
E’ bene però – soprattutto per gli enti locali (ma in realtà per la generalità delle stazioni appaltanti) – chiarire il disposto normativo sotto il profilo pratico degli atti da compiere e della competenza.
La decisione di autorizzare la proroga non può che passare per una istruttoria preventiva, condotta necessariamente dal responsabile unico del procedimento, che porti a chiarire sia la fattibilità tecnica del differimento della scadenza contrattuale ma, si direbbe soprattutto, la fattibilità economica. E’ necessario in sostanza che la proroga – e quindi il prolungamento del contratto abbia una adeguata copertura finanziaria.
Copertura finanziaria, per la proroga, che non viene assicurata nel momento in cui si dispone l’impegno di spesa contestuale all’aggiudicazione. In quanto, per effetto della contabilità armonizzata, l’impegno deve essere tarato sull’importo economico che scaturisce dall’obbligazione giuridica. Ora l’obbligazione giuridica, concreta, per la stazione appaltante è nella misura della base d’asta aggiudicata (la base d’asta meno il ribasso).
Pertanto, per la proroga si porrà la necessità di attivare un autonomo impegno di spesa. Nel momento della proroga si perfeziona una nuova obbligazione giuridica (che può essere fissata in un atto aggiuntivo o anche solo nella determinazione controfirmata).
Delle due attività, quella tecnica e quella di perfezionamento dell’impegno di spesa, solo la prima compete al RUP (che non coincida con il dirigente/responsabile del servizio). Questo, infatti, non rispondendo di poteri gestionali dovrà predisporre la verifica delle condizioni tecniche e della copertura finanziaria predisponendo lo schema di determinazione per il proprio responsabile del servizio.
Naturalmente la successiva comunicazione all’appaltatore (e quindi il via libero) sulla proroga rimane di competenza del responsabile unico del procedimento.