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Premessa

Da molti anni si discute dell’importanza e dell’opportunità delle cd. clausole sociali di assorbimento, dette anche clausole di salvaguardia sociale. Si tratta di particolari condizioni apposte nei bandi e nei capitolati dalla Pubblica Amministrazione quando agisce come stazione appaltante, clausole che abdicano ai consueti principi economici ponendo vincoli alle gare d’appalto col fine ultimo di salvaguardare posti di lavoro, specie quelli delle categorie di soggetti particolarmente svantaggiati.

Mai come in questo periodo storico-economico, la tutela dei livelli occupazionali, con particolare riferimento ai lavoratori meno qualificati, assume fondamentale rilievo. Nell’era del turn over aziendale, della deregulation commerciale, dell’underclared work (lavoro nero) e della delocalizzazione delle imprese, la scelta di assorbire il personale utilizzato dal gestore uscente di un’attività pubblica o quello di una impresa che abbia svolto in appalto determinati servizi non può essere rimessa esclusivamente alla buona volontà delle singole parti coinvolte, ma dovrebbe essere garantita dallo Stato e dalla Comunità Europea, sia attraverso la previsione normativa di tali obblighi, sia, al contempo, con la statuizione di aiuti alle imprese che, senza soccorso esterno, vedrebbero aumentare i propri costi ma non necessariamente anche le proprie entrate.

Il quadro normativo nazionale ed europeo

In via preliminare, occorre rilevare che la questione della clausola di salvaguradia sociale sia al tempo stesso delicata e complessa in quanto interessa e coinvolge fondamentali principi costituzionali e comunitari che potrebbero anche porsi in apparente contrasto tra di loro. Ed invero, sotto un primo profilo si potrebbe ritenere che la clausola sociale di assorbimento del personale in servizio, essendo una disposizione chiaramente volta a garantire il rapporto di lavoro a chi già ne ha uno, si ponga in contrasto con i principi comunitari di concorrenza, di libera circolazione delle merci e delle persone, di libera prestazione dei servizi negli appalti pubblici e di libera circolazione dei lavoratori, i quali trovano corrispondenze nei principi costituzionali di libertà di impresa e di iniziativa economica, di uguaglianza e di imparzialità di cui agli artt. 41, 3, 4 e 97 della Costituzione italiana da mettere in relazione all’art. 2082 c.c. che definisce imprenditore “chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. In effetti la Pubblica Amministrazione, in sede di affidamento di un servizio pubblico, non dovrebbe interessarsi dei profili strettamente organizzativi, che l’ordinamento rimette alla libertà e all’autonomia dell’imprenditore. In altre parole, l’Amministrazione negli atti di gara dovrebbe, in genere, limitarsi a specificare le condizioni di affidamento dell’appalto senza occuparsi di come l’imprenditore intenda organizzare la prestazione, tenuto conto, ovviamente, delle norme sociali previste dall’ordinamento (orario di lavoro, ferie, riposi, trattamento economico, straordinari ecc.). Conseguentemente, l’imprenditore dovrebbe essere anche libero di scegliere edi organizzare i lavoratori di cui avvalersi nell’espletamento dell’attività, senza essere vincolato a riassorbire il personale già in servizio. Questa libertà di iniziativa economica e di organizzazione imprenditoriale permetterebbe di creare le condizioni per assicurare a tutti i lavoratori quelle pari opportunità in cui si sostanziano i predetti principi di libera circolazione dei lavoratori, di uguaglianza e pari opportunità.Peraltro i suesposti principi non hanno impedito agli organismi comunitari di approvare dei provvedimenti normativi che, pur presupponendo il rispetto dei principi suddetti, sembrano consentire alle Pubbliche Amministrazioni di inserire nei bandi di gara la clausola sociale di assorbimento del personale in servizio. E’ il caso della Direttiva 12/3/2001, n. 2001/23/CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti) in relazione alla Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (9/12/1989) che, in particolare, dispone che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità Europea. Tale Direttiva sembra consentire la previsione delle clausole sociali nelle procedure di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti pubblici. Essa mira a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere delle persone che sono tutelate in quanto lavoratori ai sensi delle disposizioni nazionali in materia di diritto del lavoro, indipendentemente dalla natura delle funzioni svolte da dette persone. Dalla giurisprudenza della Corte Europea in materia di appalti pubblici si evince peraltro l’obbligo, per le amministrazioni aggiudicatrici, di informare gli offerenti circa tutte le condizioni associate all’esecuzione dell’appalto, affinché essi possano tenerne conto ai fini della preparazione delle offerte. Pertanto, al momento di presentare un’offerta, l’operatore deve anche essere in grado di valutare se, qualora la stessa dovesse risultare vincente, egli avrà interesse a riacquistare dall’attuale appaltatore significativi elementi patrimoniali e a rilevare in tutto o in parte il suo personale, ovvero se sarà obbligato a farlo ed eventualmente se si troverà in una situazione di trasferimento d’impresa.

Un caso similare a quello appena esaminato è rappresentato dalla Direttiva 31/3/2004, n. 2004/18/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) recepita dal D.Lgs. 12/4/2006, n. 163.Tale Direttiva prende in considerazione gli aspetti sociali sia all’art. 19 (art. 52 del D.Lgs. n. 163/2006) – che consente alle Pubbliche Amministrazioni di riservare la partecipazione alle gare a laboratori protetti o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili – sia, soprattutto, all’art. 26 (art. 69 D.Lgs. n. 163/2006) il quale stabilisce che “le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando, o nel capitolato d’oneri” ed aggiunge che “dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali o ambientali”.

Venendo al diritto interno, va detto che la clausola di cui trattasi, oltre a trovare un fondamento nella Carta Costituzionale, compare in diverse disposizioni di diritto positivo.Sul piano costituzionale vengono in rilievo l’art. 35 Cost. laddove afferma che “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” ed ancora l’art. 4 Cost. laddove evidenzia che “la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro”.

Sul piano del diritto positivo occorre ricordare che una disposizione che, nella sostanza, contiene una clausola sociale di riassorbimento del personale impiegato in un servizio pubblico locale era già prevista dall’art. 26 del R.D. 148/1931. L’art. 2112 c.c. conferma questa logica, laddove dispone che, in caso di trasferimento dell’azienda, i lavoratori conservino verso il cessionario tutti i loro diritti.Della clausola sociale, nelle varie modalità in cui può manifestarsi, si occupa anche l’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 secondo cui “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”. Altra disposizione che viene qui in rilievo è l’art. 63 del D.Lgs. n. 112/1999 che, nel disciplinare la successione tra concessionari del servizio di riscossione, prevede sia una clausola sociale (comma 4) a favore del personale che, alla scadenza o cessazione del rapporto di concessione, risulti iscritto da almeno due anni al relativo fondo di previdenza, sia un diritto alla priorità nell’assunzione per gli ufficiali alla riscossione in caso di ritorno del servizio di concessione all’esercizio diretto da parte dell’ente locale.

La clausola sociale di riassorbimento è inoltre specificamente prevista in alcuni contratti collettivi nazionali. E’ il caso dell’art. 4 del C.C.N.L. dei servizi di pulizia, ovvero dell’art. 37 del C.C.N.L. delle cooperative sociali.

L’orientamento della giurisprudenza e dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici

La giurisprudenza si è occupata di coordinare i principi della libertà d’impresa e della libera iniziativa economica con la clausola sociale, definendo l’ambito di applicazione delle clausole previste da norme di legge o contrattuali recepite poi dai bandi di gara. E’ il caso di alcune decisioni (nn. 3848 e 3900 del 16/6/2009) con le quali il Consiglio di Stato, Sez. V, ha ritenuto di dare una lettura della clausola sociale inserita nell’art. 4 del C.C.N.L. dei servizi di pulizia coerente con il principio della libertà di iniziativa economica e con il quadro normativo di riferimento affermando che “la clausola sociale va interpretata nel senso che l’appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante. I lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali”.

La giurisprudenza ha poi messo in luce le finalità della clausola di salvaguardia coerenti con la previsione costituzionale di cui all’art. 41 Cost. secondo la quale l’iniziativa economica privata è sì libera ma deve avere riguardo anche all’utilità sociale. Così il TAR Lombardia, con decisione della Sez. III n. 1453 del 13/4/2004, avendo riguardo ad una procedura di affidamento dei servizi pubblici di trasporto ha ricordato che la prescrizione di gara che recepisce la clausola sociale è condizione che “risponde ad un interesse sostanziale della stazione appaltante, in quanto ad essa è demandato il conseguimento di una duplice finalità: quella di garantire la permanenza degli standard di espletamento dei servizi di trasporto pubblico locale mediante l’utilizzo delle professionalità maturate nell’esecuzione dei servizi e quella di assicurare la salvaguardia dell’occupazione del personale alle dipendenze del gestore uscente, mediante la prosecuzione del rapporto di lavoro con il nuovo affidatario del servizio”.

Secondo la Corte Costituzionale,che si è espressa con la recente sentenza n. 68/2011, la clausola sociale è “un istituto che opera nella ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario”. La Corte censura la disposizione della legge della Regione Puglia in quanto questa “non si limita a prevedere il mantenimento in servizio di personale già assunto, ma stabilisce in modo automatico e generalizzato l’assunzione a tempo indeterminato del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria dell’appalto ed estende tale obbligo, in modo automatico nel caso di affidamento dei servizi in favore di società strumentali costituite dalla Regione, dagli enti o dalle aziende della Regione Puglia e tra società strumentali della Regione, degli enti o delle aziende della Regione Puglia”, in palese violazione di buona parte dei principi summenzionati. Il prevedere l’assunzione a tempo indeterminato anziché l’utilizzo del personale della precedente impresa o società affidataria dell’appalto, produce, come sostenuto dalla Avvocatura Generale dello Stato, una violazione dell’art. 97 Cost. e delle richiamate norme interposte, sotto il profilo dell’imparzialità dell’azione amministrativa e uniformità della stessa sul territorio nazionale, nonché sotto il profilo del buon andamento della P.A. Tali violazioni si determinano sia per l’assenza di criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, sia perché il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere a tempo indeterminato il personale già utilizzato si riflette, anche nel caso di imprese o società affidatarie dell’appalto interamente private, sui principi di legalità e di buon andamento della P.A. affidante in termini di non conformità alle disposizioni sulla clausola sociale, di minore apertura dei servizi alla concorrenza e di maggiori costi, considerato che l’obbligo eccede i limiti temporali dell’affidamento del servizio.

L’orientamento in materia dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici è restrittivo. All’uopo si richiama il parere n. 44 del 25/2/2010 in cui si legge che l’obbligo di assunzione del personale già adibito allo svolgimento del servizio oggetto dell’appalto previsto dalla lex specialis di gara è irragionevole e ingiustificato, salvo il caso in cui sia imposto da specifiche disposizioni di legge o della contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Secondo l’Autorità la clausola sociale si dovrebbe considerare lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà di impresa riconosciuta e garantitadalla Costituzione. Tale posizione appare non condivisibile, in quanto non sembra considerare che coloro che partecipano alle gare, salvo che si tratti dell’appaltatore uscente o di gestore di appalto similare che ha appena perso la gara per il rinnovo e quindi dispone in unpreciso ed immediato arco temporale di personale, al momento dell’aggiudicazione non dispongono delle risorse umane necessarie per eseguire l’appalto, per cui devono fare ricorso, di norma in tempi molto ristretti, al mercato del lavoro assumendo le figure professionali che in quel momento sono a disposizione.

La clausola sociale nelle Concessioni di servizi di distribuzione del gas

Dopo “soli” undici anni è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4/5/2011 il D.M.21 aprile 2011 redatto congiuntamente dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico relativo alla clausola sociale che dovrà essere applicato in tutte le gare in atto per la concessione della distribuzione del gas. Già nel recente rinnovo contrattuale del settore gas-acqua del 10 febbraio 2011, era stata inserita la clausola in parola, una vera e propria tutela occupazionale per i lavoratori delle aziende del gas coinvolte nei processi di gara per l’assegnazione del servizio, anche se le prime tracce di clausole di salvaguardia risalgono già al D.Lgs. 164/2000 recante norme comuni per il mercato interno del gas. Il D.M. di aprile fissa paletti ben precisi all’applicazione della clausola sociale al fine di non scaricare sui nuovi gestori dei servizi tutto il peso delle precedenti gestioni. Infatti, il decreto stabilisce che “nel passaggio del personale dal gestore uscente al gestore subentrante si debbano evitare comportamenti opportunistici da parte del gestore uscente e ostacoli al processo di efficienza operativa e che quindi l’obbligo debba essere limitato ad un numero di addetti che risulti, 12 mesi prima della richiesta di informazioni per il bando di gara, in forza all’impresa concessionaria o ad unasocietà interamente controllata da essa o alla sua controllante perla gestione degli impianti oggetto di gara. Ancora “al personale eventualmente in esubero si debbano applicare gli ammortizzatori sociali legalmente previsti oltre a conservare un diritto di priorità di assunzione, a parità diqualifica ed esperienza lavorativa richiesta, qualora il gestore subentrante, nei due anni successivi al subentro, necessiti di nuovo personale per gli impianti di distribuzione di cui ha assunto lagestione per effetto del nuovo affidamento”. I primi commenti dei sindacati sul testo emanato sono tutt’altro che positivi in quanto non vi sarebbero le necessarie garanzie occupazionali e di sostegno al reddito ai lavoratori che passati al nuovo soggetto imprenditoriale, a seguito di riorganizzazione, potrebbero essere dichiarati in esubero. Anche il meccanismo del ricorso agli ammortizzatori sociali presenta diverse lacune. Si spera in un ulteriore intervento normativo atto a sanare falle normative più o meno vistose e a fugare paure e perplessità dei lavoratori direttamente interessati.

Conclusioni

Possiamo agevolmente affermare che ad oggi un utilizzo corretto e proficuo delle clausole sociali negli appalti pubblici è un obiettivo tutt’altro che raggiunto, sia perché in molti Stati membri questa pratica è ancora nuova o non ci sono esperienze validanti, sia perché l’uso delle clausole sociali è volontario e quindi gli Stati non sono spinti ad approfondire questa possibilità operativa. Risulta, infatti, essere predominante la condizione di vantaggio economico totale, specialmente ora che i fondi pubblici cominciano a scarseggiare. Forse, per questa ragione, all’interno del Single Market Act emanato recentemente dalla Commissione Europea, viene proposto, come motore per lo sviluppo dell’impresa sociale, l’inclusione di obiettivi sociali nelle norme che regolano i pubblici appalti, promuovendo inoltre, una sorta di etichettatura etica ed ambientale. Speriamo che ciò porti, non ad un’ulteriore modifica di direttive e leggi, ma piuttosto ad un coordinamento e ad un’armonizzazione di quelle già esistienti che consenta una reale ed efficace applicazioni di clausole sociali, ma anche ambientali, per poter strutturare un sistema di reale competizione tra le organizzazioni, non basata solamente su criteri economici, ma che producano e distribuiscano un valore sociale alla comunità di cui la Pubblica Amministrazione è in carico.

Sarebbe auspicabile anche il ripensamento della definizione di servizio pubblico, ovvero di quel servizio atto sia ad assicurare alla comunità il corretto svolgimento di una determinata attività, sia il conseguimento di fini sociali collaterali e conseguenzali. Per questo motivo, ad esempio,il coinvolgimento e la partecipazione diretta delle cooperative sociali alla pianificazione delle attività da realizzare (prima) e all’esecuzione delle stesse (poi) delle cooperative non dovrebbe essere vista come una concessione, ma piuttosto come un reale tentativo di sviluppare la coesione socialee l’uguaglianza dei cittadini, in primis quelli “svantaggiati”.

In ossequio ai principi di uguaglianza, ragionevolezza, trasparenza, imparzialità e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, l’auspicio è di prevedere, in ogni caso, nelle gare d’appalto di servizi pubblici, norme di gara uniformi e coerenti. In effetti, pur essendo possibile graduare le situazioni in cui l’inserimento tra le normedi gara della clausola sociale di assorbimento del personale possa incidere maggiormente sugli standard qualitativi/quantitativi dei servizi, non appare logico econforme ai principi di buona amministrazione che le diverse Amministrazioni assumano sul punto linee di comportamento difformi ad libitum.

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Giulio Torelli
Comitato di Redazione
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