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1. Le nuove disposizioni in materia di cessione delle partecipazioni di società mista ex d.lgs. 19 Agosto 2016, n. 175

Il tema della cessione delle partecipazioni nelle società a capitale misto pubblico-privato è oggetto di dibattito, in quanto esprime in modo evidente il conflitto latente tra soggezione alle regole pubblicistiche e regime ordinario che insiste su questa tipologia di società.

La questione attiene al regime – di fatto speciale – cui sono sottoposte le società miste, in considerazione della presenza del socio pubblico nel proprio capitale: questo aspetto determina l’esigenza di coniugare le ordinarie regole civilistiche attinenti al funzionamento delle società di capitali in un’ottica pubblicistica, necessariamente rivolta al rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza.

Con l’entrata in vigore del DLgs. 19 Agosto 2016, n.175 – T.U. in materia di Società a partecipazione pubblica – si sono aggiunti ulteriori elementi al quadro regolatorio, dal momento che il T.U. ha disciplinato in modo analitico all’art. 10 la procedura di alienazione di partecipazioni sociali, mentre all’art. 17 – relativo alla disciplina delle società miste – ha previsto l’obbligo di inserire specifiche disposizioni statutarie in materia.

L’art. 10 del T.U. ha in particolare disposto che gli atti deliberativi aventi ad oggetto l’alienazione o la costituzione di vincoli su partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche  devono  essere adottati secondo le modalità di cui all’articolo 7, comma 1 del medesimo D.Lgs. n.175/2016: in sostanza l’iter procedurale per la cessione delle partecipazioni è parificato all’iter per la partecipazione di un’amministrazione pubblica alla costituzione di una società, per cui le relative delibere vanno adottate dagli organi competenti al più alto livello decisionale, secondo la tipologia di partecipazione pubblica:

a) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con i ministri competenti per materia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in caso di partecipazioni statali;

b) con provvedimento del competente organo della regione, in caso di partecipazioni regionali;

c) con deliberazione del consiglio comunale, in caso di partecipazioni comunali;

d) con delibera dell’organo amministrativo dell’ente, in tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche.

Per quanto poi attiene le modalità di svolgimento delle operazioni di alienazione, il c. 2 dello stesso art. 10 disciplina sostanzialmente due ipotesi, una di carattere ordinario e l’altra di carattere eccezionale.

Si specifica infatti che in linea generale l’alienazione delle partecipazioni deve essere effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione: in casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente, che dia analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, si prevede che l’alienazione possa essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente.

Di particolare rilievo, ai fini dell’argomento trattato, è poi la disposizione conclusiva del medesimo comma, per cui viene fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto: dunque il diritto di prelazione – così come civilisticamente inteso – potrà essere esercitato, sempre che sia predefinito e conosciuto, secondo una specifica regolazione legislativa o statutaria.

Da ultimo, sempre in tema di regolazione introdotta dal T.U. in materia di cessione delle partecipazioni, va richiamato quanto disposto dall’ art. 17, c. 3 del DLgs. 175/2016, dove si dispone che la durata della partecipazione privata alla società non può essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione: lo statuto deve quindi prevedere meccanismi idonei a determinare lo scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio.

Da quanto sopra esposto emerge un quadro regolatorio che prevede disposizioni speciali per i casi di alienazione delle partecipazioni delle società miste, e ciò riguarda – sia pure con modalità diverse – tanto le operazioni di alienazione di quote pubbliche quanto le operazioni di alienazione di quote private.

Il fatto stesso della partnership pubblico-privata pone queste operazioni – da entrambi i lati – su un piano di attenzione, meritevole di una regolazione specifica e di particolari tutele.

Il vincolo che si crea tra socio pubblico e socio privato è speciale: il partenariato nasce da una gara a doppio oggetto – che da una parte sceglie il socio privato e dall’altro affida il servizio pubblico o la realizzazione di un’opera pubblica – e le operazioni di modifica di assetti societari che nascono da una procedura ad evidenza pubblica diventano di per sè sensibili.

La ratio di queste disposizioni va dunque individuata nell’origine del rapporto pubblico-privato che sta alla base della costituzione della società mista:

  • per quanto riguarda l’alienazione di quote pubbliche – e dunque la modifica dell’assetto della partecipazione pubblica alla società – vi è la necessità di non venire meno al rispetto dei principi comunitari e interni di trasparenza, concorrenza e pubblicità già osservati al momento genetico della società;
  • per quanto riguarda l’alienazione di quote private – e dunque la modifica dell’assetto della partecipazione privata alla società – vi è l’esigenza di mantenere il vincolo alla realizzazione dello scopo sociale, per cui il rapporto viene centrato sul contratto di servizio e dovrà venire meno in caso di eventi patologici che ne determinino la risoluzione.

Le disposizioni speciali per i casi di alienazione delle partecipazioni delle società miste riguardano  – sia pure con modalità diverse – tanto le operazioni di alienazione di quote pubbliche  quanto le operazioni di alienazione di quote private.

Il vincolo che si crea tra socio pubblico e socio privato è speciale: il partenariato nasce da una gara a doppio oggetto – che da una parte sceglie il socio privato e dall’altro affida il servizio pubblico o la realizzazione di un’opera pubblica – e le operazioni di modifica di assetti societari che nascono da una procedura ad evidenza pubblica diventano di per sè sensibili.

Il T.U. fa salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto: il diritto di prelazione  potrà essere esercitato, sempre che sia predefinito e conosciuto, secondo una specifica regolazione legislativa o statutaria.

2. Modalità di cessione di quote pubbliche delle società miste

In materia di cessione delle quote di una società mista da parte di un’amministrazione pubblica il principio che va osservato come regola generale è quello dell’evidenza pubblica: la cessione successiva è a tutti gli effetti equiparabile alla prima procedura di selezione del partner privato.

Questo principio è stato confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato (Cons. St. Sez.V, sent. n. 4014 del 28 Settembre 2016), che ha negato l’esercizio del diritto di prelazione del socio privato per l’acquisto delle quote sociali del Comune, considerando tali clausole nulle.

In sostanza, una clausola statutaria che attribuisca genericamente al socio privato il diritto di prelazione si porrebbe in contrasto con il consolidato principio per cui la cessione da parte di un’amministrazione pubblica di quote di una società partecipata da altri soggetti privati deve necessariamente avvenire tramite l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica.

In considerazione di ciò, la clausola statutaria attributiva di un diritto di prelazione sulle quote detenute dal Comune sarebbe affetta da nullità assoluta.

Va infatti considerato che l’art. 5, c. 9 del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al  DLgs. n. 50/2016 (come peraltro già il precedente Codice di cui al D.Lgs. 163/2006) prevede che nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o per l’organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica.

Questa disposizione ha valenza di principio e non potrebbe avere senso se fosse derogabile dopo il momento costitutivo della società: il principio avrà quindi natura dinamica e sarà applicabile anche ai casi di alienazione successiva di quote societarie da parte della Pubblica Amministrazione.

Il Consiglio di Stato ha dunque ritenuto che la clausola statutaria, che prevede il diritto di prelazione in capo ai soci privati, debba considerarsi nulla anche perché contrasta con il libero dispiegarsi del principio della concorrenza e perché viola i principi del necessario rispetto della par condicio tra i concorrenti e della trasparenza, così come quello di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione pubblica.

In materia di cessione delle quote di una società mista da parte di un’amministrazione pubblica il principio che va osservato è quello dell’evidenza pubblica: la cessione successiva è a tutti gli effetti equiparabile alla prima procedura di selezione del partner privato.

3. Condizioni di possibile coesistenza del rispetto dei principi di evidenza pubblica ed esercizio del diritto di prelazione

Da quanto sopra esposto emerge ancora una volta la difficoltà oggettiva di coniugare l’insieme delle regole pubblicistiche con le disposizioni privatistiche che regolano la vita delle società di capitali miste.

Ma se la Pubblica Amministrazione sceglie il modello societario, lo fa per l’apporto che può dare il socio privato alla gestione della cosa pubblica, in termini di know-how tecnico e di conferimento di capitali: la ricerca di un’ottimizzazione non può trasformarsi in un vincolo rigido che trasformi una scelta di efficienza in una situazione statica e insuperabile.

La scelta della forma societaria è di durata medio-lunga, tempi in cui le esigenze della Pubblica Amministrazione possono evolversi e modificarsi: anche se correttamente pianificati, i bisogni possono mutare nel tempo e va ricercata una modalità di adattamento alla dinamicità delle situazioni che concretamente si presentano.                                                                                                                               

Naturalmente tutto ciò non può prescindere dal rispetto dei principi di evidenza pubblica, terreno sul quale si deve necessariamente muovere ogni azione della Pubblica Amministrazione.

In questa ottica, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4014/2016 potrebbe anche essere letta in chiave diversa se opportunamente coordinata alle nuove disposizioni portate dal T.U. in materia di Società a partecipazione pubblica.

Va quindi sottolineato che lo stesso T.U. all’art. 10, c.2 fa salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto.

Dal momento che è stata introdotta questa previsione, un riconoscimento delle clausole di prelazione esiste e il principio deve essere coordinato con quanto ricordato dal Consiglio di Stato in ordine alla necessità del rispetto dei principi di evidenza pubblica.

Secondo questa chiave di lettura, non esisterebbe dunque una nullità generalizzata delle clausole di prelazione, ma solo di quelle incompatibili con il necessario rispetto dei principi di evidenza pubblica.

A livello interpretativo – al di là delle clausole di derivazione legislativa – vengono in rilievo almeno due casistiche di condizioni di accrescimento della partecipazione privata potenzialmente compatibili e coerenti con i principi di evidenza pubblica:

1) la prima attiene a quelle clausole statutarie regolate adeguatamente in fase di gara, e dunque rese conoscibili in modo dettagliato ed esauriente già nella fase di scelta originaria del socio privato. In questo caso la pre-regolazione di dettaglio consente di poter considerare assolto l’aspetto pubblicistico. Se in sostanza la Pubblica Amministrazione mette in gara una quota di partecipazione alla società mista contemporaneamente indicando le modalità di risalita nel capitale sociale da parte del socio privato a condizioni predefinite, questa modalità di cessione successiva di quote societarie pubbliche appare rispettosa dei principi di evidenza pubblica in quanto assolti “a monte”;

2) la seconda attiene alla riconduzione della censura di nullità espressa dal Consiglio di Stato alle sole clausole di prelazione impropria (ovvero a quelle che attribuiscono un diritto di preferenza e contemporaneamente il diritto di contestare il prezzo offerto, rimettendo la valutazione ad un arbitratore) e non alle clausole di prelazione propria (ovvero a quelle che attribuiscono ai soci il diritto ad essere preferiti, a parità di condizioni economiche.).

In quest’ultimo caso, infatti, se la clausola di prelazione propria è regolata dettagliatamente nello statuto (allegato agli atti di gara) si rientrerebbe nelle previsioni di cui all’art. 10, c.2 del T.U.: la procedura ad evidenza pubblica viene svolta e a parità di condizioni il socio privato potrà esercitare il suo diritto di  prelazione. Anche in questo caso i principi di evidenza pubblica appaiono assolti.

Questo approccio interpretativo, che tende a coniugare i principi pubblicistici con la sfera del diritto privato, può peraltro consentire alla Pubblica Amministrazione di agire più agevolmente nel riassetto delle proprie partecipazioni societarie, favorendo la realizzazione dei Piani di razionalizzazione previsti come obiettivo primario dallo stesso T.U. di cui al D.Lgs.175/2016.

Ex T.U. non esiste una nullità generalizzata delle clausole di prelazione, ma solo di quelle incompatibili con il necessario rispetto dei principi di evidenza pubblica.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Emilia Giulia Di Fava
Docente ed esperta in disciplina di Diritto Amministrativo - Servizi Pubblici Locali
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