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( votes)Note a margine della Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 14 dicembre 2022 n. 10935
Premessa
L’iscrizione degli operatori economici nelle cosiddette white list è ormai, da tempo, un parametro di valutazione della affidabilità di un offerente, sotto il profilo della non condizionabilità dell’attività economica privata da parte della criminalità organizzata.
Ricollocata temporalmente nell’alveo della Legge n. 190/2012, cosiddetta “Legge anticorruzione”, può senz’altro dirsi che l’istituzione delle white list è conseguenza dell’evolversi della legislazione antimafia che affonda le sue radici nel lontano 1965 – con la soprannominata “Prima legge antimafia” – fino alla legge n. 646/1982, cosiddetta “Legge Rognoni – La Torre”, ove per la prima volta viene stigmatizzata l’ipotesi della cointeressenza tra mafia ed economia di impresa.
Mentre, infatti, il fenomeno della mafia era in precedenza ritenuto relegato alle dinamiche delle realtà sociali di tipo rurale, col passare del tempo ci si è resi conto che il cuore pulsante delle consorterie mafiose fosse proprio nella capacità di impossessarsi dei cicli dell’economia legale, risucchiando nel vortice del riciclaggio e del reimpiego di denaro, le risorse pubbliche allocate attraverso l’affidamento dei contratti pubblici.
Non stupisce, allora, che il Legislatore italiano, anche alla luce delle grandi inchieste della magistratura inquirente, abbia istituito un sistema per l’accertamento delle attività di impresa, al fine di escludere che dietro la partecipazione alle gare pubbliche si celi l’interesse di una qualsiasi consorteria criminale, in grado di condizionare l’utilizzo del denaro pubblico messo a disposizione per il raggiungimento di una determinata finalità di interesse collettivo.
Giova premettere che quello della white list non è l’unico strumento previsto dalla legislazione italiana per impedire l’infiltrazione delle mafie nell’economia legale. In effetti, il d.lgs. n. 159/2011, cosiddetto “Codice antimafia”, prevede ulteriori strumenti di diritto amministrativo appannaggio dell’autorità prefettizia, grazie ai quali si mira a garantire un’azione anzitutto repressiva di eventuali infiltrazioni della criminalità nella gestione delle iniziative economiche private.
Tanto l’istituto delle white list, quanto quello della documentazione antimafia (nella sua duplice articolazione della informazione e comunicazione antimafia), mirano, indirettamente, a dare attuazione ed effettività al principio del favor partecipationis e della libera concorrenza e, direttamente, a garantire le stazioni appaltanti dal rischio di distrazione delle risorse pubbliche, con evidenti riverberi sulla tenuta dell’ordine pubblico, tanto ideale quanto materiale.
Al contempo, una parte della giurisprudenza ha pure evidenziato che le disposizioni relative all’iscrizione nella white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal Codice antimafia per le relative misure (comunicazioni ed informazioni antimafia), tant’è che l’art. 1, comma 52-bis, della legge n. 190/2012 dispone che “l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta”.
Sulla scorta di tali premesse, la giurisprudenza amministrativa è stata chiamata a dirimere due ordini di questioni. Da un lato, chiarire se l’obbligo di iscrizione alla white list rappresenti o meno un requisito soggettivo di partecipazione e, in caso affermativo, se la lex specialis può essere eterointegrata dalle superiori previsioni di legge dettate in materia, qualora non prevedesse, tra i requisiti soggettivi di partecipazione, l’iscrizione di ciascun concorrente nella white list istituita presso le prefetture territorialmente competenti.
La giurisprudenza amministrativa è stata chiamata a dirimere due ordini di questioni. Da un lato, chiarire se l’obbligo di iscrizione alla white list rappresenti o meno un requisito soggettivo di partecipazione e, in caso affermativo, se la lex specialis può essere eterointegrata dalle superiori previsioni di legge dettate in materia, qualora non prevedesse, tra i requisiti soggettivi di partecipazione, l’iscrizione di ciascun concorrente nella white list istituita presso le prefetture territorialmente competenti
Muovendo da questo assunto, il presente contributo mira ad emarginare la recente sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, Sez. III, 14 dicembre 2022 n. 10935.
- La vicenda processuale
Con sentenza di primo grado, il TAR per il Friuli Venezia Giulia accoglieva il ricorso proposto da un operatore economico avente ad oggetto l’esclusione della ricorrente dalla gara, indetta dal Comune di Gorizia per l’affidamento in gestione della casa di riposo comunale per anziani e, per l’effetto, annullava i provvedimenti impugnati, tra i quali la delibera di precontenzioso dell’ANAC.
In premessa, occorre evidenziare che il ricorso si basava, in estrema sintesi, su tre motivi principali.
In primis, la ricorrente evidenziava che la stazione appaltante l’aveva erroneamente esclusa, malgrado il servizio di ristorazione non risultasse “attività prevalente”, ossia rivolta ad un pubblico generalizzato; in secundis, che l’oggetto dell’affidamento non era stato ritenuto attività unitaria, ossia non suddividibile in categorie merceologiche; in tertium, che l’iscrizione nella white list era stata erroneamente ritenuta requisito per la partecipazione alle gare.
Il giudice di prime cure, nell’economia del proprio decisum, assegnava rilievo dirimente al terzo motivo di ricorso, evidenziando come l’obbligo di iscrizione nella white list ai fini della partecipazione alla procedura non fosse espressamente previsto dal disciplinare di gara.
Oltretutto, a parere del giudice amministrativo, non poteva riconoscersi alla modulistica allegata al disciplinare un effetto immediatamente prescrittivo. Conseguentemente, il Tribunale escludeva che la mancanza di una espressa previsione nel bando si ponesse in rapporto di distonia con il principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016) siccome “(…) coerente con la ratio che informa la disciplina della prevenzione antimafia, stante la riconducibilità dell’attività oggetto dell’appalto in questione ad uno dei settori sensibili di cui all’art. 1, co. 53, della l. n. 190/2012 (sono definite come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attività: (…) i-ter) ristorazione, gestione delle mense e catering”)”.
Avverso tale sentenza l’Autorità Nazionale Anticorruzione proponeva appello innanzi il Consiglio di Stato, chiedendone la integrale riforma. In particolare, l’appellante evidenziava come la gravata esclusione era stata adottata dalla stazione appaltante sul rilievo che la ricorrente era risultata priva, al momento della presentazione dell’offerta, del requisito, previsto ex lege, dell’iscrizione alla white list prefettizia per l’attività di ristorazione.
Inoltre, l’appellante deduceva l’erroneità della sentenza del primo giudice per difetto di motivazione, sul rilievo che la normativa anticorruzione introduce un requisito obbligatorio di partecipazione alle gare, potendo, dunque, legittimamente operare l’eterointegrazione della lex specialis nei casi in cui, come nell’ipotesi di specie, la legge di gara non avesse espressamente previsto l’iscrizione alle white list,quale requisito di partecipazione alla gara.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto del tutto fondato l’appello, chiarendo che la decisione appellata non resiste alle doglianze veicolate dall’ANAC, avendo il giudice di prime cure non applicato del tutto correttamente i principi predicabili in subiecta materia.
Al riguardo, il Supremo Collegio ha chiarito che è ius receptum nella giurisprudenza amministrativa “la pacifica vigenza del principio per il quale la disciplina delle white list introdotta dall’articolo 1, commi 52 e segg., della legge 6 novembre 2011, n. 190, fa tutt’uno con quella delle informative interdittive antimafia e la integra”. Tale conclusione riguardante l’assimilazione dei due documenti antimafia (la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia) – afferma ancora il Consiglio di Stato – non si limita, invero, ai soli effetti interdittivi, ma si estende anche alla sua natura di requisito soggettivo di partecipazione alle gare. Ciò malgrado ad avviso del Collegio non è dirimente che l’articolo 80,comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, richiami solo le informative “classiche”, dovendosi tener conto del disposto del comma 52 dell’articolo 1, l. n. 190/2012, da cui emerge chiaramente che la white list altro non è che una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia, prevista dalla legge in relazione a particolari settori, di modo che il richiamo alle informative prefettizie deve intendersi sempre riferito anche alla iscrizione a tali liste”[1].
- L’iscrizione nella white list. Il quadro normativo
Come noto, l’art. 80, comma 2, del vigente Codice dei contratti pubblici, stabilisce che “Costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, del medesimo decreto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia. Resta fermo altresì quanto previsto dall’articolo 34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
A sua volta, gli articoli 82 e seguenti del Codice antimafia dettano norme in materia di documentazione antimafia. In particolare, l’art. 83, comma 1, del Codice antimafia stabilisce che “Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici, devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67”.
Infine, l’art. 1, comma 52, della legge n. 190/2012 stabilisce che per le attività imprenditoriali considerate come maggiormente esposte ai tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata[2], la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal Codice antimafia, è obbligatoriamente acquisita dalle pubbliche amministrazioni, dagli enti pubblici e dagli altri soggetti elencati nell’articolo 83, comma 1, del Codice antimafia.
Tale acquisizione – chiarisce la norma – è garantita dalla consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. Il suddetto elenco, inoltre, è istituito presso ogni prefettura territorialmente competente. L’iscrizione nell’elenco è disposta dalla prefettura della provincia in cui il soggetto richiedente ha la propria sede.
Il successivo comma 52-bis del medesimo articolo, poi, chiarisce che “L’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta”.
In estrema sintesi, la circostanza per cui l’articolo 83, comma 2, del Codice dei contratti pubblici fa riferimento solo alla documentazione antimafia “classica”, non impedisce – ma anzi pretende – la lettura complessiva del dato normativo dettato in materia di verifiche antimafia, dovendosi tener conto del disposto dell’articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012, da cui emerge chiaramente che la white list altro non è che una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia, prevista dalla legge in relazione a particolari settori, di modo che il richiamo alle informative prefettizie deve intendersi sempre riferito anche alla iscrizione tali liste.
Alla luce del complessivo dettato normativo, la giurisprudenza ha evidenziato che interpretare il complesso di disposizioni su citate nel senso di ritenerle disgiunte, e quindi, non integrate le une con le altre al fine di valutare il possesso, da parte di ciascun operatore economico, del requisiti soggettivo di partecipazione dell’avvenuta iscrizione, alla data di presentazione delle offerte, nella white list presso il competente Ufficio Territoriale del Governo, significa contravvenire alla ratio della norma, eludendo le finalità preventive dell’istituto e la caratterizzazione soggettiva dei presenti e futuri contraenti per come imposta dal legislatore italiano.
In tal senso, anche un recente comunicato del Presidente dell’ANAC, ha ribadito proprio che “il requisito dell’iscrizione alle white list istituite presso le prefetture competenti territorialmente, in quanto requisito di ordine generale attinente alla moralità professionale, deve essere posseduto al momento della partecipazione alla procedura di gara, con la conseguenza che la mancata iscrizione (o la mancata dichiarazione di aver presentato idonea domanda di iscrizione nel predetto elenco) determina l’inammissibilità dell’impresa e la sua esclusione dalla gara. Trattandosi di un requisito ex lege a presidio di diritti e principi di ordine costituzionale, quali la salvaguardia dell’ordine pubblico, della concorrenza e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, esso non può essere derogato dalla stazione appaltante nell’elaborazione dei documenti di gara”[3].
- I più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di white list
Chiarita la natura giuridica e la funzione dell’iscrizione nelle white list istituite presso ogni prefettura ex articolo 1, commi 52, 52-bis e 53, della legge n. 190/2012, occorre soffermarsi sul dibattito giurisprudenziale formatosi sul punto.
A tal riguardo, la giurisprudenza ha precisato l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della normativa in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose, distinguendo i casi in cui è obbligatoriamente richiesta l’iscrizione nelle citate white list, da quelli ove tale requisito soggettivo non è richiesto dalla legge ai fini della partecipazione ad una determinata gara pubblica.
Tendenzialmente univoci sul punto gli arresti pretori, va però evidenziato che in principio, una risalente pronuncia del Tar Campania aveva prospettato una interpretazione restrittiva del dato letterale delle disposizioni anticorruzione, soprattutto sotto il profilo dell’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto[4].
In effetti, la richiamata pronuncia affermava il principio di diritto per il quale l’iscrizione nelle c.d. “white list” – elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori, istituite presso ciascuna Prefettura – è obbligatoria per l’accesso alle procedure di evidenza pubblica che riguardano esclusivamente le attività imprenditoriali di cui all’art. 1, comma 53, l. n. 190 del 2012, ritenute maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa.
Tale obbligo di iscrizione – continuava il Tar Campania – non sussiste, invece, per gli operatori che intendano partecipare alle procedure di evidenza pubblica indette per la stipulazione di contratti in settori diversi da quelli di cui all’art. 1, comma 53, l. n. 190 del 2012 o che, non abbiano ad oggetto esclusivo tali attività.
La norma, infatti, conferisce all’iscrizione negli elenchi della prefettura della provincia in cui l’impresa ha sede l’effetto di soddisfare i requisiti per l’informazione antimafia per l’esercizio della relativa attività, a patto che questa sia ricompresa tra quelle indicate nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 53, della legge anticorruzione.
Trattandosi, quindi, di un elenco tassativo, ne deriva che, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate, la verifica dell’insussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa va attuata, sussistendone i presupposti di legge, mediante gli strumenti delle informative e delle comunicazioni antimafia per come disciplinati dal Codice antimafia.
Le conclusioni prospettate dal Tar campano, parzialmente sovrapponibili ai recenti orientamenti pretori, lasciavano, tuttavia, irrisolti i dubbi circa l’applicabilità delle norme in materia di white list anche alle gare aventi ad oggetto attività parzialmente riconducibili a quelle tassativamente elencate dal legislatore, ovvero a quelle ad esse strumentali. Dubbio che, oggi, pare essere stato dissipato dalla pronuncia in commento del Consiglio di Stato.
La recente giurisprudenza amministrativa, invece, ha ritenuto del tutto irrilevante, ai fini dell’integrazione del requisito, le sezioni in cui sono articolate le white list[5].
In tal senso, il Tar del Lazio ha chiarito che ai fini del possesso del requisito generale di moralità previsto dalla legge non rileva la sezione della white list presso la quale l’operatore ha ottenuto l’iscrizione, giacché il relativo requisito matura, e si considera integrato, per il solo fatto dell’avvenuta iscrizione, indipendentemente da ulteriori fattori che acquistano consistenza formale e non già sostanziale.
In generale, può, dunque, affermarsi che in base all’orientamento già formatosi sul tema: le white list rientrano tra le misure per la tutela dell’ordine pubblico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione[6]; le white list sono un tutt’uno col sistema normativo antimafia di cui “l’interprete (…) deve dare una lettura unica e organica, evitando di limitarsi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione che renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia, alla luce di una complessiva ratio di sistema, così da rendere l’espressione normativa rispondente e armonica rispetto alle finalità perseguite da tutte le disposizioni antimafia”[7].
Coerentemente con tale orientamento, da ultimo, il Tar Cagliari ha inoltre chiarito che in materia di rapporti tra imprese consorziate, ai fini del possesso del requisito soggettivo di moralità di iscrizione nella white list, questo non può essere “prestato” da una consorziata al Consorzio, come legittimamente accade per i requisiti tecnico-professionali-operativi.
Sicché, nel caso di Consorzio stabile, che è e rimane l’unico “concorrente”, sarà necessario che questi dimostri, autonomamente, la propria iscrizione nella white list.
In materia di obbligo, per gli operatori economici, di iscrizione nella white list presso la prefettura territorialmente competente, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che l’iscrizione è requisito soggettivo di partecipazione alla gara; così come ha ormai chiarito qual è il perimetro degli effetti liberatori connessi all’iscrizione nella white list rispetto alle attività concretamente espletate dall’operatore economico inserito nell’elenco, specificando che per quanto concerne i Consorzi stabili, tale requisito soggettivo di moralità non potrà essere oggetto di avvalimento, imponendo al Consorzio stabile l’autonoma iscrizione nella relativa white list.
- Conclusioni
Le conclusioni a cui approda la giurisprudenza amministrativa sono evidentemente condivise anche dal legislatore, atteso che i richiami alle norme in materia di white list, non sono stati modificati nell’ambito dello schema definitivo predisposto dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato[8].
In sostanza, l’iscrizione nella white list resta requisito generale soggettivo di partecipazione e l’unico modo per l’operatore economico di recuperare tale requisito – al fine di non incorrere nel motivo di esclusione automatica previsto dal vigente articolo 80, comma 2, del Codice dei contratti pubblici – è ottenere, prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, la misura del controllo giudiziario, ex articolo 34-bis del Codice antimafia, ovvero, quella amministrativa della prevenzione collaborativa che consentono all’impresa interdetta, o sottoposto all’attività investigativa della Prefettura, di riottenere l’iscrizione nella white list.
In tal modo, l’Ordinamento italiano ha saputo integrare il sistema delle verifiche di legalità e moralità previsto dal Codice dei contratti pubblici con quello predisposto dal Codice antimafia, declinando opportunamente potere giudiziario e potere amministrativo, così garantendo la massima partecipazione degli operatori economici alle gare pubbliche e prevenendo tentativi di infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione delle risorse pubbliche.
L’auspicio, dunque, è quello di un rafforzamento, dal punto di vista delle infrastrutture digitali, del sistema di verifiche della Banca Dati Nazionale Unica della Documentazione Antimafia, migliorando le modalità di accesso e consultazione da parte non solo della prefettura ma anche degli enti locali, specialmente di piccole dimensioni, al fine di garantire uniformità, su tutto il territorio nazionale, dei processi di monitoraggio e censimento antimafia.
[1] In tal senso, cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 aprile2019, n. 2211; id., 20 febbraio 2019, n. 1182
[2] Tali attività imprenditoriali sono elencate specificamente dal legislatore all’articolo 1, comma 53, della medesima legge n. 190/2012.
[3] Sul punto, ANAC, Comunicato del Presidente del 17 gennaio 2023.
[4] Tar Campania, Sez. I, 23 marzo 2016, n. 1511.
[5] Tar Lazio, Sez. II-ter, 9 novembre 2020, n. 11587.
[6] Cons. Stato, Sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; id., 21 settembre 2018, n. 2241.
[7] Cons. Stato, Sez. III, 20 febbraio 2019 n. 1182; id. 24 gennaio 2018, n. 492.
[8] Il testo elaborato dal Consiglio di Stato è stato trasmesso al Governo il 7 dicembre 2022 per le proprie determinazioni, con le modifiche apportate anche tenendo conto dei lavori del Tavolo Tecnico congiunto tra il Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le altre amministrazioni interessate.