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( votes)Un paio di sentenze recenti emesse rispettivamente dal Consiglio di Stato n. 2290 del 05.05.2014 e dal Tar Puglia Lecce n. 1301 del 27.05.2014, richiamano l’attenzione sull’incidenza concreta delle risultanze dell’informativa antimafia rispetto alle scelte concrete che l’amministrazione deve (o meno) compiere, sia in fase di affidamento dell’appalto, sia in fase di esecuzione del contratto.
Emerge in concreto quello che è il margine di valutazione di un quadro indiziario complessivo che può o meno essere valorizzato al punto di determinare conseguenze giuridiche rilevanti per gli operatori economici.
Il Consiglio di Stato con la sentenza 2290/2014, ha trattato la vicenda relativa alla mancata aggiudicazione in favore di un’impresa edile a causa di una informativa interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Napoli, in forza della quale l’Amministrazione committente ha inteso aggiudicare al secondo graduato. Il T.A.R. in prima istanza ha respinto il ricorso dell’impresa avverso l’informativa, nonché avverso gli atti istruttori connessi, ritenendo legittimo l’agere dell’Amministrazione.
Il Consiglio di Stato di suo, ha confermato la pronuncia di primo grado, ritenendo sussistenti tutti gli elementi indispensabili per configurare in fatto e diritto il legame di contiguità tra vertice del clan mafioso e impresa edile mancata aggiudicataria dell’appalto, sussistendo chiari elementi sintomatici di vicinanza, nella specie: gestione dei fondi provenienti dall’attività del clan, rapporti di parentela ed influenza per ambito di appartenenza geografica.
Tali elementi sintomatici, emergevano dall’informativa resa, sulla base della quale il T.A.R. ha ritenuto aderire a pregressi e consolidati principi giurisprudenziali che evidentemente rendono ragionevole valorizzare il quadro indiziario complessivo ritenendo concreta l’infiltrazione ed il condizionamento mafioso rispetto all’attività imprenditoriale dell’impresa edile.
Va detto che i Giudici di appello hanno ben precisato come non possano e non debbano essere considerate in modo “asettico ed atomistico” le singole vicende penalmente rilevanti per l’impresa, che possano o meno essersi risolte in modo positivo per la stessa; bensì va considerato il loro intreccio con la gestione da parte del sodalizio criminale, dal quale emerge una intrusione concreta e fattiva dello stesso nella gestione della società.
In virtù di tale orientata riflessione, il Consiglio di Stato ritenendo sussistente in concreto un quadro indiziario, ha valutato come legittimo l’operato dell’Amministrazione fondato sull’interdittiva che per sua natura mette in connessioni più variabili rilevanti, stimolando una valutazione che non è mera discrezionalità. Tra le motivazioni si legge infatti che “l’interdittiva non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d’ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l’adozione dell’interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile “inquinamento” delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell’attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose”.
Diversa la questione affrontata dal Tar Puglia Lecce con la pronuncia n. 1301 del 27.05.2014, ove la discrezionalità operativa dell’Amministrazione è più ampia poiché connessa ad un atto prodromico che è la c.d. informativa atipica (o supplementare) elaborata dalla prassi e fondata su un sub strato normativo ampio (nella specie art. 10 co. 9 del d.p.r. 252/1998 come aggiornato dal d.lgs. 159/2011; art. 1 septies del d.l. 629/1982 convertito in legge 726/1982 e successiva integrazione dal parte della legge 486/88 nonché da parte del già richiamato d.lgs. 159/2011; art. 10 comma 7 lett. c) del d.p.r. 252/1998), ed in forza del quale è consentito al Prefetto operare con autonomi accertamenti, fornendo all’Amministrazione un’informativa atipica che però non ha per sua natura carattere direttamente interdittivo, ma stimola in quest’ultima un’attività valutativa autonoma finalizzata alle future scelte operative.
Nel caso trattato, l’amministrazione a seguito informativa atipica ricevuta dalla Prefettura (nella specie una pregressa informazione antimafia interdittiva), esortava l’a.t.i. a procedere alla sostituzione della capogruppo ai sensi dell’art. 37, comma 18, D.lgs. n. 163 del 2006, pena la revoca dell’affidamento e la decadenza dal contratto in essere.
Successivamente i giudici in sede di procedimento cautelare introitato dall’operatore economico, frustravano l’operato dell’amministrazione, evidenziando la carenza di attività valutativa autonoma dei fatti posti a fondamento dell’interdittiva atipica resa dalla Prefettura, rilevato che, in difetto di una motivazione esauriente sul punto, non sembra potersi dare corso ad un procedimento di decadenza dal contratto, come quello avviato dall’amministrazione in danno dell’operatore economico.
I Giudici di prima istanza hanno poi ribadito nel merito, allineandosi ai principi già espressi da pregresse pronunce (non ultimo Cons. di Stato n. 456/2013), che alla luce del quadro normativo di riferimento, l’informativa atipica è strumento giuridico utilizzabile dal Prefetto e che la stessa a differenza dell’informativa c.d. tipica, non ha carattere (direttamente) interdittivo, ma consente alla stazione appaltante l’attivazione di una valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la P.A.. Perciò principio fondamentale è che la sua efficacia interdittiva può eventualmente scaturire soltanto da una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria (cfr. Cons. Stato, III, 14 settembre 2011, n. 5130; VI, 28 aprile 2010, n. 2441; I, 25 febbraio 2012, n. 4774). Si legge in particolare che: “In altri termini, l’informativa antimafia atipica, ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle Amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di mantenimento o di risoluzione del rapporto debbono essere comunque il frutto di una scelta motivata della stazione appaltante” (Consiglio Stato, III, 12 settembre 2013, n. 4511)”.
Tra l’altro il principio trova altri ed ulteriori richiami giurisprudenziali a conferma – anche risalenti – tali da renderlo sostanzialmente incontrovertibile (sulla attribuzione, alla stazione appaltante destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento, cfr. Cons. Stato, VI, 11 dicembre 2009, n. 7777; 3 maggio 2007, n. 1948; V, 28 marzo 2008, n. 1310).
Ed è proprio in forza di tale principio che i Giudici di prima istanza hanno ritenuto di accogliere il ricorso da parte dell’operatore economico, frustrando l’operato dell’amministazione che non ha evidentemente operato correttamente l’attività di valutazione discrezionale con conseguente adeguata motivazione della successiva determinazione.