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Nell’ultimo periodo, molteplici sono state le pronunce giurisprudenziali che direttamente o indirettamente hanno
posto l’accento sulla vicenda esecutiva dei contratti pubblici, ed in particolare sul momento finale e sullo
sviluppo delle loro sorti, qualora il committente pubblico decida di avvalersi delle possibilità concesse in tema di
prolungamento del rapporto con l’appaltatore.
Il Consiglio di Stato, sez. V, 24.03.2022 n. 2158 sottolinea che: “L’art. 1362, comma 1, cod. civ. impone di
interpretare il contratto ricercando la “comune intenzione delle parti”, senza limitarsi al senso letterale delle
parole; la giurisprudenza ha chiarito che il significato letterale costituisce criterio prioritario dell’operazione
interpretativa cui vanno affiancati gli altri criteri (tra cui, in particolare, il criterio logico – sistematico di cui
all’art. 1363 cod. civ., ma anche il criterio di interpretazione secondo buona fede evocato dall’appellante),
anche se il testo dell’accordo era chiaro ma incoerente con altri indici rivelatori di una diversa volontà dei
contraenti (cfr. Cass. civ., sez. 1, 2 luglio 2020, n. 13595; sez. 3, 26 luglio 2019, n. 20294; aggiungendo,
peraltro, che qualora il criterio letterale risulti sufficiente a dire il risultato che le parti intendevano conseguire,
l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa, cfr. Cass. civ, sez. 3, 11
marzo 2014, n. 5595).
Le clausole di rinnovo contrattuale comportano una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può
concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non
più attuali; se è previsto il rinnovo tacito, la conferma delle precedenti condizioni contrattuali avviene senza
necessità di manifestazione di volontà; esse si distinguono delle clausole di proroga del contratto, che
prevedono il mero slittamento nel tempo della sua durata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 6 maggio 2020, n. 2860;
III, 27 agosto 2018, n. 5059).
Così interpretata la clausola contrattuale ne va confermata la nullità per contrasto con l’art. 6 (Contratti
pubblici) l. 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) il quale sin dalla sua prima
formulazione (antecedente alla stipulazione del contratto in esame) prevedeva il divieto di “rinnovo tacito dei
contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi”, con conseguente nullità dei contratti
stipulati in violazione del predetto divieto.
Il riferimento a tutti i contratti stipulati da pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni o servizi per la sua
ampiezza conduce a ritenere applicabile il divieto anche ai contratti di concessione di servizi pubblici, come è
comunemente qualificato il contratto con il quale l’amministrazione affida il servizio di illuminazione votiva
cimiteriale. Ciò è coerente con la ratio del divieto.
Occorre, infatti, rammentare che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il divieto di rinnovo tacito
non è giustificato solamente da esigenze di contenimento della spesa pubblica – ossia dalla necessità di
consentire per legge alle amministrazioni di svincolarsi da un impegno economico divenuto nel tempo
eccessivamente gravoso – ma, soprattutto, dalla volontà di favorire l’apertura del mercato alla concorrenza
evitando che la rinnovazione tacita dei contratti porti a costituire rendite di posizione per certi operatori
economici, con conseguente impossibilità di selezionare per quello stesso servizio un miglior contraente, sia in
relazione il prezzo richiesto, ma, specialmente, per la qualità del servizio offerto.”
Proseguendo nel solco delle definizioni, utili a sgombrare spesso il campo da dubbi di inquadramento, costante
giurisprudenza rammenta che si verte in ipotesi di proroga contrattuale allorquando vi sia integrale conferma
delle precedenti condizioni (fatta salva la modifica di quelle non più attuali), con il solo effetto del differimento
del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario; mentre ricorre l’ipotesi di rinnovo
quando interviene una nuova negoziazione tra i medesimi soggetti che si conclude con una modifica delle
precedenti condizioni (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, n. 5059 del 2018; Sez. VI, n. 3478 del 2019 e n. 8219
del 2019; Sez. V, n. 3874 del 2020).
Il rinnovo, dunque, in disparte il dato non determinante del nomen iuris formalmente attribuito dalle parti, si
contraddistingue, sul piano sostanziale, per la rinegoziazione del complesso delle condizioni del contratto
originario, per cui deve risultare che le parti, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, abbiano dato corso
a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario.
In assenza di tale negoziazione novativa, è qualificabile come proroga contrattuale l’accordo con cui le parti si
limitano a pattuire il differimento del termine finale del rapporto, che per il resto continua ad essere regolato
dall’atto originario; ed anche la circostanza che in tale accordo sia riportato il prezzo del contratto originario,
che quindi rimane immutato, non costituisce affatto espressione di rinnovata volontà negoziale, ma circostanza
idonea ad avvalorare ulteriormente l’intervenuta mera proroga del previgente contratto (in tal senso, nello
specifico, Cons. Stato, sez. V, n. 3874 del 2020 e Tar Roma, Sez. II, n. 10771 del 2020) (Consiglio di Stato,
sez. III, 24.03.2022 n. 2157)..
Una interessante ricostruzione sul tema è data dalla sentenza TAR Napoli, 10.02.2022 n. 891, la quale anzitutto
richiama numerosi precedenti sia del Consiglio di Stato (sez. V, n. 274 del 2018; n. 3588 del 2019) che della
Corte di Cassazione (Sez, Un. Ord. n. 2811 del 31 ottobre 2019) in materia di contenzioso sulla c.d. proroga
tecnica, rammentando che: “… è, infatti, evidente che la proroga tecnica pertiene all’esercizio del potere
autoritativo, risolvendosi in un affidamento diretto, che deve essere motivato e che può avvenire a determinate
condizioni, sicché ogni contestazione sulla sua legittimità appartiene alla giurisdizione del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. e ciò segnatamente nel caso in esame, in cui
l’oggetto del contratto è quello del servizio attinente al ciclo dei rifiuti (in termini, anche CGARS, sent.
1201/2020).”
Inoltre direttamente esprimendosi precisa: “Nel merito, si osserva che l’art. 106, comma 11, del D.Lgs. n.
50/2016 dispone che “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di
esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al
tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo
contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi
prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante.
E’ noto che in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per
l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di
interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
eurounitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, n.
4192/2013).
Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo
comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle
precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come
solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto
originario.
Peraltro, all’affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui,
all’aggiudicazione della gara, segua, dopo scadenza dell’appalto, un regime di proroga diretta che non trovi
fondamento nel quadro normativo; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già
previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta che il contratto scada e si proceda
ad una proroga non prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga deve essere
equiparata ad un affidamento senza gara (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1521/2017, secondo cui “La proroga,
anzi, come giustamente evidenziato dal primo giudice, costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile
solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali”). [..omissis] La proroga, nella sua
accezione tecnica, ha carattere di temporaneità e di strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio
da un regime contrattuale ad un altro; una volta scaduto un contratto, quindi, l’amministrazione, qualora abbia
ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve effettuare una nuova gara (Consiglio di
Stato, Sez. V, n. 3391/2008); quindi “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione
amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non
dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del
reperimento di un nuovo contraente” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2882/2009)” – Tar Campania, Napoli, sez.
V, sent. 6435/2021.
Ed ancora: “… come già evidenziato alla luce della giurisprudenza in materia, una legittima proroga sarebbe
potuta intervenire antecedentemente alla scadenza del contratto, per una sola volta, e limitatamente al periodo
necessario per l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad evidenza pubblica … da programmarsi,
comunque, con congruo anticipo in previsione della già stabilita cessazione del periodo di efficacia del contratto
non costituente circostanza imprevedibile ed eccezionale. ‘Ed invero, come innanzi accennato la proroga “è
teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed
eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva
necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente’ – CdS, sez.
V, sent. 11.5.2009, n. 2882; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 20.06.2018, n. 04109, citata)” – T.A.R.
Campania, Sez. V. sent. n. 1392/2020 e, in termini, anche Tar Sicilia, Catania, sez. III, sent. 3392/2021 e
T.R.G.A., sez. aut. Bz, sent. n. 141/2021.
Da ultimo, l’ANAC (con delibera n. 576 del 28 luglio 2021) ha puntualizzato quanto segue: “L’Autorità ha messo
in luce come la proroga tecnica abbia carattere eccezionale e di temporaneità, essendo uno strumento volto
esclusivamente ad assicurare una data prestazione in favore della pubblica amministrazione, nel passaggio da
un regime contrattuale ad un altro. L’Autorità ha quindi individuato alcune ristrettissime ipotesi nelle quali la
proroga può ritenersi ammessa, in ragione del principio di continuità dell’azione amministrativa, restringendo
però tale possibilità a casi limitati ed eccezionali nei quali, per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall’amministrazione, vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del
reperimento, con le ordinarie procedure, di un nuovo contraente (ex multis, Deliberazione 19 gennaio 2011, n.
7, Deliberazione 19 dicembre 2012, n. 110, Deliberazione 19 settembre 2012, n. 82, Deliberazione 10
settembre 2008, n. 36, Deliberazione 6 ottobre 2011, n. 86; in giurisprudenza, Consiglio di Stato, V, 11 maggio
2009, n. 2882, Consiglio di Stato, V, 7 aprile 2011, n. 2151).
Anche la giurisprudenza ha evidenziato come per effetto dell’applicazione dei principi comunitari che
considerano la proroga o il rinnovo di un contratto quale contratto nuovo, soggiacente a regole competitive, la
proroga può essere concessa esclusivamente al fine di evitare l’interruzione delle attività in atto, per il solo
tempo necessario a consentire l’espletamento della procedura di evidenza pubblica (Consiglio di Stato, sez. V,
n. 2151/2011).
Più in dettaglio, in base all’interpretazione della norma fornita dall’Anac e dalla giurisprudenza amministrativa,
affinché la proroga tecnica sia legittima, devono ricorrere i seguenti presupposti:
– la proroga deve rivestire carattere eccezionale, utilizzabile solo quando non sia possibile attivare i necessari
meccanismi concorrenziali, nei soli e limitati casi in cui vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il
servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente (Cfr. Cons. St., V, 11.5.2009 n. 2882; delibere Anac
n. 36 del 10.9.2008; n. 86/2011; n. 427 del 2.5.2018);
– la proroga è ammessa solo quando ha carattere temporaneo, rappresentando uno strumento finalizzato
esclusivamente ad assicurare il passaggio da un vincolo contrattuale ad un altro (c.d. contratto ponte);
– la nuova gara deve essere già stata avviata al momento della proroga (Parere Anac AG n. 33/2013);
– l’amministrazione non deve rendersi responsabile di ritardi nell’indizione della procedura di selezione del
nuovo affidatario. Infatti la proroga tecnica trova giustificazione solo nei casi in cui, per ragioni obiettivamente
non dipendenti dall’amministrazione, vi sia l’effettiva esigenza di assicurare il servizio nelle more del
reperimento di un altro contraente (TRGA di Trento, sentenza n. 382 del 20 dicembre 2018).
In altre parole, la proroga tecnica è ammessa solo nei casi eccezionali in cui, per ragioni oggettive estranee
all’amministrazione, vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento
di un nuovo contraente (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2882; Parere ex Avcp AG 38/2013); –
l’opzione di proroga tecnica deve essere stata prevista nell’originario bando di gara e di conseguenza nel
contratto di appalto.
Tanto premesso, si rivelano evidentemente non conformi alle regole che disciplinano l’istituto in esame, come
elaborate dalla giurisprudenza, le previsioni dell’art. 2 del capitolato speciale (pure oggetto di impugnativa)
nelle quali, dopo un iniziale richiamo all’art. 106 cit. (che non può prescindere dall’interpretazione datane dalla
giurisprudenza), si prevede, per contro, che l’appaltatore debba garantire l’espletamento del servizio alle stesse
condizioni contrattuali fino al subingresso del nuovo aggiudicatario.”
Ultima pronuncia richiamata nella presente disamina è la sentenza del TAR Firenze, 25.02.2022 n. 228, la quale
richiamando le posizioni della Corte di Giustizia UE in tema di di principio di immodificabilità del contratto, ci
ricorda la non assolutezza di tale principio. Infatti con la pronuncia della Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella
sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, essa ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo
di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione
aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni
presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in
modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore
dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, “se esse fossero
state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta
un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.
I principi affermati dalla Corte di Giustizia hanno trovato attuazione nelle direttive e poi nella disciplina interna
prevista dal codice dei contratti pubblici il quale, in particolare, all’art. 106 ha fra l’altro esemplificato quelle che
sono le modifiche sostanziali incompatibili con la trasparenza e la par condicio e ammesso in via generale quelle
modifiche il cui valore resti al di sotto del 10% salvo che alterino la natura complessiva del contratto.

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Redazione MediAppalti
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