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(Sezione regionale di controllo, Puglia, deliberazione n. 60/2019)


  1. Premessa
  2. Il parere

1. Premessa

Il Sindaco di un comune pugliese, esponendo in premessa alcune questioni finalizzata ad avere un chiarimento in tema di riconoscimendo dei debiti fuori bilancio.

In premessa il Sindaco rappresenta che:

  • con riferimento a prestazioni, servizi e lavori resi in favore dell’ente locale che, benché privi di titolo o di titolo valido, siano considerati utili per l’amministrazione è ammesso il riconoscimento ex art. 194, comma 1, lett. e) del d.lgs.267/2000 nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento dell’ente stesso, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza;
  • che il riconoscimento sostanzialmente riguarda l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. che va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dal terzo nell’erogazione della prestazione in virtù del contratto invalido e non in misura coincidente con il mancato guadagno che lo stesso avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale;
  • che occorre seguire un metodo ovvero un criterio per determinare l’ingiustificato arricchimento riconoscibile dall’ente.

In sostanza, il quesito verte – e da qui la richiesta – sulla possibilità o meno di poter riconoscere un debito fuori bilancio nel caso di “arricchimento” per l’ente da prestazioni varie. Il problema che viene posto è però quello dei criteri di quantificazion eda applicare.

Infatti nella richiesta il sindaco pone la questione se “ai fini del computo dell’utile del privato prestatore del servizio, fornitore del bene o dell’opera che (…) non sarebbe riconoscibile in sede di riconoscimento debito fuori bilancio, possa applicarsi il criterio forfettario della riduzione della percentuale del valore del 10% per i lavori e del 5% per le forniture ed i servizi, così come ritenuto in diversi pareri delle Sezioni regionali di controllo, ovvero se occorra valutare caso per caso l’utile da escludere in ragione del tipo di prestazione, potendo risultare un utile volta per volta superiore ovvero inferiore ai predetti criteri forfettari, fatta salva, in ogni caso la congruità del compenso, la cui eccedenza rispetto al valore della prestazione resa costituirebbe importo comunque non riconoscibile”.

2. Il parere

Secondo il collegio, ai fini della quantificazione dell’utile di impresa, la giurisprudenza contabile ha più volte richiamato i parametri utilizzati dalla giurisprudenza amministrativa e della stessa Corte dei conti per il ristoro del c.d. «danno da concorrenza», ritenendo che tale utile sia da quantificare «…. in una percentuale del valore dell’appalto, 10% o 5% a seconda che si tratti di appalto di lavori o di forniture di beni e servizi. Trattasi del criterio liquidatorio dell’utile d’impresa, che viene mutuato dalle cause di risarcimento per equivalente, nel caso in cui non sia possibile la reintegrazione in forma specifica della pretesa dell’impresa ricorrente vittoriosa. Esso muove dal presupposto della spettanza, al privato contraente a causa dei vizi della procedura ad evidenza pubblica, del solo arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in luogo del corrispettivo contrattuale. In applicazione di tale criterio, il danno (alla concorrenza), nel giudizio di responsabilità, viene individuato nei pagamenti eccedenti la quota riconducibile all’arricchimento senza causa, sicché l’utile di impresa rappresenta la misurazione di tale eccedenza». (Corte dei conti, Sez. reg. contr. Lombardia, deliberazione 22 dicembre 2014, n. 380/2014/PRSE). Questo criterio, rammenta la deliberazione trae origine dall’applicazione analogica della  giurisprudenza “nella valutazione del danno risarcibile all’impresa appaltatrice in caso di contenzioso con la stazione appaltante, dell’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, attualmente riprodotto nell’art. 109 del D.lgs 50/2016, che quantifica(va) in tale misura il danno risarcibile a favore dell’appaltatore in caso di recesso della P.A”.

In questi limiti – se realmente l’amministrazione ha degli elmenti per ritenere che l’utile di impresa possa discostarsi da tali parametri, laseizone ammette che ben si “possa procedere a scomputare dalla somma da riconoscere l’utile di impresa effettivo”.

Secondo la sezione è quindi possibile individuare una diversa quantificazione dell’utile di impresa solo in presenza di specifiche valutazioni, ovviamente effettuate ex ante, “vale a dire prima della stessa esecuzione della fornitura e/o del servizio e/o dell’opera e delle quali l’amministrazione abbia la disponibilità, in base alle quali sia stato possibile individuare e valutare l’esatta composizione dell’offerta, ivi compreso le sue componenti inderogabili, al fine di vagliarne l’attendibilità, la conformità alle prescrizioni di legge e, da ultimo, l’effettivo utile di impresa conseguito dal prestatore d’opera, di servizi e di forniture”.

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Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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