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( votes)Negli anni Novanta, attraverso la Legge 241/90, in materia di trasparenza degli atti amministrativi, sorge la figura del Responsabile del Procedimento, al quale è affidato il compito di verificare l’esistenza di tutti i requisiti di legittimazione e di fatto necessari per la adozione del provvedimento finale.
La figura del Responsabile del Procedimento, organo interno alla Pubblica Amministrazione, cura, tra l’altro, che l’istruttoria goda di un sollecito svolgimento, compiendo ogni attività e adottando ogni misura in tal senso indispensabile.
In un tempo successivo, nell’ambito della nuova Legge quadro sui lavori pubblici, 11 febbraio 1994 n. 109, si stabilisce che le amministrazioni dello Stato, gli Enti Pubblici, le Amministrazioni Locali e ogni organismo di diritto pubblico devono nominare, ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241, un responsabile UNICO per le fasi della progettazione, dell’affidamento e della esecuzione nell’ambito del procedimento di attuazione di ogni singolo intervento previsto dal programma dei lavori pubblici.
Successivamente, ancora, la legge quadro innanzi citata è abrogata dall’art. 256 del decreto legislativo n. 163 del 2006, il quale introduce, per la prima volta nell’ordinamento italiano, una disciplina sostanzialmente unitaria dalle gare di appalto, a prescindere dal fatto che esse abbiano a oggetto, lavori, forniture o servizi. Si crea così un unico testo normativo, attraverso il quale si instaura una disciplina organica degli appalti di lavori, servizi e forniture e delle concessioni di lavori, servizi e forniture, sia all’interno dei lavori ordinari sia all’interno dei lavori speciali. Tutto ciò in risposta agli obbiettivi di semplificazione posti dalle leggi comunitarie.
All’art. 10 del decreto legislativo in argomento sono stabiliti i singoli compiti del RUP.
La elencazione, pur avendo una struttura chiaramente analitica, ha solo efficacia indicativa e non tassativa, giacché, secondo l’interpretazione della alta giurisprudenza del settore, il funzionario responsabile deve guardare sempre al caso concreto e preoccuparsi di ogni attività necessaria alla miglior cura del procedimento affidatogli, in ragione dei principi di efficienza ed efficacia che devono sempre governare l’azione amministrativa. Il funzionario responsabile, dunque, deve calarsi nella fattispecie oggettiva e valutare quali siano gli adempimenti più idonei. E’ una figura, in sostanza, quella del RUP, che gode di globalità di funzioni, avendo poteri di proposta, poteri di vigilanza e controllo, poteri di certazione, poteri di informazione e ogni diversa attribuzione disciplinata da altre disposizioni del codice.
Quanto alle specifiche attività di competenza del RUP è necessario guardare al regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici, oggi aggiornato con dpr 5 ottobre 2010 n. 207.
Ora, dalla lettura complessiva della materia normativa in esame, emerge chiaramente che il responsabile unico del procedimento deve occuparsi anche della fase dell’esecuzione dei singoli interventi da realizzarsi mediante un contratto pubblico. Ma è soprattutto l’articolo 10 dell’indicato dpr 207 a valorizzare e a sottolineare l’importanza del ruolo del RUP nel momento della realizzazione materiale dei lavori nelle concessioni di lavori pubblici, assumendo, il RUP, anche e soprattutto, il ruolo di responsabile dei lavori ai fini del rispetto delle norme sulla sicurezza e salute del lavoratore sui luoghi ove quest’ultimo è impegnato.
Ebbene, alla stregua di tutto ciò e in particolar modo dell’ultimo profilo analizzato, risulta interessante esaminare la sentenza n. 41993 emessa dalla Sezione IV della Corte di Cassazione in data 15 novembre 2011.
I fatti processuali rievocati nella pronuncia dei Giudici di Legittimità e i principi giurisprudenziali espressi ci offrono una inedita immagine del RUP: questi, a causa del proprio titolo e occupato nello svolgimento delle mansioni tipiche del proprio ruolo, è di norma il soggetto che rappresenta gli Organismi Pubblici e, proprio per ciò, è usuale che sia visto quale imputato di reati, appunto, contro la Pubblica Amministrazione.
Il “nostro” Responsabile del procedimento riveste, invece, nella fattispecie che ci occupa, la posizione del condannato per il delitto di omicidio colposo, reato contro la vita e l’incolumità individuale.
Nella vicenda in esame, l’imputato era stato condannato, per il delitto di cui si è detto, in concorso con il coordinatore in materia di sicurezza e con il titolare della ditta subappaltatrice, per aver consentito, IN VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI SICUREZZA, che l’operaio lavorasse in totale assenza delle opere di protezione collettiva prevista dal piano di sicurezza e senza precauzioni atte ad evitare la caduta dall’alto che ha generato la morte del pover’ uomo.
La colpa penale dell’ imputato risiede in una evidente omissione: non avere approntato tutto quanto necessario al fine di evitare che si verificasse l’evento de quo.
La Suprema Corte, adita in ultima istanza e valutando il quadro processuale innanzi delineato, stabilisce che sul “RUP grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un’attività di sorveglianza del loro rispetto”.
La posizione di garanzia, dunque, è posta a tutela dei lavoratori e, a tal fine, il RUP deve coordinare il piano generale di sicurezza e, ai sensi dell’articolo 6 del DPR 494/1996, ha lo specifico obbligo di verificare se sussistano tutte le condizioni perché il lavoro si svolga senza alcun rischio, in attuazione degli stessi piani. DEVE essere garantita la sicurezza e l’incolumità dei lavoratori!
In buona sostanza e in sintesi, il Responsabile Unico del procedimento ha l’obbligo di VERIFICARE che i piani di sicurezza siano congrui, efficaci e aderenti alle attività di lavoro da svolgersi; VERIFICARE l’adeguatezza di eventuali modifiche progettuali; VIGILARE sulla corretta e completa attuazione dei piani stessi.
Ora, alla luce dell’articolato e complessivo quadro così delineato, è necessario chiedersi come si ponga la figura del RUP rispetto a un evento esiziale che abbia colpito il lavoratore.
Al fine di dare una risposta al quesito che precede è opportuno, in prima istanza, compiere un’indagine profonda atta a stabilire se il RUP abbia pienamente soddisfatto gli obblighi che cedono a suo carico secondo le norme di legge e dei quali si è ampiamente discusso nel corso di questo scritto.
Compiuta la verifica in punto di diritto e riscontrata, sotto tale specifico aspetto, l’OMISSIONE del funzionario responsabile diviene imprescindibile stabilire se l’episodio dannoso che ha coinvolto il lavoratore fosse legato causalmente alla condotta del RUP e fosse PREVEDIBILE. Non è sufficiente, infatti, la esplicita violazione delle norme che fissano i doveri in capo al RUP perché questi sia “automaticamente” responsabile del conseguente evento dannoso, ma è strettamente necessario che si verifichi, sul terreno della colpa, se l’omissione di cui si è detto sia stata efficacemente causa, nel nostro caso, della morte del lavoratore.
Il principio oramai stabile in giurisprudenza, in materia di reato colposo omissivo improprio, vuole che la sussistenza del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento debba essere ricondotta all’accertamento che, con il comportamento dovuto ed omesso, l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità vicino alla certezza e cioè in una percentuale di casi quasi prossima a cento. Ciò in evidente contrasto con i precedenti orientamenti, meno garantisti, per i quali erano sufficienti, al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, solo serie ed apprezzabili probabilità di successo della condotta che avrebbe potuto impedire l’evento, ricorrendo anche agli automatismi propri delle leggi statistiche.
E attraverso la cosiddetta sentenza Franzese, che le Sezioni Unite della Cassazione, pronunziandosi in data 11 settembre 2002 in materia diresponsabilità medica, stabiliscono quali debbano essere gli schemi di valutazione, di applicazione generale, quanto al reato colposo. E la Corte decisamente innova, elaborando principi di più evidente segno garantistico e dando un indirizzo di carattere logico giuridico di forte impatto e particolarmente efficace sotto l’aspetto della applicazione dei principi stessi in ambito processuale.
Sostengono i Giudici di Legittimità che “è causa penalmente rilevante la condotta umana, attiva o omissiva, che si pone come condizione necessaria nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato”.
Dettano ancora i Giudici che “la verifica della causalità postula il ricorso al “giudizio controfattuale”, articolato sul condizionale congiuntivo “se allora” (nella forma di un periodo ipotetico dell’irrealtà, in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale “doppia formula”, nel senso che: a) la condotta umana “è” condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana “non è” condizione necessaria dell’evento se eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si sarebbe egualmente verificato”.
Dunque – postulato che l’omissione non è di per sé sola sufficiente a generare una qualunque responsabilità penale per il delitto colposo improprio, ma è necessario che ricorra uno stretto e diretto nesso di causalità tra il comportamento omissivo e l’evento non voluto – il Giudice può ravvisare l’esistenza della correlazione causale quando, alla stregua del giudizio controfattuale, attuato in forza di generali regole di esperienza ovvero di una norma scientifico-universale, oppure statistica, si riscontri che, ipotizzandosi come realizzata dal soggetto obbligato la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato.
Ma ancora.
Per i Giudici della Cassazione non è proprio consentito che si deduca automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale. Il Giudicante, infatti, deve accertare e verificare la validità dell’accusa spiccata nei riguardi dell’imputato, calandosi nella fattispecie concreta, valutando le oggettive circostanze di fatto e ricorrendo a tutte le evidenze disponibili, di talché, verificata l’inesistenza di fattori alternativi quali causa dell’evento, risulti processualmente indubitabile la conclusione che la condotta omissiva del soggetto imputato sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”.
La Corte di Legittimità introduce, finalmente, il principio del “ragionevole dubbio”, il quale esclude ogni responsabilità dell’imputato laddove la valutazione delle evidenze probatorie, in ordine all’esistenza del nesso causale, comporti un giudizio di insufficienza, contraddittorietà e incertezza delle prove stesse.
E allora come deve comportarsi il RUP per evitare di incorrere nelle sanzioni penali quando espleta il proprio servizio?
Soddisfi, il RUP, i propri obblighi che discendono dalla legge e dai regolamenti tecnici, valutando per esempio l’adeguatezza dei piani di sicurezza, non sulla base di astratti e generici criteri, ma calandosi pienamente e profondamente nella realtà del caso concreto.