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Premesse

Con il recente decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 14 del 16 gennaio 2018 è stato approvato il nuovo Regolamento per la redazione e la pubblicazione del programma triennale dei lavori pubblici, nonché del programma biennale per l’acquisizione di forniture e servizi e dei relativi elenchi e aggiornamenti annuali. Con il presente breve contributo si cercherà di analizzare, in prima lettura, i tratti salienti delle disposizioni volte a disciplinare le nuove procedure ed i nuovi schemi tipo che le stazioni appaltanti dovranno utilizzare ai fini della necessaria programmazione per le acquisizioni di beni e servizi. Trattandosi di una prima lettura, ci si limiterà a sottolineare esclusivamente gli aspetti di maggiore impatto “operativo”, tentando di focalizzare, in particolare, gli obblighi e le scadenze introdotti dalla nuova disciplina.

1. I contenuti delle nuove norme

Come ormai noto, l’articolo 21, comma 8 del decreto legislativo n. 50 del 2016, recante il codice dei contratti pubblici, ha demandato ad un apposito decreto ministeriale il compito di definire le modalità di aggiornamento dei programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi e dei programmi triennali dei lavori pubblici e dei relativi elenchi annuali: tra i compiti del decreto ministeriale vi era, in particolare, quello di procedere all’individuazione dei seguenti elementi:

  • i criteri per la definizione degli ordini di priorità nella realizzazione degli interventi;
  • l’eventuale suddivisione in lotti funzionali;
  • le condizioni che consentono di modificare la programmazione e di procedere a un acquisto che non era stato previsto nell’elenco annuale;
  • gli schemi tipo e le informazioni minime che essi devono contenere, individuate anche in coerenza con gli standard degli obblighi informativi e di pubblicità relativi ai contratti;
  • le modalità di raccordo con la pianificazione dell’attività dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza ai quali le stazioni appaltanti delegano la procedura di affidamento.

A sua volta, l’articolo 216, comma 3 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016 ha previsto che, nelle more dell’adozione del predetto decreto, si applicano gli atti di programmazione già adottati ed efficaci, all’interno dei quali le amministrazioni aggiudicatrici individuano un ordine di priorità degli interventi.

Il decreto definisce le modalità di aggiornamento dei programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi

Con il decreto n. 14/2018 è stata introdotta la disciplina di attuazione delle predette norme contenute nel codice dei contratti[1], con la previsione, in particolare, dell’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di adottare – nel rispetto dei rispettivi ordinamenti – il programma biennale degli acquisti di forniture e servizi nonché i relativi elenchi e aggiornamenti annuali sulla base di appositi schemi-tipo (art. 6, comma 1)[2].

I nuovi schemi-tipo per la programmazione biennale degli acquisti di forniture e servizi sono costituiti, in particolare, dalle seguenti schede:

  • Scheda A: quadro delle risorse necessarie alle acquisizioni previste dal programma, articolate per annualità, con l’indicazione della specifica fonte di finanziamento; non è chiaro, peraltro, se a tali fini la norma imponga che, per la realizzazione degli interventi programmati, sia stata già acquisita una vera e propria prenotazione di impegno a carico del bilancio, ai sensi del d.lgs. n. 118/2011, o se sia invece sufficiente una mera previsione di massima, non collegata a specifici impegni contabili;
  • Scheda B: elenco degli acquisti del programma con indicazione degli elementi essenziali per la loro individuazione. Nella scheda sono indicati le forniture e i servizi connessi ad un lavoro, riportandone il relativo CUP, sempre obbligatorio in caso di appalto di lavori;
  • Scheda C: elenco degli acquisti presenti nella precedente programmazione biennale ma non riproposti nella programmazione successiva.

Ogni appalto di forniture e servizi riportato nel programma è individuato univocamente dal codice unico di intervento (CUI), che viene attribuito in occasione del primo inserimento nel programma (art. 6, comma 5 ed art. 2, comma 1, lett. c).

In aggiunta al CUI, dovrà essere riportato anche il CUP, che identifica ogni progetto di investimento pubblico[3]. Entrambi i codici vengono mantenuti nei programmi biennali nei quali l’acquisto è riproposto, salvo modifiche sostanziali del progetto che ne alterino la possibilità di precisa individuazione. Non è chiaro, peraltro, se ai fini dell’approvazione degli atti di gara, la stazione appaltante debba in essi indicare, oltre al CIG ed al CUP, anche il nuovo CUI.

Non paghi di CIG e CUP, occorre acquisire anche un CUI

Il proliferare di sempre nuovi e diversi sistemi di monitoraggio – con le annesse banche dati, non sempre caratterizzate da quella tanto attesa ed inattuata interoperabilità – non facilita certo né il lavoro degli operatori del settore degli appalti, né i soggetti che, a vario titolo, sono chiamati dall’ordinamento a controllare l’effettiva trasparenza e conoscibilità dei dati sugli appalti. Probabilmente, sarebbe stato utile, pertanto, utilizzare quale codice identificativo dell’intervento il codice CIG rilasciato dall’Autorità anticorruzione ai fini dell’obbligatoria tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dagli appalti pubblici[4]. Tanto più che con le nuove norme contenute nel decreto potrebbe assistersi ad un vero e proprio “intreccio” di codici identificativi: ed infatti, il programma biennale contiene anche i servizi esterni di architettura ed ingegneria di cui all’art. 23, comma 1 del codice e, più in generale, tutte le ulteriori acquisizioni di forniture e servizi connessi alla realizzazione di lavori previsti nella programmazione triennale dei lavori pubblici o di altre acquisizioni di forniture e servizi previsti nella programmazione biennale, che devono essere individuate da un proprio CUI ma vanno comunque associate al CUI – ed al CUP, ove previsto – del lavoro o dell’acquisizione al quale sono connessi.

In tale contesto, francamente poco incoraggiante, si può dunque solo auspicare che i nuovi oneri informativi – che certamente non semplificano l’azione amministrativa, a tutto scapito della trasparenza e dell’immediata intelleggibilità degli elementi essenziali dell’appalto – possano comunque avere, in qualche modo insperato, l’effetto finale di consentire un maggiore tracciamento dell’attività di committenza pubblica.

Come ormai noto, l’art. 21, comma 6 del codice prevede che il programma biennale di forniture e servizi e i relativi aggiornamenti annuali debbano indicare gli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato pari o superiore a 40.000 euro: il decreto ministeriale prevede, pertanto, che nel programma debbano essere riportati gli importi degli acquisti di forniture e servizi risultanti dalla stima del valore complessivo, oppure, per gli acquisti di forniture e servizi ricompresi nell’elenco annuale, gli importi del prospetto economico delle acquisizioni medesime.

È questo, probabilmente, il vero nodo centrale delle nuove disposizioni, nella misura in cui con esse si impone alla stazione appaltante di allungare lo sguardo da un orizzonte annuale ad uno almeno biennale, con i conseguenti effetti in tema di contrasto al fenomeno del frazionamento artificioso del contratto.

Sempre sotto il profilo operativo che connota la nuova attività di programmazione, il decreto prevede che nei programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi, per ogni singolo acquisto, debba essere riportata l’annualità nella quale si intende dare avvio alla procedura di affidamento. Per quanto concerne la definizione delle caratteristiche dei beni e dei servizi da acquisire, il decreto dispone inoltre che le amministrazioni indicano nel programma le caratteristiche tipologiche, funzionali e tecnologiche delle acquisizioni e la relativa quantificazione economica: nel caso di suddivisione in lotti funzionali, tal indicazioni possono essere fornite anche con riferimento all’appalto considerato nel suo complesso, ovverosia quale somma dei diversi lotti (art. 6, comma 9).

Nel programma va descritto ciascun appalto con la previsione della precisa copertura economica

Il programma biennale, inoltre, dovrà riportare l’ordine di priorità degli acquisti di forniture e servizi e, nell’ambito della definizione dei predetti ordini di priorità, le amministrazioni individuano come necessariamente prioritari i servizi e le forniture che:

  • siano necessari in conseguenza di calamità naturali;
  • siano finalizzati a garantire gli interessi pubblici primari;
  • costituiscano acquisti aggiuntivi per il completamento di precedenti forniture o servizi;
  • siano cofinanziati con fondi europei;
  • per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario.

Il decreto aggiunge che le amministrazioni tengono conto delle priorità liberamente definite nel programma, fatte salve le modifiche dipendenti da eventi imprevedibili o calamitosi oppure da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari o, ancora, da atti amministrativi adottati a livello statale o regionale (art. 6, comma 11).

Al di là delle predette categorie di acquisizioni, che la norma stessa definisce de iure come sempre prioritari, le stazioni appaltanti mantengono la facoltà di individuare discrezionalmente quali siano gli interventi che ritengano di maggior rilievo, in relazione agli interessi pubblici alle stesse attribuite e tenuto conto delle politiche pubbliche che le medesime amministrazioni intendono porre in agenda e poi implementare operativamente.

Ci si può chiedere, peraltro, quale sia, all’interno delle varie amministrazioni che possa essere considerato come l’organo effettivamente deputato alla definizione delle priorità in termini di programmazione: a tale proposito, il decreto si limita a disporre, un po’ laconicamente, che le amministrazioni individuano, nell’ambito della propria organizzazione, la struttura e il soggetto referente per la redazione del programma biennale degli acquisti di forniture e servizi (art. 6, comma 13)[5].

I programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi sono modificabili nel corso dell’anno, previa apposita approvazione dell’organo competente, qualora tali modifiche riguardino:

  1. la cancellazione di uno o più acquisti già previsti nell’elenco annuale;
  2. l’aggiunta di uno o più acquisti in conseguenza di atti amministrativi adottati a livello statale o regionale;
  3. l’aggiunta di uno o più acquisti per la sopravvenuta disponibilità di finanziamenti all’interno del bilancio non prevedibili al momento della prima approvazione del programma, comprese le ulteriori risorse disponibili anche a seguito di ribassi d’asta o di economie;
  4. l’anticipazione alla prima annualità dell’acquisizione di una fornitura o di un servizio ricompreso nel programma biennale;
  5. la modifica del quadro economico degli acquisti già contemplati nell’elenco annuale, per la quale si rendano necessarie ulteriori risorse.

Per quanto concerne le modalità di redazione, il decreto aggiunge che il programma dovrà essere predisposto ogni anno scorrendo l’annualità pregressa ed aggiornando i programmi precedentemente approvati, nei quali, tuttavia, non andranno riproposte le acquisizioni di beni e servizi per le quali la procedura di affidamento sia stata nel frattempo avviata. Può essere utile anche sottolineare che nella scheda C dovrà essere riportato l’elenco degli acquisti presenti nella prima annualità del precedente programma e non riproposti nell’aggiornamento del programma: nella predetta scheda non andranno invece inserite le acquisizioni per le quali la procedura sia stata già avviata oppure quelle per le quali la stazione appaltante abbia rinunciato a procedere all’acquisizione.

Quando la procedura di approvazione dell’aggiornamento annuale del programma biennale sia stata avviata (ancorché non conclusa) le regioni e gli enti locali possono, motivatamente, autorizzare l’indizione delle procedure relative previsto in un programma biennale già approvato (art. 7, comma 7). Dal tenore letterale della norma sembrerebbe potersi evincere che la facoltà di autorizzare l’avvio di una gara prima dell’aggiornamento del programma sia consentita esclusivamente alle regioni ed agli enti locali, ma non alla generalità delle amministrazioni aggiudicatrici: tale facoltà non sembrerebbe essere quindi consentita – piuttosto inspiegabilmente – alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, agli organismi di diritto pubblico ed alle associazioni, alle unioni ed ai consorzi, comunque denominati, costituiti dai predetti soggetti (art. 3, comma 1, lett. a, del codice dei contratti).

I programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi sono modificabili nel corso dell’anno

Un servizio o una fornitura non inseriti nella prima annualità del programma, infine, potranno essere realizzati sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione dell’elenco, avviando le procedure di aggiornamento della programmazione.

2. Il raccordo con le centrali di committenza: qualcosa non torna

Negli elenchi annuali le amministrazioni debbono indicare l’obbligo – ove normativamente imposto – oppure l’intenzione di ricorrere ad una centrale di committenza o ad un soggetto aggregatore per l’espletamento della procedura di affidamento. Tale indicazione deve essere formulata, in particolare:

  • previa consultazione della pianificazione dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza; a corollario di tale previsione, l’art. 6, comma 1, dispone che le amministrazioni, ai fini della predisposizione del proprio programma biennale dei relativi elenchi annuali, consultano, ove disponibili, le pianificazioni delle attività dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza, anche ai fini del rispetto degli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa; il successivo comma 8 impone poi alle singole amministrazioni di riportare, per ogni singolo acquisto, l’annualità nella quale si intende ricorrere ad una centrale di committenza o ad un soggetto aggregatore, al fine di consentire il raccordo con la pianificazione dell’attività degli stessi; è importante sottolineare che l’ordinamento non prevede, per i soggetti obbligati a ricorrere alle centrali di committenza, l’obbligo di preventivo raccordo con l’attività di pianificazione da parte delle centrali stesse;
  • previa acquisizione del preventivo assenso della centrale di committenza;
  • previa verifica della capienza della convenzione quadro per il soddisfacimento del proprio fabbisogno (art. 8, comma 1).

L’indizione dell’appalto diventa subordinato al preventivo assenso della centrale di committenza

Dalla norma sembrano emergere alcune importanti novità rispetto a ciò che il quadro normativo previgente disponeva (anche con fonte di rango superiore a quella regolamentare, propria del decreto ministeriale in argomento); in particolare, sembra potersi evincere che:

  • i soggetti aggregatori e le centrali di committenza dovrebbero procedere, a rigor di logica, ad una pianificazione generale preventiva rispetto agli enti aderenti; se ciò tuttavia è possibile per i soggetti aggregatori (che hanno già a disposizione una prima rilevazione dei fabbisogni, e sono tenuti all’approvvigionamento soltanto di una serie di specifici beni e servizi), il discorso cambia completamente per le altre centrali di committenza, che, ad esempio, non hanno una preventiva conoscenza di tutte le diverse acquisizioni necessarie ai comuni del proprio territorio e, pertanto, non hanno la materiale possibilità di programmare la relativa attività di committenza; in particolare, si noti che l’art. 6, comma 12 prevede che l’elenco delle acquisizioni di forniture e servizi di importo stimato superiore ad 1 milione di euro che le amministrazioni prevedono di inserire nel programma biennale, sono comunicate dalle medesime amministrazioni, entro il mese di ottobre, al Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori, e che tale comunicazione deve avvenire mediante la trasmissione al portale dei soggetti aggregatori nell’ambito del sito acquisti in rete del Ministero dell’economia e delle finanze anche tramite sistemi informatizzati regionali (art. 7, comma 5): un simile sistema di rilevazione obbligatoria manca radicalmente per le altre centrali di committenza – ad es. quelle deputate ad indire le gare per i comuni non capoluogo di provincia – e ciò rischia di costituire un grave ostacolo all’effettiva implementazione delle nuove disposizioni contenute nel decreto in esame; le nuove norme sembrano esser state insomma ideate con la collaborazione dei soggetti aggregatori, dato che ne rispecchiano strettamente l’esperienza ed il modus operandi, senza considerare le problematiche tipiche delle altre centrali di committenza;
  • la soluzione ipotizzata dal decreto è dunque quella di sottoporre il ricorso alla centrale di committenza al preventivo assenso di quest’ultima; sennonché, è dubbio che in presenza di un obbligo normativo specifico (si pensi, a tale proposito, a quanto disposto all’art. 37, comma 4 del codice) sia legittimo, da parte della centrale, esprimere un proprio dissenso, esonerando così – con un semplice provvedimento amministrativo, ancorché ben motivato – il comune non capoluogo dall’obbligo imposto da una fonte di rango primario;
  • in alternativa, il decreto impone all’ente aderente di verificare “la capienza” – che, sia pur nel silenzio della norma, può essere ragionevolmente tradotta soltanto nella capienza delle convenzioni quadro da aggiudicare ex art. 26 della legge n. 488 del 1999 – ma tale opzione operativa impone, come già osservato, che vi sia una programmazione a monte, obbligatoria per quanto concerne i soggetti aggregatori ed inesistente, in punto di diritto ed in termini di fatto, per quanto concerne la grandissima parte delle centrali di committenza.

Insomma, un bel pasticcio normativo ed applicativo, ennesima dimostrazione che, per poter scrivere bene le norme (se si vogliono evitare impasse o, peggio, fragorosi buchi nell’acqua) occorrerebbe sempre poter contare su di una conoscenza sicura dei flussi di attività sui quali le norme stesse vanno ad intervenire: e ben diversa è l’attività dei soggetti aggregatori rispetto a quella delle centinaia di centrali di committenza chiamate quotidianamente a far fronte ai bisogni dei piccoli e piccolissimi comuni del territorio.

3. Gli obblighi di trasparenza

La programmazione biennale ed il relativo elenco annuale sono soggetti a pubblicazione, da parte di ciascuna amministrazione, sul proprio sito istituzionale, all’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 33/2013 e dell’art. 29 del d.lgs. n. 50/2016.

Può essere utile ricordare che l’elenco completo dei provvedimenti soggetti a pubblicazione all’interno della sezione “Amministrazione trasparente” – unitamente al dettaglio dei relativi tempi di pubblicazione – sono stati riepilogati e sintetizzati dall’Autorità Anticorruzione all’interno della deliberazione n. 1310/2016.

In aggiunta a ciò, al fine di assicurare la piena trasparenza e la libera consultazione dei dati afferenti la programmazione, l’art. 6 comma 3 del nuovo decreto dispone che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e le provincie autonome assicurano la disponibilità del supporto informatico per la compilazione online degli schemi-tipo allegati al decreto[6].

Il programma biennale va pubblicato nella sezione ”Amministrazione trasparente”

L’art. 7, comma 4 dispone infine che, nei casi in cui le amministrazioni non provvedano alla redazione del programma biennale a causa dell’assenza di acquisti di forniture e servizi, ne devono dare comunque comunicazione sul proprio profilo del committente all’interno della sezione «Amministrazione trasparente» di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nonché sui siti informatici gestiti dal MITT, dalle regioni e dalle province autonome. Parimenti, anche le modifiche apportate alla programmazione già approvate sono soggette ai medesimi obblighi di pubblicazione (art. 7, comma 10).

4. L’entrata in vigore dei nuovi obblighi

Per quanto concerne l’entrata in vigore delle nuove norme, l’art. 11 dispone che il decreto[7] entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla predetta pubblicazione, ovverosia, nella specie, il 24 marzo 2018.

La norma va tuttavia letta in combinato disposto con il precedente art. 9, ai sensi del quale le nuove norme trovano applicazione per la formazione o l’aggiornamento dei programmi biennali degli acquisti di forniture e servizi effettuati a decorrere dal periodo di programmazione 2019-2020.

Le nuove norme si applicano per il periodo di programmazione 2019-2020

Non è chiaro se tale prescrizione debba trovare applicazione anche per le amministrazioni che abbiano già intrapreso un percorso di programmazione su base, per così dire, volontaria, o se le stesse amministrazioni debbano, in tali ipotesi, provvedere obbligatoriamente ad assicurare la programmazione (in coerenza ed in continuità con gli atti programmatori già adottati) anche per l’anno 2018.

Con due norme di non solare chiarezza, peraltro, viene disposto, da un lato, che il decreto del MIT 24 ottobre 2014 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo decreto in commento e, dall’altro, che il predetto decreto del 2014, unitamente all’articolo 216, comma 3 del codice continuano ad dover essere applicati sino “alla data di operatività” del decreto in esame.

Si tratta, insomma, di nuove norme già entrate in vigore ma non ancora operative, con la conseguenza che le norme previgenti vengono sì abrogate ma, ciò nonostante, debbono esser ancora applicate: una classica soluzione, per così dire, all’italiana, in attesa di un prevedibile, ennesimo, balletto delle proroghe e dei rinvii. Nulla di nuovo, purtroppo, sotto il sole del nostro bellissimo Paese.


[1] L’art. 21, comma 1, secondo periodo del codice precisa che i programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori ed in coerenza con il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme che disciplinano la programmazione economico-finanziaria degli enti.

[2] La norma precisa che la programmazione avviene, in ogni caso, fatte salve le competenze legislative e regolamentari vantate in materia dalle regioni e dalle province autonome.

[3] Dopo un’espressione lievemente tautologica – “per ogni acquisto per il quale è previsto, è riportato il CUP” – il decreto rinvia, quale fonte per la necessità di acquisire il Codice Unico di Progetto, all’articolo 11 della legge 16 gennaio 2003, n. 3. In realtà, al di là della fonte normativa, la maggiore difficoltà delle stazioni appaltanti, soprattutto per le acquisizioni di beni, è identificare le forniture che costituiscano un vero e proprio investimento: può quindi essere utile fare ricorso, ai fini dell’esatta individuazione della nozione di investimento pubblico, alla deliberazione adottata dal CIPE n. 143 del 2002.

[4] Si vedano, a tale proposito, gli articoli 3 e 6 della legge n. 136 del 2010 e la deliberazione adottata dall’Autorità Anticorruzione n. 556 del 2017, recante l’aggiornamento alle linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136.

[5] Il referente per la programmazione di beni e servizi, peraltro, può coincidere con il referente unico individuato da ciascuna l’amministrazione per la banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui al decreto legislativo n. 229 del 2011.

[6] Così come sino ad oggi effettuato, ad esempio, dal MITT, mediante la messa a disposizione del “servizio contratti pubblici” accessibile al seguente link: https://www.serviziocontrattipubblici.it/ .

[7] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.57 del 9 marzo 2018.

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Questo articolo è stato scritto da...

Ilenia Filippetti
Avv. Ilenia Filippetti
Avvocato, Responsabile della Sezione Monitoraggio appalti di servizi e forniture della Regione Umbria, Presidente dell’Associazione Forum Appalti
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