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( votes)Premessa
Come è noto, la Commissione speciale del Consiglio di Stato ha presentato, nel dicembre scorso, nel pieno rispetto delle tempistiche stabilite dal Governo, lo Schema definitivo del nuovo Codice dei contratti. Adesso lo Schema, approvato una prima volta dal Consiglio dei Ministri, è stato sottoposto al parere della Conferenza Unificata e poi inviato alle Commissioni parlamentari per l’espressione del parere di competenza. Dopo l’esame in Parlamento, tornerà in Consiglio dei Ministri per la seconda approvazione per poi essere emanato dal Capo dello Stato e conseguentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore.
Nella fase attuale, in vista dell’esame da parte della Commissione parlamentare competente, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha deciso di formulare proprie osservazioni[1] sullo Schema per invitare il Parlamento ad apportare alcune modifiche al testo prima della sua approvazione definitiva così da scongiurare difficoltà interpretative e migliorare l’efficacia di alcune disposizioni. Con tali osservazioni, l’intento dell’ANAC è anche quello di correggere il tiro del legislatore in alcuni ambiti in cui esso sembri voler intraprendere direzioni differenti dalla linea maestra della lotta alla corruzione, della massima trasparenza, del rigore ecc.
Nella premessa del documento contenente le osservazioni dell’Autorità si legge infatti che <<proprio in ragione dell’importanza strategica del decreto legislativo e della complessità delle questioni in esso disciplinate, ANAC (n.d.r.) ritiene opportuno indicare gli ulteriori margini di miglioramento che si possono conseguire attraverso alcune puntuali proposte di modifica. È evidente, infatti, che la formulazione di una legge, anche se riordinata e semplificata in un unico testo codicistico, è un elemento necessario ma non sufficiente per una riforma di successo. Occorrerà, infatti, accompagnare questo fondamentale processo di riforma, sia con riferimento ai tempi della sua implementazione, sia, soprattutto, garantendone la più efficace attuazione amministrativa>>.
L’Autorità suggerisce alcune soluzioni operative: da un lato, al fine di evitare rallentamenti nell’attività contrattuale in corso per l’attuazione degli investimenti previsti dal PNRR, si potrebbe introdurre in norma un possibile differimento dei termini di applicazione di alcune disposizioni. Dall’altro, l’ANAC ritiene necessaria l’adozione di separati provvedimenti per fornire le necessarie risorse a tutti i soggetti pubblici coinvolti nell’attuazione della riforma, soprattutto per il potenziamento della professionalizzazione e specializzazione delle stazioni appaltanti e per l’implementazione di centri di consulenza e supporto alle imprese nella partecipazione alle gare pubbliche, al fine di migliorarne le conoscenze, favorire la formulazione di offerte più consapevoli e qualitativamente adeguate e ridurre i rischi di contenzioso.
L’Autorità affronta, poi, nello specifico una serie di tematiche per le quali propone puntuali suggerimenti di modifica, eliminazione o integrazione volti a mitigare i rischi di difficoltà interpretative o applicative o, ancor peggio, il venir meno di alcune competenze dell’Autorità medesima poste a presidio – secondo ANAC – dei principi regolatori del sistema dei contratti pubblici.
All’indomani della prima approvazione dello Schema di Codice dei contratti pubblici da parte del Consiglio dei Ministri, l’Autorità Nazionale Anticorruzione pubblica un documento contenente osservazioni rivolte al Parlamento per suggerire alcune importanti modifiche da apportare al testo prima che lo stesso venga definitivamente approvato, dopo il parere delle Commissioni parlamentari competenti.
1. Le questioni principali oggetto delle Osservazioni dell’Autorità: il ripristino dell’elenco delle amministrazioni che operano mediante proprie società in house
Una prima questione affrontata dall’Autorità è la mancata previsione, nello Schema di nuovo Codice, dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, attualmente gestito da ANAC.
L’Autorità ne chiede fortemente il ripristino affermando che, se da un lato, è pacificamente ammesso nel nostro ordinamento che, tra le varie modalità organizzative che le pubbliche amministrazioni possono adottare per l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi, vi è anche l’affidamento diretto a società in house, è innegabile tuttavia che esso rappresenti una netta sottrazione del contratto al mercato. Per tale ragione il diritto eurounitario, come elaborato anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha individuato le precise condizioni che ne consentono l’attuazione, al fine di evitare l’inefficienza del mercato e la distorsione della concorrenza.
L’attuale Codice, nel prevedere l’elenco delle amministrazioni che operano mediante affidamenti alle proprie società in house, consente di sovrintendere con attenzione al rispetto delle condizioni imposte dal diritto dell’Unione. Infatti, la presentazione della domanda da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e la relativa iscrizione nel suddetto elenco presenta, secondo l’ANAC, <<l’evidente vantaggio di verificare a priori la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa eurounitaria per l’affidamento diretto, senza in alcun modo interferire rispetto alla decisione dell’ente di procedere con tale affidamento>>.
Tale verifica a priori si è rivelata, secondo quanto sostiene l’Autorità, molto utile e apprezzata dalle stazioni appaltanti, perché ha consentito di correggere nel tempo cattive pratiche e di limitare al massimo i casi in cui le amministrazioni si potessero trovare coinvolte – uscendone soccombenti – in contenziosi giurisdizionali volti all’applicazione della corretta normativa ed all’annullamento degli affidamenti illegittimi.
A sostegno della proposta di ripristinare la previsione dell’elenco, l’Autorità porta più di una argomentazione. In primo luogo, la mancata previsione dell’elenco, che comporterebbe una radicale modifica dell’impostazione della disciplina sull’in house providing, non trova riscontro nella legge delega[2] sulla base della quale lo Schema di Codice è stato elaborato. Anzi, <<l’abrogazione della competenza di ANAC in relazione all’istituto dell’elenco c.d. in house – sostiene l’Autorità – sembra in contrasto con la legge delega laddove all’articolo 2, comma 1, lett. b), richiede la revisione delle competenze dell’Autorità “al fine di rafforzarne le funzioni di vigilanza sul settore e di supporto alle stazioni appaltanti”>>.
Inoltre, il sistema di verifica a priori esistente è stato già valutato e approvato dalla Corte di Giustizia Europea, che – esprimendosi[3] sulle questioni pregiudiziali rimesse dal Consiglio di Stato sulla coerenza dei vincoli previsti dalla normativa italiana – si era a suo tempo pronunciata a favore della conformità dell’ordinamento italiano a quello comunitario.
Infine, la Corte dei Conti ha più volte ribadito le difficoltà nel reperimento di informazioni e dati coerenti sull’intero territorio nazionale riguardo alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche, delle quali le società in house costituiscono un segmento molto importante. L’elenco, che lo Schema di nuovo Codice si accinge ad eliminare, è invero un ottimo strumento per raccogliere informazioni a livello aggregato; la sua eliminazione andrebbe in senso diametralmente opposto alle esigenze informative sollevate dalla magistratura contabile italiana. Alla luce di quanto detto, non vi è pertanto ragione, a parere dell’ANAC, di allontanarsi dalla strada già ampiamente collaudata e della cui efficacia ed utilità non è ragionevole dubitare.
Tra le modifiche proposte da ANAC allo Schema di nuovo Codice vi è il ripristino dell’elenco delle amministrazioni che operano mediante affidamenti diretti a proprie società in house, sul quale l’Autorità stessa esercita attualmente il potere di vigilanza e che non è stato previsto nella nuova disciplina.
2. (Segue) La necessità di non depotenziare la disciplina del conflitto di interessi
Un altro tema su cui l’ANAC si sofferma e propone puntuali modifiche al testo dello Schema di Codice è l’art. 16 sul conflitto di interessi.
A parere dell’Autorità, la nuova formulazione della norma depotenzia notevolmente la disciplina e apre possibili spiragli al dilagare di fenomeni corruttivi, il cui rischio è particolarmente presente nel settore degli appalti pubblici.
La nuova disposizione infatti così recita: <<1. Si ha conflitto di interessi quando un soggetto che, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni e ne può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, gli esiti e la gestione, ha direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione. 2. In coerenza con il principio della fiducia e per preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro. 3. Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 1 ne dà comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e si astiene dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e all’esecuzione>>.
Secondo l’Autorità, la nuova definizione è in contrasto con quella contenuta nelle Direttive europee, dal momento che vengono inserite condizioni ivi non previste e che tendono a ridurne l’ambito applicativo.
Infatti, viene innanzitutto richiesto che, per rilevare un possibile conflitto di interessi, il soggetto debba intervenire nella procedura d’appalto non a qualsiasi titolo ma con specifici “compiti funzionali”; inoltre, deve coesistere (perché si usa la congiunzione “e” e non “o”) l’ulteriore condizione di poterne influenzare i risultati, la gestione ecc. Ancora, la minaccia all’imparzialità deve essere “concreta ed effettiva”, condizioni prima non previste e, aspetto ancora più grave, nel secondo comma è introdotta di fatto un’inversione dell’onere della prova a carico di chi invoca il conflitto di interessi. Tale ultima previsione determina il concreto rischio che dimostrare la sussistenza di un conflitto di interessi possa trasformarsi in una probatio diabolica.
Peraltro, con riferimento all’inversione dell’onere della prova, l’Autorità evidenzia – richiamando la sentenza della Corte di Giustizia del 12 marzo 2015, causa C538/13 – un contrasto tra il dettato dell’art. 16 dello Schema di codice e il diritto eurounitario in quanto, secondo quanto ha affermato la Corte, l’amministrazione aggiudicatrice è responsabile della procedura di gara anche nel caso in cui nomini una commissione di esperti, e la stessa Corte <<assegna alla sua specifica ed esclusiva competenza la verifica dell’esistenza di eventuali conflitti di interesse tra questi ultimi e le imprese concorrenti. Per la Corte, non si può chiedere al ricorrente in giudizio “di provare concretamente la parzialità del comportamento degli esperti”: di conseguenza, se sussistono elementi oggettivi che mettono in dubbio l’imparzialità di un ausiliario dell’amministrazione aggiudicatrice, spetta poi a quest’ultima ogni ulteriore verifica sul punto, anche in funzione dell’eventuale prova contraria da fornire in sede processuale>>.
Infine, la nuova definizione elimina il riferimento ad una specifica previsione delle direttive eurounitarie che pongono in capo alle stazioni appaltanti l’onere di attivarsi al fine di prevenire i conflitti.
Da ciò, la proposta di modificare in più parti l’art. 16, eliminando i riferimenti alle condizioni che restringono il campo di applicazione del conflitto, eliminando altresì il comma 2 sull’inversione dell’onere della prova e introducendo un comma 4 dal seguente tenore: <<le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni e nella fase di esecuzione, e vigilano affinché gli adempimenti di cui al comma precedente siano rispettati>>.
Secondo l’ANAC, le novità apportate alla disciplina del conflitto di interessi ne restringono l’ambito applicativo, anche rispetto a quello previsto per i procedimenti amministrativi ordinari, pur essendo il campo degli appalti pubblici particolarmente soggetto a rischi di corruzione. Da ciò la proposta di una serie di integrazioni all’art. 16 dello Schema di Codice.
3. Criticità connesse al notevole innalzamento della soglia di valore per gli affidamenti diretti
Un altro aspetto su cui l’Autorità si sofferma con attenzione è la norma in materia di procedure sottosoglia e, in particolare, solleva critiche alla nuova soglia di valore per gli affidamenti diretti, che lo Schema di Codice fissa a 140mila euro per gli appalti di servizi e forniture e a 150mila euro per i lavori.
E’ stata di fatto recepita stabilmente nell’ordinamento la soglia prevista in via provvisoria dalla normativa emergenziale dettata dai decreti Semplificazioni. Il legislatore ha infatti colto gli effetti positivi, in termini di semplificazione amministrativa e accelerazione delle procedure con conseguente rilancio del settore, derivanti dalle procedure emergenziali utilizzate negli ultimi due anni da tutte le stazioni appaltanti e ha voluto renderli stabili nel tempo prevedendo nel nuovo Codice una norma praticamente analoga.
L’Autorità non si mostra affatto entusiasta di tale scelta. Nel documento contenente le osservazioni per il Parlamento, infatti, l’ANAC afferma di aver avuto modo <<nell’ambito della propria esperienza di vigilanza, di constatare l’inefficienza di affidamenti diretti eseguiti senza il minimo confronto concorrenziale, ciò che nelle piccole realtà spesso significa l’affidamento a ditte conosciute, non sempre le più efficienti. Questa prospettiva è destinata a peggiorare nel caso in cui divenissero definitive le modifiche alla disciplina sul conflitto di interesse, sopra evidenziate, che “sollevano” la stazione appaltante dalla predisposizione di serie misure di prevenzione del conflitto d’interessi, facendo ricadere sugli eventuali interessati l’onere di dimostrarne la sussistenza. Per le suddette ragioni, questa Autorità non ha mai visto con favore l’innalzamento delle soglie che esentano la stazione appaltante dal confronto con la concorrenza ed auspica, pertanto, che le suddette soglie vengano ridimensionate>>.
Considerato tuttavia che è abbastanza improbabile che il Parlamento riduca le soglie per gli affidamenti diretti, posto che il loro innalzamento è ritenuto una delle leve strategiche per la semplificazione delle procedure e per il rilancio economico del sistema Paese – e di questo l’Autorità ne è consapevole – la stessa propone, in subordine, una serie di correttivi alla norma dello Schema così da potenziare quantomeno la trasparenza e favorire il confronto competitivo.
In primo luogo, l’ANAC suggerisce, almeno per gli affidamenti diretti di importo superiore alla soglia dei 40mila euro, che la stazione appaltante pubblichi sul proprio profilo di committente la determina a contrarre e dia esplicitamente conto in essa delle ragioni della scelta dell’affidatario, introducendo altresì qualche minimo riferimento al confronto competitivo, almeno sotto il profilo della comparazione dei prezzi, che, soprattutto per gli acquisti a catalogo da effettuarsi sul mercato elettronico, è immediatamente realizzabile e facilmente dimostrabile.
L’Autorità interviene anche sulla parte della disposizione in materia di procedure sottosoglia che si riferisce alle procedure negoziate senza bando. Secondo ANAC, <<a fronte del notevole innalzamento delle soglie – soprattutto in relazione all’affidamento di lavori – sarebbe opportuno, anche in questo caso, compensare l’ampliamento della discrezionalità dell’amministrazione nella scelta dei contraenti con una maggiore trasparenza, tramite l’introduzione dell’obbligo di pubblicazione sul sito della stazione appaltante dell’avviso dell’avvio della procedura negoziata>>. In particolare, l’Autorità suggerisce di introdurre l’obbligo di pubblicare un avviso preventivo almeno dieci giorni prima dell’avvio della consultazione degli operatori economici.
Inoltre, sulla falsariga di quanto previsto nel decreto Semplificazioni e alla luce dell’esperienza maturata negli ultimi due anni, l’ANAC ritiene che il ricorso alle indagini di mercato o alla consultazione di elenchi di operatori economici abbia favorito e favorisca l’applicazione dei principi di trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa; suggerisce pertanto di prevederne l’obbligo in tutte le ipotesi di procedura negoziata per gli appalti sottosoglia, inclusa la procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno dieci operatori economici, per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di rilevanza europea, per la quale lo Schema di Codice al momento non prevede alcunché.
L’ANAC, infine, contesta il fatto che l’attuale disposizione dello Schema consenta alla stazione appaltante di ricorrere alle procedure ordinarie nel solo caso da ultimo citato, ovvero la procedura negoziata senza bando per lavori da un milione di euro fino alle soglie comunitarie, e ne suggerisce la previsione in termini generali come possibile alternativa a tutte le procedure sottosoglia – sia affidamenti diretti che procedure negoziate – previa adeguata motivazione.
BOX: L’Autorità non ha mai visto con favore l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, che esentano la stazione appaltante dal confronto con la concorrenza e ne chiede il ridimensionamento o, in subordine, l’introduzione di alcuni correttivi che potenzino quantomeno la trasparenza e favoriscano il confronto competitivo.
4. Problematiche connesse alla qualificazione delle stazioni appaltanti
Altra questione di grande rilievo affrontata nel documento ANAC è la qualificazione delle stazioni appaltanti, tema caro all’Autorità che ha da sempre sostenuto <<l’importanza dell’innalzamento dei livelli di qualità delle amministrazioni pubbliche, connessi alla professionalizzazione e alla specializzazione dei soggetti coinvolti nell’approvvigionamento nell’espletamento delle loro funzioni>>.
Il sistema della qualificazione delle stazioni appaltanti è, come ben noto, finalizzato a centralizzare il più possibile la spesa pubblica per favorire l’ottimizzazione della spendita delle risorse, l’incremento dell’efficienza e dell’efficacia dell’attività amministrativa volta all’acquisizione di beni, lavori o servizi pubblici e la riduzione del contenzioso in materia di appalti attraverso l’innalzamento della qualità e correttezza delle procedure svolte attraverso la sempre crescente professionalizzazione dei soggetti ad esse preposti.
Tale sistema è ampiamente accolto e confermato nel nuovo Codice dei contratti, salva tuttavia una previsione, introdotta dall’art. 62 dello schema di Codice, in tema di aggregazioni e centralizzazione delle committenze, volta ad ampliare il novero delle stazioni appaltanti che possono operare in autonomia pur non essendo qualificate mediante l’innalzamento fino a 500mila euro della soglia minima al di sopra della quale scatta l’obbligo della qualificazione per l’affidamento di contratti di lavori pubblici.
L’ANAC esprime in merito tutta la sua disapprovazione sostenendo che <<si tratta di una modifica di assoluto rilievo che sottrae dall’obbligo di qualificazione una fetta importante degli enti aggiudicatori. Secondo le stime effettuate sui dati relativi al quinquennio 2017-2021, l’innalzamento della soglia di qualificazione per i lavori da 150mila euro a 500mila euro comporterebbe una riduzione del numero di gare eseguite da enti qualificati di circa il 65% corrispondente ad una diminuzione di circa il 45% del numero di amministrazioni aggiudicatrici qualificate>>. Per tale ragione l’Autorità propone al Parlamento di mantenere la soglia vigente di 150mila euro, al di sopra della quale imporre l’obbligo di qualificazione per l’affidamento dei contratti di lavori pubblici. Al più, per consentire il progressivo adeguamento da parte delle stazioni appaltanti al sistema di qualificazione, l’ANAC suggerisce di prevedere semmai un periodo transitorio di un anno dall’entrata in vigore del Codice, durante il quale la soglia per la qualificazione per l’affidamento dei contratti di lavori pubblici, sia temporaneamente innalzata a 500mila euro.
Altro aspetto critico della disposizione dello Schema in tema di centralizzazione delle committenze è quello relativo alla regolamentazione dell’ipotesi in cui l’amministrazione procedente non abbia la qualificazione adeguata per un certo tipo di affidamento ed abbia quindi necessità di rivolgersi ad una centrale di committenza. La versione attuale dello Schema prevede che la richiesta della stazione appaltante non qualificata alla centrale di committenza di svolgere la procedura di gara si intende accolta qualora, nei successivi dieci giorni, non sia pervenuta risposta negativa. Tuttavia, se tre centrali di committenza abbiano respinto la richiesta, la stazione appaltante non qualificata dovrà rivolgersi ad ANAC, la quale, nei successivi quindici giorni, assegnerà d’ufficio la richiesta ad una centrale di committenza.
Secondo l’Autorità sussiste un vuoto normativo in quanto non è disciplinata l’ipotesi in cui eventualmente anche la centrale di committenza “supplente” individuata da ANAC non proceda allo svolgimento della procedura di gara. Sussiste il concreto rischio di arrivare ad una paralisi di fatto delle procedure di affidamento di competenza della stazione appaltante non qualificata.
L’Autorità propone, quale soluzione, quella di introdurre sanzioni a carico della centrale di committenza individuata da ANAC rimasta inerte senza giustificato motivo, che vadano ad incidere sulla sua qualificazione.
La procedura descritta appare in ogni caso molto lunga. Sarebbe forse ancora più efficace prevedere una sorta di clausola di chiusura secondo la quale, dopo i tre rifiuti (che potrebbero ragionevolmente anche essere ridotti a due) e la successiva inerzia della centrale di committenza individuata dall’ANAC, la stazione appaltante non qualificata richiedente possa infine procedere in autonomia.
Lo Schema di Codice prevede l’innalzamento fino a 500mila euro della soglia minima al di sopra della quale scatta l’obbligo della qualificazione per l’affidamento di contratti di lavori pubblici, ampliando in tal modo il novero delle stazioni appaltanti che possono operare in autonomia pur non essendo qualificate. L’ANAC disapprova fortemente tale novità e ne propone la modifica.
5. Altri temi trattati dall’ANAC: il venir meno dell’unicità del RUP, l’appalto integrato, il principio di rotazione, il controllo sul possesso dei requisiti
Dopo aver affrontato le questioni sopra esposte, considerate dall’ANAC come di maggior rilievo, la stessa Autorità fa una carrellata di numerose altre proposte di modifica allo Schema di Codice toccando tante, differenti tematiche. Senza alcuna pretesa di completezza, si accennerà di seguito alle osservazioni mosse dall’ANAC sulle disposizioni ritenute di maggior interesse.
La prima questione è il venir meno dell’unicità del RUP.
L’art. 15 dello Schema di Codice prevede che le stazioni appaltanti, su richiesta del RUP, possano nominare un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento. Le relative responsabilità saranno, in tal caso, ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, mentre in capo al RUP – denominato ora Responsabile Unico di Progetto – resterebbero le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento.
Secondo l’ANAC tale disposizione non è conforme al principio generale vigente nell’ordinamento relativo all’unicità del responsabile del procedimento, imposto dalla legge 241 del 1990. Infatti, osserva l’ANAC che <<nell’ipotesi in cui venga nominato un responsabile del procedimento per ogni fase, in aggiunta al RUP, ci sarebbero di fatto due soggetti responsabili per ogni fase, con le relative conseguenze in merito ai provvedimenti da adottare in caso di divergenza tra gli stessi>>.
L’Autorità propone di sfruttare l’istituto, già esistente e confermato nel nuovo Codice, di una struttura stabile a supporto del RUP, che ne mantenga tuttavia inalterata l’unicità della funzione.
L’Autorità solleva alcune obiezioni anche in merito alla disposizione dello Schema che tratta dell’appalto integrato, ovvero l’art. 44. In esso si legge che negli appalti di lavori, con la decisione di contrarre, la stazione appaltante, se qualificata, possa stabilire che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori, sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvata, escludendo l’esercizio di tale facoltà soltanto per gli appalti di opere di manutenzione ordinaria.
La scelta dell’affidamento di un appalto integrato deve inoltre essere motivata <<con riferimento alle esigenze tecniche, tenendo sempre conto del rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto>>.
Secondo l’ANAC, la formulazione della esaminata disposizione, che si presenta di maggior favore verso l’istituto rispetto alla vigente disciplina, appare tuttavia generica nell’individuazione dei presupposti legittimanti la scelta di tale tipologia di appalto. Essa infatti si limita a richiedere alla stazione appaltante una motivazione al ricorso all’appalto integrato fondata su non meglio specificate “esigenze tecniche”. Tale genericità di formulazione rischia di favorire un possibile uso improprio dell’istituto.
Sarebbe pertanto necessario, secondo l’Autorità, chiarire con maggiore precisione i presupposti che ne legittimino il ricorso, anche confermando la formulazione del vigente Codice del 2016. L’Autorità, in particolare suggerisce che il ricorso all’appalto integrato <<sia motivato in ragione dell’elevato contenuto tecnologico dei lavori da eseguire, per i quali le imprese possano convenientemente offrire soluzioni tecniche innovative>>, così come, di fatto, è avvenuto finora.
In tema di principio di rotazione negli affidamenti sotto soglia, invece, lo Schema di nuovo Codice prevede all’art. 49 che <<è vietato l’affidamento o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano a oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi>>.
Ciò significa che, a differenza dell’attuale disciplina, la rotazione sarà obbligatoria solo con riferimento ai contraenti uscenti e non anche agli operatori economici invitati alla precedente procedura ma risultati non affidatari.
ANAC non concorda con tale scelta: <<per favorire la distribuzione delle opportunità degli operatori economici di essere affidatari di un contratto pubblico – sostiene – e controbilanciare la sottrazione alla concorrenza di una significativa quota degli appalti di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, si suggerisce di estendere la rotazione anche ai soggetti precedentemente invitati e non affidatari>>.
L’Autorità suggerisce, in coerenza con tale proposta, che anche la disposizione che ammette, a determinate condizioni, il reinvito del precedente aggiudicatario in deroga al principio di rotazione, debba estendersi anche agli operatori precedentemente invitati e non risultati aggiudicatari.
Tale posizione dell’ANAC appare invero eccessivamente rigorosa. L’obbligo di applicare la rotazione non solo con riferimento all’affidatario uscente ma anche a coloro che siano stati invitati ma non si siano aggiudicati l’appalto si è spesso rivelato, nella pratica, un ostacolo all’efficace e conveniente affidamento delle procedure e un limite eccessivamente gravoso e foriero di lungaggini procedurali per gli addetti ai lavori.
Succede spesso che il mercato non abbia molti concorrenti in un certo settore e, se si è proceduto per un primo affidamento a invitare tutti o quasi tutti gli operatori disponibili, nell’affidamento successivo la stazione appaltante può trovarsi nella concreta difficoltà di individuare ex novo altri operatori da invitare. Per tale ragione la formulazione dello Schema di nuovo Codice appare più che altro volta a “semplificare la vita” alle stazioni appaltanti.
Sulla stessa falsariga è il contenuto del comma 3 dell’articolo in esame che dispone che <<la stazione appaltante può ripartire gli affidamenti in fasce in base al valore economico. In tale caso il divieto di affidamento o di aggiudicazione si applica con riferimento a ciascuna fascia (…)>>. In altri termini, il divieto di aggiudicare l’appalto all’operatore uscente non opera se il nuovo appalto rientra in una diversa fascia.
L’Autorità ha da ridire anche su tale punto in quanto rileva che l’applicazione del citato divieto potrebbe venire facilmente aggirata con la previsione, ad opera della stazione appaltante, di un numero elevato di fasce. Per tale ragione, propone di integrare la norma in esame introducendo il divieto di determinazione artificiosa dell’importo dell’affidamento finalizzata a farlo ricadere in una differente fascia.
L’ANAC si è espressa anche in tema di controllo sul possesso dei requisiti. In merito, nell’ambito degli affidamenti diretti di importo inferiore ai 40mila euro, l’art. 52 dello Schema prevede che, in conseguenza della verifica negativa sui requisiti dichiarati, la stazione appaltante debba risolvere il contratto, escutere l’eventuale garanzia definitiva e comunicare all’ANAC l’esito negativo della verifica. Inoltre è attribuita alla stazione appaltante la competenza a disporre la sospensione dell’operatore economico dalla partecipazione alle procedure di affidamento indette dalla medesima per un periodo da uno a dodici mesi.
L’Autorità solleva alcune condivisibili perplessità su tale previsione. Innanzitutto, non è stabilito un termine massimo per la suddetta comunicazione ad ANAC, che appare invece essenziale al fine di non procrastinare l’eventuale avvio del procedimento sanzionatorio.
E’ ravvisabile inoltre un <<difetto di coordinamento tra il potere della stazione appaltante di sospendere l’operatore economico dalla partecipazione alle proprie gare e il generale potere interdittivo in capo all’ANAC all’esito del procedimento sanzionatorio>>. Vi è infatti il concreto rischio che <<i due procedimenti, avviati uno dalla stazione appaltante (limitatamente all’esclusione dalle proprie gare dell’operatore che non confermi i requisiti dichiarati) e l’altro dall’ANAC, si concludano con esiti contrastanti e/o non coerenti tra loro>>.
ANAC suggerisce di eliminare tale rischio affidando ad essa soltanto il compito di svolgere il procedimento sanzionatorio e prevedendo che la stazione appaltante interessata si adegui al provvedimento adottato dall’Autorità ad esito di tale procedimento.
Come è emerso dalla, inevitabilmente non esaustiva, carrellata di tematiche sopra analizzate sia pure in modo sintetico, gli articoli dello Schema presi in esame dall’Autorità sono numerosi e toccano quasi tutti gli istituti in materia di appalti. Occorrerà attendere ancora poche settimane per capire quali e quanti dei suggerimenti formulati da ANAC saranno accolti dal Parlamento e conseguentemente recepiti nel testo definitivo del nuovo Codice.
Nel documento di osservazioni l’ANAC tocca numerosi altri temi, sui quali propone modifiche o integrazioni alle disposizioni dello Schema: tra gli altri, vi è il venir meno dell’unicità del RUP, l’appalto integrato, il principio di rotazione, il controllo sul possesso dei requisiti e molti altri.
[1] <<Osservazioni di ANAC in relazione all’Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 19: “Schema di decreto legislativo recante codice dei contratti pubblici” (articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78)>> del 2 febbraio 2023.
[2] Legge 21 giugno 2022, n. 78 (Delega al Governo in materia di contratti pubblici).
[3] Sentenza Corte di giustizia europea del 6 febbraio 2020, cause riunite C-89/19 e C-91/19.