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( votes)Modifiche al T.U. ex d.lgs. 175/2016, introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2019 – L. 30 Dicembre 2018, n. 145
1. Le modifiche al TU sulle Società a partecipazione pubblica, introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2019
Con la Legge di Stabilità per il 2019 (L. 30 Dicembre 2018, n. 154) si è di fatto introdotto un ulteriore correttivo al d.lgs. 175/2016 – T.U. sulle Società a partecipazione pubblica: dopo il decreto di cui al d.lgs. n. 100 del 16 Giugno 2018, si è di nuovo messo mano all’impianto complessivo della riforma sulle partecipazioni societarie pubbliche in un’ottica di depotenziamento.
Le modifiche al T.U. sono state disposte dall’art. 1 commi da 721 a 724 della Legge di Stabilità per il 2019:
- con il c. 721 si è intervenuti modificando l’art.1, c.5 del T.U., stabilendo in tema di società quotate che le disposizioni del T.U si applichino – se espressamente previsto – alle società quotate e alle sole società da esse controllate;
- con il c. 722 si è intervenuti modificando l’art.4, c.6 del T.U., ampliando la possibilità di costituzione di società o enti in deroga ai principi del T.U., aggiungendo alle ipotesi già previste quelle derivanti dall’attuazione dell’art. 43 del Regolamento (UE) n.1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 Dicembre 2013;
- con il c. 723 si è intervenuti introducendo all’art. 24 del T.U. il c.5-bis, che dà facoltà alle Amministrazioni di derogare fino al 2021 all’obbligo di alienazione delle quote societarie pubbliche, qualora le società abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione;
- con il c. 724 si è intervenuti introducendo all’art.26 del T.U. il c.6-bis, che prevede che le disposizioni di cui all’art. 20 del T.U. (Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche) non si applichino alle società di cui all’art. 4, c. 6 T.U.
Le modifiche apportate dalla legge di Stabilità per il 2019 alla riforma della disciplina delle Società a partecipazione pubblica sono dunque poche ma incisive, soprattutto per quanto riguarda il nuovo regime delle partecipazioni delle società quotate e per la deroga agli obblighi di alienazione di quote societarie a fronte del raggiungimento di risultati positivi in termini economici per le attività da esse svolte.
Con la Legge di Stabilità per il 2019 (L. n. 154/2018) si è di nuovo messo mano all’impianto complessivo della riforma della disciplina sulle partecipazioni societarie pubbliche di cui al T.U. ex DLgs.175/2016 in un’ottica di depotenziamento.
2. Le modifiche intervenute sulla disciplina delle partecipazioni societarie delle società quotate
Per quanto attiene nello specifico le società quotate, le nuove disposizioni apportate al T.U. dall’art. 1, c.721 della Legge di Stabilità 2019 modificano il perimetro di applicazione del regime in deroga alla generale disciplina sulle Società a partecipazione pubblica.
Sul punto va premesso che fin dall’emanazione della riforma sulle Società a partecipazione pubblica si è scelto di avere un atteggiamento protezionistico nei confronti delle società quotate e del loro gruppo.
L’art.1 del T.U. al comma 5 prevede infatti che le disposizioni del decreto si applichino solo se espressamente previsto alle società quotate, categoria in cui rientrano – ai sensi dell’art. 2, c.1 lettera p) del T.U – sia le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati, sia le società che hanno emesso, alla data del 31 Dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.
Le società quotate sono state fin da subito poste su un piano diverso rispetto alle altre partecipazioni societarie pubbliche, per cui risulta fondamentale definire quale sia il perimetro dell’eccezione alla regolazione generale.
Prima della Legge di Stabilità del 2019 si era previsto che il regime differenziato riguardasse le società quotate e le società da esse partecipate, salvo il caso in cui queste ultime fossero, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche.
Con il nuovo correttivo è stato eliminato il riferimento alle società partecipate e introdotta l’estensione del regime speciale alle sole società controllate dalle quotate.
Dunque, allo stato il regime in deroga vale per le società quotate (nell’accezione sopra richiamata di cui all’art.2, c.1 lett. p) del T.U.) e per le società controllate dalle quotate, tenendo presente che per controllo – ai sensi di quanto disposto dall’art. 2,c.1. lett.b) T.U. – si intende in generale la situazione descritta dall’art. 2359 del Codice Civile, ma che il controllo può sussistere anche quando in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.
Per le società quotate – e per quelle appartenenti al loro gruppo – fin dall’emanazione della riforma sulle Società a partecipazione pubblica si è scelto di avere un atteggiamento protezionistico: con l’art. 1, c.721 della Legge di Stabilità 2019 si modifica il perimetro di applicazione del regime in deroga loro riservato.
3. Le modifiche intervenute in ordine all’obbligo di alienazione delle partecipazioni pubbliche
Tra le modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2019 alla riforma della disciplina delle società a partecipazione pubblica, quella di maggior impatto è senz’altro la deroga agli obblighi di alienazione delle quote societarie.
Tutta la riforma introdotta con il T.U. di cui al DLgs. 175/2016 ruota attorno al principio della razionalizzazione delle partecipazioni societarie pubbliche, la cui proliferazione è stata considerata tra le cause della lievitazione della spesa pubblica.
Ed è proprio in un’ottica di spending review che il T.U. ha indicato precise condizioni per l’acquisizione ed il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle amministrazioni pubbliche, prevedendo un sistema di razionalizzazione periodica (art. 20 T.U.) e di revisione straordinaria (art. 24 T.U.) delle partecipazioni.
L’obiettivo dichiarato della riforma è stato quello di portare a razionalizzazione l’intero sistema delle società pubbliche, intervenendo su due principali livelli: da una parte al momento genetico, ponendo precise condizioni per la creazione di nuove società, dall’altra intervenendo sull’esistente con le operazioni di revisione straordinaria e di razionalizzazione periodica.
Con l’attuazione della riforma si sarebbe dovuto ottenere una effettiva riduzione numerica delle partecipazioni societarie pubbliche, tramite operazioni di concentrazione ma anche attraverso l’alienazione delle partecipazioni non rientranti nei parametri di ammissibilità predefiniti dallo stesso T.U.
L’intervento della Legge di Stabilità 2019 produce di fatto un rallentamento al raggiungimento di questi obiettivi.
L’art. 1, c. 723 della L. 145/2018 introduce infatti una modifica sostanziale all’art. 24 del T.U. relativo alle revisione straordinaria delle partecipazioni, tramite l’inserimento del nuovo comma 5-bis che dispone: “A tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche, fino al 31 dicembre 2021 le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano nel caso in cui le società partecipate abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione. L’amministrazione pubblica che detiene le partecipazioni è conseguentemente autorizzata a non procedere all’alienazione”.
Con questa disposizione si determina una moratoria dell’applicazione dei principi di razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica stabiliti dalla riforma del 2016.
Va infatti considerato che l’art. 24 del T.U. ha previsto per una serie di partecipazioni societarie pubbliche, non in linea con i parametri di efficienza disposti dal T.U., l’obbligo di alienazione delle quote da parte delle Amministrazioni proprietarie.
Ciò vale sia per le partecipazioni dirette che per quelle indirette, ovvero detenute dalle amministrazioni pubbliche per il tramite di società o organismi controllati.
Nel perimetro delle società soggette a revisione straordinaria il c. 1 dell’art. 24 ha inserito diverse categorie di società in situazione di criticità, nello specifico:
- società non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’art. 4 del T.U., ovvero principalmente società non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali delle amministrazioni (ex c.1) o non rivolte (ex c. 2) a) alla produzione di un servizio di interesse generale, b) alla progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, c) alla realizzazione e gestione di un’opera pubblica o di un servizio di interesse generale attraverso un contratto di partenariato, d) all’autoproduzione di beni o servizi strumentali agli enti partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, e) ai servizi di committenza, nonchè non rientranti nelle categorie speciali indicate ai commi 6, 7, 8, 9 e 9-bis dello stesso art.4 T.U.;
- società che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 5, c.1 e 2 T.U., ovvero costituite senza il rispetto degli obblighi di motivazione analitica sia sotto il profilo della convenienza economica che della sostenibilità finanziaria e della valutazione comparativa delle forme di gestione diretta o esternalizzata, nonché della compatibilità con la disciplina comunitaria;
- società che ricadono in una delle ipotesi di cui all’art. 20, c. 2 T.U., ovvero in particolare società prive di dipendenti o con un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti, società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da alte società partecipate o da enti pubblici strumentali, società che nel triennio precedente hanno conseguito un fatturato medio non superiore alla soglia di legge (in via transitoria pari a 500.000 Euro, poi a un milione di Euro), società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti.
Queste partecipazioni sono state considerate critiche e dunque per tutte queste categorie di società la riforma portata dal T.U. ex d.lgs. 175/2016 ha previsto l’alienazione o l’applicazione delle misure di cui all’art. 20, c.1 e 2 del T.U, che comprendono la predisposizione di piani di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione.
A seguito del correttivo introdotto dalla Legge di Stabilità 2019 ciò non avverrà più obbligatoriamente fino al 31 Dicembre 2021, se le società hanno prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione: il periodo da prendere in considerazione è quello relativo agli esercizi 2014, 2015 e 2016, tenuto conto del fatto che la ricognizione cui l’art. 24 del T.U. fa riferimento doveva essere svolta entro il 30 Settembre 2017.
E’ stato quindi dato valore centrale al risultato economico prodotto dalle società (tra l’altro medio, per cui sono anche ammissibili risultati negativi se compensati) per bloccare i processi di razionalizzazione e autorizzare le Amministrazioni pubbliche a non procedere alle alienazioni ex art. 24, c. 4 e 10 del T.U.
Parimenti negli stessi casi viene congelata l’applicazione dell’art. 24, c. 5 T.U. ovvero l’interdizione per il socio pubblico ad esercitare i diritti sociali nei confronti della società in caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo o di mancata alienazione delle quote sociali.
La Legge di Stabilità sul punto dichiara espressamente le finalità perseguite, poiché è lo stesso nuovo c. 5-bis dell’art. 24 del T.U che afferma che l’intervento è finalizzato alla “..tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche”.
Se questa è la ratio della norma, non si comprende come mai ci si sia limitati ad un mero slittamento temporale degli effetti della revisione straordinaria delle partecipazioni societarie pubbliche: se infatti si ritiene un danno intervenire con i processi di razionalizzazione nei tempi dati dal T.U. a fronte di risultati economici medi in utile, non si vede perché allora si dovrebbe intervenire in tal senso dopo il 31 Dicembre 2021.
La Legge di stabilità non vincola la scelta della moratoria temporale di due anni a specifiche attese di mutamento del contesto generale in cui operano le società a partecipazione pubblica, per cui le modifiche intervenute – slegate da obiettivi di ottimizzazione dichiarati – appaiono perseguire finalità di mero rinvio.
Per quanto la finalità espressa della norma sia quella della tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche tali affermazioni si collocano su un piano teorico, dal momento che non viene messa in campo alcuna iniziativa concreta per ottenere il risultato ipotizzato.
Sempre sotto il profilo critico va segnalato anche che allo stato non risultano risolte le problematiche di coordinamento della nuova versione dell’art. 24 del T.U. – attinente alla revisione straordinaria – con le disposizioni di cui all’art. 20 del T.U, relativo alle operazioni di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche.
La riforma di cui al d.lgs.175/2016 per quanto attiene alle verifiche della platea delle partecipazioni ha infatti operato su due livelli: uno straordinario, con l’art. 24 T.U., destinato ad avere impatto d‘urto immediato, ed uno ordinario e continuativo, definito all’art. 20 T.U., da svolgersi annualmente da parte delle amministrazioni, mediante l’analisi complessiva delle società in cui detengano partecipazioni dirette e indirette.
La Legge di Stabilità è intervenuta solo sull’art. 24, e dunque sulle revisioni straordinarie, nulla dicendo in materia di razionalizzazione periodica ex art. 20 T.U.: questo difetto di coordinamento può portare conseguenze di disallineamento se si considera che per le partecipazioni rientranti nel perimetro della revisione straordinaria vale la moratoria, mentre per le partecipazioni da analizzare annualmente – e che possono anche non coincidere con le partecipazioni soggette a revisione straordinaria – non varrebbe analoga facoltà.
Sotto il profilo procedurale, va poi rilevato che le amministrazioni per avvalersi della moratoria ex nuovo comma 5-bis dell’art. 24 T.U. debbano adottare una delibera motivata, in cui si evidenzino i requisiti richiesti per quanto attiene i risultati economici prodotti negli anni 2014, 2015 e 2016 dalle singole società rientranti nel perimetro di revisione.
In conclusione, va sottolineato come le ragioni delle modifiche apportate dalla Legge di Stabilità per il 2019 alla riforma di cui al T.U. ex d.lgs. 175/2016 siano senz’altro da farsi risalire ad una legittima preoccupazione che le dismissioni forzate possano portare danno alle amministrazioni procedenti, sia per quanto attiene alla definizione del valore delle quote e ai rapporti tra i soci, sia per quanto riguarda i casi di mancanza di appeal della vendita, con conseguente esito infausto delle operazioni attivate.
Tuttavia le modifiche introdotte all’impianto generale della riforma della disciplina delle partecipazioni pubbliche non paiono porre rimedio alle criticità evidenziate, producendo il solo effetto di rinviarne l’emersione.
Tra le modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2019 alla riforma della disciplina delle società a partecipazione pubblica, quella di maggior impatto è senz’altro la deroga agli obblighi di alienazione delle quote societarie, poiché tutta la riforma ruota attorno al principio della razionalizzazione delle partecipazioni societarie pubbliche, la cui proliferazione è stata considerata tra le cause della lievitazione della spesa pubblica.
Con l’attuazione della riforma si sarebbe dovuto ottenere una effettiva riduzione numerica delle partecipazioni societarie pubbliche, tramite operazioni di concentrazione e di alienazione: l’intervento della Legge di Stabilità 2019 produce di fatto un rallentamento al raggiungimento di questi obiettivi.
Per quanto la finalità espressa della norma sia quella della tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche, la scelta della moratoria temporale di due anni non è vincolata a specifiche iniziative o attese di mutamento del contesto generale in cui operano le società a partecipazione pubblica, per cui le modifiche intervenute appaiono perseguire finalità di mero rinvio.
Le modifiche introdotte all’impianto generale della riforma della disciplina delle partecipazioni pubbliche non paiono porre rimedio alle possibili criticità derivanti da cessioni forzose, producendo il solo effetto di rinviarne l’emersione.