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Premessa

Il beneficio del cosiddetto incremento del quinto, previsto dall’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, ha posto numerosi dubbi interpretativi, specialmente per quanto attiene alla sua applicabilità ai raggruppamenti temporanei di impresa cosiddetti “misti”.

In particolare, ci si è chiesti se l’incremento del quinto per la qualificazione dei singoli aderenti al raggruppamento misto debba essere calcolato sull’intero importo posto a base di gara, così come delineato espressamente dal legislatore, ovvero vada riferito alla specifica categoria che la singola impresa raggruppata dichiara di voler eseguire, proprio in ragione di quella posseduta.

Mentre, infatti, per i raggruppamenti “orizzontali” tale questione non si pone in ragione dell’omogeneità delle prestazioni svolte da ciascun operatore nell’ambito del medesimo raggruppamento, diversa è l’ipotesi del raggruppamento “misto”, ove il calcolo per la determinazione dell’incremento del quinto deve operarsi in relazione ai singoli partecipanti al R.T.I. “misto”, nei quali “I lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale[1].

Giova premettere che tanto l’istituto del beneficio incrementale, quanto quello del raggruppamento temporaneo di imprese, mirano, da un lato, a dare attuazione ed effettività ai principi del favor partecipationis e della libera concorrenza, dall’altro, a garantire maggiormente le stazioni appaltanti dal rischio di inadempimento nella realizzazione dell’opera pubblica, mediante la partecipazione e l’organizzazione afferenti a più soggetti.

Al contempo, una parte della giurisprudenza ha pure evidenziato come una più elastica valutazione della reale qualificazione del R.T.I. potrebbe tradursi in un surplus di qualificazione “virtuale”, comportando un eccessivo frazionamento del requisito tecnico specificamente richiesto dalla legge per l’esecuzione di determinati lavori, ciò che invece comporterebbe un più alto rischio per le stazioni appaltanti, in termini di incapacità degli operatori di assicurare la corretta realizzazione dell’opera pubblica.

Tale preoccupazione, però, si giustifica soprattutto in una prospettiva “sicuritaria” dell’appalto pubblico, volta a scongiurare ogni potenziale impedimento al compimento delle commesse pubbliche, ma non appare ragionevole nell’ottica di un sistema di raggruppamento di imprese – come quello “misto” – che mira proprio a valorizzare il possesso di specifici requisiti speciali di qualificazioni posseduti da ciascun componente il R.T.I., e non già a determinarne la frammentazione. 

La preoccupazione di un eccessivo frazionamento del requisito di qualificazione si giustifica in una prospettiva “sicuritaria” dell’appalto pubblico, volta a scongiurare ogni potenziale impedimento al compimento delle commesse pubbliche, ma non appare ragionevole nell’ottica di un sistema di raggruppamento di imprese – come quello “misto” – che mira proprio a valorizzare il possesso di specifici requisiti speciali di qualificazioni posseduti da ciascun componente il R.T.I., e non già a determinarne la frammentazione

Al riguardo, tanto la giurisprudenza, quanto l’Autorità Nazionale Anticorruzione, hanno affrontato il tema con determinazioni non univoche sul punto, facendo emergere la necessità di un indirizzo interpretativo chiaro e che, a ben vedere, tradisce una più profonda esigenza, cioè, che sia il legislatore a predeterminare la regola in merito a questioni che non certo attengono alla categoria del merito amministrativo o dell’interpretazione giurisdizionale.

Muovendo da questo assunto, il presente contributo mira ad emarginare l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria, adottata dal Consiglio di Stato, Sez. V, 19 agosto 2022 n. 7310.

  1. La vicenda processuale

L’occasione è offerta da un ricorso promosso da un raggruppamento temporaneo di imprese di tipo “misto” per l’annullamento del provvedimento di ritiro in autotutela dell’aggiudicazione di lavori di “sistemazione impalcato del Ponte del Fiume Mella in Comune di Concesio (BS)”.

In particolare, nell’ambito di una procedura evidenziale aperta, la seconda graduata aveva sollecitato la Stazione appaltante ad avviare una procedura di riesame in autotutela del contestato provvedimento di aggiudicazione, in quanto sarebbe stato adottato in violazione dei criteri normativi di qualificazione di cui all’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010.

Trattandosi di raggruppamento di tipo “misto”, infatti, la Stazione appaltante non avrebbe tenuto in debito conto la circostanza per la quale il R.T.I. non risultava qualificato, giacché la mandante – che aveva dichiarato di svolgere le prestazioni inerenti alla categoria prevalente in misura pari al 30% – risultava in possesso di certificazione S.O.A. per la categoria prevalente in classifica II e, dunque, non qualificata per la parte di lavori che aveva dichiarato di voler eseguire.

Conseguentemente, non avrebbe potuto trovare applicazione il criterio premiale dell’incremento del quinto di cui all’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, non ricorrendo la condizione prevista dal legislatore per cui la società che intende avvalersi del suddetto meccanismo premiale di qualificazione deve risultare qualificata per un importo pari ad un quinto dei lavori a base di gara.

Ne seguiva l’annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione nei confronti del RTI “misto” e il conseguente ricorso promosso da quest’ultimo dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale territorialmente competente, per la complessiva illegittimità ed erroneità dell’atto censurato e impugnato.

L’adito T.A.R., tuttavia, respingeva il ricorso promosso dal R.T.I., con il quale si prospettava una interpretazione “adeguatrice” del dato normativo controverso, evidenziando come l’art. 61, comma 2, del Regolamento di Attuazione del Codice dei Contratti fosse chiaro nel disporre che la regola per la quantificazione dell’aumento del quinto, ai fini della partecipazione dei raggruppamenti temporanei in forma mista, andasse parametrata all’importo complessivo posto a base di gara e non alle singole categorie possedute da ciascun componente il raggruppamento.

Con tempestivo atto di appello, il R.T.I. impugnava la sentenza di prime cure, imputandole il sostanziale error in judicando, relativamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e ss., D.P.R. n. 207/2010, 48 e ss., D. lgs. n. 50/2016.

Il Consiglio di Stato, anzitutto, premette il dissidio interpretativo esistente in merito alla corretta applicazione della norma contenuta nell’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, la quale prevede – in virtù dell’ultrattività sancita dall’art. 83, comma 2, del Codice dei Contratti – i vigenti criteri di qualificazione delle imprese per categorie di opere generali e specializzate.

In sostanza, il Collegio, ritenuta pacifica l’applicazione del suddetto criterio quanto all’ipotesi di raggruppamenti temporanei di impresa di tipo “orizzontale” – in cui la prestazione destinata ad essere eseguita è oggettivamente unitaria e qualitativamente omogenea – rimarca la aspecificità della norma in ordine alle altre forme di partecipazione aggregata (verticali e miste).

Sicché, in considerazione dell’attualità del contrasto giurisprudenziale in materia, il Collegio deferisce il ricorso all’Adunanza Plenaria, formulando il seguente quesito: “se l’art. 61, comma 2 del D.P.R. n. 207/2010 – nella parte in cui prevede, quale condizione per l’attribuzione, ai fini della qualificazione per la categoria di lavori richiesta dalla documentazione di gara, del beneficio dell’incremento del quinto, che ciascuna delle imprese concorrenti in forma di raggruppamento temporaneo, il presupposto della sussistenza, per ciascuna delle imprese aggregate, di una qualificazione ‘per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara’ – si interpreti, nella specifica ipotesi di partecipazione come raggruppamento c.d. misto, nel senso che tale importo a base di gara debba, in ogni caso, essere riferito al valore complessivo del contratto ovvero debba riferirsi ai singoli importi della categoria prevalente e delle altre categorie scorporabili della gara”.

  • Il criterio premiale incrementale di qualificazione. Il quadro normativo

La questione controversa attiene non tanto all’applicazione generalizzata dell’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, la cui ultrattività ha consentito il pacifico perpetrarsi del meccanismo premiale relativo ai raggruppamenti cosiddetti “orizzontali”, quanto, piuttosto, alla corretta interpretazione della regola generale in caso di raggruppamenti diversi da quello orizzontale e – segnatamente – di raggruppamenti cosiddetti “misti”.

Come noto, l’art. 83, comma 2, del vigente Codice dei Contratti, statuisce che fino all’adozione del regolamento di cui all’art. 216, comma 27 octies, D. lgs. n. 50/2016, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo III (articoli da 60 a 96: sistema di qualificazione delle imprese), del Decreto del Presidente della Repubblica, 5 ottobre 2010, n. 207.

A sua volta, l’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010 stabilisce che “La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara nel caso di imprese raggruppate o consorziate la disposizione non si applica alla mandataria ai fini del conseguimento del requisito minimo di cui all’articolo 92, comma 2.”.

Infine, l’art. 48, comma 6, D. lgs. n. 50/2016 definisce i raggruppamenti “misti”, statuendo che essi consistono in una associazione verticale al cui interno sono presenti – in ragione della eterogeneità dei lavori oggetto dell’affidamento, in cui vengono in rilievo una pluralità di diverse categorie di lavorazioni oltre alla prevalente – sub-raggruppamenti orizzontali.

Riepilogate le coordinate regolatrici del fenomeno giuridico in esame, appare evidente che tutte le su richiamate disposizioni debbono coordinarsi tra loro in ragione di un collegamento sistematico che non può non tenere in debita considerazione l’aspetto diacronico dell’evoluzione normativa, con particolare riferimento alla disciplina dei raggruppamenti temporanei di impresa di tipo misto.

In altri termini, l’art. 61, comma 2, del D.P.R. n. 207 del 2010 si è limitato a riprodurre, invariata, la identica previsione del previgente art. 3, comma 2, del D.P.R. n. 34 del 2000 (approvata, per l’appunto, quando l’ipotesi dei raggruppamenti di impresa di tipo misto non era contemplata), continuando tralatiziamente ad operare, immutata nel tempo, senza essere integrata o novellata per adeguare la tipologia dei raggruppamenti temporanei di imprese al modello di tipo misto[2].

Al riguardo, è appena il caso di sottolineare come la previsione dei raggruppamenti temporanei di impresa, soprattutto di tipo misto, mira ad attuare principi di matrice unionale, oltre che costituzionale, garantendo la partecipazione di imprese che singolarmente rappresentate non avrebbero la capacità tecnica ed economica di presentare offerte concorrenziali in tutte quelle procedure di gara inerenti grandi opere e comportanti notevoli investimenti finanziari.


Non a caso, infatti, l’art. 19 della Direttiva 2014/24/UE stabilisce che i raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, sono autorizzati a partecipare a procedure di appalto e, ove necessario, le amministrazioni aggiudicatrici possono specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti di operatori economici devono ottemperare ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 58, purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive[3].

Nondimeno, anche il sistema premiale incrementale di qualificazione delle imprese, come delineato dal legislatore fin dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 34/2000, mira a garantire l’effettività del principio euro-unitario di concorrenza e del corollario del favor partecipationis.

Interpretare la condizione legittimante la premialità del quinto nel senso di richiedere il possesso, da parte di ciascuna impresa partecipante al raggruppamento, del 20% dell’importo totale dell’appalto nella stessa categoria per la quale si chiede di beneficiare dell’aumento, risulta quantomeno sproporzionata

Sicché, interpretare la condizione legittimante la premialità del quinto nel senso di richiedere il possesso, da parte di ciascun impresa partecipante al raggruppamento, del 20% dell’importo totale dell’appalto nella stessa categoria per la quale si chiede di beneficiare dell’aumento risulta quantomeno sproporzionata, implicando la dimostrazione, per ciascuna impresa del raggruppamento, del possesso di una qualificazione addirittura superiore, nella categoria interessata, a quella richiesta dalla stazione appaltante con riferimento al singolo raggruppamento[4].

Tale interpretazione, peraltro, è stata avversata anche da una recente deliberazione dell’ANAC, con la quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha specificato come “l’interpretazione della disposizione controversa non può essere disgiunta da una lettura della norma che tenga conto della struttura lessicale del comma 2 dell’art. 61 e del rapporto tra le due parti che lo compongono, per cui la seconda parte declina, con riferimento alle singole imprese raggruppate, quanto disciplinato dalla prima, prevedendo che a ciascuna impresa raggruppata si applichi “la medesima disposizione” dettata per le imprese singole, ovvero «La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto», che deve dunque ritenersi riprodotta anche con riferimento a ciascuna impresa raggruppata; ne consegue che la qualificazione pari almeno ad un quinto dell’importo dei lavori (che deve essere posseduta per beneficiare dell’istituto de quo) non può che essere riferita all’unica categoria di cui il comma fa espressa menzione, ovvero la categoria di lavori per la quale occorre dimostrare di essere qualificati e per la quale si invoca l’estensione della portata abilitante dell’attestazione SOA”[5].

In tal senso, peraltro, l’ANAC si era già espressa con riferimento alla previgente disciplina, interpretando analogamente la previgente disposizione di cui all’art. 3, comma 2, D.P.R. 34/2000[6].

  • Il dibattito giurisprudenziale

Chiarita la natura giuridica e la funzione del meccanismo premiale di qualificazione incrementale ex art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, occorre soffermarsi sul dibattito giurisprudenziale formatosi sul punto e riassunto dall’ordinanza in commento.

Sul punto, un primo orientamento si è limitato a valorizzare il dato letterale della disposizione controversa, assecondando una interpretazione restrittiva dell’applicazione del beneficio dell’incremento del quinto.

In tal senso, parte della giurisprudenza ha escluso l’applicazione del beneficio dell’incremento del quinto per tutte quelle imprese che – anche se in raggruppamento – non dimostrino singolarmente il possesso della qualificazione pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara.

A sostegno di tale interpretazione militerebbero sia elementi testuali, che non potrebbero legittimare una interpretazione diversa, sia elementi sistematici.

Su tale ultimo versante, infatti, l’orientamento in parole chiarisce che la ratio della norma è quella di non esasperare gli effetti della qualificazione “virtuale” quando le imprese esecutrici siano una pluralità e il requisito di qualificazione risulti, di conseguenza, molto frazionato.

Essa persegue, dunque, tale fine attraverso il “blocco” della premialità nel caso di raggruppamenti il cui partecipante ha una qualificazione inferiore ad un quinto del monte lavori, così da eliminare l’incentivo al frazionamento eccessivo.

Il citato orientamento, inoltre, esclude finanche la sussistenza di vizi che possano giustificare la disapplicazione della disciplina in questione per contrasto con la normativa primaria, trattandosi, a ben vedere, “non di una penalizzazione irrazionale o sproporzionata, ma di un temperamento in ordine all’applicazione di una norma di pari rango, di carattere premiale. Temperamento operato, com’anzi detto, per ragioni plausibili e con modalità misurate e attente al principio di proporzionalità[7].

In prospettiva diametralmente opposta si pone un diverso indirizzo pretorio, fondandosi su una applicazione estensiva dei criteri di qualificazione delle imprese in R.T.I. misto, nell’ottica della valorizzazione di una interpretazione sistematica e coerente con la ratio della norma.

A tal proposito, è stato osservato che l’art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, se interpretato nel senso restrittivo anzidetto, presenterebbe un’antinomia interna che non consentirebbe di applicarlo tutte le volte in cui il 20% dell’importo dei lavori a base d’asta risulta superiore all’importo dei lavori della categoria per la quale si chiede di usufruire dell’aumento del quinto.

Tale esito – paradossale – oltre a rendere la norma irragionevole, la porrebbe anche in contrasto con la ratio stessa sia del beneficio, sia dell’istituto del raggruppamento temporaneo di imprese.

Peraltro, una tale interpretazione restrittiva non sarebbe neppure coerente – da un punto di vista sistematico – con il consolidato insegnamento formatosi in materia di requisiti minimi per la composizione dei raggruppamenti, per cui l’art. 92, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, è ormai univocamente interpretato nel senso che “la verifica delle situazione ‘maggioritaria’, in caso di raggruppamento misto, [debba] avvenire avendo riferimento alle singole categorie scorporabili (della specifica gara), e non all’intero raggruppamento[8].

Sicché, in virtù dei principi fondamentali di libera concorrenza e di favor partecipationis, l’orientamento in parola ritiene che sia da preferire l’indirizzo ermeneutico per il quale il meccanismo premiale incrementale di qualificazione ex art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010 operi anche in favore delle imprese che partecipano alla gara in raggruppamenti di tipo misto, nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto, purché siano qualificati per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo della categoria di lavori – e non già dell’intero importo a base di gara – cui le stesse imprese hanno dichiarato di partecipare[9].

Pertanto, per tale indirizzo, proprio nell’ottica della libera concorrenza e del favor partecipationis, è da preferire l’indirizzo ermeneutico per il quale il meccanismo premiale incrementale di qualificazione ex art. 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010 opera anche in favore delle imprese che partecipano alla gara in raggruppamenti di tipo misto, nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto, purché siano qualificati per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo della categoria di lavori – e non già dell’intero importo a base di gara – cui le stesse imprese hanno dichiarato di partecipare

  • Conclusioni

Dalle superiori considerazioni, sembrerebbe emergere in maniera sufficientemente chiara quale orientamento possa considerarsi il più aderente ai principi euro-unitari, orientati verso la supremazia del favor partecipationis rispetto al confliggente e vetusto interesse di autoconservazione dell’ordinamento nazionale, attraverso una anacronistica applicazione della littera legis.

Appare in effetti evidente, alla luce della disamina condotta dal giudice remittente, come una interpretazione eccessivamente prona al rispetto del dettato letterale della legge, possa configurare distorsioni in ordine alla corretta applicazione sistematica del meccanismo premiale, in ipotesi di partecipazione a gare di operatori economici riuniti in strutture più articolate, quale è un raggruppamento di tipo misto.

La giurisprudenza amministrativa aveva tracciato la linea da tempo di quale dovesse essere l’interpretazione evolutiva della norma in parola, tralasciando a sparuti arresti minoritari, la tutela pedissequa del dettato del legislatore nazionale.

Pertanto, in un quadro ermeneutico ben indirizzato a favore di una interpretazione razionale del meccanismo premiale, sorprende che il Consiglio di Stato abbia avallato la richiesta emersa, in via incidentale, di rimettere all’Adunanza Plenaria la corretta applicazione dell’articolo 61, comma 2, D.P.R. n. 207/2010.

Da osservatori ed operatori del diritto, non ci resta che attendere che il più alto Consesso amministrativo si esprima sul tema, conferendo, auspicabilmente, all’approccio ermeneutico evolutivo anzi tratteggiato, quell’imprimatur nomofilattico che consenta l’avverarsi in via pretoria e di prassi dello stare decisis, quella certezza del diritto, principio alieno ad ordinamenti codificatori come quelli continentali, ma tanto anelato dal mercato per consentire cospicui investimenti economici di lunga durata.


[1] Art. 48, comma 6, D. lgs. n. 50/2016.

[2] Cons. Stato, Sez. V, Ord., 19 agosto 2022 n. 7310

[3] In tal senso, art. 19, par. 2, Direttiva 2014/24/UE.

[4] C.G.A.R.S., Sez. giur., 11 aprile 2022, n. 450.

[5] Sul punto, ANAC, Delibera n. 45/2020.

[6] Al riguardo, cfr. ANAC, Delibera n. 377/2001.

[7] Cons. Stato, Sez. III, 13 aprile 2021, n. 3040.

[8] Cons. Stato, Sez. V, 9 dicembre 2020, n. 7751.

[9] C.G.A.R.S., Sez. giur., 11 aprile 2022, n. 450

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino e Avv. Aldo Cimmino
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