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( votes)Che il DURC fosse un’araba fenice gli operatori del diritto lo avevano capito bene, adesso pare che lo abbiamo capito anche i giudici del Consiglio di Stato che con la recente ordinanza di rinvio all’Adunanza plenaria dello scorso 5 marzo 2012, n.1245 chiedono alla Plenaria di dare risposta ad un quesito ricorrente e cioè se la p.a. in presenza di un Durc irregolare possa valutare le violazioni ivi dedotte ai fini dell’esclusione dalla gara.
Negli anni grazie alla giurisprudenza avevamo capito che:
- il d.u.r.c. assume la valenza di una dichiarazione di scienza, da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della pubblica amministrazione, assistito da pubblica fede ai sensi dell’articolo 2700 c.c., facente quindi prova fino a querela di falso; ne consegue che, attesa la natura giuridica del d.u.r.c., non residua in capo alla stazione appaltante alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati ed alle circostanze in esso contenute; inoltre, deve escludersi che le stazioni appaltanti debbano in casi del genere svolgere un’apposita istruttoria per verificare l’effettiva entità e gravità delle irregolarità contributive dichiarate esistenti (con la valenza giuridica della pubblica fede) nel predetto documento;
- quanto al requisito della gravità, nel settore previdenziale, in considerazione dei gravi effetti negativi sui diritti dei lavoratori, sulle finanze pubbliche e sulla concorrenza tra le imprese derivanti dalla mancata osservanza degli obblighi in materia previdenziale, debbono considerarsi “gravi” tutte le inadempienze rispetto a detti obblighi, salvo che non siano riscontrabili adeguate giustificazioni, come, ad esempio, la sussistenza di contenziosi di non agevole e pronta definizione sorti a seguito di verifiche e contestazioni da parte degli organismi previdenziali ovvero la necessità di verificare le condizioni per un condono o per una rateizzazione.
- non rileva, infine, la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale, in quanto l’impresa deve essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante, pena la vanificazione del principio della par condicio, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva; l’opposta interpretazione avrebbe invero l’effetto deleterio di indebolire l’osservanza della normativa in materia previdenziale, che, al contrario, pur nell’ambito della normativa settoriale sull’espletamento delle gare, si vuol rafforzare; le imprese sarebbero quasi incentivate alla violazione di legge, considerando di poter poi provvedere comodamente alla regolarizzazione, con l’effetto vantaggioso di poter scegliere se farlo o meno in funzione dell’utile risultato dell’aggiudicazione, senza il rischio di pregiudizio per il conseguimento dell’appalto.
Il Collegio rileva che in ordine alla questione della “gravità” della irregolarità contributiva, rimessa alla valutazione della stazione appaltante, sussiste un contrasto di giurisprudenza: da un lato, la giurisprudenza secondo cui la valutazione della gravità della violazione contributiva sarebbe rimessa alla stazione appaltante e prescinderebbe da qualunque automatismo discendente dal contenuto del d.u.r.c. [Cons. St., sez. V, 16 settembre 2011 n. 5186; Id., sez. V, 30 settembre 2009 n. 5896; Id., sez. VI, 4 agosto 2009 n. 4907]; dall’altro, la soluzione più rigorosa, recepita anche dal legislatore con il d.l. n. 70/2011 in sede di novella dell’art. 38, codice appalti, la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto [Cons. St., sez. V, 12 ottobre 2011 n. 5531; sez. IV, 12 aprile 2011 n. 2284; sez. IV, 15 settembre 2010 n. 6907; sez. V, 24 agosto 2010 n. 5936; sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1934; sez. V, 19 novembre 2009 n. 7255; sez. V, 19 novembre 2009 n. 5771, ord.; sez. IV, 12 marzo 2009 n. 1458; sez. IV, 10 febbraio 2009 n. 1458; sez. V, 17 ottobre 2008 n. 5069; sez. V, 23 gennaio 2008 n. 147].
Nello stessa senso è orientata anche l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, secondo cui le stazioni appaltanti sono tenute a prendere atto della certificazione senza poterne in alcun modo sindacare le risultanze dovendosi ascrivere il d.u.r.c. al novero delle dichiarazioni di scienza, assistite da fede pubblica privilegiata ai sensi dell’art. 2700 c.c., e facenti piena prova fino a querela di falso [Autorità, determinazione n. 1/2010].
In questo duello, però si inserisce un terzo orientamento secondo cui l’insindacabilità del contenuto formale del d.u.r.c., non assume il significato di un’abrogazione implicita (peraltro non possibile ai sensi dell’art. 255 del Codice stesso) del preciso disposto dell’art. 38, codice appalti, nella parte in cui la previsione preclude la partecipazione alle procedure di affidamento di quei soggetti che abbiano “commesso violazioni gravi, definitivamente accertate alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali”.
Il raccordo tra le due discipline, quella previdenziale e quella recata dal codice appalti, pertanto, andrebbe ricercato nella valutazione dell’incidenza di quanto attestato nel d.u.r.c. rispetto alla specifica procedura di affidamento, e tale valutazione, di natura propriamente discrezionale, sarebbe riservata alla stazione appaltante.
Invero, un conto sarebbe la regolarità contributiva formale, rimessa al potere di accertamento e di valutazione dell’istituto previdenziale, un conto la gravità della violazione in materia contributiva e previdenziale, ai fini della partecipazione ad una gara rimessa alla stazione appaltante che, in concreto ed al di fuori di ogni automatismo, dovrebbe per l’appunto valutare la presenza di indici sintomatici della gravità dell’infrazione, tali da giustificare l’estromissione dalla gara; la formale regolarità contributiva sarebbe rimessa al potere di accertamento e di valutazione dell’Istituto previdenziale, mentre la gravità di una violazione in materia contributiva e previdenziale, ai fini della partecipazione ad una gara pubblica, imporrebbe un’ulteriore valutazione affidata alla stazione appaltante [Cons. St., sez. V, 16 settembre 2011 n. 5186; sez. V, 30 giugno 2011 n. 3912; sez. IV, 24 febbraio 2011 n. 1228; sez. V, 3 febbraio 2011 n. 789; sez. V, 11 gennaio 2011 n. 83; sez. V, 27 dicembre 2010 n. 9398; sez. IV, 15 settembre 2010 n. 6907; sez. V, 30 settembre 2009 n. 5896; sez. VI, 4 agosto 2009 nn. 4905 e 4907].
Tale contrasto di giurisprudenza risulta espressamente risolto dal legislatore (con il d.l. n. 70/2011) nel senso che la mancanza di d.u.r.c. comporta una presunzione legale di gravità delle violazioni.
Il citato d.l. n. 70/2011, non tocca la lett. i) dell’art. 38 codice appalti, ma inserisce nel comma 2 dell’art. 38 una previsione volta a dare rilevanza al d.u.r.c. e ad escludere ogni discrezionalità della stazione appaltante nella valutazione della gravità delle violazioni previdenziali e assistenziali.
In particolare, ai fini del comma 1, lett. i), dell’art. 38, si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’art. 2, comma 2, d.l. 25 settembre 2002 n. 210, convertito in l. 22 novembre 2002 n. 266.
La difficile ricostruzione di un quadro normativo.
Se però tutto ciò è stato ricostruito negli anni dalla giurisprudenza, rimane irrisolto il problema di fondo e, cioè la esatta interpretazione dell’art. 38 co.1. lett.i). L’art. 38, co. 1, lett. i), d.lgs. n. 163/2006, considera causa di esclusione non qualsivoglia violazione in materia di obblighi contributivi, ma solo le violazioni gravi. Prima dell’entrata in vigore del codice appalti, solo per i lavori rilevava la gravità delle infrazioni mentre per gli altri settori qualsivoglia violazione rilevava ai fini della causa di esclusione.
Nel regime introdotto dal codice appalti, per tutti i tipi di appalti, sia nei settori ordinari che speciali, sono causa di esclusione solo le gravi violazioni previdenziali, definitivamente accertate.
La Sezione VI entra nel cuore del problema attraverso una ricostruzione delle norme, delle prassi e delle disposizioni ministeriali delle sentenze che sono intervenute negli ultimi anni, per porsi poi una domanda a cui ancora nessuno mai ha dato una risposta: il d.m. del 2007 non costituisce atto attuativo del codice appalti, e quindi formalmente la valutazione di gravità compiuta alla luce di tale d.m. non è automaticamente vincolante per la stazione appaltante (solo il d.l. n. 70/2011 ha stabilito espressamente l’opposta regola, della vincolatività della valutazione dell’amministrazione previdenziale anche nelle gare di appalto). La ordinanza coglie perfettamente il problema del d.u.r.c. che nasce per documentare la regolarità contributiva cantiere per cantiere; nel disegno della Legislazione Biagi il Durc sostituiva il generico e generale certificato di regolarità contributiva nell’intento di consentire che le stazioni appaltanti controllassero la regolarità nei confronti degli operai impiegati presso di sé; ne è prova il disposto dell’art. 4 del d.P.R 207/2010 (già art. 7 del dm 145/2000) oggi esteso anche a forniture e servizi. Nel momento in cui il durc nel proprio ordinamento di riferimento è un documento che fotografa una squadra lavoro specifica ben definita circoscritta (una bella foto di gruppo); quando entra nel codice degli appalti diventa altro, una causa di esclusione dalla partecipazione alla gara, rispetto ad una realtà che ancora non esiste, non vi è ancora un cantiere, e, quindi, inopinatamente da documento che fotografa la squadra diventa foto di una parte di un’azienda, la massa indifferenziata dei lavoratori, cioè si ritorna al concetto di regolarità contributiva ante riforma Biagi, con le patologie ben note a tutti.
Oggi che lo scenario è cambiato “grazie” alla crisi, al di là di qualsivoglia disquisizione dotta rimane una realtà sconfortante: una fotografia in bianco e nero anche un po’ ingiallita degli operai e dei datori di lavoro insieme nella stessa foto, perché gli uni non vedono pagate le commesse e, gli altri per conseguenza non vedono pagati i loro contributi: tra le tasse le imposte i contributi i datori di lavoro preferiscono pagare gli stipendi. In questo momento, anche una persona con una visione della vita manichea non può non convenire che sia l’unica scelta, che non premia perché quell’appaltatore non potrà più partecipare alle gare d’appalto. Si badi bene non si sta parlando di caporali banditi, ma della nostra sana imprenditoria familiare, la spina dorsale della nostra economica che questo Paese sta consegnando alla malavita organizzata. Se ci si occupasse di meno di “spread” e più del “santo pane quotidiano” si riuscirebbe a vedere a che punto di non ritorno siamo arrivati in questa normativa, per cui anche i giudici più illuminati sono costretti a inutili dissertazioni dialettiche di liceale memoria.
Nel caso di specie, si trattava del mancato versamento dei contributi da parte di una società cooperativa di un Consorzio di rilevanza nazionale era pari a 6.000,00 euro per mero ritardo nel pagamento di soli tre ratei contributivi, saldati dopo pochi giorni rispetto alle scadenze a fronte versamenti di centinaia di euro e in un appalto milionario.
Si rinuncia alla partecipazione alla gara di un esecutore di esperienza comprovata per una irregolarità che il buon senso porta tutti noi a dire non grave.
E’ vero dura lex, sed lex, ma intanto, il contenzioso cresce, le prestazioni non si fanno, le imprese falliscono e chi ci rimette sono i lavoratori.