Questo articolo è valutato
( votes)Origini e ratio dell’istituto
Le origini del dialogo competitivo, così come oggi regolamentato, sono da ricercare, ancor prima che nella direttiva comunitaria 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture[1], già nel Libro verde sugli appalti pubblici della Commissione CE del 27/11/1996 e nel successivo Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati e al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni[2].
Nel 1996 la Commissione CE, infatti, affermava che “data la complessità della maggior parte dei progetti – alcuni dei quali possono richiedere delle soluzioni mai prima prospettate – anteriormente alla pubblicazione dei bandi di gara può rivelarsi necessario un dialogo tecnico fra amministrazioni aggiudicatrici e partners privati interessati. Il principio della parità di trattamento non sarà infranto se, mediante la predisposizione di specifiche garanzie – riguardanti tanto il merito quanto la procedura – le amministrazioni aggiudicatrici eviteranno di sollecitare o di accettare informazioni che avrebbero l’effetto di restringere la concorrenza”.
Successivamente, nel 2004, la stessa Commissione CE definiva i partenariati pubblico-privati come “forme di collaborazione tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento e la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”.
L’obiettivo dichiarato e perseguito era quello di rendere l’azione amministrativa il più possibile aderente alla natura ed alle caratteristiche concrete e proprie di ogni singolo appalto, al fine di assicurare la scelta della migliore offerta, facendo però attenzione a garantire, sempre e comunque, il rispetto del principio della libera concorrenza[3].
E’ però con le Direttive 2004/17/CE[4] e, soprattutto, 2004/18/CE[5] che vengono fissati i capisaldi del dialogo competitivo.
Le due direttive hanno recepito quella diffusa convinzione comunitaria secondo la quale le direttive in materia di appalti non garantivano una flessibilità tale da permettere la realizzazione di determinati progetti[6].
L’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario è stato quello di prevedere una procedura flessibile che salvaguardi sia la concorrenza tra operatori economici, sia la necessità delle amministrazioni aggiudicatrici di discutere con ciascun candidato tutti gli aspetti dell’appalto[7].
Il Legislatore comunitario, dopo aver preso atto delle difficoltà in cui incorrono molte amministrazioni nel momento in cui vanno a definire l’oggetto e i caratteri di un appalto, autorizza le amministrazioni ad avviare un vero e proprio confronto con gli operatori del settore, perché tramite il dialogo con gli imprenditori, si determini l’oggetto dell’appalto.
La procedura del dialogo competitivo, così come delineata e configurata dalla direttiva 2004/18/CE e poi recepita dall’art. 58 del Codice dei Contratti Pubblici[8], avvia una nuova facoltà per le stazioni appaltanti: quella di avvalersi in maniera sistematica di consulenza privata da parte delle imprese.
Ciò rappresenta un’importantissima svolta rispetto alla precedente normativa e alle precedenti esperienze, pur se applicabile soltanto in ipotesi di progettazione di appalti particolarmente complessi.
Precedentemente era prevista la possibilità per le stazioni appaltanti di utilizzare l’istituto del dialogo tecnico[9].
Quest’ultima è una figura per certi aspetti similare al dialogo competitivo, ma, allo stesso tempo, profondamente differente: in particolare è diverso il fine ultimo perseguito dalle due figure.
Il dialogo tecnico è di supporto alle stazioni appaltanti in una fase preparatoria del bando, essendo preordinato alla volontà di indire una gara, laddove, invece, il dialogo competitivo presuppone già l’indizione di una gara di appalto ed è preordinato alla volontà di aggiudicazione dello stesso.
E’ evidente che il dialogo competitivo presuppone il pieno riconoscimento della discrezionalità della stazione appaltante.
Il recepimento del dialogo competitivo nell’ordinamento italiano
L’ordinamento comunitario ha attribuito agli Stati membri la mera facoltà di recepire la procedura del dialogo competitivo. Tuttavia, qualora uno Stato membro abbia inteso esercitare tale facoltà, esso è obbligato a dare attuazione alla procedura in esame nei termini stabiliti dall’art. 29 della direttiva comunitaria.
Gli Stati membri, pertanto, godono di discrezionalità solo sull’ an del recepimento, non sul quomodo che risulta determinato, invece, dal Legislatore comunitario.
L’art. 58 del d. lgs. n. 163/2006, nel disciplinare il dialogo competitivo, lo qualifica come strumento di aggiudicazione dei contratti pubblici, che va ad aggiungersi a quelli già esistenti, costituendo una sorta di nuovo genere.
Per meglio comprendere l’impatto di tale istituto e le novità e le caratteristiche dello stesso e per verificare se il nostro legislatore si sia correttamente avvalso della facoltà attribuita dall’art. 29 della direttiva, si ritiene opportuno riportarsi integralmente al testo della relazione governativa all’art. 58 del Codice dei contratti pubblici[10] .
Il Legislatore nazionale sembra essersi conformato agli obiettivi di semplificazione, modernizzazione e flessibilità fissati a livello comunitario.
Come è noto, però, l’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici ha suscitato non poche polemiche, che hanno portato all’adozione di una serie di provvedimenti correttivi e alla sospensione di alcune disposizioni del Codice.
Con la legge 12 luglio 2006, n. 228 veniva convertito il decreto legge n. 173 del 12 maggio 2006: in particolare veniva introdotto il comma 1 bis dell’art. 253 del Codice dei contratti pubblici, che prevedeva l’applicabilità dell’istituto del dialogo competitivo alle procedure, nei settori ordinari e speciali, i cui bandi e avvisi fossero pubblicati successivamente al 1° febbraio 2007.
Successivamente, con l’emanazione del D. Lgs. 26 gennaio 2007, n. 6, tale termine veniva ulteriormente prorogato al 1° agosto 2007.
Infine, con il secondo decreto correttivo[11], l’operatività del dialogo competitivo veniva ancora differita all’entrata in vigore del Regolamento attuativo di cui all’art. 5 del Codice[12], prevista per il prossimo 9 giugno.
Tutti questi rinvii avevano una comune finalità prudenziale e fondavano tale differimento sul principio di facoltatività dell’introduzione nell’ordinamento statale dell’istituto del dialogo competitivo, la cui operatività, come riveniva dal testo del 16° Considerando[13] della direttiva 2004/18/CE, era subordinata al formale recepimento da parte del Legislatore nazionale.
Dubbi sono sorti sull’opportunità e sulla liceità di tutti questi interventi legislativi tendenti a sospendere l’operatività del dialogo competitivo, anche in considerazione di un autorevole intervento del Consiglio di Stato, che, in occasione del parere reso sullo schema del secondo decreto correttivo al Codice, ha avuto modo di osservare come il differimento dell’operatività del dialogo competitivo all’entrata in vigore del Regolamento, di cui all’art. 5 del Codice, non sarebbe stato giustificato sul piano tecnico, poichè l’art. 58 del Codice doveva considerarsi una norma self executing, che non necessitava, pertanto, per la sua operatività, di un rinvio al Regolamento .
Oggi, pertanto, dopo un’estenuante attesa, la disciplina del dialogo competitivo è dettata dal combinato disposto degli articoli 58 del d. lgs. 163/2006, nonchè 113 e 114 del D.P.R. 207/2010.
I presupposti del dialogo competitivo
La maggior preoccupazione del Legislatore italiano nel momento in cui si è dovuto confrontare con l’istituto del dialogo competitivo è stata, senza ombra di dubbio, quella di regolamentare il potere discrezionale delle stazioni appaltanti, limitando e/o circoscrivendo i casi in cui fosse possibile optare per tale strumento.
Partendo da questa logica si è voluto ritenere il dialogo competitivo come una forma di affidamento del tutto eccezionale e residuale.
Si è cercato di vincolare l’utilizzo del dialogo competitivo a circostanze obiettive e concrete, eliminando, o quanto meno riducendo il più possibile, la discrezionalità della stazione appaltante: a tal fine è stata subordinata la possibilità di utilizzare il dialogo competitivo al verificarsi di alcuni presupposti.
E’ possibile far ricorso al dialogo competitivo esclusivamente nelle ipotesi di appalti particolarmente complessi, tali da non permettere l’aggiudicazione dell’appalto attraverso un’ordinaria procedura di gara aperta o ristretta.
Appare evidente quale sia stata la prima difficoltà incontrata dal Legislatore (prima) e dagli operatori del settore (poi): stabilire quando un appalto possa considerarsi “particolarmente complesso” e, quindi, autorizzare la stazione appaltante al ricorso all’istituto del dialogo competitivo.
L’esigenza era quella di codicizzare, nel secondo comma dell’art. 58 del codice dei contratti pubblici, una sorta di definizione di “appalto particolarmente complesso”, prevedendo tale situazione tutte le volte in cui una stazione appaltante non sia oggettivamente in grado, per cause ad essa non imputabili, di:
- definire gli strumenti atti a soddisfare le proprie esigenze, necessità ed obiettivi;
- specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto;
- disporre di studi in merito all’individuazione e quantificazione dei propri bisogni e dei mezzi strumentali necessari al loro soddisfacimento.
Come si può facilmente desumere da quanto innanzi detto, è fondamentale l’oggettiva e non imputabile impossibilità per l’amministrazione di definire, specificare, disporre, individuare e quantificare tali presupposti.
Si configura una sorta di obbligo di diligenza in capo alla stazione appaltante nel momento in cui deve valutare l’oggettiva insufficienza delle risorse necessarie a soddisfare le proprie esigenze e l’impossibilità di definire i propri obiettivi facendo ricorso alle conoscenze di cui è in possesso.
Altro obbligo della stazione appaltante, espressamente previsto dal nostro Legislatore, è quello di dar conto dell’impossibilità oggettiva accertata, attraverso la motivazione del provvedimento con cui decide di ricorrere al dialogo competitivo .
L’obbligo della motivazione è un momento essenziale dell’iter procedimentale necessario per attivare il dialogo competitivo, atteso che da detta motivazione dipenderà la legittimità dell’intera procedura.
Pur ammettendo, infatti, che trattasi di un istituto eccezionale e residuale rispetto alle altre forme di affidamento, non si può non evidenziare che il richiamo a criteri non ben definiti e la mancanza di parametri oggettivi di valutazione, lascia ampia discrezionalità nella scelta alla stazione appaltante, con conseguente ed inevitabile possibilità di instaurare numerosi contenziosi al fine di verificare l’esistenza delle condizioni legittimanti il dialogo competitivo .
La diversa interpretazione, più o meno restrittiva, di tali criteri e/o parametri porterebbe logicamente a risultati ben differenti.
Si potrebbe assistere ad un ampio quanto esasperato utilizzo dell’istituto ben oltre i limiti voluti dal legislatore, oppure, al contrario, si potrebbe verificare che l’istituto in questione diventi, di fatto, un inutile doppione, con qualche variante, della procedura negoziata.
E ciò potrebbe aver influito sulla decisione del nostro Legislatore di prevedere un limite alla discrezionalità della stazione appaltante attraverso l’introduzione della previsione del preventivo parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici e della previsione del comma 18 a chiusura dell’art. 58 .
L’introduzione, infatti, del parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei lavori pubblici rappresenta una restrizione della disciplina rispetto all’originario art. 29 della direttiva 2004/18/CE, che, invece, faceva solo riferimento alla particolare complessità dell’appalto, senza prevedere alcun preventivo parere prima dell’adozione della procedura di dialogo competitivo .
La procedura
L’elemento sostanziale del dialogo competitivo consiste nella possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di porre, a base della gara di appalto, un bando il cui oggetto in termini di prestazioni, al contrario di quanto avviene nelle altre procedure di affidamento, non viene predeterminato dall’amministrazione, ma è frutto di una negoziazione dinamica e progressiva effettuata con tutte le imprese che partecipano alla gara.
La procedura del dialogo competitivo è caratterizzata dalla flessibilità: al di là dello schema dettagliato che ci fornisce l’art. 58 del Codice, peraltro ripercorrendo la stessa strada delle disposizioni comunitarie (art. 29 della più volte richiamata direttiva), la procedura del dialogo competitivo si caratterizzerà di volta in volta in maniera differente a seconda dell’oggetto e dei bisogni da soddisfare.
Fatta questa premessa, è importante, però, ricordare che questa flessibilità trova un proprio limite nel fondamentale rispetto della concorrenza e della tutela della par condicio.
La procedura individua, in prima facie, una sorta di base comune rappresentata dalla previsione di una fase di prequalificazione, da cui poi sviluppare il dialogo vero e proprio per giungere all’aggiudicazione.
Nell’art. 58 del Codice , si possono chiaramente individuare queste fasi:
- Bando di gara e documento descrittivo, selezione degli operatori economici, criteri di aggiudicazione ;
- Dialogo stricto sensu e tutela della riservatezza ;
- Presentazione delle offerte finali e aggiudicazione dell’appalto.
Tali fasi pur se ben delineate e divise fra loro, ruotano, però, tutte intorno al fulcro centrale ed essenziale dell’istituto, rappresentato dal dialogo vero e proprio, inteso stricto sensu.
Nella prima fase la stazione appaltante deve, innanzitutto, redigere l’atto iniziale della procedura, rappresentato dalla pubblicazione di un bando di gara, attraverso il quale rendere noto a tutti i potenziali competitor, quelle che sono le proprie necessità e/o obiettivi, che devono essere definite/i nel bando stesso o in un documento descrittivo, che ne diverrà parte integrante.
Sempre nel bando devono essere precisati i requisiti di ammissione alla procedura, i criteri di valutazione delle offerte ed il termine entro il quale gli interessati possono presentare istanza di ammissione alla procedura.
Va da sé che la stazione appaltante non potrà più discostarsi dalle previsioni inserite in tale documento iniziale, che potremmo definire come atto preparatorio ma essenziale del dialogo competitivo.
E’ importante chiarire che in questa fase della procedura “…ogni operatore economico può chiedere di partecipare…” al dialogo competitivo, senza, quindi, alcuna limitazione e/o esclusione.
Ricevute le domande di partecipazione, si avvia la fase del dialogo vero e proprio, al fine di individuare e definire la soluzione o le soluzioni migliori per soddisfare le necessità e raggiungere gli obiettivi dell’amministrazione.
E’ ormai consolidata la convinzione che nel dialogo devono essere affrontati e trattati tutti gli aspetti della prestazione oggetto dell’appalto e delle potenziali soluzioni al fine di soddisfare le necessità e i bisogni della stazione appaltante.
La maggior preoccupazione del legislatore, e, conseguentemente, della stazione appaltante, in questa fase, sarà quella di garantire e preservare la parità di trattamento degli operatori economici partecipanti, nonché la genuinità del confronto concorrenziale.
Ciò sarà possibile solo salvaguardando le imprese dal pericolo di una indebita diffusione di informazioni riservate sul loro Know-how, prevedendo il divieto di fornire, “…in modo discriminatorio, informazioni che possano favorire alcuni partecipanti rispetto ad altri…” e il divieto di rivelare “…agli altri partecipanti le soluzioni proposte (e) altre informazioni riservate comunicate dal candidato partecipante al dialogo senza l’accordo di quest’ultimo…”.
Dopo aver previsto tutte le garanzie necessarie per rafforzare l’esigenza di riservatezza delle informazioni ritenute sensibili, il Legislatore si preoccupa di porre in essere degli strumenti che possano permettere alla stazione appaltante di semplificare tale procedura.
A tal fine ha previsto la possibilità per la stazione appaltante di procedere per step, in modo da ridurre gradualmente il numero di soluzioni da discutere durante la fase del dialogo, purchè si applichino sempre gli stessi criteri e tale facoltà sia espressamente prevista nel bando di gara e/o nel documento descrittivo.
Come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, nessun limite temporale è stato previsto per la conclusione di questa fase, lasciando piena discrezionalità alla stazione appaltante di proseguire il dialogo fino a quando non individua la soluzione o le soluzioni che reputa in grado di soddisfare le necessità o gli obiettivi prefissati.
Questa seconda fase può concludersi positivamente con l’individuazione della soluzione o delle soluzioni idonee allo scopo prefissato, oppure negativamente, quando la stazione appaltante ritiene, a conclusione del dialogo, di non aver individuato alcuna soluzione valida.
Tralasciando per il momento la soluzione positiva, che rappresenta la normale definizione del dialogo, ci soffermiamo su quella negativa, che, quindi, potremmo definire eccezionale rispetto all’altra.
Il comma 11 dell’art. 58 del Codice precisa che qualora la stazione appaltante non ritenga utilizzabile per il raggiungimento dei propri obiettivi nessuna delle soluzioni prospettate dagli operatori economici, previa motivazione, dà immediata comunicazione in tal senso ai partecipanti.
Questi ultimi non possono avanzare alcuna richiesta di indennizzo e/o di risarcimento, salvo quanto espressamente previsto dal comma 17 dello stesso articolo in materia di premi e/o incentivi.
La terza fase della procedura di dialogo competitivo, anche se rappresenta la normale conclusione dell’iter, è, comunque, eventuale e non obbligatoria per l’amministrazione, che abbiamo visto potrebbe porre fine alla procedura nel caso in cui non ritenga valide le soluzioni prospettate dai partecipanti.
Una volta individuata la soluzione o le soluzioni idonee a soddisfare le necessità e i bisogni dell’amministrazione, deve essere dichiarata la conclusione del dialogo e tale dichiarazione deve essere formalmente comunicata ai partecipanti, i quali saranno, altresì, invitati a presentare le offerte finali, contenenti tutti gli elementi richiesti e necessari per l’esecuzione del progetto.
E’, comunque, fatta salva la possibilità per la stazione appaltante di richiedere ulteriori chiarimenti, precisazioni e perfezionamenti: in ogni caso, però, non sarà possibile modificare gli elementi fondamentali dell’offerta o dell’appalto, qualora ci sia anche solo il minimo rischio di non salvaguardare il principio di concorrenza e di par condicio.
Va da sé che le offerte sono valutate sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel bando e secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
La stazione appaltante, dopo aver prescelto l’offerta aggiudicataria, può nuovamente invitare l’offerente a precisare gli aspetti della sua offerta e a confermare gli impegni ad essa connessi, ancora una volta a condizione, però, che ciò non determini la modifica degli elementi fondamentali dell’offerta o dell’appalto e non cagioni discriminazioni o violazioni della concorrenza.
Alcuni problemi e casi pratici
Una prima problematica si è presentata all’indomani dell’emanazione del c.d. secondo decreto correttivo.
Il d. lgs. 31 luglio 2007, n. 113, ha integrato il 1° comma dell’art. 58 del Codice dei contratti pubblici, prevedendo che il ricorso al dialogo competitivo per lavori è consentito previo parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, ad esclusione dei lavori relativi ad infrastrutture strategiche.
E’ proprio in riferimento a questa esclusione che sono sorte le maggiori perplessità.
Si tratta di interventi di interesse strategico per l’economia nazionale.
L’Adunanza Generale del Consiglio di Stato aveva ritenuto che il parere di un organo tecnico sembrerebbe “quanto meno opportuno per le opere più importanti per l’economia del paese e quando l’amministrazione non abbia ancora maturato un disegno compiuto su come affrontare l’opera”.
Il nostro Legislatore, invece, ha completamente disatteso e continua a disattendere quanto auspicato dal Consiglio di Stato.
Tale esclusione non può essere nemmeno giustificata da esigenze di speditezza, atteso che le modalità con le quali il parere deve essere reso prevedono un breve termine di soli trenta giorni decorrenti dalla richiesta.
Non solo. E’ altresì previsto che, nel caso di silenzio da parte dell’organo preposto, trascorsi i trenta giorni, le stazioni appaltanti possono comunque procedere.
Volendo andare oltre l’interpretazione-parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato si potrebbe azzardare una diversa tesi, che prende spunto dal dato letterale dell’art. 58 del Codice.
Si potrebbe, infatti, arrivare ad affermare che Legislatore nazionale abbia voluto escludere la possibilità di utilizzare il dialogo competitivo in occasione di tali lavori: è dato leggere, infatti, che: “Il ricorso al dialogo competitivo per lavori è consentito previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e comunque ad esclusione dei lavori di cui alla parte II, titolo III, capo IV”, ritenendo incompatibili tra loro il dialogo competitivo e la realizzazione di infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale.
Tale presa di posizione potrebbe essere giustificata dal fatto che la progettazione e la realizzazione di infrastrutture strategiche presuppongono che le stazioni appaltanti abbiano già una precisa visione del progetto e dell’oggetto dell’appalto, laddove, invece, nella ratio del dialogo competitivo, tali elementi sono ancora incerti e devono ancora formarsi, anzi si formeranno solo a seguito dell’intervento dei competitor.
Sempre con riferimento all’introduzione della richiesta di parere ci si è posti il problema della natura di tale parere, ovvero se le Amministrazioni richiedenti fossero vincolate al parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici.
Dottrina e giurisprudenza, in maniera unanime, ritengono che sicuramente il parere deve essere obbligatoriamente chiesto all’Organo preposto e, se rilasciato nei termini di legge, deve reputarsi vincolante per l’ente appaltante, fatti salvi gli ordinari strumenti di tutela in via amministrativa o giurisdizionale utilizzabili dalle stazioni appaltanti in caso di dissenso dal parere.
Altra problematica connessa alla richiesta di parere preventivo riguarda l’obbligo soggettivo: quali sono le Amministrazioni obbligate a richiedere il parere? Solo le Amministrazioni Statali o anche Regioni ed Enti Locali?.
L’art. 58, comma 1, del Codice fa riferimento genericamente al parere, senza introdurre alcuna distinzione fra gli Enti obbligati a richiederlo; il Consiglio Superiore dei lavori pubblici è istituzionalmente preposto a svolgere funzioni consultive anche a favore delle Amministrazioni regionali e locali; la finalità del parere è quella di dare corretta applicazione all’istituto del dialogo competitivo ed evitare violazioni della normativa comunitaria. Da queste considerazioni non può che evincersi un obbligo esteso dal punto di vista soggettivo a tutte le stazioni appaltanti, siano esse amministrazioni statali, regionali o locali .
Dottrina e giurisprudenza sono state ulteriormente sollecitate a seguito della decisione del 31 gennaio 2008 con la quale la Commissione Europea aveva avviato una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE, contro il governo italiano, per errato ed incompleto recepimento delle direttive nn. 17/2004 e 18/2004.
La censura riguardava il comma 15 dell’art. 58 del Codice, ai sensi del quale le stazioni appaltanti valutavano le offerte ricevute sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel bando di gara o nel documento descrittivo e di quelli fissati ai sensi del comma 13 .
Ne discendeva la possibilità che i criteri fissati ai sensi del comma 13 potevano essere dei criteri di aggiudicazione diversi da quelli indicati nella prima fase di dialogo, essendo prevista dal Codice la possibilità di fissare dei nuovi criteri dopo l’avvio della fase del dialogo e dopo aver individuato le proposte più interessanti, senza, peraltro, prevedere in che modo tali nuovi criteri sarebbero stati portati a conoscenza dei partecipanti al dialogo, al fine di poterne tenere conto al momento della preparazione delle offerte.
La Commissione Europea ha ritenuto tali disposizioni in contrasto con la direttiva n. 18/2004, nella parte in cui quest’ultima prevede che i criteri di aggiudicazione debbano preventivamente essere resi noti a tutti i partecipanti, precisando che per il dialogo competitivo il criterio di aggiudicazione può essere soltanto quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e, pertanto, dopo l’invito a partecipare al dialogo, l’amministrazione non ha più la possibilità di modificare i criteri di aggiudicazione.
Tale censura è stata recepita nel nostro ordinamento giuridico; infatti, l’emanazione del c.d. terzo decreto correttivo ha provveduto ad abrogare il comma 13 dell’art. 58 e, conseguentemente, a modificare il comma 15 dello stesso articolo.
Un ulteriore problema interpretativo è insito nell’incertezza temporale del dialogo competitivo.
L’art. 58, comma 10, del D. lgs. 163/2006 nel prevedere che la fase del dialogo prosegue sino al momento in cui sarà possibile individuare una o più soluzioni atte a soddisfare le necessità e gli obiettivi della stazione appaltante, non pone alcun limite alla durata di tale fase.
Laddove, invece, così come si è prevista la possibilità, sia pur con motivazione, “…di ritenere che nessuna delle soluzioni proposte soddisfi le proprie necessità o obiettivi…” , il Legislatore avrebbe potuto, opportunamente, prevedere un termine massimo di durata della fase del dialogo in senso stretto prima di scegliere la soluzione o le soluzioni idonee o, in caso contrario, di informare i partecipanti della non idoneità di alcuna delle soluzioni prospettate.
Analogie e differenze con il project financing
L’organicità della disciplina e l’apertura al confronto tra imprese e pubbliche amministrazioni nella fase di costruzione del progetto, evidenziano una marcata somiglianza del dialogo competitivo con il project financing, che ha indotto la dottrina a numerose riflessioni sui possibili profili di compatibilità tra le due figure.
La questione è emersa già nella prima stesura del Codice, laddove nella versione non definitiva del 13 gennaio 2006 era prevista la possibilità per le amministrazioni di far ricorso alla procedura di dialogo competitivo qualora non avessero individuato alcuna proposta di pubblico interesse ai sensi dell’art. 153 dello stesso Codice .
La norma così formulata lasciava spazio alla dottrina per arrivare ad ipotizzare un totale assorbimento della disciplina del project financing nel dialogo competitivo: le disposizioni normative del dialogo competitivo erano astrattamente applicabili alla procedura che regola il project financing, previa una verifica di non incompatibilità in concreto delle previsioni .
Anche se il Legislatore, nel testo definitivo dell’art. 58, non ha riprodotto il precedente contenuto normativo, non ha sciolto tutte le riserve interpretative, tenuto conto, comunque, sia dell’operatività del rinvio generale di cui all’art. 152, comma 2, del Codice, sia di un orientamento giurisprudenziale che legittima il ricorso al dialogo competitivo nell’ambito della normativa che regola il project financing .
Appare evidente, quindi, come sia il dialogo competitivo che il project financing siano caratterizzati da una grande flessibilità e dalla presenza di un dialogo molto intenso e non occasionale ed episodico .
E’ necessario a questo punto soffermarsi sulle principali differenze tra i due istituti, per verificare l’effettiva compatibilità.
Una prima fondamentale differenza si evidenzia nella struttura dei due istituti.
Nel project financing il procedimento si avvia su impulso del privato, c.d. promotore, che si fa parte diligente e presenta una proposta all’amministrazione, la quale valuta la stessa e laddove la ritiene di pubblico interesse, indice la gara.
Nel dialogo competitivo, invece, l’impulso è dell’amministrazione che mira ad individuare le soluzioni più idonee a soddisfare le proprie esigenze: in tale fase non vi è ancora una proposta essendo il dialogo aperto ed esteso a tutti gli aspetti del progetto.
Un’altra sostanziale differenza tra i due istituti è da ricercare in quella che, con il terzo decreto correttivo, è tornata ad essere una peculiarità del project financing: il diritto del promotore di accedere direttamente alla fase negoziale finale per l’aggiudicazione potendo esercitare il proprio diritto di prelazione.
Al contrario, nel dialogo competitivo non è possibile ipotizzare un diritto di prelazione, perché andrebbe a ledere la ratio stessa dell’istituto.
Prevedere un simile vantaggio in favore di uno dei concorrenti si tradurrebbe immediatamente e automaticamente in un effetto disincentivante della concorrenza e in una violazione del principio di parità di trattamento in danno dei competitori che abbiano in qualche modo contribuito all’individuazione della soluzione finale, arrivando sino a vanificare l’iniziativa progettuale dei vari partecipanti al dialogo.
Le novità del Regolamento
Il Regolamento di attuazione del Codice di Contratti Pubblici, negli articoli 113 e 114, va ulteriormente a dettagliare la disciplina da applicare nel caso dei ricorso al dialogo competitivo.
In particolare, l’art. 113 prevede che gli operatori economici, che intendono partecipare a tale procedura di scelta del contraente, devono possedere “…i requisiti prescritti per i progettisti ovvero avvalersi di progettisti qualificati o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione…”.
I concorrenti invitati al dialogo competitivo possono presentare, ai sensi del secondo comma dell’art. 113 del Regolamento, uno o più proposte, corredate da uno studio di affidabilità, con la relativa previsione di costo.
La Stazione Appaltante, al fine di addivenire alla scelta della proposta più consona e rispettosa delle proprie esigenze, può chiedere ai concorrenti ammessi la dialogo competitivo, di presentare delle soluzioni migliorative rispetto alle proposte iniziali.
Individuate le proposte più interessanti, la Stazione Appaltante invita gli operatori a presentare le offerte finali, che, ai sensi del comma 4, dell’art. 113 del Regolamento, devono essere corredate dal progetto preliminare e dal capitolato speciale prestazionale.
Il progetto preliminare dell’offerta risultata aggiudicataria sarà inserito nell’elenco annuale di cui all’art. 128 del d. lgs. 163/2006.
L’art. 114, invece, si limita a prevedere, che con il pagamento di un premio da parte della Stazione Appaltante, nell’ipotesi in cui ciò sia stato previsto nel bando o nel documento descrittivo, quest’ultima acquista la proprietà del progetto preliminare presentato dall’affidatario.
[1] In G.U. L. 134 del 30 aprile 2004.
[2] Libro Verde della Commissione CE del 30 aprile 2004.
[3] Corte di Giustizia, Comunità Europea, sez. II, 7 ottobre 2004, C-247/02.
[4] La Direttiva 2004/17/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31marzo 2004 coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, pubblicata in GUUE L 134 del 30 aprile 2004.
[5] La Direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31marzo 2004 è relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, pubblicata in GUUE L 134 del 30 aprile 2004.
[6] Sul punto si veda Francesco Sciandone in www.Giustamm.it n.3/2008 “il Pimlico School case ed i PFI”. “Tale convinzione era particolarmente avvertita nel Regno Unito, ove si rinviene la matrice della procedura in esame, la quale è riconducibile nell’ambito dei Private Finance Iniziative (PFI), consistenti in particolari forme di Public-Private-Partnerships (PPP) invalse nell’ordinamento britannico. Le esigenze che hanno determinato la codificazione del competitive dialogue sono emerse, in particolare, nel corso della procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti del Regno Unito, relativamente al c.d. Pimlico School case. Il caso di specie aveva ad oggetto un progetto di ristrutturazione di un edificio scolastico, che le autorità aggiudicatici inglesi intendevano affidare, nell’ambito di un Private Finance Initiatives (PFI), mediante procedura negoziata. Intervenuta al riguardo, la Commissione Europea ha ritenuto che nel caso de quo non sussistessero i presupposti per ricorrere alla suddetta procedura, posto che il PFI non presentava rischi ulteriori rispetto a quelli che connotano, generalmente, i contratti di appalto. In seguito alle conclusioni raggiunte dalla Commissione nel Pmilico School case, il ricorso alla procedura negoziata nei contratti di PFI risultava, pertanto, di dubbia ammissibilità o, quantomeno, di difficoltosa valutazione. Consapevoli di tali difficoltà applicative, durante i lavori preparatori della direttiva le autorità britanniche si sono adoperate al fine di assicurare l’introduzione di una procedura di aggiudicazione che fosse non soltanto flessibile, ma anche e soprattutto applicabile ai PFI. Le circostanze che hanno condotto alla formulazione dell’art. 29 della direttiva dimostrano, quindi, che il dialogo competitivo è sorto proprio con riferimento a contratti complessi configuranti PFI/PPP. Ulteriore conferma di ciò deriva, a posteriori, anche dalle modalità attraverso le quali l’istituto in parola è stato recepito nell’ordinamento britannico, ove il dialogo competitivo risulta dichiaratamente applicabile anche ai Private Finance Initiatives.
[7] Considerando 31 della direttiva 2004/18/CE.
[8] Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e smi (c.d. Codice de Lise).
[9] Considerando 8 della direttiva 2004/18/CE statuisce che “Prima dell’avvio di una procedura di aggiudicazione di un appalto, le amministrazioni aggiudicatici possono, avvalendosi di un dialogo tecnico, sollecitare o accettare consulenze che possono essere utilizzate nella preparazione del capitolato d’oneri a condizione che tali consulenze non abbiano l’effetto di ostacolare la concorrenza”.
[10] “ Il presente articolo recepisce l’istituto del dialogo competitivo previsto dall’art. 29 della direttiva 2004/18. Si tratta, senza dubbio, di uno degli aspetti più innovativi della nuova direttiva. La nozione di dialogo competitivo è fornita dall’art. 1, par. 11, lettera c) della direttiva 2004/18 recepito in origine dall’art. 3, comma 41 del codice: il dialogo competitivo è una procedura alla quale qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare e nella quale l’amministrazione aggiudicatrice avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte. Ai fini del ricorso alla procedura di cui al primo comma, un appalto pubblico è considerato particolarmente complesso quando l’amministrazione aggiudicatrice:
- non è oggettivamente in grado di definire, conformemente all’art. 23, par. 3, lettere b), c) e d), i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi;
- non è oggettivamente in grado di specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto.
Il 41° Considerando della stessa direttiva, precisa che: nel dialogo competitivo e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, tenuto conto della flessibilità che può essere necessaria nonché dei costi troppo elevati connessi a tali metodi di aggiudicazione degli appalti, occorre consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di prevedere uno svolgimento della procedura in fasi successive in modo da ridurre progressivamente, in base a criteri di attribuzione preliminarmente indicati, il numero di offerte che continueranno a discutere o a negoziare. Tale riduzione dovrebbe assicurare, purchè il numero di soluzioni o di candidati appropriati lo consenta, una reale concorrenza.
Alla luce di tali disposizioni emerge:
- il carattere eccezionale dell’istituto rispetto alle ordinarie procedure aperte o ristrette, subordinato all’oggettiva impossibilità di definire i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, o specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto;
- la particolare complessità dell’appalto;
- la non imputabilità alle amministrazioni aggiudicatrici dell’impossibilità di definire i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, o specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto.
In sede di recepimento si è previsto:
- di
introdurre una definizione di appalti particolarmente complessi;
- l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di fornire specifica motivazione in merito alla sussistenza dei presupposti per ricorrere al dialogo competitivo;
- di consentire il dialogo competitivo in relazione agli obiettivi delle amministrazioni aggiudicatrici: in effetti l’art.29 utilizza due sinonimi “necessità” e “esigenze”, mentre l’art. 1, par. 11, lettera c) utilizza l’espressione “necessità o obiettivi”; conformante ai principi ormai invalsi nella legislazione nazionale, la possibilità di indicare solo gli obiettivi amplifica notevolmente l’apporto collaborativo dei privati all’attività della P.A.;
- di escludere la responsabilità delle amministrazioni aggiudicatrici nell’ipotesi in cui nessuna delle soluzioni risponda alle necessità o obiettivi in precedenza indicati;
- la possibilità, tenuto conto dell’incidenza dell’apporto dei privati durante il dialogo, di precisare i criteri di valutazione delle offerte in relazione alle particolarità delle soluzioni prospettate;
una disciplina di raccordo con la finanza di progetto, volta a consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere al dialogo competitivo, quando nessuna delle proposte corrisponde all’interesse pubblico ai sensi dell’art. 154, con la previsione che i soggetti che hanno presentato le proposte sono ammessi a partecipare al dialogo.
[11] D. lgs. 31 luglio 2007, n. 113.
[12] Art. 253, comma 1 quater: “Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e speciali, le disposizioni dell’art. 58 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 5”.
[13] “Al fine di tener conto delle diversità esistenti negli Stati membri, occorre lasciare a questi ultimi la facoltà di prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad accordi quadro, a centrali di committenza, ai sistemi dinamici di acquisizione, ad aste elettroniche e al dialogo competitivo, quali sono definiti e disciplinati dalla presente direttiva”.