Questo articolo è valutato
( votes)Il Decreto per la ricostruzione del Ponte Morandi può essere letto come paradigmatico per la gestione delle emergenze, secondo il nuovo Governo. Tuttavia, alcuni sottintesi nella formulazione rischiano di compromettere la stabilità della norma.
Premessa
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 226 del 28 settembre 2018 il D.L. n. 109/2018 recante “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”, noto come “Decreto Genova” per il risalto dato dalla norma – sin dalle premesse del Decreto – alla ricostruzione del Ponte Morandi sul torrente Polcevera, a seguito dell’improvviso crollo del 14 agosto scorso.
In realtà, come correttamente ricorda la rubrica, il Decreto Legge affronta diverse situazioni emergenziali, a partire dagli eventi sismici che, nell’agosto 2017 funestarono le Isole di Ischia, Forio, Lacco Ameno e Casamicciola, sino, andando a ritroso, al sisma che devastò il Centro Italia nell’estate del 2016.
Il Decreto Genova, fresco di approvazione da parte della Camera dei Deputati in sede di conversione e di assenso da parte della Conferenza delle Regioni del 18 ottobre 2018, assume particolare importanza in quanto si pone quale paradigma del nuovo Governo in tema di gestione delle emergenze e, quindi, quale probabile punto di riferimento per le future situazioni emergenziali che dovessero interessare il Paese.
In proposito, si nota subito che la struttura del Decreto accomuna due tipologie di “situazioni emergenziali”: quelle che derivano da carenze gestionali/manutentive (come è, appunto, qualificata l’emergenza infrastrutturale ingenerata dal crollo del Ponte Morandi di Genova) e quelle connesse a cause naturali, come gli eventi sismici; puntuali le prime, estese le seconde, insomma eventi del tutto diversi, accomunati solo dalla necessità di procedere in emergenza.
La linea di demarcazione fra le due tipologie, passa per le disposizioni dedicate alla prevenzione; cioè gli articoli dal 12 al 16 con i quali, tra l’altro, si rafforza la struttura di verifica e controllo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e si dispone la creazione dell’ANSFISA (l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali ed Autostradali, facendovi confluire l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie) e dell’AINOP (Archivio Informatico Nazionale delle Opere Pubbliche), con la mappatura delle Infrastrutture, cui vengono demandati anche compiti di monitoraggio e programmazione delle manutenzioni.
La diversa origine delle “emergenze” contemplate nel Decreto Genova, spiega anche la diversa soluzione adottata per affrontarle: la ricostruzione del Ponte Morandi è affidata ad un Commissario straordinario, con poteri amplissimi di deroga – che si arrestano solo di fronte alle fattispecie penalmente rilevanti -, addossando gli oneri al concessionario (ed al contempo estromettendolo dalle attività di ricostruzione, insieme a tutte le società da esso controllate a lui collegate), mentre la ricostruzione post sismica – anch’essa gestita da un Commissario straordinario – è affidata ad una soluzione ancipite che prevede sia l’adozione di una procedura negoziata con carattere “di somma urgenza”, sia il sostegno all’iniziativa privata, sino a spingersi alla contestata misura del condono edilizio – e concentra lo sforzo pubblico nella ricostruzione degli edifici pubblici, mentre affida ai privati la ricostruzione degli edifici privati, con il supporto di pubblici contributi -.
In questa esposizione, tuttavia, ci si concentrerà sulla ricostruzione del Ponte Morandi per osservare il “modulo emergenziale” scelto dal Governo nei casi in cui – come si è detto – la genesi dell’emergenza sia da ricercarsi non nella calamità naturale, ma piuttosto nell’azione (o omissione) umana.
1. I contenuti del D.L. n. 109/2018 con riguardo alla ricostruzione del Ponte Morandi
L’aiuto pensato dal Governo per la popolazione di Genova consiste in una serie coordinata di interventi che – da un lato – hanno come obiettivo la ricostruzione dell’infrastruttura e – dall’altro lato -, in particolare tramite sgravi fiscali e la perimetrazione di una zona franca urbana, la gestione delle immediate esigenze di continuità delle attività economiche cittadine, soprattutto per quanto concerne i trasporti e l’hub portuale.
Tuttavia, in nessuna parte del Decreto Legge si suggerisce l’indirizzo da intraprendere per raggiungere questa ambiziosa meta: non è chiaro, infatti, se l’infrastruttura che è stata danneggiata dovrà essere ripristinata, abbattuta o rilocalizzata, lasciando evidentemente al Commissario straordinario la difficile scelta.
In tal senso depone sia l’accenno (all’art. 1, comma 5) al “ripristino del connesso sistema viario”, che lascia intendere che le attività di ricostruzione potrebbero estendersi sino a ripensare la viabilità di collegamento in città, sia l’art. 5 (rubricato, significativamente “Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, di autotrasporto e viabilità”) che, al comma 5, dispone: “Per le infrastrutture viarie individuate dal Commissario delegato quali itinerari di viabilità alternativa a seguito dell’evento, lo stesso Commissario può autorizzare le stazioni appaltanti ad operare varianti, in corso di esecuzione, funzionali all’accelerazione degli interventi necessari al superamento dell’emergenza, in deroga all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nei limiti delle risorse disponibili e nel rispetto della normativa europea.”.
Per quanto concerne la ricostruzione, le disposizioni governative sono concentrate nell’art. 1 dove, dopo aver indicato nel Commissario straordinario il soggetto incaricato della delicata missione di ripristinare l’importante collegamento infrastrutturale (comma 1), si predispone una struttura di supporto che aiuti il Commissario nei suoi compiti (comma 2).
Al comma 3, poi, per ulteriore cautela, si prevede il possibile ampliamento della struttura commissariale tramite una partnership con altri soggetti pubblici, precisando che: “Per le attività urgenti di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo, nonché per ogni altra attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all’affidamento e all’esecuzione di lavori, servizi e forniture, il Commissario straordinario può avvalersi, anche in qualità di soggetti attuatori, previa intesa con gli enti territoriali interessati, delle strutture e degli uffici della Regione Liguria, degli uffici tecnici e amministrativi del Comune di Genova, dei Provveditorati interregionali alle opere pubbliche, di ANAS S.p.A., delle Autorità di distretto, nonché, mediante convenzione, dei concessionari di servizi pubblici e delle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico.”.
A seguire, il comma 4 facoltizza anche il Commissario a nominare sub-commissari.
Finalmente, a partire dal comma 5, vengono elencati i poteri del Commissario straordinario, entrando nel vivo delle disposizioni volte a regolare le modalità di esecuzione dell’opera.
Il Decreto Legge, sul punto, ricorda molto da vicino i provvedimenti normativa in tema di contenimento dell’emergenza rifiuti, ma senza entrare nel dettaglio delle singole deroghe normative.
Tale enumerazione, tuttavia, è assai sintetica ed altrettanto criptica, limitandosi la norma a disporre che: “Per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l’affidamento e la ricostruzione dell’infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario, il Commissario straordinario opera in deroga ad ogni disposizione di legge extrapenale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Per le occupazioni di urgenza e per le espropriazioni delle aree occorrenti per l’esecuzione degli interventi di cui al primo periodo, il Commissario straordinario, adottato il relativo decreto, provvede alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli anche con la sola presenza di due rappresentanti della Regione o degli enti territoriali interessati, prescindendo da ogni altro adempimento. Anche nelle more di tali attività, il Commissario straordinario dispone l’immediata immissione nel possesso delle aree da adibire a cantiere delle imprese chiamate a svolgere le attività di cui al presente comma, con salvezza dei diritti dei terzi da far valere in separata sede e comunque senza che ciò possa ritardare l’immediato rilascio di dette aree da parte dei terzi.”.
Dunque, apparentemente le prerogative del Commissario straordinario sono assai ampie, giacché incontrano il solo limite degli atti e comportamenti penalmente rilevanti; tuttavia, l’ampia formulazione si presta a facili obiezioni – foriere di altrettanto probabili contenziosi -.
Ad esempio, le attività di “rimozione, smaltimento e conferimento in discarica dei materiali di risulta” non sono esse stesse valutabili sotto l’aspetto penale, se effettuate in carenza dei requisiti previsti proprio da quelle norme che sembrerebbero potersi derogare?
E, analogamente, si potrebbe dire per le attività di “demolizione … ricostruzione e ripristino”, che naturalmente non si possono effettuare senza la scrupolosa osservanza delle norme edilizie e paesaggistiche, delle norme a tutela dei beni culturali e delle norme tecniche sulle costruzioni, tutte accomunate da sanzioni penali per l’inosservanza.
Parimenti, appare francamente difficoltoso ipotizzare che le procedure coattive per l’acquisizione definitiva (tramite espropri) o temporanea (per le aree di cantiere) possano essere eseguite senza rispettare le procedure previste dal DPR n. 327/2001; diversamente – pur tenuto conto della semplificazione consentita dal D.L. n. 109/2018 -, si incorrerebbe nel reato di cui all’art. 633 del codice penale (peraltro, recentemente inasprito per effetto del c.d. “Decreto Sicurezza”, il D.L. n. 113/2018), configurandosi gli interventi come “occupazioni abusive di immobili”. Ciò, a maggior ragione, visto che il D.L.. n. 109/2018 “dimentica” di conferire al Commissario straordinario la facultas espropriandi, ai sensi dell’art. 6 D.P.R. n. 327/2001, con l’evidente conseguenza che egli é privo del potere di dichiarare la pubblica utilità delle opere da realizzarsi.
E sembra, infine, altrettanto sanzionabile il mancato ripristino delle c.d. “distanze di protezione”, di cui al D.P.R. n. 753/1980 (nato per le distanze di sicurezza dalle infrastrutture ferroviarie, ma che fa espresso richiamo anche a quelle stradali), che impone una distanza minima di 30 metri dai fabbricati adiacenti le autostrade.
La stampa, in occasione del triste evento, ha documentato la presenza di abitazioni ed attività produttive localizzate proprio in fregio all’infrastruttura, tanto da essere considerate del tutto inagibili per il timore di ulteriori crolli. Ciò nonostante, il D.L. n. 109/2018 non ha previsto alcuno specifico stanziamento, né “potere speciale” per espropriare le abitazioni ed immobili commerciali che si trovano nelle immediate vicinanze del Ponte Morandi e tale considerazione basterebbe per suggerire alcune cautele in sede di conversione, come l’esigenza di dettagliare più distintamente i poteri commissariali, anche fornendo qualche indicazione sulla tipologia di intervento da effettuare.
Come si vedrà, infatti, una delle problematiche più significative del Decreto Legge è proprio quella del finanziamento degli interventi, pensato – forse sull’onda del coinvolgimento emozionale del Paese – come un “ribaltamento dei costi” nei confronti del concessionario. Ebbene, se così è, quest’ultimo non sarebbe tenuto ad affrontare spese per ovviare a situazioni che – prima del disastro – erano comunque tollerate e, tra queste, assume un peso (anche economico) rilevante il tema della ricollocazione delle persone che abitavano e lavoravano proprio sotto le campate del Ponte – situazione che oggi non è riproducibile proprio per effetto del DPR n. 753/1980 -.
2. Le deroghe al Codice dei Contratti pubblici
Dunque, leggendo a consuntivo, quali norme sono effettivamente derogabili da parte del Commissario straordinario?
Probabilmente, solo quelle relative all’affidamento dei contratti pubblici; infatti, il comma 7, in proposito, stabilisce che: “Il Commissario straordinario affida, ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, la realizzazione delle attività concernenti il ripristino del sistema viario, nonché quelle propedeutiche e connesse, ad uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate, anche al fine di evitare un indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali. L’aggiudicatario costituisce, ai fini della realizzazione delle predette attività, una struttura giuridica con patrimonio e contabilità separati.”.
Ebbene, l’art. 32 della “Direttiva Appalti” (si badi, non la “Direttiva concessioni”, 2014/23/UE) prevede – per i casi di somma urgenza (comma 2, lettera c) – la possibilità di procedere ad affidamenti mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando.
Nel caso del Ponte Morandi, quindi, la norma in primis invoca direttamente le disposizioni comunitarie, estromettendo le corrispondenti previsioni contenute nel Codice dei Contratti Pubblici, quasi ad indicare che proprio al codice si vuole derogare – pur rispettando la superiore norma euro-unitaria -; diversa sorte lo stesso D.L. n. 109/2018 riserva agli appalti per la ricostruzione post-sismica nelle località di le Isole di Ischia, Forio, Lacco Ameno e Casamicciola – dove, invece, si richiama espressamente l’art. 63 d.lgs. n. 50/2016 -.
La dicotomia tra i due interventi emergenziali lascia intuire che – nonostante siano ormai decorsi quasi tre mesi dal crollo del ponte di Genova – sussisterebbero valide ragioni per procedere d’urgenza, senza quel pur minimale confronto concorrenziale che l’art. 63 d.lgs. n. 50/2016 prevede al comma 6 – ma la Direttiva appalti no -, imponendo di valutare le capacità tecniche dell’appaltatore e di rispettare i principi di concorrenza e trasparenza.
Un’altra importante deroga rispetto al Codice dei contratti pubblici è data dalla facoltà di affidare la progettazione ed esecuzione dell’opera ad un unico contraente, giacché l’art. 56, comma 1 d.lgs. n. 50/2016 ha espressamente vietato l’appalto integrato, ad esclusione dei casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché delle opere di urbanizzazione a scomputo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e).
Infine, la più visibile restrizione nell’affidamento dei lavori è quella che va ad escludere tutti gli operatori che si trovino in un rapporto di collegamento, partecipazione o controllo in società concessionarie di strade a pedaggio.
Tale disposizione, che sembra rispondere alle prime indiscrezioni di stampa apparse nell’immediatezza dell’evento – che andavano nel senso di escludere il concessionario dalla ricostruzione –, rischia di avere un effetto controproducente. Le maggiori Società di costruzione attive nel Paese, infatti, hanno effettuato lavori per i concessionari autostradali, anche partecipando a società costituite ad hoc per la realizzazione e gestione di tratte/tronchi; di fronte ad un divieto così pressante, dunque, ci si chiede quali (e quante) Società si possano candidare ad assumere i lavori e quali requisiti di esperienza possano spendere per ricostruire il Ponte Morandi e la viabilità collegata.
Una siffatta limitazione è espressamente prevista per evitare “improprie agevolazioni” a quelle imprese che andrebbero a ricostruire ciò che hanno mal realizzato prima, ma tale considerazione esula comunque dal normale confronto concorrenziale, peccando di ingenuità.
Infatti, con tale disposizione, anche un’impresa coinvolta nella realizzazione di una tratta autostradale ben costruita, si vedrebbe comunque preclusa la partecipazione ai lavori di ricostruzione, senza una concreta motivazione riconducibile alla propria personale attività.
Ciò stride anche con la Direttiva 2014/24/UE, che invece il Decreto Legge si propone di non travalicare: essa, infatti, annovera tra i “Principi per l’aggiudicazione degli appalti” proprio l’art. 18 che esalta il ruolo della libera concorrenza e della parità di accesso agli appalti per tutti gli operatori economici.
In tal senso, una siffatta disposizione comporta solo la ulteriore restrizione del mercato, che già è compresso dalla procedura negoziata senza pubblicazione del bando, inaugurando “una procedura di urgenza senza urgenza”, giacché, senza un progetto concreto da realizzare, vi sarebbe tutto il tempo di organizzare una gara pubblica alla quale consentire la partecipazione anche ad imprese serie, che hanno effettuato lavori inappuntabili in altri tronchi autostradali.
Tutte le deroghe stabilite dal D.L. n. 109/2018 dovranno, quindi, essere utilizzate dalla struttura commissariale con la massima cautela, onde evitare – o almeno contenere – gli intuibili contenziosi, che possono provenire non soltanto dai soggetti direttamente coinvolti (la popolazione, gli imprenditori, il concessionario autostradale), ma anche dalla Corte dei conti e dalle autorità comunitarie.
Un supporto più incisivo potrebbe provenire dalla legge di conversione, ove quest’ultima fornisca maggiori dettagli sugli interventi da effettuare e sulle risorse da impegnare, dimostrando la sostenibilità della ricostruzione e – al contempo – ripensi lo sbarramento per le imprese di costruzione collegate al concessionario autostradale, magari facendo leva sul possesso di requisiti tecnici particolarmente qualificati e sull’esclusione di quegli operatori economici che abbiano maldestramente eseguito opere analoghe.
3. Le posizione del concessionario autostradale ed il finanziamento delle opere
Ciò detto, non resta che analizzare l’ulteriore aspetto peculiare della responsabilità del concessionario autostradale, così come prefigurata all’art. 1, comma 6 del D.L. n. 109/2018; in proposito, la norma sembra precedere la magistratura e – attribuendo tout court ogni responsabilità al concessionario stesso – pone a suo carico gli oneri per la ricostruzione e le procedure coattive, disponendo l’obbligo a suo carico di versare al Commissario straordinario un’anticipazione sull’importo dei lavori entro trenta giorni dalla richiesta.
Tuttavia, il concessionario non ha, ad oggi, un preciso ammontare cui ricondurre il tetto – limite delle sue responsabilità e, dunque, rischia di rimanere esposto finanziariamente sino alla ultimazione dei lavori, con un esborso ad oggi nemmeno ipotizzabile.
E’ intuibile, quindi, che questa parte della norma – al pari di quella che prevede l’ostracismo nei confronti dell’affidamento dei lavori alle imprese collegate con il concessionario – sarà quella che cagionerà la maggior parte del contenzioso.
Il Decreto Legge, inoltre, per evitare eventuali situazioni di stallo a fronte dell’eventuale inadempimento del concessionario, dispone che il Commissario straordinario può indire una gara per acquisire la provvista finanziaria che gli occorre “a fronte della cessione pro solvendo della pertinente quota dei crediti dello Stato nei confronti del concessionario alla data dell’evento”.
In questo caso, quindi, il Commissario straordinario assume la garanzia del pagamento da parte del concessionario autostradale, ma resta privo di poteri coercitivi per azionare tale pagamento nel caso in cui il concessionario rifiuti.
A tale previsione, fa eco l’art. 11, che prevede la surroga ex lege dello Stato nei diritti dei beneficiari delle provvidenze e dispone “Nei limiti delle risorse erogate dallo Stato ai beneficiari delle provvidenze previste ai sensi del presente capo, lo Stato è surrogato nei diritti dei beneficiari stessi nei confronti dei soggetti responsabili dell’evento, ai sensi dell’articolo 1203, primo comma, n. 5), del codice civile. Restano fermi gli ulteriori diritti dei predetti beneficiari nei confronti degli stessi responsabili dell’evento.”.
La lettura di tali norme non può non indurre ad una riflessione sulle tempistiche: infatti, si intravede lo sbilanciamento tra la necessità di provvedere ai lavori d’urgenza ed il lungo percorso per ottenere il finanziamento delle opere – percorso che intuitivamente si svolgerà in gran parte nelle aule giudiziarie -.
Da un lato, infatti, le deroghe previste nel D.L. n. 109/2018 consentono di attuare procedure semplificate – forse anche in materia urbanistica ed espropriativa -, ma il quadro economico resta apparentemente vuoto, in attesa dei fondi provenienti dalle cessioni di credito o dal concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento, tenuto, in quanto responsabile del mantenimento in assoluta sicurezza e funzionalità dell’infrastruttura concessa ovvero in quanto responsabile dell’evento, a far fronte alle spese di ricostruzione dell’infrastruttura e di ripristino del connesso sistema viario.
La sensazione è che, in mancanza di una progettazione almeno di base – anche meno dettagliata di un vero e proprio progetto di fattibilità – diventi prematuro disporre procedure d’urgenza che non siano sostenute da un finanziamento iniziale in grado di far fronte almeno ai passaggi iniziali, quali la liberazione delle aree dai detriti e la rilocalizzazione di abitazioni ed attività economiche.
Se e quanto tali fondi siano da reperire in capo al concessionario autostradale, sarebbe più facilmente azionabile tramite la leva contrattuale, che non attraverso un Decreto Legge che non indichi alcun importo minimo o massimo, né strumenti giuridici per pretenderlo.