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Premesse

L’ANAC, a far data dal 14 maggio 2018, ha avviato una nuova consultazione pubblico sull’inedito schema di prossime linee guida relative all’applicazione concreta della clausola sociale. La consultazione, tutt’ora in corso si chiuderà il 13 giugno 2018.

Con lo schema, vengono riproposte le annose questioni ed implicazioni della clausola sociale – che tende a salvaguardare il livello occupazionale nella successione di contratti con lo stesso oggetto – in modo che gli stakeholders si possano pronunciare sul concreto atteggiarsi della regola in argomento.

Effettivamente utile, anche se amplia a dismisura il numero degli atti attuativi del codice dei contratti, ponendo più di un problema ai RUP ed agli appaltatori, è interessante analizzare i principali aspetti del documento focalizzando la conferma che dallo stesso emerge relativamente all’impossibilità di imporre le assunzioni se l’appaltatore già possiede l’organico per svolgere il servizio. 

1. Le finalità della clausola sociale

La clausola sociale, come detto, è funzionale ad assicurare una “stabilità occupazionale del personale impiegato” dal pregresso appaltatore. Risulta operativa pertanto nella delicata fase della successione dei contratti soprattutto in relazione ad appalti ad alta intensità di manodopera per i quali, semplificando,  si pone evidentemente il problema del ricollocamento  del personale occupato nel caso in cui il nuovo appalto venga aggiudicato ad una impresa diversa dalla precedente.

La clausola sociale, appunto, cerca quindi di stemperare tali problematiche “imponendo” al nuovo affidatario il riassorbimento (in realtà potenziale) del personale precedentemente impiegato.

E la prima questione ben chiarita dalla giurisprudenza comunitaria, quella interna ed ora la stessa ANAC è che un autentico obbligo di “riassunzione” non può essere imposto al nuovo gestore dovendo interpretarsi, la clausola in argomento, contemperandola con le esigenze organizzative dell’affidatario.

2. La nuova previsione codicistica    

La clausola sociale è prevista dall’articolo 50 del codice dei contratti, oggetto di recente adeguamento da parte del decreto legislativo correttivo n. 56/2017.

Dalla disposizione, ora, emergono due differenti regimi giuridici:

a)         Il primo riferito al sopra soglia comunitario – in cui l’inserimento della clausola (per un certo tipo di contratti) è obbligatoria;

b)         Il secondo, relativo all’ambito del sottosoglia (definito nell’articolo 35 del codice dei contratti) in cui l’inserimento della salvaguardia occupazionale è solo facoltativo ed è rimesso alla decisione del RUP.

L’affermazione ultima deve essere circoscritta correttamente.

E’ bene sottolineare che pur vero che il RUP – secondo la norma, nel sottosoglia comunitario – può valutare l’inserimento della clausola ma è altresì innegabile che all’interno della stazione appaltante, supponendo delle responsabilità diffuse in cui ogni servizio effettua le proprie gare di competenza, l’approccio istruttorio dovrebbe avere delle indicazioni generali  “propedeutiche” su come applicare la disposizione.

Non sembra, infatti, tollerabile che la discrezionalità diventi arbitrio ed ogni RUP decida secondo sensibilità e convincimenti personali.

L’articolo 50 del codice dei contratti esclude l’applicabilità della clausola sociale per gli appalti di natura intellettuale. E sembra  evidente che ammettere il riassorbimento, in questo caso, sarebbe ammettere una sorta di contraddizione in termini visto che l’appalto di natura intellettuale implica un valore aggiunto determinato proprio dall’apporto personale del professionista che viene scelto.

La disciplina delle clausole sociali è inoltre applicabile ai settori speciali, in considerazione del richiamo operato dall’articolo 114, comma 1, del Codice dei contratti pubblici alla disciplina contenuta negli articoli da 1 a 58.

La norma, pertanto, impone la clausola per gli appalti di lavori e servizi, diversi da quelli sopra richiamati, e nelle concessioni con particolare riferimento ai contratti  “ad alta intensità di manodopera”.

Il legislatore si è curato di chiarire quando ricorra la predetta  condizione che – negli  appalti sopra soglia a cui si applica integralmente il codice dei contratti – obbliga il RUP ad inserire la clausola sociale nel disciplinare di gara. 

I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.

L’alta intensità di manodopera ha anche l’altra fondamentale implicazione (in questo senso, cfr. Tar Campania Napoli sez. V, sentenza del  24 ottobre 2017 n. 4995) imponendo l’obbligo di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (con contestuale divieto di utilizzare il criterio del minor prezzo).

A tal riguardo, nella sentenza richiamata si legge che “il rapporto, nell’ambito dell’art. 95, tra il comma 3 (casi di esclusivo utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tra i quali v’è quello dei servizi ad alta intensità di manodopera) ed il comma 4 (casi di possibile utilizzo del criterio del minor prezzo, tra i quali v’è quello dei servizi ripetitivi), è di specie a genere. Ove ricorrano le fattispecie di cui al comma 3 scatta, cioè, un obbligo speciale di adozione del criterio dell’o.e.p.v. che, a differenza della ordinaria preferenza per tale criterio fatta in via generale dal codice, non ammette deroghe, nemmeno al ricorrere delle fattispecie di cui al comma 4, a prescindere dall’entità dello sforzo motivazionale dell’amministrazione. La soluzione è del resto in linea con i criteri direttivi dettati dal legislatore delegante. Infatti l’art. 1, co. 1, lett. gg), per i contratti relativi (tra gli altri) ai servizi “ad alta intensità di manodopera”, precisa, quale criterio direttivo, che l’aggiudicazione debba avvenire “esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come definita dalla lettera ff), escludendo in ogni caso l’applicazione del solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta”.

Negli appalti sotto la soglia comunitaria (ai sensi dell’articolo 35) – a cui non si applica integralmente il codice dei contratti -, come si diceva sopra, l’applicazione della clausola è meramente facoltativa  e rimessa, più che al RUP, alla decisione – da declinarsi in atti di tipo generale (es. un regolamento dei contratti) – della stazione appaltante. 

L’articolo 50 del codice dei contratti esclude l’applicabilità della clausola sociale per gli appalti di natura intellettuale.

3. L’impianto della disciplina suggerita dall’ANAC

L’ANAC, pertanto, ritiene opportuno, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 213, secondo comma del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n.50/2016), adottare, con apposite Linee guida (nel prosieguo solo LG), uno specifico atto regolatorio sul tema delle clausole sociali, in considerazione della generale rilevanza di tale istituto nell’ambito della contrattualistica pubblica.

Una prima sottolineatura di rilievo, è data dalla riflessione di partenza circa la constatazione che i RUP dovrebbero, in realtà, accogliere una nozione più ampia di clausola “rispetto alla mera tutela occupazionale, valorizzando negli atti di gara aspetti che afferiscono alla protezione sociale, al lavoro e all’ambiente”.

Nelle note tecniche che accompagnano lo schema di LG si legge infatti che il riferimento “sociale” deve essere inteso come attributo che impone al datore di lavoro, a ben valutare, “il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione”.

In sostanza, la previsione della clausola sottintende l’esigenza di valorizzare aspetti ulteriori rispetto alla sola occupazione dei lavoratori dell’impresa uscente. Ed in questo senso, il legislatore italiano ha tenuto conto delle indicazioni contenute nelle Direttive 23/24/25 UE (considerando nn. 37, 93, 99 e articolo 18, paragrafo 2, e articolo 70 della Direttiva 2014/24/UE).

Nella stessa legge delega n. 11/2016 sono presenti disposizioni specifiche sul tema ed emerge (art. 1, comma 1, lett. ddd)) la necessità  di valorizzare “esigenze sociali e di sostenibilità ambientale” ai fini della valutazione delle offerte (articolo 95, comma 6, del Codice dei contratti pubblici).

Le stazioni appaltanti possono tenere in considerazione, quindi, anche fattori, di rilevanza sociale ed ambientale.

In particolare, possono essere oggetto di valutazione (per il tramite del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) sia ulteriori requisiti o condizioni di esecuzione, ai sensi dell’articolo 100 del Codice dei contratti pubblici, sia criteri di aggiudicazione, laddove venga utilizzato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo (articolo 95, comma 69) o si faccia ricorso ai “costi del ciclo di vita” (articolo 96, comma 1, lettera b).

Possono essere considerati, a titolo esemplificativo:

a)         Il contenimento dei consumi energetici;

b)         l’ adozione di misure di sicurezza dei lavoratori, ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;

c)         la riduzione delle emissioni inquinanti;

d)         l’inserimento di lavoratori svantaggiati (es. disoccupati di lunga durata/persone con disabilità) in quantità superiore allo standard previsto dalla legislazione sociale nazionale.

Nel caso di specie, possono venire in rilievo anche elementi di natura sociale/ambientale, pertinenti all’oggetto dell’affidamento, ed essere inseriti nel rispetto dei principi generali sanciti dall’articolo 30 del Codice dei contratti pubblici, con particolare riguardo a: economicità, non discriminazione e proporzionalità.

Ovviamente, nella predisposizione dei bandi di gara, il RUP deve avere un approccio equilibrato evitando di introdurre specifiche che possono determinare effetti anticoncorrenziali o incompatibili con la libera iniziativa economica con la previsione (nei criteri di valutazione) (potenziale) di punteggi proporzionati valutando l’incidenza di tali clausole rispetto agli altri aspetti qualitativi della commessa da acquisire nonché “all’utilità per la stazione appaltante, anche allo scopo di assicurare comunque l’economicità dell’affidamento”.

Nella stessa legge delega n. 11/2016 sono presenti disposizioni specifiche sulla clausola sociale ed emerge (art. 1, comma 1, lett. ddd)) la necessità  di  valorizzare  “esigenze sociali e di sostenibilità ambientale” ai fini della valutazione delle offerte (articolo 95, comma 6, del Codice dei contratti pubblici).

Le stazioni appaltanti possono tenere in considerazione, quindi,  anche fattori, di rilevanza sociale ed ambientale.

4. La latitudine applicativa

Fermo restando gli obblighi applicativi – se sussistono le condizioni stabilite nell’articolo 50 – anche negli appalti sopra soglia esiste un margine di discrezionalità nel caso si tratti di aggiudicazione di appalti non ad alta intensità di manodopera.

Vi sono situazioni, però, in cui insiste un autentico divieto di prevedere il riassorbimento del personale del pregresso affidatario in quanto, l’eventuale previsione, avrebbe l’effetto di condizionare il fisiologico andamento della competizione. Integrando, molto probabilmente, anche una irrituale “intermediazione di manodopera”. 

In particolare, la clausola – oltre agli appalti di natura intellettuale – non può assolutamente essere prevista: 

a) negli appalti di fornitura;

b) negli appalti/concessioni in cui la prestazione lavorativa è scarsamente significativa o anche irrilevante (ad esempio, appalti di natura finanziaria);

c) dei casi in cui è riscontrabile l’elemento dell’intuitus personae.

5. Il compito istruttorio del RUP rispetto alla clausola sociale

L’aspetto di sicuro interesse dello schema di LG è l’impegno dell’ANAC di chiarire alcuni fondamentali questioni del compito istruttorio che compete al RUP nel momento in cui deve verificare l’inserimento (o meno) della clausola nella proposta di legge di gara da sottoporre al proprio dirigente/responsabile del servizio

Secondo l’autorità anticorruzione, l’obbligo dell’inserimento della clausola sociale esige che il contratto da aggiudicare sia oggettivamente assimilabile a quello in essere.

Infatti, l’inserimento di clausole dirette alla tutela dei livelli occupazionali non è legittimo qualora non sussista, per la stazione appaltante:

–           nessun  contratto in essere nel settore di riferimento,

–           il contratto in essere presenti un’oggettiva incompatibilità rispetto a quello da attivare, ad esempio, per la diversità delle attività oggetto dell’affidamento e/o per la difformità delle condizioni soggettive di accesso alla gara da parte degli operatori economici;

L’incompatibilità si riferisce all’entità delle prestazioni: ad esempio nel caso in cui il nuovo appalto prevede l’utilizzo di un numero inferiore di prestazioni e dunque di risorse lavorative rispetto al contratto in essere, l’obbligo (eventuale) di assorbimento grava nei limiti del nuovo fabbisogno;

Occorre tenere conto, inoltre che l’applicazione della clausola sociale, come già si evidenziava in premessa,  non comporta mai un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario.

Pertanto, il riassorbimento del personale è esigibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro elaborata dal nuovo assuntore.

Se le condizioni di compatibilità vengono accertate  – e nei limiti dell’organizzazione lavorativa del datore di lavoro – il lavoratore dell’impresa uscente deve essere riassorbito dall’impresa entrante, con preferenza rispetto a soggetti terzi.

I lavoratori che non trovano collocazione nella nuova organizzazione sono destinatari, nel rispetto delle procedure sindacali, delle tutele apprestate dagli ammortizzatori sociali previsti dalla legge.

L’inserimento di clausole dirette alla tutela dei livelli occupazionali non è legittimo qualora non sussista, per la stazione appaltante, nessun  contratto in essere nel settore di riferimento o il contratto in essere presenti un’oggettiva incompatibilità rispetto a quello da attivare, ad esempio, per la diversità delle attività oggetto dell’affidamento e/o per la difformità delle condizioni soggettive di accesso alla gara da parte degli operatori economici;

6. Sull’intensità dell’obbligo di “riassorbimento” del personale per l’aggiudicatario

L’obbligo di riassorbimento del personale del pregresso affidatario, quindi, non è assoluto. Un simile obbligo si porrebbe in contrasto con la Costituzione e con importanti principi elaborati in sede comunitaria.

Sull’intensità dell’obbligo gravante sull’appaltatore si possono richiamare anche le recenti posizioni dell’ANAC e della  giurisprudenza (peraltro espressione di un orientamento consolidato e granitico).

Utile in questa prospettiva è, a titolo esemplificativo, la deliberazione ANAC n. 96/2018. Inoltre, già la nota illustrativa al bando tipo n. 2/2017 ha chiarito che la clausola sociale “deve prevedere che le condizioni di lavoro siano armonizzabili con l’organizzazione dell’impresa subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto” .

In questo senso, deve ritenersi legittima “la previsione del disciplinare di gara che impone all’aggiudicatario di adeguare la propria organizzazione a quella dell’appaltatore uscente senza prevedere uno specifico riassorbimento del personale dell’aggiudicatario  uscente, in quanto finalizzata piuttosto all’armonizzazione delle esigenze  tecnico–organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli  occupazionali”.

In giurisprudenza, si possono citare almeno il Tar Toscana, Firenze,  sez. I, sentenza del  2 gennaio 2018 n. 18 con cui si è chiarito che l’ambito “di incidenza delle clausole sociali è stato sempre più circoscritto da successive pronunce (anche da parte di questo Tribunale) che hanno evidenziato che: 

a) la clausola sociale deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari;

b) conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante;

c) la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (T.A.R. Toscana, Sez. III, n. 231 del 13 febbraio 2017 e Cons. Stato, Sez. III, n. 1896/2013)”.

In questo senso anche il Tar Calabria,  Reggio Calabria, sentenza del  15 marzo 2017 n. 209.

Nel caso di specie il collegio ha rilevato  che la giurisprudenza sulla clausola sociale ha affermato che: “La clausola sociale dell’obbligo di continuità nell’assunzione è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza (…)  nel senso che l’appaltatore subentrante«deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante» mentre «i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali» (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5725); La clausola sociale, la quale prevede, secondo numerose disposizioni, «l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto», (così l’art. dell’art. 29, comma 3, del d. lgs. 276/2003, ma altrettanto rilevanti sono la generale previsione dell’art. 69, comma 1, del d. lgs. 163/2006 e quella dell’art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 112/1999), perseguendo la prioritaria finalità di garantire la continuità dell’occupazione in favore dei medesimi lavoratori già impiegati dall’impresa uscente nell’esecuzione dell’appalto, è costituzionalmente legittima, quale forma di tutela occupazionale ed espressione del diritto al lavoro (art. 35 Cost.), se si contempera con l’organigramma dell’appaltatore subentrante e con le sue strategie aziendali, frutto, a loro volta, di quella libertà di impresa pure tutelata dall’art. 41 Cost.” (Consiglio di Stato, Sez. III, 9 dicembre 2015, n. 5598).

Per effetto di quanto, prosegue la pronuncia, “il principio guida è, quindi, che la clausola di salvaguardia dei livelli occupazionali non si trasformi, da elemento afferente all’esecuzione dell’appalto, in un elemento tendenzialmente preclusivo della partecipazione (…) per cui l’aggiudicatario dev’essere messo nelle condizioni di poter garantire l’applicazione del C.C.N.L., il che val quanto dire che non si possono imporre, con la lex specialis, condizioni che rendano soggettivamente impossibile tale obiettivo”.

Deve ritenersi legittima “la previsione del disciplinare di gara che impone all’aggiudicatario di adeguare la propria organizzazione a quella dell’appaltatore uscente senza prevedere uno specifico riassorbimento del personale dell’aggiudicatario uscente, in quanto finalizzata piuttosto all’armonizzazione delle esigenze tecnico–organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli  occupazionali”.

7. La previsione nella legge di gara

La clausola sociale, secondo l’ANAC deve essere espressamente prevista nella legge di gara e “l’operatore economico accetta espressamente la clausola sociale e l’obbligo è riportato nel contratto”.

Sulla puntualizzazione, in primo luogo, occorre considerare il caso in cui, pur risultando obbligato – per il tipo di contratto ad alta intensità di manodopera e in ambito sopra soglia comunitaria -, il RUP non inserisca la clausola sociale.

Pur evidenziando che il bando – che non riporti una clausola obbligatoria – rimane viziato da illegittimità (ed è quindi annullabile), si può ritenere che la norma sia eterointegrativa, pertanto, l’aggiudicatario deve ritenersi, nei limiti in cui si è detto, obbligato al riassorbimento (in modo contemperato con le esigenze del proprio organico).

In questo senso, pare a chi scrive, si possono leggere le indicazioni della stessa ANAC che chiarisce come le  “imprese tenute all’applicazione del CCNL osservano la prescrizione relativa all’assorbimento del personale uscente (nda ad esempio nei servizi di igiene urbana e ambientale), anche a prescindere dalla previsione ad hoc inserita nella lex specialis, tenuto conto del richiamo espresso, ad opera del predetto articolo 50, della disciplina recata dai contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

E l’applicazione delle clausole sociali deve avvenire “in armonia con la disciplina recata dalle disposizioni contenute nei contratti collettivi di settore”.

8. La questione dell’accettazione della clausola sociale

Normalmente,  e si tratta di dato facilmente riscontrabile negli atti del procedimento, con la legge di gara  si impone un autentico “vincolo” del riassorbimento del personale utilizzato nella gestione del servizio.

Qualora questo sia rimesso alla necessità di una vera e propria dichiarazione di volontà (che l’appaltatore è chiamato ad esprimere), si può ritenere che l’eventuale carenza (l’appaltatore non esprime la volontà di accettare la clausola) possa essere sanata attraverso il ricorso al soccorso istruttorio integrativo di cui all’articolo 83, comma 9 del codice. Pertanto, verrà invitato ad integrare la carenza e solamente se vi si rifiuti potrà essere escluso.          

Nello stesso schema di linee guida si chiarisce che la mancata accettazione della clausola sociale “costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche”.

Qualora la commissione di gara (o il RUP/seggio di gara) in fase di verifica della documentazione amministrativa  accerti in gara, “se del caso attraverso il meccanismo del soccorso istruttorio, che l’impresa concorrente rifiuta, senza giustificato motivo, di accettare la clausola, si impone l’esclusione dalla gara, laddove l’accertamento compiuto consenta di ritenere che l’operatore economico intenda rifiutare l’applicazione della clausola, legittimamente prevista”.

Mentre, come si diceva sopra, “l’esclusione, viceversa, non è fondata nell’ipotesi in cui l’operatore economico manifesti il proposito di applicarla nei limiti di compatibilità con la propria organizzazione d’impresa” come si ripeterà anche più avanti.

Dal caso appena prospettato, però, occorre tener distinta l’ipotesi di una non corretta formulazione – nella legge di gara –  della clausola in commento.

Si pensi al caso in cui la clausola impone un autentico obbligo di assunzione (a prescindere dalle esigenze, sopra dette, di armonizzazione con l’organizzazione lavorativa dell’appaltatore aggiudicatario).

In questa ipotesi è ben difficile ritenere che il concorrente possa essere obbligato a sottoscrivere una clausola di questo tipo e, pertanto, sarebbe opportuno un intervento in autotutela della stazione appaltante per ricondurre anche il tenore letterale della clausola nei termini comunitari (o come, ad esempio, predisposta dall’ANAC, nei bandi tipo bandi di tipo – n. 1/2017 in tema di affidamento di forniture e servizi e nel bando tipo n. 2/2018 anche se nelle indicazioni, erroneamente, si richiama il bando tipo n. 2/2017 – in tema di aggiudicazione dell’appalto di pulizie, nel sopra soglia, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

In ogni caso si deve, ovviamente, ritenere che anche qualora l’appaltatore si fosse vincolato (formalmente) a riassumere – senza limiti – il personale pregresso ben potrà far valere l’iniquità di un simile vincolo  dichiarandosi semplicemente vincolato  ad un riassorbimento potenziale e condizionato dalle carenze del proprio organico.

Il RUP, già con la legge di gara, dovrà rendere edotti i potenziali competitori:

a)         dei  dati del personale da assorbire,

b)         del numero di unità,

c)         del  monte ore lavoro,

d)         del  CCNL applicato dall’attuale appaltatore,

e)         delle qualifiche del personale,

f)          dei livelli retributivi,

g)         degli scatti di anzianità,

h)         della sede di lavoro del personale.

Nello stesso schema di linee guida si chiarisce che la mancata accettazione della clausola sociale “costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata.

9. L’inadempimento dell’appaltatore

L’inadempimento dell’appaltatore – si pensi al caso in cui non riassorba alcuna unità lavorativa del pregresso gestore e decida di procedere con nuove assunzioni – deve essere valutato in relazione all’incidenza nella fase civilistica di esecuzione del contratto.

Non si è in presenza pertanto, di “illegittimità” che incidono sull’aggiudicazione ma, le violazioni, rendono esperibili i classici rimedi civilistici e quindi l’attivazione della clausola risolutiva, l’applicazione delle penali per i ritardi.

Lo schema di LG, in particolare, richiama l’esperibilità del rimedio della risoluzione del contratto ex art. 108 del nuovo codice dei contratti.       

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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