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( votes)1. Premesse
L’istituto giuridico del contratto di disponibilità, disciplinato dall’art. 3, comma 15-bis e dall’art. 160-ter del D. Lgs. n. 163/2006 s.m.i. (di seguito anche “Codice dei Contratti Pubblici”), viene ricondotto dallo stesso legislatore nella più generale categoria dei contratti di Partenariato Pubblico Privato, locuzione di matrice comunitaria, che definisce un fenomeno giuridico di collaborazione tra il settore pubblico e gli operatori privati nello svolgimento di un’attività diretta al perseguimento di interessi pubblici (in genere, miranti a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura e la fornitura di un servizio). Come le altre operazioni di Partenariato Pubblico Privato, anche il contratto di disponibilità costituisce uno strumento alternativo al tradizionale appalto di opere pubbliche, in forza del quale il finanziamento totale o parziale dell’opera è posto a carico del privato.
La peculiarità di tale contratto è data dal fatto che, benché l’opera da realizzare sia destinata allo svolgimento di un pubblico servizio, una volta realizzata, rimane, ordinariamente, di proprietà privata (non è dunque opera pubblica in senso proprio) ed è posta a disposizione dell’Amministrazione che ha bandito la gara, la quale versa un “canone di disponibilità” all’affidatario.
Stanti le caratteristiche appena illustrate, evidente appare l’intento del legislatore, attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto del contratto di disponibilità, di incoraggiare gli investimenti pubblici, contribuendo così a riattivare il circolo virtuoso della crescita economica operando nel pieno rispetto del Patto di Stabilità Interno. Come, infatti, verrà meglio evidenziato nei prossimi paragrafi, la spesa sostenuta dall’amministrazione aggiudicatrice come corrispettivo di un contratto di disponibilità, relativo ad un’opera privata destinata ad un servizio pubblico, puo’ a determinate condizioni non rientrare nel Patto di Stabilità Interno e non essere computata ai fini dei limiti all’indebitamento.
Giova qui ricordare che con il termine “Patto di Stabilità Interno” si intende l’insieme delle disposizioni, contenute nelle leggi finanziarie, con cui lo Stato Italiano definisce gli impegni che gli enti decentrati devono rispettare, affinché il Paese possa mantenere l’impegno assunto con l’adesione al Patto di Stabilità e Crescita, ovvero l’accordo, stipulato ad Amsterdam nel 1997 dai Paesi membri dell’Unione Europea, avente ad oggetto il controllo dei rispettivi bilanci e delle politiche connesse, che persegue l’obiettivo di mantenere invariati i requisiti di adesione all’Unione Economica e Monetaria europea. In particolare il Patto di Stabilità e Crescita prevede l’impegno degli Stati appartenenti all’Unione monetaria di mantenere, nel tempo, il rispetto dei criteri fissati nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht.
Di fatto, il Patto di Stabilità Interno è lo strumento con cui si mira a contenere l’aumento incontrollato della spesa pubblica centrale e locale, adeguandola alle effettive possibilità di spesa, quindi si propone lo scopo si ridurre l’indebitamento pubblico.
Il Patto di Stabilità Interno, in sostanza, impone un limite tassativo nei pagamenti, soprattutto per quanto riguarda i lavori pubblici.
La spesa sostenuta dall’amministrazione aggiudicatrice come corrispettivo di un contratto di disponibilità, relativo ad un’opera privata destinata ad un servizio pubblico, puo’ a determinate condizioni non incidere sul Patto di Stabilità Interno ai fini dell’indebitamento.
2. Il contratto di disponibilità: profili normativi
Il D.L. n. 1/2012, convertito in L. n. 27/2012 recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (di seguito anche “Decreto Cresci Italia” o “Decreto liberalizzazioni”), con l’intento di fornire una risposta a quelli che sono i principali problemi del nostro Paese – come l’insufficiente concorrenza nei mercati, l’inadeguatezza delle infrastrutture, l’insufficienza delle procedure amministrative in tutti i campi – ha disposto, inter alia, rilevanti novità nel campo dei servizi pubblici locali, delle concessioni, del project finance e degli appalti.
Fra le novità, l’art. 44 del Decreto Liberalizzazioni introduce nel D. Lgs. n. 163/2006 s.m.i. il “contratto di disponibilità”, una nuova tipologia negoziale volta alla incentivazione dei contratti di Partenariato Pubblico Privato come strumento di finanziamento di opere di interesse pubblico; in particolare, come ha avuto modo di osservare la magistratura contabile in sede consultiva, il contratto di disponibilità si presta ad essere utilizzato “per la realizzazione di opere c.d. “fredde”, cioè di infrastrutture destinate all’utilizzazione diretta della pubblica Amministrazione per lo svolgimento di un pubblico servizio, ad es. uffici pubblici” (cfr. C. Conti, sez. contr. Puglia, del. n. 66/PAR/2012 del 31 maggio 2012).
Viene così introdotto il comma 15-bis all’art. 3 del Codice dei Contratti Pubblici, secondo cui “Il «contratto di disponibilità» è il contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a spesa dell’affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo. Si intende per messa a disposizione l’onere assunto a proprio rischio dall’affidatario di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti”.
Con l’art. 44 del Decreto Liberalizzazioni viene, inoltre, inserito nel Codice dei Contratti Pubblici l’art. 160-ter, contenente una dettagliata disciplina relativa al contratto di disponibilità, su cui di recente è intervenuto, a parziale modifica, il D.L. n. 83/2012 convertito con modificazioni in Legge n. 134/2012 (di seguito anche “Decreto Sviluppo”).
In primo luogo si evidenzia che, come previsto dal comma 7 dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici, le disposizioni di cui allo stesso articolo “si applicano anche alle infrastrutture di cui alla parte II, titolo III, capo IV”, (infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi)con la specificazione che, in tali ipotesi, l’approvazione dei progetti avviene secondo le procedure previste agli articoli 165 e seguenti dello stesso Codice dei Contratti Pubblici.
In particolare, l’art. 160-ter del Codice del Contratti Pubblici prevede che l’affidatario del contratto di disponibilità è retribuito con i seguenti corrispettivi:
a) un canone di disponibilità, da versare soltanto in corrispondenza alla effettiva disponibilità dell’opera;
b) l’eventuale riconoscimento di un contributo in corso d’opera, comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione dell’opera, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice;
c) un eventuale prezzo di trasferimento, parametrato, in relazione ai canoni già versati e all’eventuale contributo in corso d’opera di cui alla precedente lettera b), al residuo valore di mercato dell’opera, da corrispondere, al termine del contratto, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice.
Lo schema giuridico del contratto di disponibilità dettato dal legislatore lascia, dunque, ampio spazio all’autonomia negoziale dei contraenti che possono integrare il canone pattuito per l’effettiva disponibilità dell’opera (comma 1, lett. a), con un eventuale ulteriore contributo in corso d’opera (non superiore alla metà del costo di realizzazione, ai sensi del comma 1, lett. b) per il riscatto dell’infrastruttura o, persino, con un vero e proprio corrispettivo per il trasferimento, da corrispondere al termine del contratto, dedotte tutte le somme già versate a titolo di canoni e a titolo di contributo in corso d’opera (comma 1, lett. c).
Nel contratto di disponibilità il rischio concernente la costruzione dell’opera, che ricomprende eventi quali il ritardo nell’ultimazione dell’opera, il mancato rispetto degli standard progettuali, l’aumento dei costi, il mancato completamento dell’opera, ricade sul partner privato (“rischio di costruzione”).
L’art. 160-ter del D. Lgs. n. 163/2006 s.m.i. prevede, infatti, che “l’affidatario assume il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera per il periodo di messa a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice. Il contratto determina le modalità di ripartizione dei rischi tra le parti, che possono comportare variazioni dei corrispettivi dovuti per gli eventi incidenti sul progetto, sulla realizzazione o sulla gestione tecnica dell’opera, derivanti dal sopravvenire di norme o provvedimenti cogenti di pubbliche autorità. Salvo diversa determinazione contrattuale e fermo restando quanto previsto dal comma 5, i rischi sulla costruzione e gestione tecnica dell’opera derivanti da mancato o ritardato rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di natura amministrativa sono a carico del soggetto aggiudicatore”.
A tal riguardo si segnala che il comma 5 dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici prevede che, “Il rischio della mancata o ritardata approvazione da parte di terze autorità competenti della progettazione e delle eventuali varianti è a carico dell’affidatario”.
Per quanto concerne, invece, il “rischio di gestione”, comprensivo del “rischio di domanda” e del “rischio di disponibilità”, occorre osservare, con riguardo al primo, che, a differenza di quanto avviene nel project financing (dove si ha la traslazione del rischio stesso sul concessionario), in base alla disciplina normativa del contratto di disponibilità il privato costruttore non assume a proprio carico tale rischio in quanto il concedente pubblico è tenuto ad assicurare allo stesso un canone annuo, in relazione all’intera durata della concessione.
Quanto al “rischio di disponibilità”, si tratta di un ulteriore tratto distintivo del contratto di disponibilità rispetto alle altre operazioni di partenariato in quanto lo stesso è ex lege traslato in capo al privato concessionario, sebbene sia graduabile, entro determinati limiti.
Con riferimento alla procedura di affidamento, la norma di cui all’art. 160-ter citato stabilisce che il capitolato prestazionale posto a base di gara è predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice, che indica, in dettaglio, le caratteristiche tecniche e funzionali che deve assicurare l’opera costruita e le modalità per determinare la riduzione del canone di disponibilità. Le offerte devono contenere un progetto preliminare rispondente alle caratteristiche indicate nel capitolato prestazionale “e sono corredate dalla garanzia di cui all’articolo 75; il soggetto aggiudicatario è tenuto a prestare la cauzione definitiva di cui all’articolo 113. Dalla data di inizio della messa a disposizione da parte dell’affidatario è dovuta una cauzione a garanzia delle penali relative al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali relativi alla messa a disposizione dell’opera, da prestarsi nella misura del dieci per cento del costo annuo operativo di esercizio e con le modalità di cui all’articolo 113; la mancata presentazione di tale cauzione costituisce grave inadempimento contrattuale”.
Il comma 4 dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici prevede, inoltre, che al contratto di disponibilità si applicano le disposizioni previste dallo stesso Codice dei Contratti Pubblici in materia di requisiti generali di partecipazione alle procedure di affidamento e di qualificazione degli operatori economici.
Ai sensi del successivo comma 5 dell’art. 160-ter citato, “Il progetto definitivo, il progetto esecutivo e le eventuali varianti in corso d’opera sono redatti a cura dell’affidatario; l’affidatario ha la facoltà di introdurre le eventuali varianti finalizzate ad una maggiore economicità di costruzione o gestione, nel rispetto del capitolato prestazionale e delle norme e provvedimenti di pubbliche autorità vigenti e sopravvenuti; il progetto definitivo, il progetto esecutivo e le varianti in corso d’opera sono ad ogni effetto approvati dall’affidatario, previa comunicazione all’amministrazione aggiudicatrice e, ove prescritto, alle terze autorità competenti. Il rischio della mancata o ritardata approvazione da parte di terze autorità competenti della progettazione e delle eventuali varianti è a carico dell’affidatario. L’amministrazione aggiudicatrice può attribuire all’affidatario il ruolo di autorità espropriante ai sensi del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327”.
Il legislatore precisa che l’adempimento della Pubblica Amministrazione e quindi il pagamento del corrispettivo resta in ogni caso condizionato “al positivo controllo della realizzazione dell’opera ed alla messa a disposizione della stessa secondo le modalità previste dal contratto di disponibilità” (art. 160-ter, comma 6, cit.).
Con riferimento all’attività di collaudo, posta in capo alla stazione appaltante, il comma 6 dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici, stabilisce, inoltre, che la stessa “verifica la realizzazione dell’opera al fine di accertare il puntuale rispetto del capitolato prestazionale e delle norme e disposizioni cogenti e può proporre all’amministrazione aggiudicatrice, a questi soli fini, modificazioni, varianti e rifacimento di lavori eseguiti ovvero, sempre che siano assicurate le caratteristiche funzionali essenziali, la riduzione del canone di disponibilità”. A tale riguardo il legislatore individua tuttavia una soglia “limite” oltre la quale non è più possibile operare una riduzione del canone di disponibilità e che in caso di superamento comporta ex lege la risoluzione del contratto. Il comma 6 dell’art. 160-ter citato dispone, infatti, che “Il contratto individua, anche a salvaguardia degli enti finanziatori, il limite di riduzione del canone di disponibilità superato il quale il contratto è risolto. L’adempimento degli impegni dell’amministrazione aggiudicatrice resta in ogni caso condizionato al positivo controllo della realizzazione dell’opera ed alla messa a disposizione della stessa secondo le modalità previste dal contratto di disponibilità”.
Dagli elementi caratterizzanti la suddetta disciplina, si rileva che i soggetti del rapporto contrattuale sono, da un lato, l’Amministrazione aggiudicatrice (soggetto affidante), dall’altro il privato(soggetto affidatario), il quale si obbliga a costruire (a proprie spese) e a mettere a disposizione dell’Amministrazione l’opera realizzata: a fronte di tale prestazione, invece, l’Amministrazione si obbliga a versare in favore del privato il corrispettivo pattuito.
Emerge dunque, dalla stessa definizione legislativa, la centralità del concetto di “messa a disposizione” dell’opera: quest’ultima solo eventualmente passa nella proprietà della Pubblica Amministrazione, rimanendo di regola in capo al privato, sul quale grava, in ogni caso, “l’onere assunto a proprio rischio (…) di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti” (art. 3, comma 15-bis del Codice dei Contratti Pubblici).
Il contratto di disponibilità rappresenta una nuova tipologia negoziale volta alla incentivazione dei contratti di Partenariato Pubblico Privato come strumento di finanziamento di opere di interesse pubblico
3. I limiti del Patto di Stabilità Interno e il contratto di disponibilità
Con riferimento alla spesa sostenuta dall’ente locale come corrispettivo di un contratto di disponibilità relativo ad un’opera privata destinata ad un pubblico servizio, la Corte dei Conti, sezione regionale della Lombardia con la delibera del 23 ottobre 2012 n. 439 ha di recente affermato che tale voce di spesa non rientra nel Patto di Stabilità a condizione che il privato assuma il rischio di costruzione e quello di disponibilità o di domanda; qualora, invece, nel contratto si preveda un prezzo per il trasferimento della proprietà dell’immobile, la spesa deve essere classificata come spesa per investimento e determina un indebitamento per l’ente locale.
La citata delibera della Corte dei Conti, sezione regionale della Lombardia, al fine di dirimere la questione, sottopone ad analisi alcuni profili relativi all’impatto sulla disciplina contabile degli enti locali della stipula di un contratto di disponibilità con il quale, come detto, ai sensi dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici, una Pubblica Amministrazione affida, a rischio e a spesa dell’affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore della stessa Amministrazione di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo costituito da un canone di disponibilità e, eventualmente, un contributo in corso d’opera, e/o un prezzo di trasferimento della proprietà del bene immobile.
Con riferimento ai suddetti elementi che costituiscono il corrispettivo, l’Amministrazione Provinciale di Brescia ha posto alla magistratura contabile due quesiti:
- se la stipula del contratto di disponibilità incida sulla capacità dell’ente locale di indebitarsi ai sensi dell’art. 204 del D. Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico Enti Locali)
- se i canoni di disponibilità ai fini del calcolo per il rispetto degli obiettivi del Patto di Stabilità interno debbano essere imputati alla spesa corrente o alla spesa per investimenti.
In via preliminare, nella citata delibera i magistrati contabili svolgono un’analisi relativa alla “causa” giuridica del contratto di disponibilità, ritenendo tale elemento di particolare interesse, oltre che dal punto di vista civilistico ai fini della disciplina applicabile, “anche sotto il profilo della contabilità pubblica poiché la ricostruzione in via ermeneutica della volontà dei contraenti ha diretta rilevanza in sede di applicazione dei principi contabili al caso concreto (in particolare, a questi fini, il criterio della ripartizione del rischio di cui si dirà in sede di esame del primo quesito)”.
Ad avviso dei magistrati contabili, il legislatore ha in astratto attribuito ai contraenti la possibilità, ai sensi dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici, di “realizzare con il medesimo schema negoziale una molteplicità di funzioni economiche-sociali: la realizzazione di un’opera da parte di un soggetto privato con contestuale garanzia del rispetto dei parametri di funzionalità affinché la pubblica amministrazione possa utilizzare l’opera realizzata per lo svolgimento di un determinato servizio pubblico (causa tipica del contratto di disponibilità), la realizzazione di un’opera con un contributo pubblico (causa tipica della concessione di costruzione), la realizzazione di un’opera finalizzata al riscatto della stessa da parte della pubblica amministrazione (causa tipica del leasing immobiliare traslativo)”.
Conseguenza dell’ampia autonomia negoziale riconosciuta dal legislatore in capo ai contraenti è, per i giudici contabili lombardi, l’impossibilità di asserire, in astratto ed in generale, quale sia la funzione economico-sociale che le parti intendono realizzare quando si avvalgono dello schema negoziale in esame: “sarà compito dell’interprete del caso concreto – attraverso un esame complessivo del regolamento contrattuale – individuare la funzione economico-sociale che hanno inteso realizzare i contraenti con la complessiva operazione negoziale (non limitando l’analisi al singolo negozio collegato)”.
In particolare, nel caso in cui oltre al canone previsto dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici si è in presenza di pattuizioni tipizzate dalle lettere b) e c), spetta all’interprete del caso concreto ricostruire la causa giuridica sottesa all’operazione negoziale.
Con riferimento all’individuazione della disciplina applicabile, i giudici contabili evidenziano che, essendosi l’art. 160-ter citato limitato a regolamentare la fase dell’evidenza pubblica che necessariamente deve precedere la stipula del contratto ed alcuni profili che attengono la fase della progettazione, costruzione e collaudo dell’opera, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile in sede di attuazione del rapporto è utile far riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di collegamento negoziale (cfr. Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza del 10 aprile 2002, n. 5119).
Il contratto di disponibilità può, infatti, “rappresentare una tipica ipotesi di collegamento negoziale, con cui le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso attraverso il coordinamento dei vari negozi, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un unico regolamento di interessi. Quando l’interprete accerta, in concreto, l’esistenza di un collegamento negoziale, sul piano della disciplina, il vincolo di reciproca dipendenza tra i negozi non può essere considerato irrilevante (così, ad esempio, le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia o alla risoluzione dell’uno possono ripercuotersi sugli altri)”.
Al fine di fornire una risposta al primo dei quesiti sottoposti dalla P.A., ovvero se la stipula del contratto di disponibilità incida sulla capacità dell’ente locale di indebitarsi ai sensi dell’art. 204 TUEL, ad avviso dei giudici contabili, “occorre affrontare la questione se la spesa inerente all’infrastruttura (c.d. asset) realizzata in esecuzione di un contratto di disponibilità possa essere considerata fuori dal bilancio dell’ente (off balance) e, quindi, dal debito pubblico”.
Nel caso di specie, la P.A. ha stipulato un contratto di disponibilità con il quale è stata affidata la costruzione e la messa a disposizione, a favore dell’amministrazione aggiudicatrice, di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un servizio pubblico a fronte di un corrispettivo.
Come affermato dalla giurisprudenza contabile, il contratto di disponibilità è considerato un accordo di Partenariato Pubblico Privato e, quindi, è assoggettato alle decisioni Eurostat (cfr. C. Conti, sez. contr. Puglia, del. n. 66/PAR/2012 del 31 maggio 2012).
In particolare, come correttamente richiamata dalla sezione regionale della Lombardia della Corte dei Conti, nella Decisione “Treatment of public-private partnerships” (dell’11 febbraio 2004) Eurostat si è occupata specificamente del trattamento contabile, nei conti nazionali, dei contratti sottoscritti dalla Pubblica Amministrazione nel quadro di partenariati con imprese private. Come evidenziano i magistrati contabili nella Delibera in esame, “alla stregua della Decisione Eurostat citata, i beni (assets) oggetto delle operazioni di Partenariato Pubblico Privato non devono essere registrati nei conti delle Pubbliche Amministrazioni, ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito, solo se c’è un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata. Ciò avviene nel caso in cui si verifichino contemporaneamente le seguenti due condizioni: 1) il soggetto privato assume il rischio di costruzione; 2) il soggetto privato assume almeno uno dei due rischi: di disponibilità o di domanda”.
I beni oggetto di operazioni di Partenariato Pubblico Privato, quale è quella inerente la stipula di un contratto di disponibilità, dunque, in presenza di un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata (e ciò avviene nel caso in cui il soggetto privato assume il rischio di costruzione e almeno uno dei due rischi: di disponibilità o di domanda, quest’ultimo connesso alla variabilità della domanda indipendentemente dalla qualità del servizio prestato) non devono essere registrati nei conti delle Pubblica Amministrazione ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito.
Quindi, ad avviso della Corte dei Conti, spetterà all’interprete del caso concreto stabilire se, a margine della valutazione conseguente all’applicazione del criterio del “riparto dei rischi” tra soggetto pubblico e soggetto privato secondo le indicazioni di Eurostat – in considerazione anche del fatto che il contratto di disponibilità in concreto può strutturarsi come un’ipotesi di collegamento negoziale con attribuzioni patrimoniali tra loro collegate -, la spesa inerente all’infrastruttura (c.d. asset) realizzata in esecuzione di un contratto di disponibilità possa essere considerata fuori dal bilancio dell’ente (off balance) e, quindi, dal debito pubblico.
La Corte dei Conti sottolinea in particolare che, nel silenzio dell’art. 160-ter del Codice dei Contratti Pubblici, il quale non indica i parametri alla stregua dei quali dovrebbe essere quantificato il canone di disponibilità, occorre “accertare che in concreto l’entità del canone non sia tale da coprire anche i costi del finanziamento”.
In riferimento a ciò i giudici contabili sottolineano l’opportunità che l’interprete del caso concreto nel compiere le sue valutazioni sulla ripartizione dei rischi tra soggetto privato e Amministrazione Pubblica tenga conto “oltre che della “misura” del canone di disponibilità, anche di una pattuizione contrattuale tipizzata dal comma 6 dell’art. 160 ter, ovvero “il limite di riduzione del canone di disponibilità superato il quale il contratto è risolto”.
I beni oggetto di operazioni di Partenariato Pubblico Privato, quale è quella inerente la stipula di un contratto di disponibilità, non devono essere registrati nei conti delle Pubblica Amministrazione ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito qualora vi sia un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata .
Per quanto concerne il secondo quesito formulato dalla P.A., ovvero se i canoni di disponibilità ai fini del calcolo per il rispetto degli obiettivi del Patto di Stabilità Interno devono essere imputati alla spesa corrente o alla spesa per investimenti del bilancio di previsione, i giudici contabili evidenziano che “l’ampia autonomia negoziale riconosciuta ai contraenti dall’art. 160 ter codice dei contratti impone cautele […] anche in sede di contabilizzazione secondo i binari della “spese per investimento” e “spesa corrente” che regola la rendicontazione delle uscite finanziarie degli enti locali. Ne consegue che solo nell’ipotesi in cui, applicando rigorosamente il criterio del riparto dei rischi tra soggetto pubblico e privato […], il contratto di disponibilità non costituisca in concreto una forma di indebitamento è possibile escludere l’iscrizione in bilancio del canone di disponibilità quale spesa di investimento. Diversamente, laddove in capo all’Amministrazione sia prevista la facoltà di riscatto (lettera c primo comma art. 160 ter), troveranno applicazione i principi espressi dalle Sezioni Riunite in sede di controllo nella deliberazione n. 49 del 16 settembre 2011”. Dunque, qualora in capo all’amministrazione sia prevista la facoltà di riscatto occorrerà calcolare il canone di disponibilità come spesa per investimento in quanto forma di indebitamento.
Qualora in capo all’amministrazione sia prevista la facoltà di riscatto occorrerà calcolare il canone di disponibilità come spesa per investimento in quanto forma di indebitamento.
4. Conclusioni
Chiaro risulta l’intento del legislatore di fornire alla Pubblica Amministrazione uno strumento contrattuale che, nell’attuale stato di crisi economica e finanziaria che coinvolge sensibilmente il settore delle opere pubbliche, tenga la stessa indenne dai costi e dai rischi di realizzazione e manutenzione che l’opera tende a generare nel tempo, consentendole, quindi, di soddisfare esigenze di natura pubblicistica senza dover necessariamente incrementare la propria dotazione patrimoniale.
Alla luce di quanto sin qui esposto, e in particolare degli indirizzi interpretativi forniti dalla Corte dei Conti, appare dunque evidente l’importanza decisiva delle clausole contrattuali nel caso concreto, per valutare se la spesa inerente un’infrastruttura realizzata in esecuzione di un contratto di disponibilità possa essere considerata fuori dal bilancio dell’ente e, quindi, non un indebitamento per lo stesso, nel pieno rispetto del Patto di Stabilità Interno.