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In una recente sentenza il Consiglio di Stato analizza la controversa portata delle «clausole sociali». Data la generale rilevanza dell’istituto nell’ambito della contrattualistica pubblica, il tema è peraltro stato oggetto di una consultazione pubblica conclusa il 13 giugno scorso dalla Autorità Nazionale Anticorruzione, i cui risultati confluiranno nel documento, di imminente pubblicazione, recante «Linee guida per l’applicazione delle clausole sociali».
1. Il Codice dei contratti pubblici
Il D.Lgs. 50/2016 («Codice»), all’art. 3, comma 1, lett. qqq), definisce le «clausole sociali» come quelle disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche, in appalto o in concessione, o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie.
L’ampiezza della definizione codicistica consente alle stazioni appaltanti di accogliere una nozione più̀ generale di «clausola sociale» rispetto alla mera tutela occupazionale, valorizzando, negli atti di gara, aspetti che afferiscono alla protezione sociale, al lavoro e all’ambiente.
L’art. 50 del Codice è invece più specifico, delimitando l’obbligo inerente le clausole in questione ad una determinata tipologia di appalti o concessioni: l’articolo prevede infatti che, per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi, diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti «ad alta intensità di manodopera», i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti debbano inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche «clausole sociali» volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato. Tale obbligo si concreta in primis nell’obbligo di applicare, da parte del concorrente aggiudicatario, i contratti collettivi di settore (disciplinati dall’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81).
Il Codice puntualizza poi che per «servizi ad alta intensità di manodopera» devono intendersi quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto e, al contempo, esclude che la disciplina dell’art. 50 si applichi ai servizi di natura intellettuale (quali, ad esempio, servizi professionali, consulenza). Questa tipologia di servizi, non a caso, è stata esclusa dalla facoltà di utilizzo del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso: la lett. a) del comma 3 dell’art. 95 del Codice, infatti, impone l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento dei servizi ad alta intensità di manodopera. La finalità perseguita è evidentemente quella di tutelare i lavoratori in appalti particolarmente sensibili, non permettendo alle stazioni appaltanti (e di conseguenza alle imprese) di creare una competizione basata sul solo prezzo, che necessariamente andrebbe a discapito della posizione degli operatori impiegati per l’esecuzione del servizio.
Stante l’espresso riferimento legislativo al settore degli appalti di servizi o lavori, l’art. 50 non troverebbe applicazione, inoltre, nel caso di appalti di fornitura né nel caso di appalti/concessioni in cui la prestazione lavorativa è scarsamente significativa o irrilevante (ad esempio, appalti di natura finanziaria).
«L’art. 50 del Codice – come modificato dal D.Lgs. 56/2017 – obbliga la stazione appaltante ad inserire, nei bandi per l’affidamento di contratti di concessione/appalto di lavori e servizi (non aventi natura intellettuale), in particolare in quelli relativi a contratti labour intensive, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, imponendo l’applicazione dei contratti collettivi di settore.»
La disciplina delle «clausole sociali» deve ritenersi applicabile, invece, ai «settori speciali», in considerazione del richiamo operato dall’art. 114, comma 1, del Codice alla disciplina contenuta negli articoli da 1 a 58.
Come osservato da ultimo dall’ANAC, inoltre, le «clausole sociali» possono essere previste anche negli affidamenti sotto soglia, secondo quanto previsto all’art. 36 del Codice[1].
L’attuale formulazione dell’art. 50 è frutto della modifica legislativa apportata con il D.lgs. 56/2017, che appena un anno fa introduceva, tra le altre, l’applicazione obbligatoria delle «clausole sociali» (modificando il «possono inserire» in «inseriscono»). Prima di allora, l’espressione «possono inserire (…) specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato», contenuta nell’art. 50, conferiva alle stazioni appaltanti una mera facoltà di inserimento della clausola, non essendo, peraltro, il mancato utilizzo assoggettato a nessun obbligo motivazionale[2].
Per effetto della suddetta previsione normativa si impone dunque, in questi casi, alla stazione appaltante un formale e specifico recepimento delle «clausole sociali» nella lex specialis di gara e nel contratto di appalto o concessione.
Consapevole della rilevanza dell’istituto, il legislatore ha poi previsto, all’art. 213, secondo comma, del D.lgs. 50/2016, che l’Autorità Nazionale Anticorruzione debba adottare, con apposite Linee guida, uno specifico atto regolatorio in materia.
L’ANAC ha quindi, come di consueto, ai sensi del vigente Regolamento sulla partecipazione ai procedimenti di regolazione, proceduto ad una consultazione pubblica prima di adottare l’atto regolatorio in questione, invitando gli stakeholders ad esprimere osservazioni sul documento posto in consultazione, contenente la bozza delle Linee guida e la nota esplicativa delle questioni sottese, entro il 13 giugno 2018[3].
2. Il caso di specie
La sentenza del Consiglio di Stato n. 3471 dello scorso 8 giugno trae origine dall’appello proposto dal secondo classificato in una gara per l’affidamento del servizio semestrale di pulizie avverso la sentenza del Tar Campania – Napoli – Sezione II, n. 5607/2017, che ha confermato la sua esclusione dalla gara con la conseguente aggiudicazione alla contro interessata terza classificata. L’esclusione dell’appellante era stata motivata dal mancato rispetto della «clausola sociale» prevista dal bando, che imponeva all’aggiudicatario di assumere il personale della ditta uscente: l’offerta presentata dall’appellante, in particolare, contemplava l’assunzione di 151 addetti alle pulizie, mentre l’elenco allegato al bando comprendeva 153 addetti al servizio di pulizia, includendo due dirigenti coordinatori.
L’appellante ritiene tale clausola, prevista quale condizione di partecipazione alla gara, illegittima, per violazione dell’ordinamento nazionale e comunitario, contestando in particolare:
1) la violazione dell’art. 11 del capitolato speciale e dell’art. 50 del Codice, in quanto il bando non sarebbe stato affatto univoco, come invece affermato dal TAR, riferendosi al personale esclusivamente impiegato nel servizio di pulizia e lasciando intendere di imporre l’assorbimento dei soli 151 addetti al servizio di pulizia, e non anche dei 2 dirigenti coordinatori, in conformità alle previsioni del c.c.n.l. applicabile e ai chiarimenti resi dalla stessa stazione appaltante circa la possibilità di procedure negoziate per temperare l’obbligo di assunzione con le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto; in questa prospettiva, dovrebbe, secondo l’appellante, negarsi l’effetto immediatamente preclusivo della clausola in esame per la partecipazione alla gara da parte dell’appellante, il quale avrebbe maturato un interesse alla impugnativa del bando solo all’atto della sua esclusione a seguito di un’errata lettura della clausola, con la conseguente tempestività, negata dal TAR, della sua impugnazione;
2) la violazione dell’art. 50 del D.lgs. 50/2016, dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, dell’art. 2070 c.c., e dell’ art. 41 della Costituzione che, secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, non potrebbero consentire «clausole sociali» comportanti l’automatica riassunzione di tutto il personale uscente senza ledere la libertà d’impresa e di concorrenza;
3) la violazione degli artt. 97 ss. del D.lgs. 50/2016 e degli altri principi generali in tema di parità di trattamento, avendo la stazione appaltante escluso l’appellante senza chiedergli alcuna spiegazione;
4) la violazione dell’art. 11 del capitolato speciale, sviamento ed eccesso di potere, non essendo in realtà la «clausola sociale» presidiata dalla sanzione espulsiva, e riguardando, anzi, la stessa la fase d’esecuzione e non quella di aggiudicazione.
Sulla base di tali principali motivi l’appellante chiede la riforma della sentenza di primo grado, con la conseguente aggiudicazione in suo favore (essendo stato il ricorso contro l’esclusione della prima classificata definitivamente respinto in primo grado), ovvero, in via gradata, l’annullamento dell’intera procedura di gara, ferma restando la richiesta di risarcimento del danno per equivalente.
3. Le precisazioni del Consiglio di Stato
3.1 L’onere di tempestiva impugnazione
La questione giunta all’attenzione del Consiglio di Stato riguarda, in sostanza, la possibilità ed i limiti dell’introduzione di «clausole sociali» nei bandi di gara per appalti di servizi alla stregua dell’ordinamento nazionale e comunitario.
Emerge quindi, in primo luogo, il profilo della tempestività o meno della censura attinente alla legittimità della «clausola sociale». La stazione appaltante afferma, infatti, che l’appello sarebbe da ritenersi tardivo stando alla costante giurisprudenza secondo cui «il concorrente escluso in applicazione di una clausola del bando impeditiva della partecipazione alla gara è tenuto ad impugnare immediatamente la lex specialis, entro il termine dimidiato di decadenza, decorrente dalla sua applicazione» (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4389/2017).
A giudizio del Consiglio di Stato, l’appello è, al contrario, da ritenersi tempestivo in quanto l’art. 11 del Capitolato di gara non poneva alcun requisito di partecipazione alla gara comportante l’esclusione automatica dell’appellante, né prevedeva requisiti soggettivi o situazioni di fatto incompatibili con effetto escludente (sul punto si richiama e si conferma il principio espresso dall’Adunanza plenaria n. 1/2003).
«Non sussiste onere di immediata impugnazione se la clausola sociale è ambigua e suggerisce diverse interpretazioni»
La lex specialis non poteva, inoltre, considerarsi univoca: essa non poneva neppure condizioni negoziali tali da configurare il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e obiettiva non convenienza, limitandosi, invece, a porre un obbligo (l’impegno alla riassunzione di tutti i 153 lavoratori) niente affatto univoco, e comunque di limitato impatto economico, rispetto all’altra possibile interpretazione della clausola (riassunzione «solo» di 151 lavoratori). Nel caso di specie non ricorrono, in altri termini, le condizioni che, secondo la più recente giurisprudenza, comportano l’onere di impugnare immediatamente le previsioni della legge di gara (da ultimo si veda Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1809/2017)[4].
Le rimanenti tipologie di clausole asseritamente ritenute lesive – tra cui quella in questione – devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva, e postulano la preventiva partecipazione alla gara.
La clausola in questione consentiva, difatti, la teorica possibilità, per l’appellante, di scegliere l’una o l’altra possibile interpretazione, conseguendone la posticipazione del momento lesivo all’effettiva esclusione, disposta dalla stazione appaltante solo a seguito dell’opzione infine esercitata, dall’impresa, nell’ambito della sua autonomia organizzativa e decisionale.
3.2 L’interpretazione conforme al diritto europeo e alla Costituzione
Sancita la tempestività del ricorso, entrando nel merito, il Giudice amministrativo analizza i limiti entro i quali la «clausola sociale», inserita negli atti di gara, debba ritenersi legittima.
Il riferimento alla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia e alla giurisprudenza amministrativa maggioritaria è inevitabile[5]. E’ noto, infatti, che l’ambito di incidenza delle clausole sociali è stato sempre più circoscritto da successive pronunce che hanno evidenziato che:
a) la «clausola sociale» deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari;
b) conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante;
c) la «clausola sociale» non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.
Un simile dovere infatti violerebbe i principi costituzionali e comunitari di libertà d’iniziativa economica e di concorrenza oltreché di buon andamento dell’amministrazione, laddove la ratio della «clausola sociale» va ponderata con le esigenze connesse al fabbisogno di personale per l’esecuzione del nuovo contratto e con le autonome scelte organizzative ed imprenditoriali del nuovo appaltatore.
Come già evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sentenza n. 2078 del 5 maggio 2017), in particolare, «la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’articolo 41 Costituzione, che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto»sicché tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, «evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante».
Anche nel Documento in consultazione dello scorso maggio, l’Autorità, coerentemente con la sentenza in commento, ribadisce che la «clausola sociale» non deve essere intesa come un obbligo di totale riassorbimento dei lavoratori del pregresso appalto.
Secondo l’ANAC la «clausola sociale» deve prevedere che le condizioni di lavoro siano armonizzabili con l’organizzazione dell’impresa subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto e che il riassorbimento del personale sia imponibile «nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro elaborata dal nuovo assuntore».
Di qui l’esigenza che la «clausola sociale» sia i) espressamente prevista negli atti di gara; ii) sufficientemente chiara e precisa nel definire l’obbligo di assunzione ossia specifica e dal contenuto definito, tale da consentire ai concorrenti di individuare immediatamente il numero complessivo di dipendenti addetti all’appalto.
In questi casi, stante la legittimità della clausola, non pochi sono i precedenti giurisprudenziali che dispongono la revoca della intera procedura di gara per violazione da parte della ditta aggiudicataria degli obblighi previsti dalla clausola[6]. La «clausola sociale», difatti, esplica una specifica funzione, ossia quella di tutelare, spesso in ossequio alla normativa prevista dalla contrattazione collettiva di riferimento, il personale addetto all’unità produttiva interessata e, pertanto, tale clausola non può essere assolutamente derogata e trova applicazione sia per gli offerenti che per l’Amministrazione aggiudicatrice.
Tali clausole sono poi state analizzate in più occasioni dalla Autorità Garante della Concorrenza, che – stante l’approccio proconcorrenziale – si è sempre posta in maniera critica a riguardo, evidenziando il rischio che «clausole sociali» non adeguate vanifichino il confronto competitivo introducendo un forte elemento di rigidità a carico dei nuovi entranti[7].
4. Il Consiglio di Stato conclude
Il Consiglio di Stato conferma che l’apposizione di una «clausola sociale» agli atti di una pubblica gara, ai sensi della disposizione codicistica (art. 50), è costituzionalmente e comunitariamente legittima solo se non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente.
Sulla scia dei precedenti giurisprudenziali sopra citati, infatti, il bando della gara in questione non può ritenersi univoco in quanto, pur essendo «sufficientemente chiaro nel definire il dato numerico complessivo della cd clausola sociale», lascia spazio, in accordo con il principio di presunzione di legittimità, a diverse interpretazioni.
Tra le possibili interpretazioni della predetta «clausola sociale», l’interpretazione da ritenersi costituzionalmente e comunitariamente orientata – si legge nella sentenza – è solo quella restrittiva, che impone «l’assorbimento del personale (…) esclusivamente impiegato nel Servizio di pulizia delle strutture dell’Azienda committente», ossia quella che limita l’obbligo di assunzione, fra tutto il personale utilizzato per l’appalto ed indicato a fini conoscitivi, al solo personale «esclusivamente impiegato nel Servizio di pulizia».
«La clausola sociale è illegittima se comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento in riferimento a tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente»
Per dare alla lex specialis un senso compiuto e conforme alle previsioni comunitarie e costituzionali si sarebbe dovuto concludere che l’obbligo riguardasse solo il personale «esclusivamente impiegato nel Servizio di pulizia», (e cioè gli addetti alle pulizie) con la conseguente esclusione, peraltro conforme al vigente c.c.n.l., dell’obbligo di assorbimento dei due responsabili di quinto livello.
La stazione appaltante ha, invece, interpretato la «clausola sociale» in modo non coerente con la giurisprudenza europea e con le norme costituzionali, intendendo la clausola come volta ad imporre a carico dell’aggiudicatario un obbligo di automatico assorbimento di tutto il personale utilizzato per l’appalto.
Una simile interpretazione, secondo la sentenza in commento, è illegittima in quanto viola i principi di libertà d’iniziativa economica, di concorrenza e di buon andamento, ed è contraddittoria rispetto alle posizioni assunte nei precedenti chiarimenti della stessa stazione appaltante, in quanto impone l’automatica riassunzione anche dei quadri con funzioni direttive e di coordinamento senza lasciare alcun margine all’autonomia imprenditoriale del nuovo appaltatore. In ogni caso, l’ambiguità della clausola e l’incertezza circa la sua legittimità hanno indotto i concorrenti ad assumere «alla cieca» risposte differenziate al riguardo, alterando irrimediabilmente la loro parità di trattamento.
«L’illegittimità della clausola sociale comporta l’annullamento dell’intera procedura di gara e l’obbligo per la stazione appaltante di bandire una nuova gara, conforme al diritto nazionale e comunitario»
Sulla base delle predette considerazioni, la sentenza in esame riforma la decisione del TAR e, in accoglimento dell’appello, annulla l’intera procedura di gara, statuendo l’obbligo della stazione appaltante, che nelle more ha già affidato il servizio al terzo qualificato, di bandire senza indugio una nuova gara, conforme al diritto nazionale e comunitario sul punto in esame, per il successivo svolgimento del medesimo servizio.
La revoca della procedura di gara non consegue dunque solo ai casi di violazione (ossia mancato rispetto) da parte dell’aggiudicatario della clausola ma anche ai casi – altrettanto numerosi – di accertamento della illegittimità della clausola stessa.
Quanto all’esclusione del concorrente-appellante il Consiglio di Stato ritiene – incidenter tantum – che i motivi di appello siano comunque fondati, in quanto la «clausola sociale» è stata violata solo in parte (mancata riassunzione di poco più dell’1% del personale interessato) e comunque è del tutto priva di sanzione escludente espressa: in questi casi la stazione appaltante dovrebbe effettuare una puntuale disamina della conformità, o meno, dell’offerta al bando alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità. Cosa che, invece, nel caso di specie è mancata.
L’esclusione, inoltre, pur essendo stata disposta per la violazione del capitolato speciale, non è stata preceduta da una adeguata istruttoria volta ad accertare una eventuale anomalia dell’offerta economica, anomalia peraltro non dimostrata, avendo l’appellante previsto un numero di persone addette all’appalto maggiore rispetto a quanto previsto dalla clausola speciale.
«L’esclusione del concorrente per violazione della clausola sociale non è automatica ed è illegittima se non è preceduta da una analisi, da parte della stazione appaltante, circa la compatibilità dell’obbligo di assorbimento nonché da un adeguato giudizio di anomalia dell’offerta»
Sebbene si tratti di una considerazione meramente incidentale, quanto sopra pare trovare sviluppo nelle ultime osservazioni dell’ANAC in tema di esclusione del concorrente che non accetti la «clausola sociale» (di cui al cit. Documento di consultazione): secondo l’Autorità, qualora la stazione appaltante accerti in gara, se del caso attraverso il meccanismo del soccorso istruttorio, che l’impresa concorrente rifiuta, senza giustificato motivo, di accettare la clausola, si impone l’esclusione dalla gara. Tale esclusione, tuttavia, non opera in via automatica bensì è applicabile solo nel caso in cui l’accertamento compiuto dalla stazione appaltante consenta di ritenere che l’operatore economico intenda rifiutare l’applicazione della clausola, legittimamente prevista.
L’esclusione, viceversa, non è legittima nell’ipotesi in cui l’operatore economico manifesti il proposito di applicarla nei limiti di compatibilità̀ con la propria organizzazione d’impresa.
5. Quale supporto per le stazioni appaltanti
L’ormai granitica giurisprudenza in materia finisce per affidare alle stazioni appaltanti l’arduo compito di «entrare» nell’organizzazione imprenditoriale del concorrente uscente, onde predisporre «clausole sociali» che siano il più possibili precise e circostanziate, pena la revoca dell’intera procedura di gara. Un aiuto pare possa provenire dalla Legge Antitrust e dalle più recenti segnalazioni delle Authority, in particolare, della Autorità Garante della Concorrenza, che è intervenuta, in diversi casi, in supporto della stazione appaltante, obbligando l’incumbent a fornire, in dettaglio, i dati afferenti il personale da trasferire all’eventuale nuovo aggiudicatario. In assenza della collaborazione dell’appaltatore uscente – datore di lavoro e dei suddetti strumenti di soft law appare, infatti, poco agevole per la stazione appaltante pervenire a quel – più che legittimo – contemperamento tra esigenze di tutela sociale e libertà di impresa cui la costante giurisprudenza fa richiamo.
[1] A norma dell’art. 36 del Codice: «1. L’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese. Le stazioni appaltanti possono, altresì, applicare le disposizioni di cui all’articolo 50.».
[2] Parere A.N.AC. 18/1/2017 n. 28.
[3] Il documento posto in consultazione è visionabile al seguente link http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/ConsultazioniOnline/Documento_di_consultazione.pdf
[4] Secondo la più recente giurisprudenza l’onere di impugnare immediatamente le previsioni della legge di gara non concerne solo quelle in senso classico «escludenti», che prevedono requisiti soggetti di partecipazione, ma anche le clausole afferenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico, laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta. Nel tentativo di enucleare le ipotesi in cui tale evenienza può verificarsi, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che, tra le altre, tali sono:
a) le regole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (v., in particolare, Cons. St., sez. IV, 7novembre 2012, n. 5671);
b) le previsioni che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così, del resto, la già citata pronuncia n. 1 del 29 gennaio 2003 dell’Adunanza plenaria);
c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135);
e) l’imposizione di obblighi contra ius (come, ad esempio, la cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) le gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (quelli relativi, exempli gratia, al numero, alle qualifiche, alle mansioni, ai livelli retributivi e all’anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario) ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);
g) gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).
[5] Vengono richiamate, fra le altre, le sentenze del Cons. Stato, Sez. III, nn. 2637/2015, 4274/2015, 5598/2015, 1255/2016, 2078/2017) e quelle della Corte di Giustizia C-438/05, 341/05, 346/06, 319/06.
[6] Si veda, ad esempio, la sentenza del TAR Liguria, Sez. II, n. 55 del 27 gennaio 2017.
[7] V. AGCM, AS1242 Parere relativo al disegno di legge 1678-B contenente deleghe al Governo per l’attuazione di direttive europee in materia di appalti e concessioni, 11 dicembre 2015.