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1.  Obbligo di dichiarare la presenza di interessi finanziari propri o di terzi, ai sensi dell’art. 6 del DPR 2013 n. 62 all’atto dell’assegnazione all’ufficio. Obbligo di astensione rispetto ad una decisione o attività, ai sensi dell’art. 7 del DPR 2013 n. 62. Contenuti e soggetti coinvolti diversi

Il DPR 62/2013 definisce il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico. L’art. 6 impone l’obbligo al dipendente di informare il dirigente dell’ufficio in caso di presenti od intercorsi rapporti finanziari con privati.  L’omissione della comunicazione integra un comportamento contrario ai doveri d’ufficio, sanzionabile ai sensi dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, la violazione è valutata, in ogni singolo caso, con riguardo alla gravità del comportamento e all’entità del pregiudizio, anche morale, in relazione agli effetti in merito al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza. La disposizione è rivolta a far emergere eventuali interessi finanziari e quindi conflitti di interessi del dipendente all’atto dell’assegnazione all’ufficio a seguito di: rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati, in qualunque modo retribuiti, che lo stesso, o terzi, come individuati, abbiano in corso o avuto negli ultimi tre anni.

L’art. 6 del DPR 62/2013 impone l’obbligo al dipendente di informare, all’atto dell’assegnazione in un ufficio, il relativo dirigente in caso di presenti od intercorsi rapporti finanziari con privati (diretti ed indiretti).

I predetti rapporti finanziari da dichiarare (diritti, indiretti, di collaborazione) possono riguardare in prima persona il dipendente, o i suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente, precisando, inoltre, se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate. Le prescrizioni dichiarative sono quindi di doppio contenuto: i rapporti diretti, indiretti, di collaborazione, in essere o pregressi, di natura finanziaria; l’indicazione di quali, tra i rapporti dichiarati, costituiscono interessi in attività o decisioni, inerenti l’ufficio, limitatamente alle pratiche al dipendente affidate. Il perimetro è molto definito e circoscritto.

Le prescrizioni dichiarative, ai sensi dell’art. 6 del DPR 62/2013, hanno un doppio contenuto: i rapporti diretti, indiretti, di collaborazione, in essere o pregressi, di natura finanziaria; l’indicazione di quali, tra i rapporti dichiarati, costituiscono interessi in attività o decisioni, inerenti l’ufficio, limitatamente alle pratiche al dipendente affidate.

Il contenuto delle dichiarazioni deve riportare quindi i citati elementi: i rapporti finanziari intercorsi con soggetti privati negli ultimi tre anni; l’indicazione dei rapporti intercorsi o che intercorrano con soggetti che abbiano interessi diretti con le attività o le decisioni dell’ufficio in cui è incardinato, limitatamente alle pratiche a lui affidate. Le relazioni, di natura finanziaria, interessate riguardano i parenti, i coniugi, i conviventi e gli affini (fino al secondo grado) e non le frequentazioni abituali (legame introdotto nel successivo articolo 7 del DPR 62/2013).

Il dipendente invece si deve astenere (art. 7 del DPR 62/2013): Dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.

I casi di astensione, con riferimento a decisioni e attività che possono essere compromesse in termini di imparzialità, riguardano il legame tra il dipendente e categorie di soggetti – individuati – con cui il medesimo può avere rapporti di varia natura (di parentela, di frequentazione abituale, di coniugio, di convivenza); mentre le dichiarazioni di sussistenza di interessi economici, da comunicare in fase di assegnazione ad un ufficio, come previsto all’art. 6 del DPR 62/2013, hanno come oggetto un rapporto finanziario derivante, a sua volta, da un rapporto diretto, indiretto e di collaborazione con un soggetto privato (l’interesse economico coinvolto, come visto, secondo l’art. 6, può essere proprio o del coniuge o di affini fino al 2 grado o di conviventi). L’obbligo di astensione non agisce in automatico, deve essere valutato dall’Amministrazione.

I casi di astensione, con riferimento a decisioni e attività che possono essere compromesse in termini di imparzialità, riguardano il legame (di natura non solo economica) tra il dipendente e categorie di soggetti – individuati – con cui il medesimo può avere rapporti di varia natura (di parentela, di frequentazione abituale, di coniugio, di convivenza). L’obbligo di astensione non agisce in automatico.

In particolare, una disposizione distinta all’interno dell’art. 7 è prevista – con obbligo di astensione – qualora il dipendente o il suo coniuge abbiano in essere gravi inimicizie, rapporti di credito o debito significativi, legami con società, organizzazioni, associazioni, stabilimenti. Le pubbliche amministrazioni nei propri codici di condotta, estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta anche a tutti i collaboratori o consulenti (anche se le norme attuali già lo prevedono) con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi di indirizzo e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché ai collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione.

Le pubbliche amministrazioni nei propri codici di condotta, estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta anche a tutti i collaboratori o consulenti (anche se le norme attuali già lo prevedono) con qualsiasi tipologia di contratto o incarico, e a qualsiasi titolo, ed ai titolari di organi di indirizzo.

2. L’art. 42 del d.lgs. n. 50/2016 e l’obbligo di astensione. Il nuovo articolo 16 del codice, efficace al 1° luglio. Novità

A livello generale, il conflitto di interessi è disciplinato dall’art. 6-bis L. 241/90 e dall’art. 7 DPR 62/2013. In riferimento alla nozione di conflitto di interesse può ritenersi consolidato anche in giurisprudenza un orientamento secondo il quale “Le ipotesi di cui all’articolo 42, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 si riferiscono a situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale e si verificano quando il “dipendente” pubblico ovvero anche un soggetto privato che sia chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d’appalto, è portatore di interessi della propria o dell’altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l’esercizio imparziale ed obiettivo delle sue funzioni” (Cons. St., V, 6150/2019; Cons. Stato, sez. V, 11.7.2017, n. 3415; TAR Campania, SA, 1219/2021; TAR Lazio Roma, III ter, 10186/2019).

L’articolo 42 e l’articolo 16 – con efficacia quest’ultimo al 1° luglio 2023 – del codice dei contratti pubblici trova piena applicazione in tutte le procedure di aggiudicazione di appalti e concessioni nei settori ordinari, ivi incluse quelle sotto soglia, come rilevato dall’Autorità nelle Linee Guida n. 15 recanti “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 494 del 5 giugno 2019. Ai fini della gestione del rischio qualora emerga una situazione che dia luogo ad un potenziale conflitto di interessi, il principale strumento indicato dalle disposizioni normative, consiste sempre nell’obbligo di segnalazione e in quello di conseguente astensione dall’attività da parte del soggetto interessato, previo accertamento dell’Amministrazione (come previsto dall’art.7 del DPR n. 62/2013, dall’art. 6-bis della legge n. 241/90, dall’art. 42 comma 3 e dal 1° luglio dall’art. 16). Tali obblighi sono quindi pacificamente estesi alla fase di esecuzione contrattuale (Linee Guida ANAC n. 15, par. 3.4; Delibere 65/2022, 66/2022) e agli affidamenti sotto soglia comunitaria (art. 36, co. 1 d.lgs. 50/2016; Linee Guida ANAC n. 4, par. 3.1; Delibera 712/2022). Dunque, dalle disposizioni emerge che l’obbligo di astensione, potenzialmente, ricorre per tutti i soggetti chiamati ad intervenire alla formazione della decisione nello svolgimento della procedura di aggiudicazione.

Le disposizioni normative sono chiare, correttamente integrate tra loro, descrivendo una, il contenuto delle dichiarazioni ed il relativo momento di rilascio a cura del dipendente (DPR 62/2013, art. 6) le altre l’obbligo, previa comunicazione, dell’astensione in determinate situazioni (art.6 bis della legge n. 241/90, art. 7 del DPR 62/2013 e le disposizioni contenute nel codice dei contratti).

Anche per delimitare l’ampio raggio di operatività di tale formula generale, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’ipotesi di conflitto d’interessi “deve essere supportata da elementi concreti, specifici ed attuali” (Consiglio di Stato, sezione III, 26 marzo 2021, n. 2581; come disposto dall’art. 16 del Codice degli appalti di prossima efficacia) affermando, il medesimo Consiglio di Stato, che, con riferimento all’art. 42, comma 2 citato “per le sue descritte caratteristiche funzionali, la disposizione in parola è quindi da intendersi come norma lato sensu “di pericolo”, in quanto le misure che essa contempla (astensione dei dipendenti) o comporta (esclusione dell’impresa concorrente) operano per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale può determinare (così Cons. Stato, sez. III, n. 355/2019 e sez. V, n. 3048/2020; Consiglio di Stato, sezione III, 20 agosto 2020, n. 5151 e 29 marzo 2022 n. 2309). Gli elementi indiziari dai quali è possibile ricavare, in via presuntiva, il conflitto di interessi, sono dalla giurisprudenza individuati: 

a) nell’esistenza di un interesse personale del funzionario e della ditta concorrente in gara; b) nel ruolo che il primo rivestiva nella procedura di gara e che gli avrebbe potuto consentire di “intervenire” o di “influenzare” il risultato, per le informazioni privilegiate che egli aveva a disposizione e che avrebbe potuto trasferire all’impresa concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 6150/2019; id., sez. V, n. 3048/2020, nonché Cons. Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667)”.

Anche per delimitare l’ampio raggio di operatività di tale formula generale, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’ipotesi di conflitto d’interessi “deve essere supportata da elementi da elementi concreti, specifici ed attuali” (Consiglio di Stato, sezione III, 26 marzo 2021, n. 2581). Oggi tale principio è presente nell’art. 16 del nuovo codice, in tema di conflitto di interessi.

Il nuovo codice, all’art. 16, regola il conflitto di interessi con alcune novità, mediante una esposizione chiara e di sintesi (Il codice entra in vigore il 1° di aprile con efficacia il 1° di luglio).

Il nuovo codice, all’art. 16, regola il conflitto di interessi con alcune novità, mediante una esposizione chiara e di sintesi.  Secondo le nuove disposizioni del codice degli appalti, si ha conflitto d’interesse quando un soggetto, non è più presente l’affermazione, “il personale”, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali, partecipando quindi con attività non meramente esecutive.

Secondo le nuove disposizioni del codice degli appalti, si ha conflitto d’interesse quando un soggetto – non è più presente l’affermazione, “il personale” – a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali – partecipando quindi con attività non meramente esecutive – nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione (è inclusa, senza dubbi, anche questa fase) degli appalti o delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia “concreta ed effettiva” (nuova disposizione, che circoscrive e delimita il confine entro il quale può essere inteso il conflitto di interessi) alla sua imparzialità e indipendenza rispetto alla procedura di appalto o di concessione.

Secondo le nuove disposizioni del codice degli appalti la minaccia, rispetto al conflitto di interessi, deve essere “concreta ed effettiva”.

Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2, dell’art. 16, ne dà comunicazione – l’art. 42 indica che il dipendente “è tenuto” a dare comunicazione – all’Amministrazione, astenendosi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e all’esecuzione (non già nella fase di programmazione). Inoltre in coerenza con il principio della fiducia, principio introdotto nel nuovo codice, e per preservare la funzionalità – aspetto importante e più volte richiamato dal Consiglio di Stato – dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro. Anche quest’ultimo aspetto è di nuova introduzione ed è a vantaggio del non aggravamento dell’azione amministrativa.

Le stazioni appaltanti, come previsto dall’art. 42, adottano misure adeguate per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti e delle concessioni e vigilano affinché gli adempimenti relativi alla comunicazione ed astensione siano rispettati.  

Inoltre, in coerenza con il principio della fiducia, principio introdotto nel nuovo codice, e per preservare la funzionalità – aspetto importante e più volte richiamato dal Consiglio di Stato – dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro. Anche quest’ultimo aspetto è di nuova introduzione ed è a vantaggio del non aggravamento dell’azione amministrativa.

In coerenza con il principio della fiducia, principio introdotto nel nuovo codice, e per preservare la funzionalità – aspetto importante e più volte richiamato dal Consiglio di Stato – dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati.

3. Il parere del Consiglio di Stato in merito alla scelta (molto estensiva) di Anac di dover rendere dichiarazioni in occasione di ogni singola gara

Il Consiglio di Stato con il parere n. 667 del 5 marzo 2019 nella sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, si era espresso sullo schema di Linee guida aventi ad oggetto “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”, in attuazione dell’art. 213, c. 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, esprimendo, tra l’altro, di non condividere “la scelta dell’Autorità di chiedere al personale di rendere la dichiarazione sostitutiva sul conflitto di interesse oltre che all’atto dell’assegnazione all’ufficio in occasione di ogni singola gara”. Per il Consiglio di Stato, se Anac considerava l’opportunità della presentazione di una dichiarazione sostitutiva attestante l’inesistenza di conflitti in atto o potenziali (nel senso specificato più volte) per ciascuna procedura, tale interpretazione, molto estensiva,  avrebbe come effetto autodichiarazioni rese anche da: “membri degli organi politici laddove adottino atti di gestione, il RUP, i membri del collegio tecnico, i membri della commissione di gara e il segretario, il responsabile della sicurezza, il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, il direttore dei lavori o dell’esecuzione del contratto, il collaudatore, il soggetto che sottoscrive il contratto per conto della stazione appaltante, il soggetto che provvede al pagamento dei corrispettivi, il soggetto incaricato del monitoraggio dell’esecuzione del contratto.” (cfr Linee Guida 15).

Il Consiglio di Stato, in quella sede, aveva quindi affermato che: “Trattasi a volte di alcune decine di persone e quindi della crescita abnorme di oneri amministrativi che incidono sui costi della procedura, anche in funzione dei successivi obblighi di verifica e controllo”. Il Consiglio di Stato ha così evidenziato, nel tempo, che se il conflitto di interessi può sorgere in capo a qualsiasi dipendente partecipi alla procedura, la dichiarazione dovrebbe essere resa anche da qualunque dei dipendenti in senso stretto, ossia dei lavoratori subordinati dei soggetti giuridici richiamati (con un aggravio ulteriore ed insostenibile oltre ad essere irragionevole). Per il citato organo sarebbe stato opportuno, per evitare una eccessiva proliferazione di dichiarazioni sostitutive, difficilmente gestibili dalle singole stazioni appaltanti, richiamare l’obbligo di rendere (all’atto dell’assegnazione all’ufficio) la prima delle dichiarazioni sostitutive in questione stabilendo, anche in via regolamentare secondo le procedure della stazione appaltante, il dovere del dipendente di aggiornarla in presenza di fatti sopravvenuti e richiamando, con disposizioni interne l’obbligo di astensione nella singola procedura. La presente soluzione, peraltro, sarebbe stata in linea con le disposizioni di cui al d.lgs. 50/2016 e del nuovo.

In sostanza, la dichiarazione originaria può intendersi confermata (in occasione dell’espletamento delle singole procedure ad evidenza pubblica) a meno che non sorga un obbligo di comunicazione (come dalle norme previsto) qualora, con riferimento alla singola procedura selettiva, il dipendente versi in una situazione di conflitto di interessi. Le dichiarazioni devono avere data certa e, quindi, vanno datate e sottoscritte (dal soggetto interessato) e protocollate (dalla stazione appaltante), sia a fini di interesse generale, che a garanzia del dipendente, il quale avrà modo di dimostrare agevolmente di aver tempestivamente adempiuto ai propri obblighi.

Per il Consiglio di Stato con il parere  n. 667 del 5 marzo 2019, in merito alle Linee Guida n. 15, il medesimo si era espresso indicando che la dichiarazione originaria può intendersi confermata (in occasione dell’espletamento delle singole procedure ad evidenza pubblica) a meno che non sorga un obbligo di comunicazione con riferimento alla singola procedura selettiva.

4. La definizione (molto estensiva) di Anac in ordine alle nozioni di parentela e affinità rilevanti ai fini del conflitto di interesse: la delibera n. 63 in data 8 febbraio 2023. Problematiche connesse alle dichiarazioni di assenza o presenza di conflitto di interesse fino al sesto grado di parentela

La formulazione letterale adottata dall’art. 7 DPR 62/2013 distingue concettualmente la nozione di parentela da quella di affini. Anac rileva che per le stazioni appaltanti, la parentela, a fini dichiarativi, riguarda i legami fino al secondo, terzo o quarto grado, secondo una logica applicativa confusa e non omogena, ritenendo, invece, che la nozione di parentela, rilevante ai sensi dell’allora art. 42 d.lgs. 50/2016, includa i parenti fino al sesto grado, conseguendone un obbligo dichiarativo, ove il legame sussista.

Anac rileva che per le stazioni appaltanti, la parentela, a fini dichiarativi, riguarda i legami fino al secondo, terzo o quarto grado, secondo una logica applicativa confusa e non omogena, ritenendo, invece, che la nozione di parentela, rilevante ai sensi dell’allora art. 42 d.lgs. 50/2016, includa i parenti fino al sesto grado, conseguendone un obbligo dichiarativo, ove il legame sussista (delibera n. 63 in data 8 febbraio 2023)

Le norme vanno lette, secondo Anac nella delibera 8 febbraio 2023, alla luce delle nozioni civilistiche di parentela e affinità, infatti, l’art. 77 del c.c. dispone che “La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati”; mentre secondo l’art. 78 c.c. “l’’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge”. Il codice civile non stabilisce un limite di carattere generale per il vincolo di affinità, a differenza del rapporto di parentela (cfr. delibera Anac 8 febbraio 2023).

Anac precisa che la dichiarazione di (in)sussistenza del legame è condizione per l’assunzione dell’incarico e deve essere resa in ogni caso. Ove il legame, astrattamente rilevante, come ipotesi di conflitto emerga successivamente (ad esempio, dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte), il dipendente è tenuto ad astenersi oppure a comunicare la sussistenza del legame, al fine di consentire al superiore gerarchico di valutarne la eventuale sostituzione. Tale valutazione, quindi, deve fondarsi su una dichiarazione esplicita della situazione di conflitto e soprattutto deve svolgersi in via preventiva. La posizione di Anac è di quindi che è obbligo per il dipendente (e non solo) di dichiarare anche l’assenza di conflitto di interesse (e non solo nel caso di sussistenza d conflitto di interesse), in tutte le fasi del procedimento, con obbligo dichiarativo fino al sesto grado di parentela (cfr., Linee Guida 15, delibera, nello specifico, 63/2023).

La posizione di Anac è di quindi che è obbligo per il dipendente (e non solo) di dichiarare anche l’assenza di conflitto di interesse (e non solo nel caso di sussistenza d conflitto di interesse), in tutte le fasi del procedimento, con obbligo dichiarativo fino al sesto grado di parentela (cfr., Linee Guida 15, delibera, nello specifico 63/2023).

Conclusioni

Quanto affermato dalle diverse Linee Guida Anac n.15, dalle successive delibere, in particolare la delibera 63/2023, descrive un contesto in cui:

  • le dichiarazioni rese in relazione alla presenza o meno di situazioni di conflitto di interesse (dirette, indirette, potenziali) nelle varie fasi del procedimento da tutti i numerosi soggetti che operano attivamente all’interno delle organizzazioni, a partire dalla programmazione, crea una situazione di significativo aggravamento amministrativo. Una dichiarazione non resa di un dipendente nei confronti di un legame di parentela, ad esempio, di quarto grado con un operatore economico, costituisce secondo Anac una violazione, in quel caso, dell’art. 42, ritenendosi l’aggiudicazione dell’affidamento nel caso esaminato e, la sua successiva esecuzione, condotte in violazione di legge;
  • i dichiaranti, a loro volta, devono affermare sotto la propria responsabilità la non sussistenza di conflitto di interesse con riferimento alla propria parentela fino al sesto grado, con gravi difficoltà tenuto conto che i parenti fino al sesto grado sono ordinariamente non noti;
  • non è possibile per l’ente verificare la presenza o meno delle condizioni dichiarate, perché le relative informazioni non sono riscontrabili attraverso le ordinarie fonti e banche date. Non è infatti mai possibile verificare l’assenza di rapporti finanziari di parenti fino al sesto grado ed è difficile l’accertamento per conviventi, coniugi e affini fino al secondo.
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Questo articolo è stato scritto da...

Beatrice Corradi
Dott.ssa Beatrice Corradi
Dirigente del Servizio Provveditorato, Affari generali e Gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Liguria
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