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Estensione dei soggetti compresi nell’art. 34 del Dlgs. 163/2006 ed i presupposti al fine di stipulare, diversamente dai contratti di appalto, accordi tra Pubbliche Amministrazioni

I soggetti a cui possono essere affidati i contratti. Norma e giurisprudenza nazionale e comunitaria a confronto

L’articolo 2 del Codice degli appalti, che dispone i principi che regolano gli appalti, dispone: “L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.

I principi citati sono da considerarsi i presupposti a cui attenersi nella gestione delle procedure di appalto anche al fine della garanzia di massima partecipazione alle relative gare. Il presente lavoro vuole analizzare, anche in virtù dei principi evidenziati, la partecipazione dei soggetti, anche pubblici, alle gare di appalto, ponendo a confronto giurisprudenza comunitaria, nazionale e normativa nazionale.

L’articolo 34 del Codice degli appalti indica i soggetti a cui  possono essere affidati i contratti, ma la relativa elencazione, secondo diffusa giurisprudenza, non è da intendersi tassativa.

Va osservato, infatti, quanto alla natura dei soggetti legittimati ad accedere ai contratti pubblici, che la previsione legislativa nazionale (art. 3, punto 19, del codice dei contratti) riferisce i termini di imprenditore, fornitore e prestatore di servizi ad “una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi (Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 16/06/2009 n. 3897).

La giurisprudenza comunitaria ha affermato che per “impresa”, pur in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (Sentenza Corte di giustizia 1.7.2008, causa C-49/07).

La definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti su un determinato mercato (Corte di giustizia 10.1.2006, causa C-222/04). Il legislatore comunitario non ha inteso restringere la nozione di «operatore economico che offre servizi sul mercato» unicamente agli operatori che siano dotati di un’organizzazione d’impresa, né introdurre condizioni particolari atte a porre una limitazione a monte dell’accesso alle procedure di gara in base alla forma giuridica e all’organizzazione interna degli operatori economici.

L’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici, alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, ha affrontato più volte il problema della possibilità di partecipazione alle gare d’appalto di soggetti giuridici diversi da quelli indicati nell’elenco dell’articolo 34 del Codice, evidenziando come la nozione di impresa in ambito comunitario, abbia “confini ampi” che prescindono da una particolare formula organizzativa e dalla necessità di perseguire finalità di lucro (cfr. sentenza della Corte di giustizia CE 23 novembre 2006).


Per quanto concerne gli  enti pubblici non economici, l’Autorità ha esaminato “il rischio di alterazione della par condicio tra i partecipanti e il  possibile effetto distorsivo della concorrenza, atteso il particolare regime di  agevolazioni finanziarie di cui godono i predetti enti e la conseguente  posizione di vantaggio rispetto ad altri soggetti che forniscono i medesimi  servizi nell’esercizio dell’attività di impresa, dovendo sopportare integralmente i relativi costi” (Determinazione n. 7 del 21 Ottobre 2010).


L’Autorità, nel parere n. 127/2008, ha concluso, che gli enti pubblici non economici possono partecipare a quelle gare che abbiano ad oggetto prestazioni corrispondenti ai loro fini istituzionali, con la conseguente necessità di operare una verifica in concreto dello statuto al fine di valutare la conformità delle prestazioni oggetto dell’appalto agli scopi istituzionali dell’ente.

La Corte di Giustizia sul tema si è espressa con sentenza del 23 dicembre 2009 a seguito di questione posta in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato, nell’intento, di quest’ultima, di sollevare ed evidenziare il rischio per la concorrenza nel mercato dei contratti pubblici derivante dalla partecipazione delle Università che godono di una posizione “di privilegio che gli garantirebbe una sicurezza economica attraverso finanziamenti pubblici costanti e prevedibili di cui gli altri operatori  economici non possono beneficiare”.


La Corte di Giustizia ha affermato a riguardo che “il principio della parità di trattamento non è violato per il solo motivo che le amministrazioni aggiudicatrici ammettono la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di organismi che beneficiano di sovvenzioni che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli offerenti concorrenti non sovvenzionati e, dall’altro, che, se il legislatore comunitario avesse avuto l’intenzione di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici ad escludere tali offerenti, l’avrebbe espressamente indicato”.

La Corte di Giustizia ha quindi definito che dalla posizione sia della normativa comunitaria sia dalla giurisprudenza della Corte, risulta ammissibile un’offerta od una candidatura di un soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto (anche facendo ricorso al subappalto) “indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno”.

L’effettiva capacità di detto ente di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara deve essere valutata durante una fase ulteriore della procedura, in applicazione dei criteri previsti agli articoli 44-52 della direttiva 2004/18 (cfr. sentenze 18 dicembre 2007, causa C-357/06).

La giurisprudenza comunitaria, richiamando l’articolo 4, n. 1, della direttiva 2004/18/CE, precisa che gli Stati membri possono decidere liberamente se autorizzare o meno determinati soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi finalità di lucro, ma volti principalmente alla didattica e alla ricerca, ad  operare sul mercato in funzione della compatibilità di tali attività con i fini  istituzionali e statutari che sono chiamati a perseguire. Una volta concessa l’autorizzazione, poi, non si può escludere gli enti in commento dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.  
La stazione appaltante deve, in ogni caso, verificare se gli enti partecipanti alla gara possano statutariamente svolgere attività di impresa offrendo la fornitura di beni o la prestazione di servizi sul mercato, pur senza rivestire la forma societaria (cfr. Cons. Stato sez. VI 16/6/2009 n. 3897).

Infine da un Parere di Precontenzioso n. 127 del 23/04/2008 – dell’Autorità di vigilanza, viene evidenziato che:        

“è legittima la partecipazione a gare pubbliche di persone giuridiche quali il CNR, il CENSIS, il FORMEZ e l’IFOA che, pur non figurando nell’elencazione di cui all’art. 34 del Codice dei contratti, rientrano pacificamente nel novero dei “prestatori di servizi” ai sensi della disciplina comunitaria, come produttori di beni e servizi sul mercato. La loro legittimazione a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici si riflette anche sull’eventuale autorizzazione al subappalto a tali soggetti” .

Un altro parere sul tema – Parere di Precontenzioso n. 29 del 31/01/2008  evidenzia che: “Non è conforme alla normativa di settore la partecipazione a gare di appalti pubblici delle associazioni di volontariato, in quanto l’espletamento di una procedura di selezione del contraente, fondata sulla comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnica – economica, risulta essere inconciliabile con il riconoscimento alle associazioni di volontariato, ex art. 5 della l. 11 agosto 1991, n. 166 (legge quadro sul volontariato), della possibilità di usufruire di proventi costituiti esclusivamente da rimborsi derivanti da convenzioni che prescindono dalle regole di concorrenza. Risulta evidente, pertanto, che la stipulazione di un contratto a titolo oneroso si pone come incompatibile con la normativa nazionale in materia di volontariato”.

Pare opportuno in questa sede anche trattare, se pur brevemente, il tema dell’introduzione nell’ordinamento dell’istituto dell’avvalimento; tale strumento permette di ampliare i soggetti ammessi alle gare diversificando la partecipazione rispetto alle  tradizionali modalità. L’istituto è, non a caso,  di origine comunitaria.

Tipica del diritto comunitario, infatti, è l’indifferenza per ogni formalismo giuridico tanto da porre maggiormente l’attenzione sull’aspetto sostanzialistico dei rapporti: ciò che conta, ad avviso della Corte di Giustizia, è che il concorrente possa effettivamente disporre dei mezzi di cui ha dichiarato di avvalersi, di modo che la possibilità di ricorrere all’avvalimento sia subordinata esclusivamente alla dimostrazione, a carico del concorrente “ausiliato”, dell’effettiva disponibilità di tali mezzi.

Nelle disposizioni comunitarie destinate all’avvalimento traspare l’attenzione alla fase esecutiva della prestazione, in linea con il citato approccio concreto e sostanzialistico che caratterizza le decisioni della Corte di Giustizia. Il principio elaborato dalla Corte di Giustizia è stato recepito e formalizzato dal legislatore comunitario negli articoli 47 e 48 della direttiva n. 2004/18/CE che riconoscono all’operatore economico il diritto di fare affidamento sulle capacità economico-finanziarie e tecnico-organizzative di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, a condizione che dimostri all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà delle risorse o dei mezzi necessari.

Gli accordi tra pubbliche amministrazioni e le disposizioni in materia di   contrattualistica pubblica

La validità degli accordi tra Pubbliche Amministrazioni, regolati dall’art. 15 della legge 241/1990, si fonda sulle seguenti considerazioni:

  • le attività dedotte nel contratto devono essere riconducibili alla istituzionale funzione degli enti e non devono essere meramente strumentali rispetto ai compiti demandati dall’ordinamento;
  • non vi deve essere l’acquisizione di una utilitas in via diretta all’ente pubblico ricevente;
  • le attività oggetto del contratto non devono essere state, da parte di altre amministrazioni, oggetto di procedure di gara;
  • il contratto non deve costituire uno  strumento con cui l’ente si conforma ad obblighi di carattere normativo, appropriandosi di un servizio offerto da un operatore sostanzialmente privato;
  • l’attività in questione pur svolta con metodo scientifico, non deve risolversi, in definitiva, in un servizio non avendo pregio invocare il carattere scientifico-applicativo delle attività dedotte in contratto.

Ai sensi dell’art. 15 l. n. 241/1990, il contratto da stipulare deve contenere una “disciplina” di attività comuni agli enti e, pertanto, non devono esservi contrasti di interessi tra gli Enti Pubblici. Lo strumento dell’accordo presuppone la logica del coordinamento di convergenti attività di interesse pubblico di più enti pubblici, pertanto, non deve vedere una parte fare ricorso a prestazioni astrattamente reperibili presso privati.

Come recita la sentenza del 15/07/2013 del Consiglio di Stato N. 03849, la Corte di Giustizia ha stabilito che:

1) l’affidamento senza gara da parte di un’amministrazione aggiudicatrice di un contratto contrasta con le norme ed i principi sull’evidenza pubblica comunitaria quando ha ad oggetto servizi i quali, pur riconducibili ad attività di ricerca scientifica, ricadono, secondo la loro natura effettiva, nell’ambito dei servizi di ricerca e sviluppo di cui all’allegato II A, categoria 8, della direttiva 2004/18;

2) non sussiste per contro l’obbligo della gara in caso di contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi .

Gli accordi tra amministrazioni non possono essere stipulati in contrasto con la normativa comunitaria – come recita la determinazione n. 7 del 21 Ottobre 2010 – e non devono interferire con il perseguimento dell’obiettivo della libera  circolazione dei servizi e dell’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza.

Le forme di cooperazione devono quindi rispettare le seguenti condizioni: essere stipulate esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata; nessun prestatore privato essere posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti; la cooperazione, da essi istituita, deve essere retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico .

I criteri sono da intendersi cumulativi, come afferma la sentenza della Corte di Giustizia 386/2011: “un appalto tra enti pubblici può eccezionalmente esulare dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici soltanto qualora il contratto che lo constata soddisfi tutti i suddetti criteri”.

Un ente pubblico, non può conferire ad altro la gestione di servizi, “riservandosi la facoltà di controllare l’esecuzione di tale compito, dietro pagamento di un corrispettivo che si presuppone corrispondere alle spese comportate dall’espletamento dell’incarico, con la possibilità, peraltro, per il secondo ente di ricorrere a terzi che siano eventualmente in grado di operare sul mercato per l’esecuzione dello stesso” – sentenza Corte di Giustizia 386/2011; ciò, infatti, costituirebbe un appalto pubblico di servizi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/18.

La giurisprudenza nazionale si è espressa sostenendo che “la presenza di un corrispettivo è dunque da considerarsi quale elemento sintomatico della qualificazione dell’accordo alla stregua di appalto pubblico, da assoggettare alla relativa disciplina secondo le prescrizioni del codice degli appalti” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, n. 1791 del 21 luglio 2010).

La Corte di Giustizia con precedente sentenza del 9 giugno 2009, causa  C-480/06, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania, ha affermato che è legittimo il contratto stipulato da alcune circoscrizioni anche in assenza di una gara d’appalto a livello  comunitario, “in quanto un’autorità pubblica può adempiere compiti di interesse pubblico mediante propri strumenti o in collaborazione con altre autorità pubbliche.

Nell’ipotesi in cui tale contratto costituisce il fondamento per la  costruzione e gestione future di un impianto destinato all’espletamento di un servizio pubblico (nel caso di specie la termovalorizzazione dei rifiuti), se è stato stipulato solo da autorità pubbliche senza la partecipazione di una parte privata e non prevede né pregiudica l’aggiudicazione degli appalti eventualmente necessari per l’espletamento del servizio pubblico (nella specie la costruzione e gestione dell’impianto di trattamento dei rifiuti), non viola  la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici.  

Si ammette, quindi, una forma di cooperazione orizzontale tra amministrazioni aggiudicatrici, quando la stessa comporta la conclusione di  contratti non coperti dalla normativa comunitaria e sempre che ricorrano le  seguenti condizioni:

  • sono coinvolte solo entità pubbliche;
  • la cooperazione deve essere finalizzata ad assicurare la realizzazione congiunta di un servizio pubblico con una effettiva condivisione di compiti pubblici e  responsabilità;
  • tale cooperazione non deve comportare trasferimenti finanziari, a parte quelli corrispondenti ai costi effettivi sostenuti per le prestazioni;
  • vi è il perseguimento di interessi esclusivamente pubblici senza coinvolgere anche  considerazioni di natura commerciale..

Parte della giurisprudenza nazionale ha quindi sostenuto che il nostro ordinamento prevede numerosi istituti che consentono un’agevole trasposizione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza esaminata, il principale dei quali disciplinato proprio dall’art. 15 L. n. 241/90.

Occorre, al fine di una legittima stipulazione di accordi tra P.A, verificare se ricorrono i presupposti per ricondurre la fattispecie in esame nell’alveo della cooperazione orizzontale tra pubbliche amministrazioni.

Per potersi configurarsi l’ipotesi di ricorso allo strumento convenzionale “diretto” tra Amministrazioni aggiudicatrici, previsto dall’art. 15, co. 1, l. 241/90, è necessaria la ricorrenza di precise condizioni, tra cui il fatto “che le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di “reciproca collaborazione” e nell’obiettivo comune di fornire servizi “indistintamente a favore della collettività e gratuitamente” (cfr. AVCP Deliberazione 8 febbraio 2012 n. 14 Cass. civ., 13 luglio 2006, n. 15893)” e che i movimenti finanziari tra i soggetti si configurino “solo come ristoro delle spese sostenute” (cfr. Determinazione AVCP n. 7/2010; Deliberazione AVCP n. 50/2010 e TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 2 febbraio 2010, n. 417 e 418).

Distinguere una vera “cooperazione” da un normale appalto pubblico

La cooperazione mira a garantire congiuntamente l’esecuzione di compiti di interesse pubblico che tutte le parti della cooperazione sono chiamate a svolgere. “Tale esercizio congiunto è caratterizzato dalla partecipazione e dagli obblighi reciproci delle parti contrattuali, cosa che porta ad effetti sinergici. Ciò non implica necessariamente che ciascuna delle parti cooperanti partecipi nella stessa misura all’effettiva esecuzione del compito: la cooperazione può infatti essere basata su una divisione dei compiti o su una certa specializzazione. Ciononostante, il contratto deve indirizzarsi verso un obiettivo comune, ossia l’esecuzione congiunta dello stesso compito (documento Commissione europea  4/10/2011 n. SEC(2011)1169).

La giurisprudenza suggerisce inoltre che il carattere dell’accordo deve essere quello di una cooperazione reale – contrariamente a un normale appalto pubblico. Se un’amministrazione aggiudicatrice assegna unilateralmente un compito ad un’altra, ciò non può essere considerata una cooperazione. “La cooperazione è retta da considerazioni relative al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Essa può pertanto comportare diritti e obblighi reciproci, ma non trasferimenti finanziari tra le parti cooperanti pubbliche, ad esclusione di quelli corrispondenti al rimborso dei costi effettivi dei lavori/servizi/forniture: la fornitura di servizi dietro remunerazione è una caratteristica degli appalti pubblici soggetti alle norme UE in materia” (come indicato dal documento della Commissione europea sopra menzionato).

La cooperazione dovrebbe essere retta unicamente da considerazioni di interesse pubblico. Essa, pertanto, non sarebbe così qualificabile se determinata in via principale da considerazioni di tipo commerciale. Le parti cooperanti, pertanto, non dovrebbero, in linea di principio, svolgere attività di mercato nel quadro della cooperazione. In altre parole, il servizio che costituisce l’oggetto della cooperazione non dovrebbe essere offerto sul mercato” (documento Commissione europea  4/10/2011 n. SEC(2011)1169).

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Questo articolo è stato scritto da...

Beatrice Corradi
Dott.ssa Beatrice Corradi
Dirigente del Servizio Provveditorato, Affari generali e Gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Liguria
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