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( votes)CENNI INTRODUTTIVI
In linea generale, lo schema di contratto predisposto dalla stazione appaltante, nella parte in cui regola sia i ritardi (nei pagamenti e nell’avvio dell’esecuzione del contratto) per colpa dell’ente pubblico committente, sia le conseguenze dell’inadempimento e del ritardato adempimento imputabili all’affidatario della commessa, soggiace alla disciplina vigente in materia, compendiata nel D.Lgs. n. 163/2006, nel D.P.R. n. 207/2010 e nel D.Lgs. n. 231/2002.
Ciò non esclude che le parti, nell’esercizio della c.d. autonomia negoziale, possano stabilire – entro determinati limiti – condizioni diverse e, per ipotesi, più onerose per l’aggiudicatario dell’appalto rispetto a quanto previsto dal Codice dei contratti pubblici, dal relativo Regolamento di attuazione, nonché dalla normativa sui ritardati pagamenti.
E’ quindi essenziale conoscere i referenti in tema di esecuzione degli appalti al duplice scopo di stabilire se le clausole contrattuali che l’amministrazione aggiudicatrice intenda articolare siano ad essi coerenti oppure se ne discostino, e, in quest’ultimo caso, valutare se le difformità rilevabili siano suscettibili di incidere o meno sulla validità delle clausole stesse.
Ai fini di una corretta impostazione della problematica, occorre distinguere a seconda che il ritardato (o inesatto) adempimento delle obbligazioni contrattuali sia attribuibile alla stazione appaltante, oppure all’esecutore dell’appalto.
I ritardi nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali imputabili alla stazione appaltante.
La disciplina di settore deve essere esaminata sotto il duplice profilo del ritardo nei pagamenti (A) e del ritardato avvio dell’esecuzione del contratto (B), entrambi per colpa della stazione appaltante.
A.1 Per quanto concerne il primo degli indicati profili, la normativa di riferimento, com’è noto, è costituita dal D.Lgs. n. 231/2002 (di recepimento della precedente direttiva 2000/35/CE) e prevede, in sintesi:
- la decorrenza automatica degli interessi moratori dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, fissato – salva diversa pattuizione – in trenta giorni, senza necessità di costituzione in mora (art. 4);
- la determinazione legale degli interessi moratori in misura pari al saggio di interesse del principale strumento di rifinanziamento della BCE, applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale, effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione maggiorato di sette punti percentuali, salvo diverso accordo tra le parti (art. 5);
- il risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte, salva la prova del maggior danno (art. 6);
- la nullità di ogni accordo in deroga alle disposizioni del D.Lgs. n. 231/2002 che risulti gravemente iniquo per il creditore (art. 7);
- il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità dell’accordo derogatorio e di modificare il contenuto del contratto applicando i termini legali o riconducendolo ad equità, avendo riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale e ad altre circostanze connotanti il caso concreto (art. 7 cit.).
A.2 Le disposizioni sopra richiamate si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una “transazione commerciale”, per tale dovendosi intendere (secondo quanto stabilito dall’art. 2, comma 1, lett. a, D.lgs. n. 231/2002 cit.), “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”.
Il regime delineato dal D.Lgs. n. 231/2002, pertanto, si estende anche ai contratti tra imprese e Pubblica Amministrazione.
A.3 Proprio con riferimento ai ritardati pagamenti nell’ambito delle commesse pubbliche è intervenuta l’Autorità di Vigilanza, la quale, con Determinazione n. 4 del 7 luglio 2010,ha precisato che le stazioni appaltanti sono obbligate ad attenersi, nella predisposizione dei documenti di gara attinenti ai contratti pubblici di servizi e forniture, alle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 231/2002 quanto a termini di pagamento, decorrenza degli interessi moratori e saggio di interessi in caso di ritardo.
L’intervento dell’Autorità si è reso necessario in quanto presso talune stazioni appaltanti è invalsa la prassi – illegittima – di individuare unilateralmente (nella lex specialis di gara o nell’ambito del contratto d’appalto) termini di pagamento e tassi di interesse moratorio derogatori rispetto a quelli previsti dal citato D.Lgs. n. 231/2002, in danno del contraente privato.
L’Autorità di Vigilanza ha, altresì, evidenziato che talune Amministrazioni sono solite includere la proposta relativa a termini di pagamento in deroga al D.Lgs. n. 231/2002 tra i criteri di valutazione delle offerte (attribuendo un maggiore punteggio al concorrente che offra tempi di pagamento più lunghi di quelli normativamente prescritti); prassi, questa, qualificata dall’organo di vigilanza – ancora una volta – illegittima, oltre che produttiva di effetti deleteri nell’attuale congiuntura economica.
A.4 La natura imperativa del sistema regolato dal D.Lgs. n. 231/2002, del resto, è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa.
Il Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 469 del 2 febbraio 2010), infatti, ha ritenuto invalide le clausole del bando e del contratto che prevedano termini di pagamento, decorrenza degli interessi e relativo tasso difformi rispetto a quanto disposto dagli artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 231/2002:
“L’amministrazione pubblica non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio stesso inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato pagamento) né potrebbe subordinare la possibilità di partecipare alle gare alla accettazione di clausole aventi simili contenuti, se non a costo di ricadere sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà, mancanza di specifica approvazione a seguito di trattative (…). Non può sostenersi la prevalenza di tali clausole rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria: a parte il valore di supremazia della disciplina di derivazione comunitaria, oltre che della normativa nazionale imperativa, vale il principio per cui il contratto obbliga le parti non solo alle regole previste dal medesimo, ma anche al rispetto delle regole imperative e a tutto ciò che deriva dalla legge, dagli usi o dalla equità (articoli 1339, 1419, 1418 e 1374 del codice civile”.
A.5 L’applicabilità della disciplina contenuta nel D.Lgs. 231/2002 ai contratti pubblici di servizi e forniture è stata, infine, ribadita dall’art. 307, comma 2, del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207): “I pagamenti sono disposti nel termine indicato dal contratto … Nel caso di ritardato pagamento si applica quanto previsto dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231”.
A.6 In detto contesto si inserisce la nuova direttiva di contrasto al fenomeno dei ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali (2011/7/UE del 16 febbraio 2011), pubblicata sulla G.U.U.E. del 23 febbraio 2011, la quale reca norme sufficientemente puntuali e dettagliate, tali quindi da potersi ritenere auto-applicative. Ne consegue che esse potranno trovare autonoma ed immediata operatività, nei confronti della Pubblica Amministrazione, anche se l’ordinamento nazionale non dovesse tempestivamente attuarne il recepimento (entro il 16 marzo 2013).
I profili di rilevante novità sono i seguenti.
A.6.I La facoltà di estendere le modalità temporali di pagamento soggiace ad un limite massimo
L’art. 4, intitolato “Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni”, in analogia a quanto prescriveva la direttiva 2000/35/CE, fissa in trenta giorni “di calendario” il termine per il pagamento dei crediti della P.A. Tuttavia, mentre la direttiva 2000/35/CE prevedeva ampie possibilità di derogare convenzionalmente a detto termine con l’unico limite – da valutare in relazione alle contingenze del caso – di un accordo che risulti “gravemente iniquo per il creditore”, l’art. 4, comma 6, della nuova direttiva obbliga gli Stati membri ad assicurare che “il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi il termine di cui al paragrafo 3 [trenta giorni], se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non superi comunque sessanta giorni di calendario”.
A.6.II Incremento del tasso degli interessi moratori
Nella prospettiva tesa a rafforzare la tutela del creditore viene introdotto l’aumento di un punto percentuale del saggio degli interessi moratori da corrispondere in caso di ritardato pagamento: infatti, mentre l’art. 2 punto 6 della nuova direttiva definisce gli “interessi legali di mora” come “interessi semplici di mora ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di almeno otto punti percentuali”, l’art.5 del D.Lgs. n. 231/2002 quantifica la maggiorazione in soli sette punti percentuali.
A.7
In definitiva, muovendo dai principi elaborati dalla giurisprudenza:[1]
- è invalida ogni clausola contrattuale relativa ai termini per il pagamento del corrispettivo e alla decorrenza degli interessi moratori che preveda regole diverse rispetto a quelle imperative (cioè stabilite ex lege), le quali si sostituiscono automaticamente a quelle invalide;
- è illegittima ogni esclusione basata sulla non accettazione o sull’espresso dissenso, da parte di un’impresa partecipante, di una clausola contrattuale invalida (per contrasto con gli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 231/2002);
- la deroga alle norme imperative citate postula una specifica trattativa sul punto, che evoca un concetto di “contatto di tipo precontrattuale” ex se non rinvenibile nella mera presentazione dell’offerta.
B. Venendo alla diversa fattispecie relativa al ritardato avvio dell’esecuzione per fatto o colpa della stazione appaltante, l’art. 302, comma 5, D.P.R. n. 207/2010 stabilisce che l’esecutore possa chiedere di recedere dal contratto, ponendo una differente regolamentazione a seconda che detta istanza sia accolta o meno.
Nel primo caso, all’esecutore viene riconosciuto il diritto al rimborso di tutte le spese contrattuali, nonché di quelle effettivamente sostenute e documentate, ma in misura non superiore ai limiti fissati dall’art. 305, comma 1, D.P.R. n. 270/2010.
Nell’ipotesi in cui, invece, l’istanza di recesso non sia accolta e si proceda tardivamente all’avvio dell’esecuzione del contratto, all’esecutore compete il risarcimento del danno dipendente dal ritardo “pari all’interesse legale calcolato sull’importo corrispondente alla produzione giornaliera, determinata sull’importo contrattuale dal giorno di notifica dell’istanza di recesso alla data di avvio dell’esecuzione del contratto” (artt. 302, comma 5, e 305, comma 2, D.P.R. n. 207/2010).
Il ritardato o inesatto adempimento delle obbligazioni contrattuali imputabile al soggetto esecutore
a In tema di ritardato adempimento dell’obbligazione assunta dal soggetto esecutore di forniture (o servizi), vengono in rilievo, oltre alla norma generale di cui all’art. 136 commi 4, 5 e 6 del D.Lgs. n. 163/2006, gli artt. 298 commi 1 e 2, 145 comma 3, 303 comma 1 del D.P.R. n. 207/2010.
Sul punto, è opportuno procedere ad una ricognizione delle ipotesi che legittimano l’avvio dell’iter finalizzato allo scioglimento anticipato del vincolo negoziale c.d. in “autotutela”, cioè ad iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice, per colpa del contraente privato, senza necessità di previo ricorso all’autorità giudiziaria.
a.1 La prima ipotesi concerne i ritardi reiterati nella consegna rispetto al termine convenuto che determinino l’applicazione di penali per un importo massimo (complessivamente inteso) superiore al dieci per cento dell’importo contrattuale: a fronte di detti ritardi, invero, il responsabile del procedimento formula la proposta di risoluzione del contratto per grave inadempimento (art. 298 comma 2, D.P.R. n. 270/2010).
Si rammenta, al riguardo, che la penale è quantificata ex lege in misura giornaliera compresa tra lo 0,3 per mille e l’1 per mille dell’ammontare netto del contratto e, comunque, complessivamente non superiore al dieci per cento (artt. 298 comma 1 e 145 comma 3, D.P.R. n. 207/2010);
a.2 Altra ipotesi prevista dall’ordinamento in cui la stazione appaltante può procedere alla risoluzione (sempre senza intermediazione del giudice) è quella in cui l’affidatario non ottemperi alle istruzioni e direttive impartitegli per l’avvio dell’esecuzione del contratto (art. 303 comma 1, D.P.R. n. 2017/2010). Scopo della norma è quello di sanzionare l’inerzia del privato contraente che ometta negligentemente di attivarsi sin dalla fase attuativa iniziale del rapporto obbligatorio.
a.3 In tutti gli altri casi, a fronte della scadenza del termine pattuito per l’esecuzione della prestazione (ad es. nei contratti di durata), la stazione appaltante (mediante il responsabile del procedimento che, di norma, negli appalti di forniture e servizi coincide con il c.d. direttore dell’esecuzione del contratto[2]) fissa un termine non inferiore a quindici giorni per compiere in ritardo la consegna, decorso inutilmente il quale (cioè persistendo l’inadempimento), viene deliberata – sempre unilateralmente in forza della c.d. “autotutela” – la risoluzione ex art. 136 commi 4, 5, 6, D.Lgs. n. 136/2006. Disciplina, quest’ultima, che pur essendo dettata specificamente per i lavori, appare analogicamente estensibile alle forniture (e ai servizi) in coerenza alla finalità ispiratrice del Codice, che è quella di introdurre una regolamentazione omogenea ed uniforme per tutti gli appalti pubblici, indipendentemente dall’oggetto.
Ne consegue che una clausola contenuta nello schema di contratto che si discosti dai parametri normativi surriferiti potrebbe anche essere rifiutata dal soggetto esecutore (salvo che l’accettazione sia già avvenuta all’atto della presentazione dell’offerta in sede di gara); ovvero potrebbe essere accettata condizionatamente ad una modifica in senso conforme alla disciplina delineata dal D.P.R. n. 207/2010. Ciò considerando la gravità della risoluzione contrattuale, che giustifica l’escussione della cauzione definitiva ex art. 113, D.Lgs. n. 164/2006.
b) Per quanto riguarda la responsabilità connessa all’inesatta esecuzione della prestazione contrattuale (es. fornitura di prodotti difettosi), il potere di supremazia speciale che il sistema giuridico conferisce alla stazione appaltante, espresso nella ripetuta “autotutela”, deve essere esercitato nel rispetto dell’ineludibile regola del contradditorio.
Pertanto, qualora in sede di verifica di conformità (anche in corso di esecuzione del contratto ex art. 313 commi 2 e 3, D.P.R. n. 207/2010), emergano ad esempio presunti vizi o difetti della fornitura, l’amministrazione aggiudicatrice, che deve avere già invitato a presenziare al suddetto controllo il soggetto esecutore, redigerà apposito processo verbale, ai sensi dell’art. 317, D.P.R. n. 207/2010, consentendo all’esecutore stesso di svolgere tutte le controdeduzioni che riterrà opportune. Ad esse, l’ente pubblico committente dovrà contrapporre (prima di assumere qualsiasi determinazione) argomentazioni motivate e suffragate da idonei elementi tecnici di riscontro, anche al fine di scongiurare il rischio di eventuali responsabilità erariali.
[1] Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 469 cit.
[2] Art. 300 comma 1 e art. 326 comma 2 del D.P.R. n. 207/2010.