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1. I tratti distintivi dell’affidamento “in house”

Con l’espressione affidamento “in house” si designa l’eventualità in cui un soggetto tenuto all’espletamento della procedura ad evidenza pubblica, derogando all’obbligo di ricorrere al libero mercato affidando all’esterno determinate prestazioni previa gara, provvede in proprio (ossia in house) all’esecuzione delle stesse, affidando l’esecuzione dell’appalto o la titolarità del servizio ad altro soggetto giuridico, senza indire alcuna procedura competitiva.

Si tratta, in definitiva, di un modello organizzativo in cui la pubblica amministrazione provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici. Va tuttavia precisato che un affidamento in house è tale soltanto se l’entità giuridica a cui viene attribuita la titolarità del servizio sia legata alla stazione appaltante da vincoli talmente serrati da non rendere esistente, nella sostanza, una duplicità di soggetti fra pubblica amministrazione e affidatario. In una tale situazione, l’obbligo di indire una gara a evidenza pubblica viene meno in quanto la pubblica amministrazione non affida il servizio a un terzo, ma a se stessa, o meglio a una propria articolazione che, pur assumendo una veste formale di soggetto terzo, rimane inscindibilmente legata alla stazione appaltante.

La locuzione “affidamento in house” presuppone quindi una particolare situazione: quella di un legame strettissimo fra affidante e affidatario. E tale legame dovrebbe consentire un legittimo affidamento diretto dell’appalto o del servizio, ed attiene in primo luogo alla struttura del rapporto che si crea fra pubblica amministrazione affidante e affidatario, e non alla legittimità dell’affidamento diretto. Tale eventuale legittimità, ossia la possibilità che la pubblica amministrazione non proceda ad indire una gara, ma affidi direttamente il servizio, è una conseguenza dell’esistenza del rapporto in house.

Con l’espressione affidamento “in house” si designa l’eventualità in cui un soggetto tenuto all’espletamento della procedura ad evidenza pubblica, derogando all’obbligo di ricorrere al libero mercato affidando all’esterno determinate prestazioni previa gara, provvede in proprio (ossia in house) all’esecuzione delle stesse, affidando l’esecuzione dell’appalto o la titolarità del servizio ad altro soggetto giuridico, senza indire alcuna procedura competitiva.  

L’affidamento in house, costituendo un’eccezione all’affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica, implica il rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità derivanti in primo luogo dall’art. 97 della Costituzione, che testualmente dispone infatti che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

Attraverso il processo di integrazione europea, e quindi attraverso il sempre più pregnante ruolo delle istituzioni comunitarie, la materia è stata profondamente incisa dalle disposizioni normative di origine comunitaria, le quali, sotto vari profili, hanno condotto ad un’importante conseguenza in capo agli stati membri, i quali sono obbligati a dettare una disciplina normativa che, in definitiva, incentivi la concorrenza fra privati. In quest’ottica, quindi, l’ordinamento comunitario veicola la necessità che, in linea generale, le amministrazioni pubbliche procedano – in conformità ai su esposti principi di trasparenza e imparzialità ad affidare l’esecuzione di contratti di appalto e di servizi pubblici (servizi di interesse generale, nella terminologia comunitaria) tramite gara ad evidenza pubblica.

L’evoluzione della normativa comunitaria – e l’evoluzione dell’ordinamento interno, sospinta anche dal recepimento delle fonti normative comunitarie e dagli impulsi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – ha però condotto all’individuazione di specifiche deroghe al principio di concorrenza, e fra di esse il modello dell’in house costituisce senz’altro un rilevante punto di snodo.

Tale modalità di affidamento consiste, come si è già parzialmente avuto modo di dire, nell’affidamento di una data attività a un soggetto che, solo apparentemente – ossia solo nelle forme, ma non nella sostanza – si distingue dall’amministrazione che affida il servizio.

In altri termini – cercando di semplificare quanto più possibile il meccanismo e la logica dell’in house – è l’ipotesi in cui un soggetto pubblico controlla da vicino un altro soggetto, e quindi, data la sostanziale inesistenza di una distinzione fra i due enti, il primo può legittimamente affidare l’esecuzione dell’attività al secondo, senza obbligo di gara, in quanto, in realtà è sempre lui stesso che svolge il servizio.

La portata del fenomeno dell’in house è infine sfociata nella constatazione che esso – pur costituendo una deroga al principio dell’evidenzia pubblica – non costituisce un modello eccezionale di affidamento di appalti e servizi, essendo, invece, un modello organizzativo che le pubbliche amministrazioni possono assumere in via ordinaria, viepiù (come vedremo) con l’introduzione del “nuovo” Codice dei contratti (D.lgs. 36/2023), che pare averne semplificato, ed anche incentivato, l’utilizzo.

2. Le origini dell’istituto ed il suo inserimento nell’ordinamento nazionale

E’ stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia a individuare i presupposti in ragione dei quali possa dirsi sussistente quello strettissimo legame fra soggetto affidante e soggetto affidatario che, in definitiva, fa ritenere che non si tratti di due soggetti distinti.

I criteri individuati dalla giurisprudenza comunitaria hanno poi trovato un riscontro nel diritto nazionale nell’ambito del settore dei servizi pubblici locali.

A seguito delle modifiche intervenute all’art. 113 del d.lgs. 267/2000 nel corso del 2003, esso prevedeva, fino all’abrogazione di tale disposizione, al comma 5, lett. c), che un servizio pubblico locale possa essere direttamente affidato “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Il legislatore nazionale aveva quindi trasfuso all’interno della disciplina dei servizi pubblici locali il portato della giurisprudenza comunitaria in tema di affidamento in house.

Sul punto, tuttavia, occorre evidenziare che la stessa giurisprudenza comunitaria (v. ex multis Corte di Giustizia sentenza Teckal C-107/98) ha proceduto a meglio circoscrivere il fenomeno dell’in house, stabilendo, in sintesi, che tale fenomeno sussiste (e quindi è legittimo un affidamento diretto) solo se:

– il capitale dell’affidatario sia totalmente pubblico, e sia statutariamente esclusa la possibilità di un ingresso di capitale privato nella compagine societaria;

La giurisprudenza comunitaria (v. ex multis Corte di Giustizia sentenza Teckal C-107/98) ha proceduto a meglio circoscrivere il fenomeno dell’in house, stabilendo, in sintesi, che tale fenomeno sussiste (e quindi è legittimo un affidamento diretto) solo se: – il capitale dell’affidatario sia totalmente pubblico, e sia statutariamente esclusa la possibilità di un ingresso di capitale privato nella compagine societaria; – il “controllo analogo” si estrinsechi in forme di condizionamento ulteriori e più incisive rispetto ai “normali” poteri di un socio di maggioranza.

– il “controllo analogo” si estrinsechi in forme di condizionamento ulteriori e più incisive rispetto ai “normali” poteri di un socio di maggioranza.

Con l’entrata in vigore delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE la materia ha trovato una nuova fonte normativa, poiché il legislatore comunitario ha voluto inserire in disposizioni di diritto positivo quello che era l’orientamento giurisprudenziale comunitario sul tema.

Il legislatore italiano, da parte sua, nel recepire le nuove direttive in materia di appalti pubblici, ha inserito anch’esso all’interno del D.Lgs. 50/2016 una specifica disciplina dell’istituto – ricalcando fedelmente quanto già stabilito dalle direttive comunitarie.

Al riguardo, occorre sottolineare come gli articoli del D.Lgs. 50/2016 dedicati all’in house providing siano due: l’art. 5 (che definisce le tipologie di in house providing possibili e ne precisa i requisiti) e l’art. 192 (il quale prevede l’istituzione di uno specifico registro a cura di ANAC nel quale debbano essere iscritte le stazioni appaltanti che si avvalgono di affidamento in house).

Per quanto riguarda le tipologie di affidamenti in house, l’art. 5 citato prevede adesso in modo espresso che possa darsi seguito ad affidamenti in house:

– da parte di una amministrazione aggiudicatrice a favore di un soggetto da essa controllato;

– da parte del soggetto controllato a favore dell’amministrazione che lo controlla;

– da parte di una amministrazione aggiudicatrice a favore di un soggetto indirettamente controllato;

– da parte del soggetto controllato a favore di un altro soggetto controllato dalla medesima amministrazione aggiudicatrice.

Viene inoltre sancito espressamente che il controllo può essere “condiviso” da più amministrazioni le quali controllino congiuntamente il medesimo soggetto affidatario.

Per quanto riguarda i requisiti che debbano sussistere per aversi un corretto affidamento in house vengono ripetuti i tre “tradizionali” requisiti del capitale pubblico, dello svolgimento di attività prevalentemente per gli enti controllanti e del “controllo analogo”.

3. Il vaglio della Corte di Giustizia UE

La disciplina nazionale sull’affidamento in house è passata spesso al vaglio della Corte di Giustizia UE. Significativa l’ordinanza della Corte di Giustizia, sez. IX, 6 febbraio 2020, nelle cause riunite C-89/19 e C-91/19, dove la Corte si è pronunciata sulle due questioni pregiudiziali poste dalla V sezione del Consiglio di Stato in materia di Società in house (con ordinanze di remissione n.138 del 7 gennaio 2019, n. 293 del 14 gennaio 2019 e n. 296 del 15 gennaio 2019).

Nel caso in esame, la ricorrente contestava la legittimità dell’affidamento diretto in house del servizio di igiene urbana, da parte di alcuni Comuni, ad una Società interamente partecipata da Amministrazioni comunali.

Tale Società era caratterizzata dalla compresenza di “soci pubblici affidanti”, che esercitano il controllo analogo ed affidano in house il servizio alla partecipata; e “soci pubblici non affidanti” che non esercitano il controllo analogo e, quindi, detengono la partecipazione nella prospettiva di affidare il servizio solo in futuro.

Con la prima questione, il Consiglio di Stato ha chiesto al Giudice euro-unitario se una norma interna, quale l’art. 192 del Codice dei contratti pubblici (che subordina l’affidamento in house alla presenza di condizioni stringenti), sia compatibile con il diritto euro-unitario.

Il Giudice nazionale infatti sottolineava che l’art. 192 del Codice assegnerebbe all’affidamento in house natura “derogatoria” rispetto al ricorso al mercato; ammettendone l’esperibilità solo: i) in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante; ii) a fronte di un onere motivazionale rafforzato.

Il che si sarebbe posto in contrasto con i principi euro-unitari di libertà delle scelte organizzative delle Pubbliche Amministrazioni (cfr. considerando § 5 Direttiva 2014/13 UE e 2014/14 UE) e con l’art. 12, par. 3, della Direttiva 2014/24 UE; la quale – escludendo dal suo ambito di applicazione gli appalti aggiudicati secondo il modello in house – avrebbe posto tali affidamenti su un piano paritetico rispetto al ricorso al mercato.

Con la seconda questione, il Consiglio di Stato aveva sollevato dubbi sulla compatibilità dell’art. 4 co. 1 del Testo Unico delle società partecipate (D.lgs. 175/2016) con l’art. 12 par. 3 della Direttiva 2014/24 UE.

Secondo il Consiglio di Stato, la norma interna consente ad una P.A. di detenere partecipazioni in Società in house solo se la P.A. eserciti il controllo analogo su tale Società e le affidi, contestualmente, il servizio.

Muovendo da tale interpretazione, il Giudice nazionale ha ritenuto dubbia la compatibilità del riferito meccanismo con i principi euro-unitari; soprattutto perché il controllo analogo e l’affidamento diretto ben potrebbero seguire l’acquisto della partecipazione societaria.

In tal quadro, la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla prima questione sancendo che – in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della Direttiva 2014/14 UE è indifferente per l’ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell’economicità e dell’efficienza del modello dell’autoproduzione rispetto al ricorso mercato.

Con il corollario che l’art. 192 del Codice dei Contratti, laddove sottopone a stringenti vincoli la scelta di ricorrere agli affidamenti in house, non presterebbe il fianco a dubbi di compatibilità con l’ordinamento sovranazionale.

la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della Direttiva 2014/14 UE, è indifferente per l’ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell’economicità e dell’efficienza del modello dell’autoproduzione rispetto al ricorso mercato.

Anche con riguardo alla seconda questione, la Corte di Giustizia ha sostanzialmente ritenuto che il profilo individuato dal Consiglio di Stato esuli dagli aspetti disciplinati dalla Direttiva 2014/24 UE.

Infatti, la Corte di Giustizia si è limitata ad osservare che l’art. 12 par. 3 della Direttiva 2014/24 UE, nel disciplinare le condizioni in presenza delle quali un’Amministrazione può ricorrere all’affidamento in house a favore di un organismo pluripartecipato da Amministrazioni pubbliche, richiede l’esercizio del controllo analogo congiunto, senza alcuna indicazione sulle modalità di acquisizione delle partecipazioni.

Sicché la scelta operata con il Testo Unico delle società partecipate come interpretato dal Giudice remittente, tesa a subordinare la partecipazione societaria alla contestuale sussistenza del controllo analogo e dell’affidamento in house del servizio alla partecipata, appare indifferente per l’ordinamento euro-unitario.

In definitiva, l’ordinanza in rassegna costituisce un ulteriore passo nell’ambito del vivace dibattito sulla natura del modello in house rispetto al ricorso al mercato, nonché sulle concrete modalità con cui un Ente pubblico può programmare l’acquisto di partecipazioni in Società pubbliche.

Quanto al primo aspetto, la Corte di Giustizia ha offerto lo spunto per inquadrare la questione da una prospettiva più ampia: quel che rileva pare essere la scelta compiuta a monte dallo Stato membro; il quale, nell’esercizio della capacità di autodeterminarsi, può sottoporre a condizioni specifiche il ricorso all’in house, anziché al mercato.

Il secondo aspetto desta qualche perplessità ove si ritenga che una pubblica amministrazione debba contestualmente deliberare l’acquisizione della partecipazione e l’affidamento del servizio; dato che questi adempimenti spesso vengono posti in essere, per ragioni logiche e pratiche, in una prospettiva non contestuale.

4. Il “controllo analogo” e il “controllo analogo congiunto” nella prassi applicativa e giurisprudenziale

Il 2° comma dell’art. 5 del D.lgs. 50/2016 dispone che “un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (…) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata”.

Nelle linee guida n. 7/2017 ANAC ha individuato al punto 6.3.2 elementi idonei, a titolo esemplificativo, a configurare il controllo analogo.

Tali elementi consistono nelle seguenti ipotesi:

È bene tuttavia precisare, per dovere di completezza, che quanto ai requisiti sostanziali necessari per procedere all’affidamento in house, individuati nelle Linee Guida, il Consiglio di Stato, con il parere n. 282/2017 (cfr. Cds, comm. spec. 1.02.2017), ha sottolineato che i parametri ANAC “sono esemplificativi e non fissano un griglia esaustiva” poiché altrimenti si configurerebbe una modifica o una integrazione delle “regole elastiche fissate dalla legge”.

Con particolare riferimento al controllo analogo è stato altresì precisato che l’esercizio del controllo analogo sulla società in house “deve essere effettivo, strutturale e funzionale”: ciò significa che, al di là della partecipazione pubblica totalitaria e dell’influenza determinante, l’amministrazione affidante deve esercitare poteri di controllo, di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario (v. Cds, Sez. I, 7.05.2019, n. 883). Inoltre, la sussistenza dei requisiti del controllo analogo deve essere verificata in concreto, ovvero analizzando se, sulla base dei diritti amministrativi inerenti allo strumento partecipativo, sussiste effettivamente un potere di controllo (v. Cds, Sez. V, 16.11.2018, n. 6456).

E’ stato peraltro ribadito che ribadito che un assetto societario che si limiti a riflettere quello di diritto comune proprio delle società di capitali e che, in particolare, ammetta l’ingresso nel capitale sociale di soci privati sino alla detenzione di metà del capitale sociale e non preveda forme di rappresentanza degli enti pubblici “impedisce di realizzare il necessario controllo analogo tra ente pubblico affidane e società affidataria, controllo che implica l’attribuzione ai singoli enti pubblici soci, al di là del numero di azioni possedute, di poteri penetranti di controllo sull’andamento della società e sull’approvazione degli atti fondamentali della medesima”. (cfr. TAR Lombardia – 6.07.2019, n. 1558)

Accanto al descritto controllo analogo “ordinario”, vi è il controllo analogo “congiunto”, che trova definizione all’art. 5, 5° comma, D.lgs. 50/2016 a norma del quale “Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

Il Codice degli Appalti quindi non solo positivizza l’esercizio congiunto del controllo analogo da parte di più amministrazioni, ma ne definisce anche i requisiti al fine di verificarne la sussistenza.

Tale forma di controllo analogo viene in considerazione nell’ipotesi in cui la società affidataria sia partecipata da più amministrazioni e queste esercitino congiuntamente tra loro un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (in tal senso si esprime la definizione di “controllo analogo congiunto” di cui all’art. 2, 1° comma, lett. d del D.lgs.175/2016).

Devono ritenersi sussistenti tutti i requisiti individuati dal comma 5, art. 5, lettere ‘a’, ‘b’ e ‘c’, d.lgs. n. 50 del 2016, per potersi legittimamente disporre l’affidamento diretto di un servizio, nel caso di controllo analogo congiunto e di affidamento in house di servizi da parte di pubbliche amministrazioni, quale modalità di gestione alternativa all’esternalizzazione, nella quale i servizi pubblici vengono affidati ad un soggetto che, sia pur formalmente distinto dall’amministrazione agente e avente di regola forma societaria, è nella sostanza a essa riconducibile, poiché la pubblica amministrazione vi esercita un controllo analogo a quello posto in essere sui propri servizi interni (v. TAR LOMBARDIA, SEZ. IV, 12.6.2023 n. 1441) IV, 12.6.2023 n. 1441)  

Anche nel caso del controllo analogo congiunto il controllo esercitato dalla pluralità degli enti pubblici deve essere più pregnante di quello normalmente concesso dalla disciplina societaria.

Sul punto, recentemente, la giurisprudenza ha confermato che devono ritenersi sussistenti tutti i requisiti individuati dal comma 5, art. 5, lettere ‘a’, ‘b’ e ‘c’, d.lgs. n. 50 del 2016, per potersi legittimamente disporre l’affidamento diretto di un servizio, nel caso di controllo analogo congiunto e di affidamento in house di servizi da parte di pubbliche amministrazioni, quale modalità di gestione alternativa all’esternalizzazione, nella quale i servizi pubblici vengono affidati ad un soggetto che, sia pur formalmente distinto dall’amministrazione agente e avente di regola forma societaria, è nella sostanza a essa riconducibile, poiché la pubblica amministrazione vi esercita un controllo analogo a quello posto in essere sui propri servizi interni. Proprio in virtù di questa sostanziale coincidenza soggettiva, l’affidamento prescinde dall’espletamento di procedure concorsuali di selezione del contraente (v. TAR LOMBARDIA, SEZ. IV, 12.6.2023 n. 1441)

5. L’affidamento in house nel “nuovo” Codice dei contratti (D.lgs. 36/2023)

Il nuovo Codice dei Contratti, le cui disposizioni sono in vigore da pochi giorni, in una complessiva ottica di snellimento delle procedure di scelta del contraente, sembra aver voluto semplificare (anche) il ricorso agli affidamenti in house.

In particolare, l’art. 7, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 36/2023 consente l’affidamento in house, apparentemente senza i vincoli del precedente art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016.

In particolare:

1. Le pubbliche amministrazioni organizzano autonomamente l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso l’auto-produzione, l’esternalizzazione e la cooperazione nel rispetto della disciplina del codice e del diritto dell’Unione europea.

2. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano per ciascun affidamento un provvedimento motivato in cui danno conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche. In caso di prestazioni strumentali, il provvedimento si intende sufficientemente motivato qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici. I vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza, con i parametri ufficiali elaborati da altri enti regionali nazionali o esteri oppure, in mancanza, con gli standard di mercato.

3. L’affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale è disciplinato dal decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201.

il principio di auto-organizzazione amministrativa fissato nell’art. 7 del D.lgs. 36/2023, anche in relazione agli affidamenti in house, ha una portata molto ampia e comporta che ogni ente disponga della massima autonomia nello stabilire le modalità attraverso cui garantire l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi alla propria collettività.

Come emerge dal disposto normativo sopra riportato, il principio di auto-organizzazione amministrativa ha una portata molto ampia e comporta che ogni ente disponga della massima autonomia nello stabilire le modalità attraverso cui garantire l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi alla propria collettività, nel rispetto dei seguenti principi:

– Principio del risultato: è disciplinato dall’art. 1 del nuovo codice e rappresenta una delle novità più impattanti dello stesso; si traduce nel perseguire la massima tempestività nell’affidamento ed esecuzione di un contratto pubblico ricercando il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza; il principio del risultato, secondo il legislatore, costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. – Principio della fiducia: è disciplinato dall’art. 2 del nuovo codice ed è finalizzato a favorire e valorizzare l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato;

– Principio dell’accesso al mercato: è disciplinato dall’art. 3 del nuovo codice e richiede di favorire, da parte delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità.

Vi sarà dunque da verificare, nei prossimi mesi e nella prassi applicativa, se e quali criticità emergeranno nei nuovi affidamenti in house, soprattutto alla luce della maggiore elasticità concessa alle pubbliche amministrazioni nello scegliere la tipologia di affidamento e dei criteri (apparentemente) meno stringenti previsti dal nuovo Codice.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Riccardo Gai
Esperto in materia di appalti pubblici
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