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( votes)Limiti di spesa – Gli accertamenti da esperire a cura del responsabile del procedimento di affidamento di una gara per alcune voci di spesa, nell’ambito anche della relativa programmazione e previsione di spesa
1. I presupposti normativi finalizzati al contenimento della spesa pubblica
Il miglioramento dei meccanismi di controllo della spesa pubblica ha costituito uno dei principali obiettivi di politica economica dell’ultimo decennio, come risulta dalle norme adottate, dalla giurisprudenza consolidata e dagli studi operati, tra l’altro, dagli Uffici della Camera dei Deputati – Bilancio, Politica economica e finanza pubblica.
Il miglioramento dei meccanismi di controllo della spesa pubblica ha costituito uno dei principali obiettivi di politica economica dell’ultimo decennio, come risulta dalle norme adottate, dalla giurisprudenza consolidata e dagli studi operati, tra l’altro, dagli Uffici della Camera dei Deputati – Bilancio, Politica economica e finanza pubblica.
Il controllo della spesa costituisce un importante strumento per il reperimento di risorse pubbliche anche ai fini del rilancio della crescita del nostro Paese. La necessità di un’analisi dei meccanismi che incidono sull’andamento della spesa pubblica e l’esigenza di individuare interventi mirati al suo contenimento e ad una progressiva riqualificazione hanno assunto, a partire dal 2007, un rilievo crescente nelle decisioni di finanza pubblica. Tra gli obiettivi previsti dalla spending review vi è quello di superare il criterio dei tagli lineari alle dotazioni di bilancio ed il criterio della “spesa storica”. In particolare, con il processo di revisione della spesa, <<si intende superare il tradizionale approccio “incrementale” nelle decisioni di bilancio, in base al quale, storicamente, si è registrata la tendenza a concentrarsi sulle nuove iniziative di spesa, ovvero sulle risorse (aggiuntive) da destinare ai programmi di spesa già in atto, piuttosto che sulle analisi di efficienza, efficacia e congruità con gli obiettivi della spesa in essere>> (dossier degli Uffici dalla Camera dei Deputati – Bilancio, Politica economica e finanza pubblica, 26 marzo 2019).
Le pubbliche amministrazioni sono, quindi, da tempo soggette ad un regime di verifica e riduzione delle spese introdotto dal legislatore con l’obiettivo prioritario del risanamento dei conti pubblici e del rispetto del patto di stabilità interno, ma anche di valorizzazione della trasparenza, razionalizzazione della spesa ed uniformità della medesima a livello nazionale. La categoria di spesa per consumi intermedi è quella sulla quale si sono quindi concentrate le misure di contenimento adottate nel corso della XVI legislatura.
Infatti, essa rappresenta una delle principali voci di uscita relative al funzionamento delle amministrazioni pubbliche e nel corso del tempo, ha subito un andamento incrementale.
Il legislatore è più volte intervenuto, da un lato rendendo più stringenti le misure di contenimento già adottate nelle precedenti legislature, come quelle in materia di studi e relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza, auto di servizio e organi collegiali, e dall’altro portando avanti la realizzazione del programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione e di e-procurement, con la centralizzazione delle procedure di acquisto coordinata dalla Società Consip.
La centralizzazione degli appalti è da tempo indicata quale processo in grado di favorire efficacemente, non solo la riduzione, ma anche il controllo della risorse pubbliche impiegate mediante la realizzazione di economie di scala, implicando inoltre anche la riduzione del numero di entità organizzative coinvolte nell’esercizio della funzione amministrativa e costituendo uno stimolo per l’innovazione delle imprese che partecipano alle procedure.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha consolidato l’orientamento secondo cui norme statali che fissano limiti di spesa delle Regioni e degli enti locali possono <<qualificarsi princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi>> (sentenze n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006).
Costituisce poi approdo ormai consolidato nella giurisprudenza contabile il principio secondo cui, dal computo delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, ai fini del rispetto dell’art. 6, comma 8, del decreto-legge n. 78 del 2010, vanno escluse quelle coperte mediante finanziamenti e contributi specificamente trasferiti o, comunque, risorse provenienti (anche per sponsorizzazioni) da altri soggetti, pubblici o privati (ex multis cfr.: Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 233/2014; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 398/2012; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 40/2011).
Costituisce approdo ormai consolidato nella giurisprudenza contabile il principio secondo cui, dal computo delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, ai fini del rispetto dell’art. 6, comma 8, del decreto-legge n. 78 del 2010, vanno escluse quelle coperte mediante finanziamenti e contributi specificamente trasferiti o, comunque, risorse provenienti (anche per sponsorizzazioni) da altri soggetti, pubblici o privati.
Per alcuni settori si è intervenuti ampliando i limiti di spesa già fissati nelle precedenti legislature, dapprima con l’articolo 61 del D.L. n. 112/2008 e successivamente, con l’articolo 6, commi da 7 a 10 del D.L. n. 78/2010, che ha di fatto superato il primo intervento, nonché con una serie di ulteriori specifici provvedimenti (decreto legge 95/2012 e decreto legge 66/2014; legge 228/2012; decreto legge 101/2013; decreto legge 66/2014).
L’articolo 6 del D.L. n.78/2010 (convertito in legge n.122/2010) contiene limiti di spesa, applicabili a decorrere dall’anno 2011, per l’onere sostenuto da tutte le pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato relativamente a: studi e incarichi di consulenza (comma 7): -80%; per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (comma 8): -80%; per sponsorizzazioni (comma 9): vietate (oggi -70%); per missioni (comma 12): -50%; per attività esclusiva di formazione (comma 13): -50%; per acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture ed acquisto di buoni taxi (comma 14): -50%. Il riferimento per il calcolo dei limiti, di cui alla presente norma, è la spesa sostenuta nell’anno 2009.
L’articolo 5, comma 2, del decreto legge 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è stato integralmente sostituito ad opera dell’articolo 15 del decreto legge n. 66/2014 (conv. in legge n. 89/2014), sostituendo i vecchi limiti di spesa (-50% della spesa 2011) con dei nuovi. Dal 1° maggio 2014 le pubbliche amministrazioni non possono sostenere spese per acquisto, manutenzione ed esercizio di autovetture e per l’acquisto di buoni taxi, di importo superiore al 30% della spesa 2011.
Con riferimento all’ambito soggettivo delle misure di contenimento, è stato specificamente sancito all’interno della legge di contabilità (articolo 1, comma 2 della legge n. 196/2009, come sostituito dall’articolo 5, comma 7 del D.L. n. 16/2012, convertito con modificazioni in legge n. 44/2012) un concetto ampio di pubblica amministrazione, ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, intendendo le amministrazioni individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001, recante la disciplina del pubblico impiego. Anche le società inserite nel conto economico della pubblica amministrazione sono tenute a conformarsi ai principi vigenti di riduzione della spesa per studi, consulenze, relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché al divieto di sponsorizzazione, sanciti dall’articolo 6 del D.L. n. 78/2010.
Necessario è quindi individuare la natura della spesa al fine del contenimento del rispetto dei limiti di spesa di cui sopra. Ogni anno il Ministero dell’Economia e Finanzia approva un documento finalizzato a costituire un quadro sinottico per agevolare gli enti interessati nell’attività di ricognizione delle norme ad essi applicabili.
2. La qualificazione della spesa al fine dei limiti di spesa. Le spese di rappresentanza, di incarico esterno, di consulenza, di studio o di collaborazione
La nozione di spesa di rappresentanza, ad esempio, si configura quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad accrescere il prestigio e la reputazione della singola pubblica amministrazione verso l’esterno (in tal senso, sez. Lombardia, del. n. 200/2016).
La nozione di spesa di rappresentanza si configura quale voce di costo essenzialmente finalizzataad accrescere il prestigio e la reputazione della singola pubblica amministrazione verso l’esterno.
Dette spese devono dunque rivestire il carattere dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.
Le relative spese devono assolvere il preciso scopo di consentire all’ente locale di intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici. Dette spese devono dunque rivestire il carattere dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa. L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento. La violazione dei criteri finalistici indicati conduce all’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.
Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene.
La violazione dei criteri che presiedono alla sana gestione finanziaria comporta il venir meno dei requisiti di razionalità ed economicità cui l’attività amministrativa deve sempre tendere ai sensi dell’art. 97 Cost..
A tal fine:
1) ciascun ente locale deve inserire, nell’ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all’attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore; capitolo di bilancio che deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di evitare commistioni contabili.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non rivestono finalità rappresentative verso l’esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispongono (fattispecie in cui ricade il caso specifico).
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali la spesa è erogata.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento.
(cfr CC Sez. controllo Lombardia del. n. 178 – 17).
Il conferimento di un incarico esterno, di consulenza, di studio, o di collaborazione non è vietato in assoluto, ma soggiace ad alcuni presupposti, che la normativa e la giurisprudenza hanno progressivamente affinato, ma che da tempo si incentrano in particolare: a) sulla rispondenza dell’incarico agli obiettivi della P.A.; b) sulla mancanza di risorse interne utilizzabili; c) sulla necessità che gli incarichi individuali siano conferiti ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata (dunque temporanei), luogo, oggetto e compenso; d) sull’espletamento di procedure comparative.
Con riferimento alla materia delle collaborazioni esterne, è consentito al giudice contabile di valutare se la scelta di affidarle (anziché utilizzare risorse umane disponibili tra i dipendenti della p.a.) sia esorbitante rispetto al fine pubblico da perseguire, fermo restando il divieto di sindacare il merito di tale scelta (Cass., sez. un., 25 gennaio 2006, n. 1378).
L’impossibilità oggettiva di reperire risorse umane disponibili all’interno della p.a. è uno dei principali criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza per valutare la legittimità dell’incarico (cfr., ex multis, C. conti, sez. II, 20 marzo 2006, n. 122/A; id., sez. II, 28 novembre 2005, n. 389/A; id., sez. Veneto, 20 dicembre 2004, n. 1706; id., sez. Puglia, 10 gennaio 2003, n. 18).
Gli incarichi in argomento devono corrispondere ai dettami normativi e giurisprudenziali della buona amministrazione nonché della prudente e sana gestione delle risorse pubbliche, cristallizzate, in particolare, nei canoni della straordinarietà della funzione da attribuire al consulente, nonché dell’impossibilità oggettiva di ricorrere a personale interno.
L’impossibilità oggettiva di reperire risorse umane disponibili all’interno della p.a. è uno dei principali criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza per valutare la legittimità dell’incarico esterno (cfr., ex multis, C. conti, sez. II, 20 marzo 2006, n. 122/A; id., sez. II, 28 novembre 2005, n. 389/A; id., sez. Veneto, 20 dicembre 2004, n. 1706; id., sez. Puglia, 10 gennaio 2003, n. 18).
Ai sensi della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012, art. 1, commi 146 – 148) è stato introdotto inoltre:
- il divieto di conferire incarichi di consulenza informatica se non nei casi eccezionali adeguatamente motivati in cui occorra risolvere problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. La violazione del divieto comporta la responsabilità amministrativa e disciplinare del dirigente. Il divieto si applica alle pubbliche amministrazioni incluse nel conto economico della P.A. – nel quale sono incluse anche le regioni e agli enti locali –, alle altre amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001, alle Autorità indipendenti, nonché alla CONSOB (comma 146).
- il divieto di rinnovo di incarichi con contratti di lavoro autonomo, conferiti in via temporanea a soggetti esterni da parte delle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001, con limitazione della possibilità di proroga a casi eccezionali e fermo restando il compenso originario (comma 147, che modifica il citato D.Lgs. n. 165/2001). Tale divieto si applica anche alle società a controllo pubblico diretto o indiretto strumentali (comma 148).
Non si pongono particolari problemi interpretativi in ordine all’impiego dei concetti di convegni e di mostre al fine della valutazione dei limiti di spesa. Il primo concerne gli incontri più o meno pubblici organizzati da un ente in luogo e tempo definiti per discutere su un argomento di comune interesse (come nel caso, ad esempio, di dibattiti, seminari, congressi, conferenze, o altri incontri di studio comunque denominati su tematiche solitamente di natura amministrativa, sociale, culturale, scientifica, eccetera). Il riferimento alle mostre attiene alle esposizioni pubbliche organizzate o partecipate da un ente aventi svariati possibili oggetti (ad esempio, opere d’arte, prodotti locali, eccetera) e finalità (ad esempio, commerciale, promozionale, didattica, celebrativa, eccetera). In tale prospettiva, si fanno rientrare nella categoria, anche le rassegne, le fiere e, i mercatini espositivi (cfr.: Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 172/2015; Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazioni n.54/2013 e n. 53/2012; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazioni n. 356/2012 e n. 398/2012 cit.). Per quanto concerne le spese per relazioni pubbliche, esse ricomprendono quelle sostenute per tutte le attività di comunicazione svolte da un ente con l’obiettivo di sviluppare i rapporti con una propria utenza di riferimento, più o meno estesa a seconda dei casi, al fine di determinare una più corrente e concreta conoscenza delle rispettive azioni ed esigenze (cfr. le già citate Sez. reg. contr. Emilia Romagna n. 59/2015, Sez. reg. contr. Puglia n. 54/2013 e n. 53/2012, Sez. reg. contr. Lombardia n. 356/2012 e n. 398/2012, nonché Sezione regionale di controllo per la Val d’Aosta, deliberazione n. 8/2013).
3. L’assoggettabilità ai limiti di spesa delle spese riferite ad attività istituzionali nella comunicazione
In linea generale, la pubblicità è una tipica forma di comunicazione persuasiva, che mira cioè deliberatamente a influenzare conoscenze, valutazioni, atteggiamenti, scelte o comportamenti in determinate aree dell’attività umana. In sostanza, costituisce pubblicità qualunque attività che, su iniziativa di un operatore identificato, sia volta alla diffusione di messaggi aventi scopo di promuovere beni, servizi, idee, oppure anche solo l’immagine di un soggetto, presso un pubblico più o meno determinato.
La Corte dei Conti – Sezioni Unite, dietro richiesta della Sezione della Corte della Regione Emilia – Romagna nella deliberazione 50 del 21 settembre 2011, si è pronunciata sulla questione relativa all’esclusione dei limiti di spesa definiti con l’art. 6 comma 2 del d.l. 78/2010, come segue:
“Con riferimento, poi, alla problematica relativa all’esclusione dai limiti di spesa per relazioni pubbliche e pubblicità di quelli riconducibili alle finalità istituzionali sottese alla legge n. 150 del 2000, ha rilevato che l’esclusione dalle predette limitazioni può affermarsi con certezza esclusivamente riguardo le spese c.d. obbligatorie di pubblicità, considerato anche che una diversa interpretazione, in ragione dell’ampiezza delle fattispecie contemplate dalla richiamata legge n. 150 del 2000, comporterebbe una sostanziale vanificazione degli obiettivi di riduzione della spesa perseguiti dal legislatore.
L’ulteriore esclusione, infatti, di quelle relative alla c.d. pubblicità istituzionale porterebbe inevitabilmente a privare il precetto della finalità di risparmio previste, in ragione principalmente dell’ampiezza delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni previste all’art. 1, comma 5, della legge n. 150 del 2000 e dell’assenza per gli enti locali, a differenza di quel che accade per le amministrazioni dello Stato, di momenti di direttiva e di programmazione a livello centrale da parte di un soggetto terzo (Presidenza del Consiglio) rispetto al ramo di amministrazione che sostiene la spesa. Del resto va anche evidenziato come una qualsiasi scelta di contenimento della spesa sia suscettibile, per sua natura, di produrre effetti negativi sull’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa”.
La Sezione regionale di controllo per la Lombardia (deliberazione n. 1076/2010/PAR del 23 dicembre 2010) invece ha avuto modo di precisare che i limiti di spesa non ricomprendono gli oneri a carico dell’amministrazione funzionali a promuovere la conoscenza dell’esistenza e delle modalità di fruizione dei servizi pubblici da parte della collettività, in quanto l’efficace erogazione di un servizio presuppone ex se un’adeguata divulgazione del medesimo, al fine di consentirne l’effettivo esercizio da parte dei cittadini.
Si precisa, a questo punto, che le azioni destinate al perseguimento di una finalità istituzionale dell’Ente non è di per sé sufficiente a farne conseguire la relativa esclusione dall’applicazione dei limiti di spesa (cfr. le già citate Sez. reg. contr. Veneto n. 172/2015, Sez. reg. contr. Puglia n. 54/2013 e n. 53/2012, nonché Sezione regionale di controllo per la Toscana, deliberazione n. 72/2014 e Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 483/2012).
L’esclusione dal novero degli oneri soggetti a riduzione può ammettersi a condizione che le relative attività siano strettamente inerenti, connaturate o coessenziali all’esercizio di una determinata funzione amministrativa o all’erogazione di un certo servizio (cfr. la già citata Sez. reg. contr. Val d’Aosta n. 8/2013), così da costituire esse stesse necessaria esplicazione della funzione o del servizio.
Al fine di assicurare alle amministrazioni dello Stato la necessaria efficienza e flessibilità, garantendo comunque il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, l’articolo 14 del decreto legge n. 81 del 2007 ha previsto la possibilità di effettuare variazioni compensative tra le spese sostenute per studi e incarichi di consulenza e rappresentanza, nonché per auto di servizio, indicate dai citati commi 9-11 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2006.
Per ciò che attiene alle auto di servizio, si ricorda che anche la legge finanziaria per il 2008 (art. 2, comma 588) è intervenuta nuovamente in materia, stabilendo un limite alla cilindrata massima delle auto in uso alle magistrature e alle amministrazioni civili dello Stato (pari 1600 cc), ad eccezione delle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e della protezione civile (cfr. oltre).
Al fine di assicurare alle amministrazioni dello Stato la necessaria efficienza e flessibilità, garantendo comunque il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, l’articolo 14 del decreto legge n. 81 del 2007 ha previsto la possibilità di effettuare variazioni compensative tra le spese sostenute per studi e incarichi di consulenza e rappresentanza, nonché per auto di servizio, indicate dai citati commi 9-11 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2006.
La legge finanziaria per il 2008 ha introdotto ulteriori misure volte in tema di incarichi di studio, consulenza e di collaborazione:
- ha stabilito, quale condizione dell’efficacia dei contratti di consulenza stipulati con le pubbliche amministrazioni, compresi gli enti territoriali, la pubblicazione del nominativo del consulente, dell’oggetto dell’incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale della pubblica amministrazione stipulante (articolo 3, comma 18);
- ha rafforzato le norme in materia di pubblicità dei rapporti di collaborazione e di consulenza a titolo oneroso prevedendo che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso debbano pubblicare sul loro sito web i provvedimenti con cui hanno affidato gli incarichi, con l’indicazione dei soggetti beneficiari dei pagamenti, degli importi erogati e della ragione dell’affidamento dell’incarico. In caso di omessa pubblicazione, si prevede che la liquidazione del corrispettivo per la collaborazione o l’incarico costituisca illecito disciplinare e determini l’insorgere della responsabilità amministrativa (art. 3, comma 54).