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( votes)Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale d’Appello, 21-9-2011, n. 402
“Nella fattispecie caratterizzata dall’utilizzo improprio dello strumento societario di natura mista pubblico-privata non già al fine – costituente la causa tipica del ricorso a tale strumento – di efficientare i servizi pubblici dell’ente locale, bensì per perseguire scopi di tipo meramente occupazionale, estranei alle regole di economicità e buona amministrazione, da cui sia derivato un danno erariale per l’ente medesimo, non può parlarsi di difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, attesa la sussistenza del rapporto di servizio e le finalità pubbliche perseguite dalla Società. In tale ipotesi, infatti, il danno prodotto è al Comune, e dunque al socio pubblico ed al patrimonio pubblico. Ragion per cui non si versa nell’ipotesi contemplata dalla sentenza n. 26806 del 19.12.2009, con la quale la Cassazione ha escluso la sussistenza della giurisdizione del Giudice contabile in rapporto ai danni cagionati al patrimonio della società partecipata”.
La fattispecie decisa
La sentenza che si commenta, che costituisce una parziale riforma della sentenza di prime cure n. 108/2008, emessa dalla Sezione Giurisdizionale Lazio della Corte dei Conti, muove dal giudizio di responsabilità amministrativa azionato dalla Procura contabile nei confronti del Sindaco e dei membri della Giunta del Comune di Pontinia, nonché dell’amministratore e Presidente della società mista TRASCO srl, con capitale sociale sottoscritto per due terzi dallo stesso Comune, tutti assolti in primo grado, per vederli condannare al risarcimento, in favore del medesimo Comune, del danno erariale da essi causato, con differente apporto, all’Ente locale, poi sottoposto a dissesto, a seguito della costituzione prima e della cattiva gestione poi della società suddetta che, contrariamente a quanto emerge dallo Statuto e dagli atti costitutivi, non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi pubblici dell’ente locale, bensì per perseguire scopi di tipo occupazionale, estranei alle regole di economicità e buona amministrazione.
E’ stata, in sostanza, accolta in appello la tesi della Procura attrice che aveva sostenuto come la scelta antieconomica di costituire la società mista di che trattasi, in luogo di altre soluzioni, avesse comportato una aperta violazione delle norme comunitarie sulle procedure contrattuali di evidenza pubblica e delle regole di contabilità, allo scopo (estraneo alla causa tipica del ricorso allo strumento societario) di assumere i lavoratori socialmente utili, già dipendenti delle varie cooperative che avevano gestito, in precedenza, i servizi poi affidati alla TRASCO srl.
E’ stata, in sentenza, incidenter tantum dichiarata l’infondatezza dell’eccepito difetto di giurisdizione della Corte dei Conti fondato sull’asserita ricorrenza di una ipotesi di danno cagionato al patrimonio della società partecipata.
E’ stato, al riguardo, osservato, per quanto ne occupa in questo commento, che “nella fattispecie non può parlarsi di difetto di giurisdizione della Corte dei conti, attesa la sussistenza del rapporto di servizio e le finalità pubbliche perseguite dalla Società. In ogni caso, il danno prodotto è al Comune, e dunque al socio pubblico ed al patrimonio pubblico. Ragion per cui non si versa nell’ipotesi contemplata dalla sentenza n. 26806 del 19.12.2009, menzionata dagli appellati, con la quale la Cassazione ha escluso la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile in rapporto ai danni cagionati al patrimonio della società partecipata”.
Per quanto d’interesse, inoltre, la sentenza che si commenta conferma una pacifica giurisprudenza della Corte dei Conti, secondo la quale può ritenersi certamente sindacabile qualsiasi scelta, anche di natura discrezionale, laddove effettuata, come nella fattispecie esaminata, al di fuori dei criteri di buona amministrazione ed illegittima per sviamento di potere, perché tale è l’utilizzo di un mezzo in sé perfettamente lecito, quale la costituzione di una società mista per la gestione di pubblici servizi, al fine di perseguire politiche reclutative, in violazione di principi di sana gestione economica e dei vincoli posti dal patto di stabilità.
La questione di fondo e le implicazioni giurisdizionali sulla responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica.
La sentenza che si commenta offre lo spunto, a chi scrive, per trattare funditus dell’argomento, di scottante attualità, che concerne i riflessi sulla giurisdizione contabile della cattiva gestione delle risorse pubbliche utilizzate dalle società a partecipazione pubblica.
In generale, anche quando la situazione di mala gestio non si concretizza in uno stato di insolvenza della società, ma genera di riflesso un nocumento per l’ente proprietario, viene, di regola, coinvolta la giurisdizione contabile, sia attraverso l’istituto della responsabilità amministrativa diretta degli amministratori che hanno provocato il danno, sia attraverso il più antico giudizio di conto, nei casi in cui la società non rispetti gli adempimenti dell’agente contabile previsti dal r.d. 12/07/1934 n. 1214.
Non è questa la sede per analizzare in modo analitico la giurisprudenza della Corte di Cassazione, maturata con significative oscillazioni a far data dal 2003 (cfr. Sezioni unite, ord. 22 dicembre 2003, n. 19667): certamente da un momento iniziale, in cui venivano utilizzati, alternativamente o cumulativamente, per individuare la competenza della Corte dei Conti, i criteri della natura soggettiva dell’ente, della presenza di un rapporto di servizio con l’amministrazione (da ultima Sezioni unite, ord. 3 marzo 2010 n. 5032) e della natura pubblica delle risorse impiegate, di recente la suprema Corte sembra orientarsi per una combinazione tra il secondo e il terzo criterio (in tal senso, Sezioni unite, ord. 3 marzo 2010, n. 5019), anche se non mancano alcune pronunce di tipo diverso (cfr. ad esempio la sentenza n. 27092 del 22 dicembre 2009).
Un riferimento oggettivo che, a partire dal 2003, non è stato mai smentito dalla Corte di Cassazione è quello inerente alla violazione del vincolo pubblicistico di destinazione delle risorse attribuite alla società, per fini previsti dalla legge o dall’atto costitutivo della stessa.
Il giudizio di conto intercetta, per altro verso, un differente profilo delle attività poste in essere dalle società pubbliche: quello di “agente contabile” nella riscossione, custodia e gestione di proventi finalizzati alla cura di interessi pubblici o aventi natura di entrate pubbliche[1].
Analogamente è stata affermata la giurisdizione della Corte dei Conti sulla richiesta di risarcimento avanzata nei confronti di un soggetto legato da un rapporto giuridico con un’azienda costituita come s.p.a. a totale capitale pubblico, che svolge un servizio pubblico e le cui perdite sono destinate a risolversi in danno degli enti pubblici azionisti e quindi in danno erariale, quando si deduca, a fondamento dell’azione, che tale rapporto ha costituito l’occasione per comportamenti fraudolenti in danno dell’ente, posti in essere dal soggetto in questione con il concorso doloso o colposo di agenti interni alla s.p.a. e con l’esercizio di poteri tali da consentirgli di interferire sulle modalità di esecuzione di prestazioni strumentali all’attività della società a capitale pubblico e sulle procedure di liquidazione dei compensi a suo favore (Cass., sez. un., 24 novembre 2009, n. 24672).
Inoltre, si è andato affermando nella giurisprudenza contabile l’assunto, per cui non è tanto il criterio soggettivo a delineare obblighi e responsabilità nel campo della gestione privatistica di servizi pubblici, quanto la natura delle risorse riscosse, impiegate o comunque gestite.
In relazione a quest’ultimo aspetto, infatti, il criterio soggettivo di imputazione delle responsabilità finirebbe per escludere le società interamente private, beneficiarie di provvidenze pubbliche vincolate alla resa del servizio e/o ai pertinenti investimenti.
Questa possibilità è stata esplicitamente esclusa dalla Corte di Cassazione, la quale ha riconosciuto la soggezione al Giudice contabile degli amministratori e dei soci di una società privata, i quali avevano simulato, attraverso la predisposizione di un accurato sistema contabile, l’aumento del capitale sociale tendenzialmente diretto ad ottemperare alla condizione prevista dal decreto ministeriale di concessione del contributo statale al fine di realizzare una struttura industriale di medie dimensioni esclusivamente con detto contributo, evitando di assumersi il prescritto cofinanziamento[2].
In alcuni casi la Cassazione[3] ha assimilato alcune società pubbliche agli enti pubblici economici propriamente detti, affermando la giurisdizione della Corte dei conti: così nella fattispecie RAI per la quale la veste formale di società per azioni è stata ritenuta dal Giudice della nomofilachia non congruente con l’attività pubblicistica realizzata[4].
Sennonché, di recente, con le pronunce 19/12/2009, n. 26806, 15 gennaio 2010 nn. 519, 520, 521, 522, 523 e 23 febbraio 2010, n. 4309, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sancito un principio di fondamentale importanza nella definizione del riparto di giurisdizione fra Giudice ordinario e Giudice contabile rispetto alle ipotesi di responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica.
La Suprema Corte, fornendo una particolare interpretazione dell’art. 16-bis della l. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248[5], ha stabilito un criterio suscettibile di generale applicazione in materia di società a partecipazione pubblica, superando (almeno per quanto concerne il profilo della giurisdizione nei casi di responsabilità di amministratori e componenti degli organi di controllo e salvo, come si è detto, il caso di RAI s.p.a.) il carattere di specialità che connoterebbe la materia in esame, dove, fra decine di società, disciplinate da norme e principi differenti, l’unico denominatore comune sarebbe la sola presenza di un ente pubblico (primario o derivato) nel capitale sociale.
Invero, a fronte di una estrema varietà di società a partecipazione pubblica – tanto di fonte legale, quanto di fonte contrattuale o comunque negoziale, cui si aggiungono le c.d. società di diritto singolare regolate, in modo più o meno difforme dal diritto comune, da singole leggi speciali dettate per una o più di esse – si è posto, a livello della disciplina applicabile, il problema se debba farsi capo alle regole di matrice privatistica che regolano il tipo prescelto o se debbano, viceversa, ritenersi prevalenti i profili sostanziali che, in ragione delle risorse utilizzate o dell’attività esercitata, portino ad assimilare tali società a veri e propri enti pubblici.
In quest’ottica, è stato condivisibilmente sottolineato come, in assenza di una espressa riqualificazione in senso pubblicistico dell’ente, e dunque di espresse deroghe al regime comune[6], l’adozione della forma societaria, implichi necessariamente l’applicazione del diritto societario.
E’ quest’ultima, infatti, l’impostazione seguita dalla Suprema Corte relativamente alle ipotesi di responsabilità di amministratori di società a partecipazione pubblica: partendo dall’analisi della vicenda processuale del caso regolato da Cassazione Sez. unite, 19/12/2009, n. 26806, sopra citata – relativa ad un’indebita percezione di tangenti da parte di amministratori e dipendenti di alcune società del gruppo Enel, che ha determinato un aggravio di costi nello svolgimento di alcuni appalti, e dunque un danno diretto alle società e solo indiretto in capo agli enti pubblici statali partecipanti la controllante Enel – il Giudice di legittimità ha, infatti, stabilito una linea guida per l’individuazione del Giudice competente per i giudizi di responsabilità nei confronti di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica, affermando la sussistenza della giurisdizione delle Corte dei Conti per le fattispecie rientranti nell’art. 2395 c.c. (allorquando il danno sia stato prodotto dagli amministratori direttamente in capo al socio pubblico) e quella del Giudice ordinario per le ipotesi previste dall’art. 2393 c.c., indipendentemente dalla misura e dall’entità della partecipazione pubblica.
In merito a quest’ultima, il Giudice della giurisdizione ha affermato che le società private partecipate da un ente pubblico non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato (anche) da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, fino a ritenere che il danno cagionato da un amministratore al patrimonio della società – che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali – non è idoneo a configurare un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei Conti: perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci.
A fronte dell’esclusione della giurisdizione del Giudice contabile per l’azione di risarcimento dei danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico, la Corte di Cassazione ha, viceversa, ritenuto che debba configurarsi la giurisdizione della Corte dei conti per le ipotesi di danni arrecati dall’amministratore (o dal componente di organi di controllo) quando sia stato direttamente danneggiato l’ente pubblico partecipante, ossia per le fattispecie contemplate dall’art. 2395 c.c. (per le s.p.a.) e 2476, sesto comma, c.c. (per le s.r.l.). In questi ultimi casi, infatti, “la presenza dell’ente pubblico all’interno della compagine sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l’impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per loro, una peculiare cura nell’evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo”[7].
Si tratta, come ognun vede, di un significativo revirement rispetto ad un trend giurisprudenziale pregresso che, invece, aveva privilegiato la sostanza pubblica rispetto alla forma societaria di diritto privato e la relazione funzionale con il soggetto pubblico, come evidenziato ex multis dalla sentenza Sez. un., 26 febbraio 2004, n. 3899, con cui la Cassazione faceva propria una nozione estesa di rapporto di servizio, ricavando dalla relazione funzionale fra una società quasi integralmente partecipata dal Comune di Milano e il Comune medesimo, l’inserimento del soggetto privato controllato nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico, con conseguente assoggettamento degli amministratori di tale società alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabili per danno erariale.
E’ altresì noto che, a partire dal 2000, il Giudice contabile aveva maturato l’orientamento, sempre più deciso, di ritenere sussistente la propria giurisdizione per le azioni di responsabilità verso amministratori di società a partecipazione pubblica, sulla base di numerosi argomenti. Da un lato, si indicava la nozione di “organismo di diritto pubblico” elaborata in sede comunitaria quale punto di partenza per una valutazione della natura pubblicistica del soggetto in concreto, sulla base di un criterio definito funzionale e sostanzialistico (v. Corte dei Conti, Sez. Giur. Lombardia, 17 febbraio 2000, n. 296; Sez. Giur. Marche, 4 luglio 2001, n. 28); mentre, dall’altro, partendo dall’art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97 (secondo cui la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, è comunicata al competente Procuratore Regionale della Corte dei Conti, affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità erariale nei confronti del condannato), si affermava che “da tale disposizione si desume la volontà esplicita del legislatore di ritenere sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti quanto meno per le azioni di danno collegate a fattispecie penali nei confronti di soggetti che operano presso enti di qualsiasi natura giuridica, purché a prevalente capitale pubblico e, quindi, anche nei confronti delle società per azioni” (v. Corte dei Conti, Sez. Giur. Marche, ord. 4 luglio 2001, n. 28 cit.) .
Sicché, una volta assodata la questione inerente alla sussistenza della giurisdizione contabile (affermata in ragione di un vero e proprio superamento della nozione di rapporto di servizio, sostituita da quella di “rapporto funzionale”, sul quale si veda Corte dei Conti, Sez. Giur. Molise, 7 ottobre 2002, n. 234), il problema tendeva a spostarsi sulla necessità di coordinare la disciplina codicistica, ossia l’azione prevista dall’art. 2393 c.c., con l’iniziativa riconosciuta al Procuratore contabile nell’interesse superiore dell’ordinamento: o in termini di esclusività dell’azione contabile (come sembra potersi ricavare da Corte dei Conti, Sez. I d’appello 3 novembre 2005, n. 492), o in termini di coesistenza fra le azioni[8].
Di tali argomenti ha tenuto conto la Suprema Corte nella citata sentenza delle SS.UU. 19/12/2009, n. 26806, laddove si specifica che l’assenza del benché minimo abbozzo di coordinamento normativo in merito ad un possibile concorso fra le azioni considerate “suona palese conferma della non configurabilità, in simili situazioni, di un’azione diversa da quelle previste dal codice civile, che sia destinata a ricadere nella giurisdizione del giudice contabile”.
Le teorie funzionalizzatrici, infatti, finiscono per ricercare negli artt. 97 e 103 Cost. il dato su cui poggiare la responsabilità amministrativa nel caso di specie, aggirando di fatto la sussistenza dell’interpositio legislatoris, la cui necessità è stata di recente ribadita dalla Corte di Cassazione, sia nella sentenza citata, sia in alcune successive pronunce (si allude alle citate sentenze Cass., Sez. un., 519, 520, 521, 522, 523 e 4309/2010, in cui è ripresa la formula, già contenuta nella sentenza n. 26806/2009, per cui “al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre che la giurisdizione della Corte dei Conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge”) .
A tale criterio ermeneutico ha aderito la citata sentenza 26806/2009, la quale, accreditando un sistema di responsabilità fondato sulla giurisdizione del Giudice ordinario per le ipotesi di responsabilità per danni inferti dagli amministratori alla società e su quella della Corte dei Conti per le azioni ricadenti nell’ambito dell’art. 2395 c.c., quando sia direttamente leso il socio pubblico, non ha tuttavia mancato di sottolineare come sia sicuramente prospettabile l’azione del Procuratore contabile nei confronti, non già dell’amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia per ciò pregiudicato il valore della partecipazione, ricollegando a tale azione la giurisdizione contabile.
Quest’ultimo aspetto appare suscettibile di prevenire il rischio di una lacuna nell’interesse pubblico coinvolto non solo nella partecipazione pubblica in società privata, ma anche nella stessa ipotesi di società integralmente partecipate, come del resto la Suprema Corte aveva già avuto modo di stabilire con la sentenza Cass., Sez. un., 22 luglio 2004, n. 13702, nella quale si riconobbe sussistente la giurisdizione dei Giudici contabili rispetto alla responsabilità di ex sindaci di un Comune, che in qualità di soci di una società integralmente partecipata dal Comune stesso non avevano deliberato l’azione di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori della società.
CONCLUSIONI
Alla luce del complesso quadro giurisprudenziale e dottrinale sopra sinteticamente tratteggiato, si può quindi affermare come il recente orientamento della Suprema Corte, nell’interpretazione dell’art. 16-bis della l. 31/2008, abbia il pregio di fornire una chiave di lettura in grado di fondare un sistema unitario di responsabilità, senza determinare alcuna forzatura dei principi generali e garantendo l’esigenza di “consentire alle imprese a partecipazione pubblica di operare sul mercato in condizioni di parità con le imprese private, senza ingiustificate penalizzazioni”[9].
In sostanza, la Cassazione ha dedotto dal tenore della norma la sussistenza di due naturali ambiti di giurisdizione, attribuendo al Giudice ordinario tutte le controversie per danni arrecati alla società (secondo la previsione generale dell’art. 2393 c.c.) – e, per il futuro, anche le controversie di cui all’art. 2395 c.c. per le sole società quotate con partecipazione pubblica inferiore al 50% – ed alla Corte dei Conti le controversie per danni direttamente arrecati dagli amministratori al socio pubblico (e salva naturalmente la giurisdizione del Giudice contabile per le ipotesi di danno all’immagine dell’ente pubblico).
Secondo tale lettura, in effetti, l’art. 16-bis non perderebbe la sua natura di interpositio legislatoris di carattere implicito: l’attribuzione della cognizione alla Corte dei Conti per i danni inferti dall’amministratore al socio pubblico – che in passato era stata ritenuta sussistente in base ad una criticata estensione del rapporto di servizio, che si sarebbe configurato fra l’ente pubblico e gli amministratori della società stabilmente inserita nell’iter procedimentale dell’amministrazione partecipante – è ora affermata in base ad un principio generale, direttamente estrapolato dalla legge (ossia che “la presenza dell’ente pubblico all’interno della compagine sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l’impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per loro, una peculiare cura nell’evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo”).
In tutti i casi di responsabilità derivante dalla diminuzione del patrimonio della società, invece, la giurisdizione si radica sempre in capo al Giudice ordinario, a prescindere dalla misura della partecipazione e dal tipo di attività esercitata: in queste situazioni, l’emersione del pur sempre presente interesse pubblico ad una corretto uso delle risorse pubbliche, sarebbe garantito dalla possibilità di sottoporre all’azione del Procuratore contabile il rappresentante del socio pubblico che non si sia attivato contro gli amministratori che abbiano posto in essere atti di mala gestio, violando precisi obblighi di tutela del patrimonio derivanti dal prescelto modulo organizzativo dell’attività, ossia quello delle società di capitali.
Nel solco tracciato dalla Suprema Corte a seguito del lungo e travagliato iter giurisprudenziale sopra descritto si colloca la sentenza in commento che fa un corretto uso del discrimen giurisdizionale sopra delineato.
[1] La competenza giurisdizionale della Corte dei conti è stata, ad esempio, affermata per la riscossione e gestione dei proventi della sosta a pagamento, all’uopo demandata dall’ente locale (in tal senso ordinanza delle SS.U. della Cassazione n. 12192/04).
[2] La Cassazione, Sezioni unite, ord. 3 marzo 2010, n. 5019, ha affermato che, in ragione del sempre più frequente operare dell’amministrazione fuori degli schemi amministrativi, anche attraverso soggetti non inquadrati in un rapporto organico, anche una concessione amministrativa o un contratto di diritto privato possono incardinare la giurisdizione del Giudice contabile, ove la gestione del predetto rapporto da parte del privato venga a produrre un ingiusto danno all’erario. Afferma, infatti, la Corte che “il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza un danno per l’ente pubblico anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano cosi come concretizzato ed approvato con il concorso dello stesso imprenditore; e di tale danno deve rispondere davanti al Giudice contabile”. Analogamente si è espressa Cassazione, sezioni unite 14825/08.
[3] Così la sentenza n. 27092 del 22 dicembre 2009 che ha ritenuto sindacabile dalla Corte dei conti il danno subito dalla Rai per effetto della nomina di un alto dirigente, in situazione di incompatibilità e della conseguente sanzione pecuniaria applicata all’Azienda dall’Agcom.
[4] La Cassazione ha affermato che la Rai ha natura sostanziale assimilabile ad una amministrazione pubblica, nonostante la forma di società per azioni. Ne discende la qualificazione di danno erariale del danno cagionatole dai suoi amministratori, con conseguente soggezione all’azione di responsabilità della Corte dei Conti. Rileva, infatti il Giudice nomofilattico che la RAI è designata direttamente dalla legge per la gestione del servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell’interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l’imparzialità dell’informazione. È inoltre sottoposta, per la verifica della correttezza dell’esercizio di tale funzione, a penetranti poteri di vigilanza da parte di un’apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato-comunità. Altri elementi sintomatici della natura sostanziale dell’Ente sono l’attribuzione di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, riscosso e versato dall’Agenzia delle Entrate e la contribuzione in via ordinaria dello Stato. Ciò comporta inevitabilmente che i dirigenti della RAI maturano analoghe responsabilità rispetto ai dirigenti delle amministrazioni pubbliche in senso stretto.
[5] Il quale prevede che «Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
[6] Caringella, Corso di diritto amministrativo, Profili sostanziali e processuali, V ed., Milano, Giuffrè, 2008, I, 806 s.
[7] È, invece, successiva alla sentenza in commento l’ordinanza Sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092 (cit. in nt. 3), con cui la Cassazione, in merito alle azioni di responsabilità all’interno della RAI, ha sancito una regola diametralmente opposta, ossia che “compete al Giudice contabile la giurisdizione in ordine alle azioni di responsabilità amministrativa esercitate per ottenere il risarcimento dei danni che si assume essere stati cagionati alla s.p.a. RAI da componenti del suo consiglio di amministrazione e da dipendenti della stessa società e dagli enti pubblici azionisti, in seguito alla nomina del direttore generale e alla conclusione di contratti attinenti al trattamento economico del direttore generale e degli ex direttori generali”.
[8] In quest’ultimo senso, v. Corte dei Conti, Sez. Giur. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114 e Corte dei Conti, Sez. Giur. Centrale sent. 3 dicembre 2008, n. 532. Problema ulteriore appare nelle sentenze della Corte dei Conti, quello di stabilire l’ambito dell’azione giuscontabile: secondo alcune pronunce si ritiene che il P.M. contabile possa esercitare l’azione erariale, nel caso di società a capitale in parte pubblico, e quindi misto, nei limiti della sola quota del danno di pertinenza del socio o dei soci pubblici (Corte dei Conti, Sez. Giur. Lombardia, 4 marzo 2008, n. 135), mentre in altre si afferma che il risarcimento eventualmente ottenuto all’esito dell’azione contabile debba essere totale e come tale coprire l’intero danno arrecato alla società, in ragione del carattere unitario della personalità giuridica della società pubblica (Corte dei Conti, Sez. Giur. Centrale, Sent. 532/2008).
[9] v. Assonime, Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, 2008, consultabile su www.emagazine.assonime.it., dove si suggerisce una distinzione, in punto di disciplina applicabile, fra società aperte al mercato e semi amministrazioni, individuando in queste ultime le società in house e le società a cui vengano attribuite funzioni pubbliche. Si veda anche Clarich, Società di mercato e quasi amministrazioni, relazione presentata al convegno “Le società pubbliche tra Stato e mercato: alcune proposte di razionalizzazione della disciplina”, Roma, 13 maggio 2009, disponibile su www.giustizia-amministrativa.it.