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( votes)1. Premesse
Ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative ai requisiti di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, diversi sono gli orientamenti registratisi in merito all’esatta definizione della nozione di “socio di maggioranza” all’art. 38, comma 1 lettere b), c) ed m-ter) del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 s.m.i. (di seguito il “Codice Appalti”).
In particolare, ai sensi dell’art. 38 comma 1, del Codice Appalti sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i seguenti soggetti:
- lettera b): soggetti nei cui confronti è pendente un procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione antimafia di cui al D. Lgs. n. 159/2011. L’esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società;
- lettera c): soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18. L’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio;
- lettera m-ter): soggetti di cui alla lettera b) che, pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Si rileva che le predette disposizioni dell’art. 38 del Codice Appalti nel testo oggi in vigore sono state oggetto di un intervento estensivo, rispetto alla formulazione originaria, da parte del legislatore operato ai sensi dell’art. 4 Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70 (cd. Decreto Sviluppo), come da ultimo modificato dall’allegato alla legge di conversione, Legge 12 luglio 2011, n. 106 (G.U. 12.07.2011, n. 16). In particolare si osserva che il legislatore con la predetta novella apportata all’art. 38 del Codice Appalti ha inteso ampliare l’elenco dei soggetti interessati dalla disposizione in esame includendovi – oltre a titolare o direttore tecnico per le imprese individuali; soci o direttore tecnico per le società in nome collettivo; soci accomandatari o direttore tecnico per le società in accomandita semplice; amministratori con poteri di rappresentanza o direttore tecnico per le altre società – anche il socio unico, persona fisica, o il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, “se si tratta di altro tipo di società”.
BOX: Diversi sono gli orientamenti registratisi in merito all’esatta definizione della nozione di “socio di maggioranza” all’art. 38, comma 1 lettere b), c) ed m-ter) del Codice Appalti
2. I dubbi interpretativi
I dubbi che si sono posti, data la formulazione della norma, concernono l’interpretazione da dare alla locuzione “persona fisica” nonché il significato dell’espressione “socio di maggioranza” in quanto l’art. 38 comma 1, lettera b), c) e m-ter) del Codice Appalti contempla genericamente la nozione di socio di maggioranza, non precisando se tale maggioranza sia quella assoluta (ovvero presupponga una partecipazione superiore al 50% del capitale sociale) ovvero quella relativa; rilevante è stato, dunque, il dubbio interpretativo in sede applicativa.
In particolare si sono registrati contrastanti orientamenti interpretativi vertenti sostanzialmente:
1. sulla questione se l’espressione socio di maggioranza debba applicarsi alle persone fisiche o anche alle persone giuridiche;
2. sulla questione se l’espressione socio di maggioranza si riferisca esclusivamente al socio di maggioranza assoluta (50% + 1 del capitale sociale) o, diversamente, ricomprenda altresì la figura del socio di maggioranza relativa.
– Socio di maggioranza persona fisica o persona giuridica?
Con riferimento al primo aspetto, ovvero se l’espressione socio di maggioranza debba applicarsi alle persone fisiche o anche alle persone giuridiche, si osserva che nel caso del socio unico la scelta del Legislatore sembrerebbe essere stata chiara: solo quando si tratti di una persona fisica quest’ultimo dovrebbe rendere le dichiarazioni di moralità di cui all’art. 38 del Codice Appalti.
Per quanto riguarda il “socio di maggioranza” l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha aderito ad un’interpretazione “restrittiva” della norma premiandone il dato letterale: si segnalano, infatti, recenti pronunce giurisprudenziali che aderiscono al principio ormai sempre più consolidato secondo cui la previsione dell’art. 38 del Codice Appalti è inapplicabile ai soci persone giuridiche, fermo restando che l’eventuale riferimento anche alla persona giuridica sarebbe da intendersi con riferimento alla compagine sociale e, quindi, alla proprietà piuttosto che all’amministratore della stessa.
In merito si evidenzia anche l’intervento dell’AVCP che già nella determinazione n. 1 del 16 maggio 2012 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 19 giugno 2012) ha rilevato che «[…] si ritiene che l’accertamento della sussistenza della causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) vada circoscritto esclusivamente al socio persona fisica anche nell’ipotesi di società con meno di quattro soci, in coerenza con la ratio sottesa alle scelte del legislatore: diversamente argomentando, risulterebbe del tutto illogico limitare l’accertamento de quo alla sola persona fisica nel caso di socio unico ed estendere, invece, l’accertamento alle persone giuridiche nel caso di società con due o tre soci, ove il potere del socio di maggioranza, nella compagine sociale, è sicuramente minore rispetto a quello detenuto dal socio unico».
Con riferimento all’inapplicabilità delle previsioni richiamate dell’art. 38 del Codice Appalti alle persone giuridiche sembra essersi espresso anche Palazzo Spada in Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 8 aprile 2014 n. 1648 in cui si afferma che la disposizione di cui all’art. 38, coma 1 lettera c) del Codice Appalti «va interpretata, anche in ossequio ai principi del “favor partecipationis” e di tassatività delle clausole di esclusione (fissato dall’art. 46 del d. lgs. n. 163/200), nel senso che reca un espresso riferimento al socio unico “persona fisica”; quindi nessuna dichiarazione avrebbe dovuto essere rilasciata dal socio unico nel caso di specie, in quanto la società B.T.V. s.p.a. è partecipata non da un unico socio persona fisica bensì da una persona giuridica, e tantomeno dal suo amministratore delegato e dal procuratore speciale».
In senso conforme si rileva anche la pronuncia del TAR Veneto, Sezione I, sentenza 16 settembre 2014 n. 1216 secondo cui «per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, l’obbligo dichiarativo posto dall’art. 38 a carico del socio di maggioranza di società con meno di quattro soci deve ritenersi circoscritto ai soli soci persone fisiche e non anche, come invece dedotto dalla stazione appaltante, al socio di maggioranza persona giuridica (ex multis, Cons. St., sez. V, 8.04.2014, n. 1648); sarebbe, infatti, “del tutto illogico limitare l’accertamento de quo alla sola persona fisica nel caso di socio unico ed estendere, invece, l’accertamento alle persone giuridiche nel caso di società con due o tre soci, ove il potere di maggioranza nella compagine sociale, è sicuramente minore rispetto a quello detenuto da socio unico” (cfr., in tal senso, T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 28.11.2013, n. 1598)».
Ed ancora, con riferimento al principio di non applicabilità delle disposizioni dell’art. 38 del Codice Appalti alle persone giuridiche, si evidenzia quanto affermato di recente dai Giudici del TAR Calabria – Catanzaro, Sezione I, sentenza 22 dicembre 2014 n. 2258 «la contraria ricostruzione ermeneutica, nel senso di postulare l’obbligo dichiarativo in questione anche in riferimento al socio di maggioranza persona giuridica, verrebbe a determinare, ove assecondata, un’ingiustificata differenza di disciplina giuridica tra l’ipotesi in cui una persona giuridica sia socio unico di una società per azioni o a responsabilità limitata e quella in cui sia invece socio di maggioranza delle suddette società aventi meno di 4 soci, atteso che nel primo caso la società integralmente partecipata non è tenuta a rendere alcuna dichiarazione relativamente al possesso dei citati requisiti in capo al socio unico persona giuridica (essendo espressamente limitato l’obbligo dichiarativo solo per il socio unico persona fisica), mentre nella seconda ipotesi sussisterebbe un tale obbligo per il socio di maggioranza (pur rivestendo quest’ultimo una posizione di potere all’interno della società sicuramente non superiore a quella del socio unico)».Ciò considerato, i Giudici del TAR Calabria arrivano a sostenere che «per evidenti ragioni di compatibilità logica, che l’espressione contenuta nel menzionato art. 38 “socio di maggioranza” deve essere intesa in senso restrittivo (l’intenzione del legislatore e l’interpretazione complessiva degli enunciati linguistici contenuti nella forma espressiva di fonte normativa consentono di pervenire a un significato aderente con il senso secondario delle parole) e riferita, come nel caso del socio unico, al socio persona fisica”».
Fermo restando quanto sopra, non può non rilevarsi un indirizzo giurisprudenziale di segno opposto a quello sopra rappresentato che, sul solco di isolati interventi del TAR Puglia (cfr. TAR Puglia, Sezione I, sentenza 30 agosto 2013 n. 1287), si starebbe diffondendo in nome di esigenze di tutela dell’ordine pubblico perseguite dalla novella del 2011: ad avviso del predetto orientamento le disposizioni di cui all’art. 38, comma 1 lettere b), c) ed m-ter) del Codice Appalti andrebbero interpretate in modo tale da “estendere” anche al socio unico persona giuridica gli oneri dichiarativi ivi contemplati.
A tale riguardo si evidenziano recentissime pronunce nell’ambito delle quali viene ribadito il dato letterale dell’art. 38 del Codice Appalti in cui viene ravvisato in capo al socio unico persona giuridica (nella persona dell’amministratore munito dei poteri di rappresentanza) l’obbligo di osservare gli obblighi dichiarativi sanciti per le persone giuridiche dal medesimo art. 38 del Codice Appalti.
In particolare, si richiama la pronuncia del TAR Sicilia-Catania, Sezione IV, sentenza 17 febbraio 2015, n. 570 in cui i Giudici, sulla base di quanto statuito dal Consiglio di Giustizia Siciliana nell’ordinanza n. 364 dell’11 luglio 2014 di accoglimento dell’appello sull’istanza cautelare relativa al medesimo giudizio, evidenziano che «È pur vero che la formulazione testuale dell’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del Codice dei contratti pubblici […] sembra imporre la dichiarazione soltanto per il socio unico persona fisica, e non anche alle persone fisiche o, meglio, degli amministratori con rappresentanza dei soci del socio di maggioranza allorquando quest’ultimo sia una persona giuridica.Tuttavia, lo stesso C.G.A., nell’ordinanza citata, riconosce che, “a causa di queste ambiguità del dettato normativo, l’esegesi dottrinale e giurisprudenziale si è sviluppata in direzione correttiva ed emendativa, onde scongiurare le eventuali, possibili elusioni della prescrizione”; ritenendo, quindi, esatta l’interpretazione della norma che supera il dato meramente formale, nel senso di imporre la prescritta dichiarazione non solo al socio unico persona fisica ma anche agli amministratori del socio di maggioranza, allorquando questo sia una persona giuridica.E anche questo Collegio ritiene di aderire al suddetto orientamento, secondo cui il riferimento normativo al “socio di maggioranza”, contenuto nel citato art. 38, deve essere interpretato come socio di maggioranza persona giuridica, e non solo persona fisica, onde evitare la facile elusione della disciplina legislativa (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 30 agosto 2013 n. 1287)».
Con riferimento all’interpretazione dell’espressione socio di maggioranza da applicarsi alle persone fisiche o anche alle persone giuridiche occorre, tuttavia, segnalare l’evidente illogicità del principio di non applicabilità delle disposizioni dell’art. 38 del Codice Appalti alle persone giuridiche con la ratio delle verifiche antimafia di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159 (di seguito “Codice Antimafia”).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 85 del Codice Antimafia la documentazione antimafia deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto:
a) per le associazioni, a chi ne ha la legale rappresentanza;
b) per le società di capitali anche consortili ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, di consorzi cooperativi, per i consorzi di cui al libro V, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l’organo di amministrazione, nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga una partecipazione superiore al 10 per cento oppure detenga una partecipazione inferiore al 10 per cento e che abbia stipulato un patto parasociale riferibile a una partecipazione pari o superiore al 10 per cento, ed ai soci o consorziati per conto dei quali le società consortili o i consorzi operino in modo esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione;
c) per le società di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico;
d) per i consorzi di cui all’articolo 2602 del codice civile e per i gruppi europei di interesse economico, a chi ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate;
e) per le società semplice e in nome collettivo, a tutti i soci;
f) per le società in accomandita semplice, ai soci accomandatari;
g) per le società di cui all’articolo 2508 del codice civile, a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato;
h) per i raggruppamenti temporanei di imprese, alle imprese costituenti il raggruppamento anche se aventi sede all’estero, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti;
i) per le società personali ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie.
La garanzia di moralità del concorrente che partecipa ad una gara non può essere riferita solo al socio persona fisica, ma anzi maggiormente deve interessare il socio persona giuridica per il quale il controllo antimafia ha più ragione di essere trattandosi spesso di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di infiltrazioni mafiose. Considerato il fine del Codice Appalti di assicurare legalità e trasparenza nei procedimenti degliappalti pubblici, a maggior ragione occorrerebbe garantire l’integrità morale del concorrente sia qualora questi sia una persona fisica che una persona giuridica. Contrariamente, verrebbe leso il principio della par condicio dei concorrenti fra i quali taluni costituiti in forma di società con socio unico o socio di maggioranza persona fisica sarebbero sottoposti ai controlli di cui al Codice Antimafia a differenza di talaltri in quanto persone giuridiche.
BOX: Recenti pronunce giurisprudenziali aderiscono al principio ormai sempre più consolidato secondo cui la previsione dell’art. 38 del Codice Appalti è inapplicabile ai soci persone giuridiche
– Socio di maggioranza assoluta o socio di maggioranza relativa?
L’AVCP nella già richiamata determinazione n. 1 del 16 maggio 2012 ha evidenziato che «si ritiene che la locuzione “socio di maggioranza” vada interpretata nel senso di effettuare i controlli di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) nei confronti del soggetto che detiene il controllo della società (controllo di cui si dispone anche potendo contare solo sulla maggioranza relativa). Ciò è conforme alla ratio della norma che ha come obiettivo quello di sottoporre ad una verifica più incisiva, estesa ai soci, esclusivamente quelle società in cui, per via della ridotta composizione azionaria, i singoli soci potrebbero assumere un’influenza dominante. Si precisa che nel caso di società con due soli soci i quali siano in possesso, ciascuno, del 50% della partecipazione azionaria, le dichiarazioni previste ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettere b) e c) del Codice devono essere rese da entrambi i suddetti soci (cfr. Parere AVCP del 4 aprile 2012, n. 58)».
Sul tema negli anni si erano registrati diversi orientamenti giurisprudenziali a seguito dei quali emergeva una situazione di estrema incertezza rispetto alla decodificazione dell’espressione “socio di maggioranza” di cui all’art. 38 del Codice Appalti.
Sull’esatta definizione della nozione di socio di maggioranza, ai fini dell’applicazione della normativa di cui all’art. 38 del Codice Appalti, considerati i contrasti giurisprudenziali, è intervenuta anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 6 novembre 2013 n. 24 secondo cui «L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del D.lgs. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%». In particolare, la questione sottoposta all’ Adunanza Plenaria concerneva l’individuazione precisa dei soggetti su cui incombe l’obbligo, ai fini della verifica dei requisiti di idoneità professionale, delle dichiarazioni prescritte dalla legge.Poiché ‘art. 38 comma 1, lettera b), c) e m-ter) del Codice Appalti contempla genericamente la nozione di socio di maggioranza, non precisando se tale maggioranza sia quella assoluta ovvero presupponga una partecipazione superiore al 50% del capitale sociale) ovvero quella relativa, in sede applicativa si è generato un dubbio interpretativo, che, in considerazione della rilevanza ai fini della partecipazione/esclusione dei soggetti coinvolti, ha giustificato la rimessione all’esame dell’Adunanza Plenaria la relativa questione di diritto.
In particolare l’Adunanza Plenaria, alla luce della giurisprudenza richiamata (Cons. Stato n. 4654/2012), ha escluso ogni rilevanza del dato letterale e ha ritenuto non dirimente l’impiego del singolare (”socio” e non soci) ai fini della risoluzione del dubbio interpretativo. È stato, infatti, ribadito come l’uso del singolare deve essere spiegato soltanto in funzione della portata dell’obbligo dichiarativo, che fa evidentemente capo al singolo esponente societario.
Ai fini della soluzione della questione ermeneutica l’Adunanza Plenaria ha sostenutola necessità di seguire una interpretazione teleologica del disposto dell’art. 38 del Codice Appalti basandosi sulla finalità della normativa in questione che, come detto, è quella di assicurare che non partecipino alle gare, né stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche, società di capitali con due o tre soci per le quali non siano attestati i previsti requisiti diidoneità morale in capo ai soci aventi un potere necessariamente condizionante le decisioni digestione della società; ne consegue che sarà ostativo alla partecipazione il mancato possesso dei requisiti morali soltanto da parte di soci idonei ad influenzare, in termini decisivi e ineludibili, le decisioni societarie.
Come si legge nella richiamata sentenza «Un socio ha un tale potere quando per adottare le decisioni non si può prescindere dal suo apporto, assumendo di conseguenza questo potere efficacia determinante non soltanto in negativo, in funzione di veto, ma anche in positivo, in funzione di codeterminazione, poiché il socio che ha il potere di interdire l’adozione di una decisione è anche quello che deve concorrere perché sia adottata».
La verifica di tale presupposto risulta essere, dunque, imprescindibile ai fini dell’operatività dell’obbligo dichiarativo. Se tale verifica è evidente nel caso di socio titolare di più del 50% del capitale sociale, invece, un più approfondito esame meritano le seguenti ipotesi:
- società costituite da due soci al 50% del capitale
- società con tre soci, ognuno dei quali con meno del 50% del capitale.
Con riferimento alla prima ipotesi(società con due soci al 50% del capitale), il Consiglio di Stato ritiene sussistere l’obbligo dichiarativo in capo ad entrambi i soci partecipanti al 50% del capitale, poiché entrambi hanno un potere decisionale condizionante, dal momento che in nessuno caso le decisioni societarie possono essere adottate senza i rispettivi apporti, sia in negativo che in positivo.
La seconda ipotesi, invece, (società con tre soci ognuno dei quali con meno del 50% del capitale) risulta di diversa soluzione, a seconda che nessuno dei tre soci partecipi al 50% del capitale ovvero ve ne sia uno titolare di tale partecipazione.
Nel primo caso, infatti, indipendentemente dalle specifiche percentuali di partecipazione, ciascuno socio non è mai esclusivamente e da solo determinante, poiché necessita sempre dell’accordo con un altro socio, per raggiungere la maggioranza decisionale. Nessuno dei soci ha, pertanto, l’obbligo delle dichiarazioni prescritte dall’art. 38 del Codice Appalti, poiché nessuno ha una posizione tale da condizionare l’adozione delle scelte operative.
Nel secondo caso, invece, il socio che detiene il 50% del capitale condiziona, da solo, le decisioni sociali, poiché in nessun caso possono essere adottate senza il suo consenso, che è, quindi, necessario e imprescindibile. Ne consegue che, in tal caso, le prescritte dichiarazioni ex art. 38 del Codice Appalti dovranno essere rese da tale socio, a pena di esclusione.
Come evidenziato dall’Adunanza Plenaria «Queste conclusioni, idonee a risolvere i dubbi interpretativi originati dalla normativa in modo coerente con la sua ratio, risultano anche adeguate allo scopo, sottolineato nell’ordinanza di rimessione, di evitare margini di discrezionalità e incertezza nell’azione amministrativa (e quindi per i concorrenti alle gare), essendo individuati preventivamente i soci obbligati alle dichiarazioni – i
due soci al 50% e, se i soci sono tre, il socio al 50%, poiché in posizione determinante – oltre, pacificamente, il caso del socio che possegga la maggioranza economica del capitale (socio al più del 50%)».
Ed ancora «Esse appaiono anche coerenti con la normativa sulla tassatività e tipizzazione delle cause di esclusione. Infatti, da un lato, la mancata dichiarazione da parte dei soggetti sopra indicati si configura quale ragione di esclusione per “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” (art. 46, comma 1-bis, del Codice, aggiunto dall’art. 4, del d.l. n. 70 del 2011), ponendosi l’inadempimento in questione in contrasto con le dette prescrizioni secondo il loro fine sostanziale di salvaguardia delle garanzie di affidabilità dei contraenti, e, dall’altro, la precisazione di fattispecie certe preclude nell’applicazione della normativa l’individuazione di cause di esclusione non preordinate, in coerenza con la prescrizione della loro tipizzazione».
Recentissimamente TAR Campania-Napoli, Sezione II, sentenza 27 luglio 2015 n. 3942, sulla base di quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 24 del 2013, ha affermato che “Nel caso in cui, come nella fattispecie, la compagine societaria sia composta da tre soci nessuno dei quali in possesso di una partecipazione al 50%, nessun socio ha potere determinante, con conseguente esclusione dell’obbligo di dichiarazione, tenuto conto della latitudine interpretativa consentita dalla disposizione, la quale, comunque, si riferisce al “socio di maggioranza”, precludendo la diversa opzione ermeneutica sostenuta dalla difesa di parte ricorrente”.
In particolare, il TAR Puglia-Bari, Sezione I, sentenza 13 gennaio 2015 n. 41, sul solco dell’interpretazione fornita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza 30 luglio 2014 n. 16 (secondo cui: a) la dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 del Codice Appalti può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore; b) la dichiarazione sostituiva relativa all’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 del Codice Appalti non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici; c) una dichiarazione sostituiva confezionata nei sensi di cui alle precedenti lettere a) e b) è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio) le dichiarazioni rese dal legale rappresentante di una SRL «devono, quindi, essere giudicate complete, sotto il profilo appena esaminato, nella misura in cui andavano intese come riferite a tutti i soggetti tenuti a renderle in relazione alla peculiare configurazione societaria dell’impresa concorrente in questione, ed espressamente elencati di seguito alla dichiarazione, nell’espressione in parentesi; sicché, nel caso di specie, trattandosi di s.r.l., la predetta dichiarazione andava riferite al socio di maggioranza, ovvero ad entrambi i soci al 50%, così come chiarito dall’A.P. del Consiglio di Stato n. 24/2013». Come evidenziato dai giudici pugliesi «Del resto non si comprenderebbe altrimenti quale diverso significato possa essere attribuito all’espressione “nei suoi confronti e quelli per l’impresa”, (seguita dall’elenco di cui si è detto), che per quanto infelice, è espressiva della volontà di cumulare in un’unica dichiarazione l’onere dichiarativo incombente su tutti i soggetti facenti parte della compagine societaria e tenuti altrimenti per legge a rendere singolarmente su piattaforma telematica e con firma digitale la predetta dichiarazione, così venendo incontro ad esigenze di semplificazione delle imprese nei rapporti con la P.A. e garantendo al contempo un particolare rigore morale in capo agli operatori economici candidati ad instaurare rapporti contrattuali con le amministrazioni aggiudicatrici».
L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle lettere b), c), m-ter) dell’art. 38, comma 1 del Codice Appalti, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%
3. Conclusioni
Alla luce del riferito quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali registratisi con riferimento all’interpretazione della nozione del “socio di maggioranza” di cui all’art. 38, comma 1 lettere b), c) ed m-ter) del Codice Appalti sarà di indubbio interesse seguire le eventuali evoluzioni degli indirizzi ermeneutici in considerazione delle riforme legislative relative alla semplificazione amministrativa (cfr. Legge 11 agosto 2014, n. 114 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”) e soprattutto delle spinte garantiste via via propugnate dal Consiglio di Stato.