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( vote)In tema di applicazione della clausola sociale si sono avvicendati diversi interventi giurisprudenziali nel tentativo di definire i termini di applicazione della predetta clausola, precisando che, quest’ultima, debba intendersi in senso relativo e non assoluto, lasciando, quindi, discrezionalità all’operatore economico in merito alla necessità di assumere il personale del gestore uscente a seconda della capacità di esecuzione della prestazione oggetto di affidamento, sulla base della propria organizzazione aziendale.
Tanto si legge anche nelle linee Guida Anac n. 13 di cui si riporta uno stralcio: “L’applicazione della clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario. Il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore. Tale principio è applicabile a prescindere dalla fonte che regola l’obbligo di inserimento della clausola sociale (contratto collettivo, Codice dei contratti pubblici). Il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore.”
Nella documentazione di gara, il concorrente è tenuto ad allegare all’offerta un progetto di riassorbimento che illustri le concrete modalità di applicazione della clausola sociale, con particolare riferimento al numero dei lavoratori che beneficeranno della stessa e alla relativa proposta contrattuale (inquadramento e trattamento economico). Il rispetto del progetto sarà oggetto di monitoraggio da parte della stazione appaltante nel corso dell’esecuzione del contratto.
La mancata presentazione del progetto equivale a mancata accettazione della clausola sociale e, come tale, costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche, e per le quali si impone l’esclusione dalla gara. Esclusione che, tuttavia, non è fondata nel caso in cui l’operatore economico manifesti di applicarla nei limiti di compatibilità con la propria organizzazione d’impresa. L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale comporta l’applicazione dei rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto.
Spesso succede però, che alcune amministrazioni prevedano nei loro atti non solo la clausola di esecuzione che richiede l’utilizzo di almeno il 50% del personale uscente, ma anche l’attribuzione di criteri premianti, l’assunzione del medesimo personale in diverse percentuali. Tali previsioni, implicitamente/volutamente, ampliano in maniera quasi totalizzante il raggio d’azione della clausola sociale come innanzi esposta.
Tanto succedeva nella fattispecie analizzata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2583 del 24/07/2019, in cui si legge espressamente che: “la congiunta applicazione delle due prescrizioni di gara (cinquanta più cinquanta) produce sostanzialmente l’effetto di aggirare il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente”, vanificando in toto l’interpretazione che lo stesso Consiglio di Stato condivide, in ossequio ai princìpi nazionali e comunitari che regolano la libertà imprenditoriale e di concorrenza, che non si traduca in una clausola meramente escludente.
Di fatto “l’impossibilità di utilizzare, se non residualmente, il proprio personale nell’appalto sembrerebbe impedire a tutti gli operatori economici diversi dal fornitore uscente, di usufruire del punteggio ad essi corrispondente. L’applicazione in questi termini del criterio si rivelerebbe lesivo dei principi di concorrenza e di parità di trattamento”.
A nulla sono valse le obiezioni della stazione appaltante in merito alla natura giuridica dei destinatari dell’affidamento ossia, le imprese sociali, per le quali non è stata condivisa l’inoperatività della clausola sociale alle imprese non aventi finalità di lucro, in quanto soggette comunque ad un’organizzazione d’impresa nello svolgimento delle attività oggetto del loro scopo sociale.
Secondo il Consiglio di Stato, anche i soggetti in questione possono, esercitare, con i limiti di cui sopra, attività d’impresa, con il conseguente diritto di non subire eccessive e ingiustificate interferenze nelle scelte relative all’organizzazione dei fattori della produzione, nemmeno quando la stazione appaltante giustifichi tale richiesta nel tentativo di assicurare continuità educativa e didattica agli studenti disabili, come nel caso di specie.
A conforto della tutela del principio di libera concorrenza, è stato inoltre affermato che “l’applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione” (Cons. Stato, III, n. 5597/2015).
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sul tema dichiarando, con la sentenza n. 68/2011, l’illegittimità costituzionale della clausola sociale prevista dall’art. 30 L.R. Puglia n. 4/2010, laddove imponeva al nuovo appaltatore l’assunzione a tempo indeterminato di tutto il personale utilizzato dal precedente affidatario.
Sulla natura escludente del contenuto della clausola sociale, una parte della giurisprudenza si è chiesta, altresì, se potesse costituire clausola autonoma di impugnazione. Il Tar Liguria, sancisce che pure una clausola sociale può essere di tenore tale da manifestare un effetto immediatamente lesivo della concorrenza, estendendo, a quest’ultima, l’applicazione di quanto previsto dal processo amministrativo ai sensi dell’art. 39 c.p.a..
Ciò che di interessante emerge dalla sentenza del Tar Liguria n. 22 del 14 gennaio 2019, è l’aver constatato che la formulazione della clausola sociale del nuovo codice degli appalti, di sicuro è improntata ad un obbligo di salvaguardia delle posizioni lavorative, che rischia di tradursi “in un’indiscriminata protezione delle stesse”, tanto da configurare una barriera all’accesso alla contrattazione pubblica, in ragione del fatto che impedisce al concorrente di formulare un’offerta in linea con la sua struttura aziendale, comportando, in sostanza, una vera e propria impossibilità di partecipare alla gara.
L’interpretazione della clausola sociale in questi termini, contraria nei fatti ai principi ispiratori della consolidata giurisprudenza degli ultimi anni, legittimerebbe l’offerente ad adire il giudice amministrativo per lesione di un interesse attuale e concreto.