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Premessa

Una questione che da tempo occupa molte delle discussioni afferenti tempi e modi con i quali la spesa per gli investimenti può tradursi in opere o cantieri riguarda senza dubbio gli effetti del contenzioso giurisdizionale attivato dal concorrente non aggiudicatario avverso agli esiti della gara rivelatasi a lui sfavorevole, ovvero dall’escluso contro il relativo provvedimento.

Volendo qui incentrare la riflessione sul primo dei casi evocati, va considerato come spesso accada che di fronte alla notifica di un ricorso giurisdizionale sull’intervenuta aggiudicazione di una procedura le stazioni appaltanti vengano a trovarsi di fronte ad un non facile dilemma: fermare l’attività preordinata all’attuazione dell’intervento in attesa che si chiarisca la situazione, anche in funzione di stabilire con certezza a quale operatore economico spetti il compito di eseguire la prestazione, ovvero procedere comunque alla sottoscrizione del contratto ed avviare l’esecuzione, laddove si ritenga prevalere l’interesse alla realizzazione in luogo del ripristino della legittimità del contesto in ipotesi violato, attendendo un definitivo verdetto che permetta di riprendere la procedura.

Il tema – che registra specifico interesse anche da parte del legislatore comunitario in rapporto all’esigenza di garantire l’effettivo rispetto delle regole dettate per l’attribuzione dei contratti, da ultimo con le direttive 23, 24 e 25 del 2014, interesse sostanziatosi nell’intervenuta adozione, da tempo, di due specifiche direttive, le 89/665 e la 92/13, rispettivamente applicabili agli appalti ordinari ed a quelli dei cosiddetti settori speciali, cosi dette “ricorsi” – è oggetto di disciplina anche nella più recente versione del codice dei contratti pubblici, le cui previsioni, ancora una volta, vanno ad interessare anche il codice del contenzioso amministrativo, modificandone “dal di fuori”, come già avvenuto in passato, alcune delle relative previsioni.

Il punto è che, nonostante tutti gli sforzi ciclicamente compiuti dal legislatore per dare una soluzione efficace quanto equilibrata al problema la relativa disciplina stenta ad essere recepita dalla prassi trovando effettiva applicazione solo a tratti da parte delle stazioni appaltanti, viceversa imbrigliate in scelte di natura difensiva volte a procrastinare la stipula dei contratti, sempre meno in linea con gli obiettivi del legislatore nazionale e comunitario, come è noto puntati alla più rapida ed efficace realizzazione delle misure finanziate, alias degli investimenti.

In effetti, gli interessi in gioco sono molteplici e diversi, non sempre in grado di essere conciliati specie se considerati in modo assoluto.

1. I diversi interessi in gioco

Anzitutto v’è da considerare l’interesse della stazione appaltante, e quello della generalità di cui essa è portatrice, per la realizzazione del progetto, sia esso un’opera o un servizio, nei tempi e nei modi previsti, ma con il rischio di dover, in aggiunta al pagamento della prestazione eseguita, anche risarcire il danno a chi dovesse solo successivamente risultarne titolato in presenza di una accertata violazione di legge per il fatto di non poter più, a quel punto, utilizzare il risarcimento in forma specifica.

V’è poi l’interesse dell’operatore economico all’esecuzione della prestazione prima ancora che a vedersi risarcire il danno anche in considerazione del rilievo che le referenze legate alla realizzazione dei contratti rivestono sotto il profilo della qualificazione per l’accesso al mercato.

Indipendentemente dall’acquisizione dei titoli che ne consentono l’accesso, v’è poi l’interesse della generalità e dell’economia a che il mercato stesso funzioni nel rispetto delle relative regole.

2. Procedere o attendere gli esiti del contenzioso attivato?

Con una previsione che vuole tenere insieme le diverse esigenze, il d.lgs. n.36/2023, al comma 4 dell’articolo 18, con alcune significative modifiche rispetto alla previgente disciplina torna a porre mano al tema già affrontato dal vecchio Codice relativamente agli effetti dei ricorsi giurisdizionali avverso le aggiudicazioni delle gare in rapporto alla successiva stipula dei relativi contratti, stipula che, laddove già intervenuta, frustrerebbe di fatto non poco l’obiettivo del ricorrente di eseguire lui stesso la prestazione in ipotesi illegittimamente sottrattagli.

È d’altro canto evidente come l’incertezza sull’esito finale della controversia ponga un importante problema in carico all’amministrazione, in contrasto con l’esigenza di procedere speditamente alla realizzazione del contratto nei tempi e nei modi previsti, ciò che, come detto, corrisponde ad un interesse pubblico, senza che la definitiva certezza circa la legittimità dell’azione svolta possa più di tanto vanificare tale obiettivo.

In astratto, infatti, la scelta sul se procedere, o meno, alla stipula del contratto dovrebbe avvenire solo all’esito di un giudizio di merito con carattere di definitività, quindi reso di regola in secondo grado laddove fin lì coltivato dall’interessato.

Nell’evidenza dell’enormità di un’opzione che imponga l’esistenza della cosa giudicata formale per poter procedere, cosa che si tradurrebbe nel blocco completo di molte attività per mesi, se non per anni, per il legislatore si tratta da tempo, come detto, di trovare un equilibrio tra diverse esigenze: la certezza del diritto e la tutela del privato sacrificato dalla relativa violazione con la necessità di intervenire nei tempi richiesti dall’interesse pubblico.  

Ispirato dalla necessità, formalizzata a livello comunitario, di superare l’esistente legislazione in materia di contratti pubblici tramite l’adozione di un nuova disciplina (considerata vera e propria “riforma” nell’ottica PNRR) che garantisca una celere ed efficace messa a terra degli investimenti, il nuovo codice ha considerato il perdurare dell’evidenziata questione modificando la disciplina di cui all’ex articolo 32 del d.lgs. 50 del 2016 nell’ottica del principio di risultato che, posto al vertice della scala valoriale tracciata dagli articoli 1-11, informa la formulazione e l’interpretazione delle singole previsioni del nuovo codice.

3. La centralità dell’istanza cautelare

Il comma 11 della vecchia disciplina, similmente a quanto oggi previsto dal nuovo articolo 18, disponeva che, in presenza di un ricorso avverso l’aggiudicazione l’amministrazione non poteva procedere alla stipula del contratto dal momento della notifica dell’istanza cautelare e per i successivi 20 giorni, a condizione che entro tale termine fosse intervenuto almeno il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all’udienza cautelare, ovvero – e qui è il punto che pone la differenza -fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva.

Precisava altresì la precedente disciplina, a chiusura, che l’effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessava quando, in sede di esame della domanda cautelare, il giudice si dichiarava incompetente, oppure fissava con ordinanza la data di discussione del merito senza concedere misure cautelari o – terza ipotesi – anch’essa di rilievo ai fini dell’evidenziazione del cambiamento,rinviava al giudizio di merito l’esame della domanda cautelare, con il consenso delle parti, da intendersi quale implicita rinuncia all’immediato esame della domanda cautelare.  

4. Le opzioni del nuovo codice

Nel riprendere il tema, il nuovo codice dedica alla questione il comma 4 dell’articolo 18 che, nel confermare il precedente impianto, ovvero quello di derivazione comunitaria che prevede per legge l’effetto sospensivo (c.d. stand still) sul decorso dei termini per la stipula del contratto (60 giorni dall’aggiudicazione) a seguito di un ricorso notificato alla stazione appaltante sino al momento del radicarsi di un grado di relativa certezza circa gli esiti finali del giudizio, colloca, a tutti gli effetti, detto momento nell’ambito della sola fase cautelare del contenzioso attivato.

In questo senso rileva la cancellazione, nel primo periodo, dell’opzione che in passato prevedeva che l’amministrazione potesse attendere anche la “pronuncia successiva” a quella prevista per la definizione della fase cautelare, comunemente definita merito a breve o decisione del merito in forma semplificata; nello stesso senso chiarificatore è da leggersi anche la parziale riformulazione del secondo periodo dell’ex comma 4.

5. Rafforzata la scelta del rilievo della sola fase cautelare

La scelta di circoscrivere con chiarezza alla sola fase cautelare del processo, che quindi va necessariamente e specificamente attivata dal ricorrente, la possibilità di ritardare la formalizzazione del contratto e, quindi, di regola, l’avvio della fase esecutiva delle prestazioni, appare dunque pienamente confermata e rafforzata, in tutta coerenza con le modifiche apportate al codice del processo amministrativo (vedi infra) ed all’ulteriore previsione recata dall’articolato in nota, al comma 9, secondo la quale le stazioni appaltanti e gli enti concedenti hanno facoltà̀ di stipulare contratti di assicurazione per la responsabilità̀ civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.

Trattasi, infatti, di una previsione che mira a fugare le incertezze delle amministrazioni che da tempo accompagnano l’applicazione, da parte delle stesse, di una norma passata nel corso del tempo attraverso formulazioni diverse ma sempre più ispirate al principio che l’incertezza giuridica sulla legittimità dell’intervenuta aggiudicazione non deve poter condizionare la tempestiva realizzazione degli investimenti.

Chiude il cerchio l’altrettanto innovativa previsione di cui all’articolo 17, comma 7, secondo la quale la mancata o tardiva stipula del contratto costituisce violazione del dovere di buona fede – espressamente sancito a livelli di principio generale all’articolo 5 – anche in pendenza di contenzioso, ove per tardiva deve leggersi il superamento del temine di 60 giorni dalla aggiudicazione di cui all’articolo 18, comma 2.

Completa il quadro degli interventi operati dal nuovo codice con le finalità predette anche quello sulla disciplina del processo amministrativo; in specie l’art.209 modifica gli articoli 120, 121,123 e 124 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, coerentemente con la forte limitazione degli ambiti entro i quali è possibile ottenere un risarcimento in forma specifica e cioè l’esecuzione del contratto assegnato in modo illegittimo, con giudizio ex post, ad altri, oltre che del principio di buona fede e di tutela dell’affidamento fissato all’articolo 5 del nuovo codice

6. Il nuovo codice modifica coerentemente anche le regole sul contenzioso amministrativo

In tal senso rilevano, in primo luogo, le modifiche recate ai contenuti dell’art. 124 c.p.a., che al comma 1 prevede ora l’estensione della cognizione del giudice amministrativo alle azioni risarcitorie e all’azione di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico che, violando i doveri di buona fede e correttezza, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo.

Al riguardo, occorre infatti sottolineare come il comma 3 dell’articolo 5 secondo il quale in caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico.

7. Il rilievo del principio generale della buona fede

La nuova formulazione dell’art.124 punta, infatti, a rafforzare la tutela risarcitoria sia del terzo pretermesso, leso dall’aggiudicazione illegittima, il quale può̀ agire direttamente, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti dell’operatore economico che, contravvenendo ai doveri di buona fede, ha conseguito una aggiudicazione illegittima; sia della stessa stazione appaltante, che può agire in rivalsa nei confronti di quest’ultimo o dell’eventuale terzo concorrente che abbia concorso con la sua condotta scorretta a determinare un esito della gara illegittimo.

In tal senso si era pronuncia già pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 12 maggio 2017, n. 2, raccordandosi con l’art. 41 comma 2 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui prevedeva che qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì̀ agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo.

Il nuovo terzo commarisponde all’esigenza di adattare alle specificità̀ del giudizio in materia di appalti il meccanismo di liquidazione del danno previsto dall’art. 34, comma 4, dello stesso codice del processo amministrativo.

8. Il risarcimento in forma specifica e per equivalente

Posta la limitazione dei casi in cui è possibile disporre il risarcimento in forma specifica, limitazione derivante dall’esigenza di dover procedere all’esecuzione con l’aggiudicatario salva la sola ipotesi di concessione del provvedimento cautelare, l’obiettivo delle riferite modifiche è quello di incrementare il grado di speditezza e di effettività̀ della tutela risarcitoria per equivalente.

Le nuove previsioni creano, infatti, disincentivi economici nei confronti della parte danneggiante la quale manchi di formulare una proposta transattiva o la determini in misura incongrua rispetto alla reale entità̀ del danno suscettibile di ristoro.

L’intento è altresì quello di favorire la rapida definizione del tema risarcitorio nell’ambito dell’unico giudizio di cognizione, evitando l’attivazione del secondo giudizio di ottemperanza previsto dal citato articolo 34, comma 4, per il caso di mancato accordo tra le parti. Al contempo, viene lasciata intatta la devoluzione della questione al giudice dell’ottemperanza, nel caso in cui le parti non riescano a raggiungere un accordo, in modo tale da preservare la pluralità̀ degli sbocchi (giudiziali e stragiudiziali) attraverso i quali può̀ trovare soluzione il contrasto sulla quantificazione del ristoro.

L’innovazione, al pari della precedente introdotta al comma 1, risponde alla crescente rilevanza che, anche per quanto evidenziato nel paragrafo 3, la tutela per equivalente sempre più̀ assumerà̀ nei prossimi anni nell’ambito del contenzioso nella materia dei pubblici appalti.

Deriva da quanto precede l’evidenza dell’approccio seguito dal nuovo codice sul tema.

9. Diritto ad eseguire un contratto sempre più recessivo rispetto alla realizzazione dell’investimento

Appare infatti evidente che l’esigenza degli operatori economici di vedersi riconoscere il diritto ad eseguire un contratto, quale bene della vita da conseguire in luogo di un eventuale risarcimento per altro adeguato, abbia assunto carattere recessivo rispetto alla finalità della messa a terra degli investimenti.

Secondo autorevole interprete lo scopo primario del d.lgs. 36/2023 è realizzare contratti pubblici con la massima celerità e il miglior rapporto qualità/prezzo e non è perseguire altre policies, pure importanti, che rispetto ad esso sono funzionali e non finali[1].

In tal senso, si può dire che il risultato è oggi parte della legittimità stessa dell’atto amministrativo.

È da vedere se quest’ennesimo tentativo di porre fine a pratiche dilatorie concentrando la verifica giurisdizionale allo scopo rilevante sulla sola fase cautelare rispetto alla stipula dei contratti ed al conseguente avvio della fase esecutiva, avrà finalmente effettivo riscontro.


[1]             Luigi Carbone LA SCOMMESSA DEL “CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI” E IL SUO FUTURO

                Relazione introduttiva al Convegno dell’Istituto Jemolo “Il nuovo codice degli appalti – La scommessa di un cambio di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?” Avvocatura dello Stato – 27 gennaio 2023

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Questo articolo è stato scritto da...

Stefano De Marinis
Avvocato, già vicepresidente FIEC
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