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( votes)Premessa – Gli accordi tra amministrazioni e la disciplina di cui all’art.15 della L. 241/90. L’Ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 163/06 e la nozione di operatore economico. L’ambito oggettivo ed il contenuto dell’accordo. Le interferenze con la disciplina di cui al d.lgs. 163/06. Le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del codice contratti. Conclusioni
Premessa
Una recente sentenza della Corte di Giustizia[1] offre un interessante spunto per analizzare l’ambito di operatività degli accordi tra amministrazioni, ex art.15 della L. 241/90, e i rapporti con la normativa di cui al d.lgs. 163/06.
Nel presente contributo si rileveranno i punti di contatto tra le due discipline prestando particolare attenzione all’individuazione della linea di confine tra l’applicazione della disciplina di cui all’art. 15 della L. 241/90 e il d.lgs. 163/06.
Tale analisi appare quanto mai necessaria considerata la tendenza in atto, che ha trovato un riconoscimento normativo con l’introduzione del comma 1bis[2] dell’art. 1 della L. 241/90, secondo cui l’amministrazione deve preferire nello svolgimento delle proprie attività i moduli consensuali, nell’ottica di razionalizzazione e semplificazione amministrativa.
Gli accordi tra amministrazioni e la disciplina di cui all’art.15 della L. 241/90
Gli accordi tra amministrazioni disciplinati in via generale[3] dall’art. 15 della L. 241/90, detti anche accordi di tipo orizzontale[4], in considerazione della posizione di equiordinazione tra le parti, sono espressione delle esigenze di semplificazione e razionalizzazione dell’amministrazione. Tali accordi, infatti, soddisfano un’esigenza di autocoordinamento disciplinando lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune a più amministrazioni, che presentano, normalmente, un alto livello di complessità e coinvolgono più amministrazioni.
A differenza della conferenza di servizi[5], attraverso la quale l’amministrazione procedente perviene allo stesso accordo finale, gli accordi in esame costituiscono uno strumento che, nell’ottica di semplificazione e snellimento degli adempimenti connessi all’attività amministrativa, rinvia ad un’azione futura. In sostanza, attraverso l’accordo non si eliminano i vari procedimenti amministrativi che successivamente le varie amministrazioni competenti dovranno effettuare e svolgere.
Pur essendo differente la ratio rispetto agli accordi con i privati, ex art. 11 della L. 241/90, che si collocano in un’ottica partecipativa secondo lo schema dell’amministrazione concertata, essendo funzionali al contemperamento degli interesse generale con quelli particolari dei privati, la disciplina applicabile agli accordi di tipo orizzontale, giusto il rinvio di cui II comma dello stesso art. 15 della L.241/90[6], è, comunque, quella degli accordi verticali tra privati e PA.
Nella prassi, considerata l’economicità e l’efficacia dello strumento che consente la gestione di servizi di particolare complessità, l’utilizzo dello stesso appare sempre più diffuso.
Un caso oggetto di una importante pronunzia da parte della Corte di Giustizia[7] attiene alla gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti mediante un contratto stipulato da alcune circoscrizioni amministrative (quattro Landkreise) (circoscrizioni amministrative) della Bassa Sassonia con i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo. La Corte di Giustizia ha riconosciuto la legittimità di tale contratto, benché lo stesso non sia stato oggetto di una gara d’appalto a livello comunitario, sulla base dell’assunto che un’autorità pubblica può adempiere compiti di interesse pubblico mediante propri strumenti e in collaborazione con altre autorità pubbliche.
Il contratto oggetto della pronunzia, analogamente all’accordo di cui all’art. 15 della L 241/90, istituisce una cooperazione tra enti locali finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi, ossia lo smaltimento di rifiuti.
Secondo il principio della neutralità delle formule organizzatorie, il diritto comunitario[8] non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico.
Si tratta allora di accertare, anche alla luce della più recente pronunzia della Corte di Giustizia, quali siano i presupposti in presenza dei quali può affermarsi la legittimità di un accordo tra più amministrazioni per lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, e quando tale accordo debba, invece, a pena di illegittimità, ritenersi assoggettato alla disciplina relativa agli appalti pubblici.
La risoluzione della problematica in esame comporta l’analisi, in via preliminare dell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione del d.lgs. 163/06. Si tratta infatti di verificare, da un lato, quali soggetti rientrino nell’ambito di applicazione del codice contratti e del relativo regolamento attuativo, e dall’altro sotto il profilo oggettivo, quali elementi del contenuto dell’accordo ne determinino l’assoggettamento al codice appalti.
L’Ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 163/06 e la nozione di operatore economico
L’ambito soggettivo di applicazione degli appalti pubblici deve essere necessariamente analizzato alla luce del diritto interno e del diritto comunitario. Come noto la nozione di operatore economico è stata oggetto di un’importante evoluzione sul piano del diritto interno. In un primo tempo si è, infatti, negato che soggetti pubblici non economici, quali, ad esempio, le Università o le Fondazioni potessero partecipare alle gare d’appalto sulla base essenzialmente di tre argomentazioni: la negazione della capacità di diritto privato della P.A., il carattere tassativo dell’elenco di cui all’art. 34 del d.lgs. 163/06 e la nozione di impresa di cui all’art. 2082 c.c.
La prima argomentazione si fondava sulla negazione del riconoscimento della capacità di diritto privato da parte delle pubbliche amministrazioni, alla luce delle finalità pubbliche cui è preordinata l’azione amministrativa e sul presupposto della legittimità dell’agere della P.A. Si discuteva, infatti, dell’applicabilità di alcune diposizioni del codice civile quali ad esempio gli artt. 1341 e 1342 cc relativi alle condizioni generali di contratto, l’art. 1469 bis e ss. in materia di clausole vessatorie e l’art. 2932 c.c. in materia di esecuzione forzata.
L’evoluzione giurisprudenziale[9] che ha portato al riconoscimento di una generale capacità di diritto privato dell’amministrazione, ha trovato un riconoscimento a livello normativo attraverso l’introduzione, come ricordato, del comma 1 bis nell’art.1 L.241/90, oggi interpretato nel senso della piena fungibilità ed equivalenza tra strumenti di diritto privato e strumenti autoritativi, nonché dell’art. 21 sexies[10] della stessa legge sul procedimento amministrativo che, con riferimento all’esercizio del recesso, afferma il principio generale della soggezione della pubblica amministrazione alle norme di diritto comune.
Ulteriore riprova della capacità di diritto privato delle amministrazioni si rinviene proprio nell’art. 2, comma 4 del d.lgs. 163/06 laddove sancisce che: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.
La seconda argomentazione, più specificatamente attinente alla disciplina degli appalti pubblici, fondava l’esclusione dagli appalti pubblici degli enti pubblici non economici su un’interpretazione restrittiva art. 34[11] del d.lgs. 163/06, considerando tassativa[12] l’elencazione dei soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici. Sul piano della definizione in astratto[13] dei soggetti che possono partecipare alle gare d’appalto non vi era una sostanziale differenza tra diritto comunitario e diritto interno, il problema si poneva, per contro, proprio con riferimento all’elenco di cui all’art. 34 del d.lgs. 163/06 tanto da comportare una procedura di infrazione da parte della CE. La Commissione Europea[14], infatti, aveva ritenuto la formulazione dell’art. 34 del d.lgs. 163/06 non compatibile con la disciplina comunitaria nella misura in cui escludeva la possibilità di partecipare alle gare d’appalto per gli operatori economici con una forma giuridica diversa da quelle contemplate. Il superamento di tale impostazione è avvenuto anche alla luce di un’interpretazione evolutiva della nozione di impresa, in conformità all’orientamento comunitario, superando così la terza obiezione su richiamata che si fondava sul dato letterale di cui all’art. 2082 c.c. secondo cui imprenditore è colui che svolge un’attività che abbia le seguenti caratteristiche: a) esercizio di un’attività economica, b) in modo professionale, c) mediante organizzazione, d) al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi. La nozione comunitaria di impresa, nell’ottica di una tutela effettiva della concorrenza sia riferita al mercato che alla stazione appaltante, (che ha maggiore possibilità di pervenire all’offerta più conveniente qualora sia più ampio il numero di soggetti partecipanti), è infatti più ampia intendendo per imprenditore la persona fisica o giuridica o l’ente pubblico o il raggruppamento di tali persiane e/o enti che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o opere, servizi e/o forniture.
La Corte di Giustizia chiamata a pronunciarsi sulla questione a seguito della rimessione della pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato[15] ha infatti affermato che: “Le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi. La direttiva 2004/18 dev’essere interpretata nel senso che essa osta all’interpretazione di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto considerato”.
L’ambito oggettivo ed il contenuto dell’accordo. Le interferenze con la disciplina di cui al d.lgs. 163/06.
Sotto il profilo oggettivo è necessario verificare quale sia il contenuto[16] dell’accordo di cui all’art.15 della L. 241/90 e quali elementi determinino l’assoggettamento alle regole del codice appalti.
L’ambito di operatività dell’accordo emerge dal tenore letterale dell’art. 15 della L. 241/90 dal quale si evincono tre elementi che devono necessariamente sussistere al fine di poter applicare la disposizione in esame ovvero:
- deve trattarsi di amministrazioni pubbliche;
- l’oggetto dell’accordo che presuppone una collaborazione attiva da parte di tutte le amministrazioni coinvolte;
- il carattere comune dell’interesse.
Il profilo soggettivo[17] appare chiaro dovendosi trattare esclusivamente di autorità pubbliche non potendo in alcun modo essere coinvolti soggetti privati nell’esecuzione dell’accordo qualora tale coinvolgimento determini, di fatto, una violazione alle norme in materia di appalti pubblici.
Per quanto attiene all’oggetto e alle finalità dell’accordo, elementi strettamente connessi, deve trattarsi di attività complesse che richiedano l’intervento di più amministrazioni che attraverso lo stesso perseguano le proprie finalità istituzionali. Tutte le amministrazioni coinvolte devono sostanzialmente essere parte attiva dell’accordo svolgendo un’azione fattiva e collaborativa in senso stretto. Non rientrano, quindi, nell’ambito di applicazione della disposizione le ipotesi in cui una delle amministrazioni coinvolte persegua un proprio fine istituzionale e un’altra, in funzione di mero supporto, svolga, di fatto, un servizio verso un corrispettivo, poiché evidentemente in questo caso viene meno il carattere comune dell’interesse.
Illuminante al proposito è la recente sentenza della Corte di Giustizia ricordata in premessa[18] nella quale l’accordo, oggetto della pronunzia, pur integrando l’elemento soggettivo, trattandosi di amministrazioni pubbliche (Università e ASL), difettava dell’elemento oggettivo. L’accordo in questione aveva ad oggetto lo svolgimento di attività di studio e valutazione da parte dell’Università della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere. Emerge ictu oculi la non riconducibilità dell’accordo in questione alla disposizione di cui all’art. 15 della L. 241/90 poiché lo stesso non rispetta l’elemento teleologico richiesto ovvero il perseguimento di un fine istituzionale comune alle parti dell’accordo. L’Università, infatti, ha quale fine istituzionale lo svolgimento di attività di insegnamento, didattica e ricerca scientifica. Attraverso l’accordo venivano, invece, perseguiti esclusivamente gli interessi della ASL mancando così l’essenziale elemento della cooperazione. Come chiarito nelle conclusioni presentate dall’Avvocato Generale[19]: “Non è, pertanto, sufficiente che l’obbligo legale di svolgere le funzioni pubbliche in questione incomba su una sola delle autorità pubbliche coinvolte, mentre l’altra si limiti ad un ruolo di ausiliare dell’adempimento, che assume in appalto l’esecuzione di detta funzione altrui. Ciò appare comprensibile qualora si rammenti il significato etimologico della parola «cooperazione», in quanto l’essenza di una cooperazione siffatta consiste proprio in una strategia comune condivisa dalle parti che si basa sullo scambio e sull’armonizzazione dei rispettivi interessi. Il perseguimento unilaterale di propri interessi ad opera di una sola parte si può molto difficilmente descrivere come «cooperazione» nel senso summenzionato….. il contratto di consulenza in questione non fonda, nel senso inteso dalla giurisprudenza, una vera e propria cooperazione tra le autorità pubbliche interessate diretta allo svolgimento di una funzione pubblica comune. Si tratta piuttosto di un contratto avente ad oggetto servizi prestati verso compenso”.
Tale pronunzia costituisce un valido supporto per l’operatore considerato che le sentenze della Corte di Giustizia sono vincolanti e producono effetti erga omnes, avendo una portata dichiarativa.
Le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del codice contratti.
Dalla lettura della sentenza e delle conclusioni dell’Avvocato generale emergono gli elementi di discrimine tra l’ambito di applicazione della legge sul procedimento amministrativo e la disciplina relativa agli appalti pubblici.
Esemplificando, le amministrazioni pubbliche possono legittimamente concludere accordi in conformità al disposto di cui all’art. 15 della L. 241/90 qualora[20]:
- l’attuazione della cooperazione è retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico. L’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti;
- viene salvaguardato il principio della parità di trattamento degli interessati, in modo tale che nessuna impresa privata è posta in situazione privilegiata rispetto agli altri concorrenti;
- alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità. La collaborazione tra amministrazioni non deve essere una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme in materia di appalti pubblici;
- gli unici movimenti finanziari ammessi tra gli enti pubblici cooperanti sono quelli corrispondenti al rimborso delle spese effettivamente sostenute. I movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno;
- tutte le strutture pubbliche coinvolte svolgono un ruolo attivo, anche se non necessariamente nella stessa misura; quindi sussiste un’effettiva condivisione di compiti e di responsabilità ben diversa dalla situazione che si avrebbe in presenza di un contratto a titolo oneroso in cui solo una parte svolge la prestazione pattuita, mentre l’altra assume l’impegno della remunerazione;
- l’accordo controverso istituisce una cooperazione tra gli enti locali finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli stessi.
- Il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non può trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme menzionate e gli atti che approvano l’accordo, nella motivazione, devono dar conto di quanto su esposto.
Per contro la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è applicabile ad accordi:
- a titolo oneroso conclusi tra un’amministrazione aggiudicatrice ed un’altra amministrazione aggiudicatrice, intendendo con tale espressione un ente che soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale e che, quindi, non esercita a titolo principale un’attività lucrativa sul mercato;
- che abbiano ad oggetto l’acquisizione da parteun’amministrazione da un’altra amministrazione di un servizio di proprio esclusivo interesse verso corrispettivo.
Conclusioni
Dalla ricostruzione delineata emerge che a livello comunitario l’attenzione sembra spostarsi dalle procedure d’appalto alle forme di esercizio collaborativo dell’attività amministrativa che, pur non costituendo una recente novità legislativa, registrano negli ultimi tempi una maggiore diffusione. L’utilizzo degli accordi tra amministrazioni, nei limiti consentiti, può costituire un occasione per le amministrazioni di perseguire il soddisfacimento dell’interesse pubblico, cui le stesse sono preordinate, nel rispetto ed in attuazione dei noti principi di buon andamento, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
[1] CORTE DI GIUSTIZIA U.E., GRANDE SEZIONE – sentenza 19 dicembre 2012 (causa n. C-159/11)
[2]L. 241/90, Art. 1, comma 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
[3] Una disciplina settoriale degli stessi si rinviene nell’art. 34 del d.lgs. 267/2000
[4] Vedi I contratti e gli accordi delle amministrazioni pubbliche, di Gianpiero Paolo Cirillo, in www.giustizia-amministrativa.it
[5] Per un approfondimento si rinvia a Manuale di diritto amministrativo di Garofoli-Ferrari Nel diritto Editore 2012, pagg 1064 e ss.
[6] Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-05-2012, n. 3202: “ Agli accordi tra pubbliche amministrazioni ( detti anche accordi di tipo orizzontale, in ragione della posizione di equiordinazione in cui versano le parti) si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2 e 3, della L. n. 241 del 7 agosto 1990, e cioè di una parte della disciplina normativa propria degli accordi di tipo verticale che l’Amministrazione può concludere con soggetti privati in funzione integrativa ovvero sostitutiva di un provvedimento (in tal senso si veda l’art. 15, comma 2, della L. n. 241 del 1990). Tra le disposizioni espressamente richiamate rientra ( art. 11, comma 2, secondo alinea) pertanto quella che a sua volta richiama i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. Anche agli accordi tra amministrazioni si applicano dunque i principi civilistici sulle obbligazioni ed i contratti, sia pur con la clausola della compatibilità del relativo regime giuridico.”
[7] Sentenza 9 giugno 2009, causa C-480/06, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania
[8] T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 04-04-2012, n. 1580: “Ne consegue che, se da una parte il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, dall’altra, una cooperazione del genere tra autorità pubbliche non può rimettere in questione l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, e cioè la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, cosicché nessun impresa privata venga posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (cfr. Corte giust. CE, 9/6/2009, n. 480/06)”.
[9] C.Cost. 2 febbraio 1990, n.51 e Cons. Stato, VI, 12 marzo 1990,n.374, secondo i quali, rispettivamente, “per le attività inerenti alla capacità di diritto privato ciò che va considerato concerne essenzialmente l’esistenza di un rapporto servente o di collegamento strumentale tra tali attività e le finalità proprie della regione come ente esponenziale degli interessi della comunità regionale”, nonché, da parte del Consiglio di Stato con prospettiva più specificamente indirizzata alla problematica in esame, “l’ente pubblico, quale soggetto giuridico, ha una pienezza di capacità che gli consente di far tendenzialmente ricorso a tutti gli strumenti conosciuti dall’ordinamento per raggiungere i propri scopi; dunque, non può dubitarsi della facoltà degli enti locali territoriali di costituire società per azioni,per la cui attività il territorio non rileva, potendo rappresentare un limite all’esercizio delle potestà pubblicistiche ma non della capacità di diritto privato; sarà dunque ammissibile lo svolgimento di tutte quelle attività – e solo di quelle – in cui sia rinvenibile un obiettivo e diretto riferimento al complesso degli interessi della collettività impersonata dall’ente.
[10] 21-sexies. Recesso dai contratti.1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
[11] Deliberazione AVCP n. 119 del 18.07.2007: “Relativamente alla possibilità che le Università espletino attività di progettazione, e più in generale, quindi, possano partecipare all’affidamento di appalti pubblici, l’Autorità con deliberazione n. 83/2007, richiamando quando deciso nella deliberazione n. 179/2002, ha ribadito che “stante il carattere tassativo dell’elenco dei soggetti aventi diritto ad essere affidatari di incarichi di progettazione, contenuto nell’art. 17 della legge 11 febbraio 1994 n. 109 e s.m., risulta non conforme al dettato normativo l’affidamento di detti incarichi a dipartimenti universitari, fatta salva la possibilità per gli stessi di costituire apposite società in base all’autonomia riconosciuta alle Università dalla legge 168/1989.”
[12] Per un cfr. Tar Lazio Roma sez. III, sentenza 29 luglio 2008 n. 7591. Tale elencazione deve ritenersi tassativa. Infatti la elencazione espressa di una serie di ipotesi tra cui le cooperative, i consorzi, il gruppo europeo di interesse economico, che pure potrebbero rientrare latamente in un concetto di impresa, conduce a ritenere che le singole previsioni facciano riferimento allo specifico istituto come regolamentato nell’ordinamento e che non ci sia spazio per una interpretazione estensiva.
[13] DIRCEE 31/03/2004 n. 2004/18/CE art.1 , comma 8 I termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. Art. 3, comma 22 d.lgs. 163/06: “ Il termine «operatore economico» comprende l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi”.
[14] Lettera del 30/01/2008, C (2008) 0108
[15] C.d.S ordinanza del 23 giugno 2008.
[16] Cons. Stato Sez. III, Sent., 25-01-2012, n. 324: “Come la giurisprudenza ha già avuto modo di sottolineare, infatti, proprio al fine di non eludere il divieto dell’obbligo di esperire una gara pubblica, l’accordo ai sensi dell’art. 15 deve riguardare l’acquisizione di attività erogata da struttura non solo pubblica, ma anche (e soprattutto) priva di alcuna connotazione imprenditoriale, nell’ampia accezione delineata dall’ordinamento europeo (v. Tar Abruzzo, L’Aquila, n. I, n. 191/2011, che richiama Cons. St., V, n. 4539/2010)”.
[17] T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 04-04-2012, n. 1580: “La nozione di “pubblica amministrazione” ai fini dell’applicazione degli artt. 11 e 15 della L. n. 241 non può prescindere, e va quindi desunta, dalla definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dettata dall’art. 3 del D.Lgs. n. 163 del 2006, recante il codice dei contratti pubblici per lavori, servizi e forniture, in modo che il servizio che forma oggetto del partenariato sia svolto esclusivamente da autorità pubbliche, secondo la definizione, fermo restando che, se interviene un coinvolgimento di privati o di imprese private esterne, deve sussistere per tutte le parti dell’accordo, in quanto tutte amministrazioni aggiudicatici, l’assoggettamento alle regole ed ai principi della evidenza pubblica”.
[18] CORTE DI GIUSTIZIA U.E., GRANDE SEZIONE – sentenza 19 dicembre 2012 (causa n. C-159/11)
[19] Per un approfondimento Giovanni Tulumello Ambito di applicazione oggettivo degli impegni consensuali fra amministrazioni pubbliche, disciplina degli interessi e procedimenti a forma vincolata: il limite del diritto europeo della concorrenza http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/Tulumello_nota_conclusioni_AG.htm
[20] Determinazione n. 7 del 21 Ottobre 2010 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.