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Merita certamente opportuna menzione la questione recentemente discussa in seno al Consiglio di Stato (sentenza n. 5213 del 29 ottobre 2013) e relativa al principio comunitario del c.d. diritto di stabilimento, venuto in rilievo a fronte della potenziale conflittualità con l’art. 64 del d.p.r. 207/2010 concernente, come noto, i requisiti generali e di indipendenza delle SOA.

La Corte ha preso in considerazione il contenuto delle precedenti sentenze del Tar Lazio Sez. I nn. 9715 – 9716 e 9717 del 13/12/2011 con le quali il Tribunale, non solo ha ritenuto la prescrizione di cui all’art. 64 co. 1 del d.p.r. 207/2010 “ingiustificata, gravosa e in contrasto con i preminenti interessi della concorrenza”, ma addirittura ha ritenuto essa integrasse ipotesi di requisito discriminatorio ai fini della libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi con violazione degli artt. 14 e 16 della direttiva 2006/123/CE. Il Tar ha inteso valorizzare in sostanza la natura di organismo di diritto privato delle SOA e l’operatività delle stesse in un mercato completamente concorrenziale, lasciando in secondo piano sia la previsione di cui al terzo comma dell’art. 40 del d.lgs. 163/2006, circa lo svolgimento di funzioni di natura pubblicistica espletate in fase di attestazione; sia il corollario annesso riveniente dall’art. 2 lett. a) del d.lgs. n. 59/2010, ove si prevede in sostanza la non applicazione dei principi espressi dalla predetta direttiva 2006/123/CE (ergo anche del c.d. “diritto di stabilimento”) proprio nei casi di “attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, quando le   stesse   implichino   una  partecipazione  diretta  e  specifica all’esercizio  del  potere  pubblico  e  alle  funzioni che hanno per oggetto  la salvaguardia degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche”. Tra l’altro il Tar ha ritenuto sussistere altresì una non manifesta infondatezza proprio del richiamato art. 40 co. 3 del Codice degli Appalti con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, relativamente all’esclusività dell’oggetto delle SOA.

Non va dimenticato infatti che l’attività di attestazione della qualità deve essere svolta nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio. L’art. 40 del Codice degli appalti stabilisce che le SOA nell’esercizio dell’attività di attestazione, svolgono funzioni di natura pubblicistica anche agli effetti della sottoposizione al giudizio di responsabilità contabile da parte della Corte dei Conti ex art. 1 legge n. 20/1994. Si pensi anche alle false attestazioni, assimilabili ai fini della responsabilità penale, a fattispecie di reato tipicamente applicabili ai pubblici ufficiali (artt. 476 e 479 c.p.); o ancora al controllo che sulla SOA esercita in più momenti la stessa Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Le ragioni degli appellanti ruotavano invece sulla considerazione per la quale “l’attività di qualificazione delle SOA è attività soggetta a regime autorizzatorio ed a stringenti controlli da parte dell’Autorità di vigilanza”; esse svolgono “una funzione pubblica di certificazione che sfocia nell’emissione degli attestati di qualificazione, con valore di atto pubblico”. Con la conseguenza che “la tutela che il legislatore assicura a siffatta attività di attestazione trova fondamento nell’esigenza di garantire e tutelare l’affidamento pubblico”, e la specificità della prestazione “ha condotto il legislatore a restringere i margini concorrenziali tra le SOA, mediante la regolamentazione di aspetti che ineriscono l’autonomia negoziale tra le parti e in termini di autonomia organizzativa interna e sul territorio delle stesse società”. Perciò meritevole di applicazione è anche, a maggior ragione, l’art. 2 del d.lgs. n. 59/2010.

Il Consiglio di Stato perciò aderendo all’istanza dell’appellato, ha inteso rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non prima di aver ricordato che l’art. 49 del Trattato, relativo al “c.d. diritto di stabilimento”, vieta “restrizioni” alla libertà di stabilimento dei cittadini e delle imprese di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato, affermando espressamente che “la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio”. Non solo, il Consiglio richiama altresì la previsione dell’art. 56 che vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione; nonché dell’art. 51 dello stesso Trattato che esclude dall’applicazione di talune disposizioni (tra le quali il citato art. 49) le attività che, nell’ambito dello Stato, partecipano, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.

Il Consiglio di Stato conclude perciò, ravvisando la necessità di “comprendere” se il divieto di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato possa riferirsi o meno anche alle SOA, quali organismi dalla “doppia anima”, nella specie: natura giuridica di s.p.a. con operatività su libero mercato in regime di concorrenza da un lato, e soggetti partecipanti all’esercizio di pubblici poteri certificativi dall’altro che soggiacciono a controlli da parte delle Pubbliche Autorità competenti.

Relativamente invece, alle sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 co. 3 del Codice con gli artt. 3 e 41 della Costituzione si richiama certamente la sentenza n. 94/2013 della Corte Costituzionale che non ritiene sussistere alcun contrasto. E nell’interessante ricostruzione fatta, richiama ai principi già espressi da risalente giurisprudenza costituzionale, la quale interpretando il principio di «libertà di concorrenza», l’ha inteso quale manifestazione della libertà d’iniziativa economica privata, suscettibile di limitazioni giustificate da ragioni di «utilità sociale» e da «fini sociali» (sentenze n. 46 del 1963 e n. 97 del 1969). Successivamente, una nozione più ampia di garanzia della libertà di concorrenza, ha evidenziato «una duplice finalità: da un lato, la libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, la stessa è diretta alla protezione della collettività, in quanto l’esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenerne i prezzi» (sentenza n. 223 del 1982), ponendo in luce la concorrenza quale «valore basilare della libertà di iniziativa economica» (sentenza n. 241 del 1990).

La Corte Costituzionale ha ritenuto che le censure sollevate dal TAR in relazione all’art. 41 Cost. sono state proposte avendo riguardo soltanto alla prima di dette accezioni, dato che l’eccepita non ragionevolezza del divieto in esame è stata desunta dall’asserita, non proporzionata limitazione della libertà d’iniziativa economica realizzata dalla norma censurata.

Questo lo scenario sul punto. Non ci resta che attendere perciò, le novità che certamente perverranno dal fronte comunitario per comprendere quale delle “due anime” prevarrà ai fini dell’applicazione delle disposizioni del Codice degli Appalti e Regolamento di attuazione oggi ritenute in teorico contrasto con i principi comunitari.

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Avv. Giuseppe Croce
Avvocato specializzato in materia di diritto civile e amministrativo, esperto in materia di appalti pubblici
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