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1. Premessa 

Tra le questioni più dibattute a margine dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, vi è senz’altro quella riguardante il rapporto con la disciplina dell’equo compenso come da ultimo definita dalla legge 21 aprile 2023, numero 49.Detta disposizione, composta da 13 articoli, fissa il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari riguardanti la remunerazione di attività professionali rese nei confronti di alcuni soggetti ritenuti dalla legge “forti”, quali banche, assicurazioni ecc., tra i quali viene espressamente ricompresa la Pubblica amministrazione, ciò che crea rilevanti problemi specie (ma non solo) per quel che riguarda gli incarichi di natura tecnica, quali progettazioni, direzioni dei lavori/dell’esecuzione,  collaudi ecc. Allo stesso modo il tema si estende agli incarichi di supporto alle attività di RUP, sia che si tratti di supporto tecnico che giuridico legale. 

Nuovo codice dei contratti e legge sull’equo compenso: sono compatibili? 

La questione si pone sotto il profilo della compatibilità del divieto di ribassare i corrispettivi posti a base degli affidamenti riguardanti le predette attività, definiti utilizzando le tariffe professionali, con le ordinarie regole che presidiano l’affidamento di contratti pubblici, le quali, viceversa, implicano un confronto concorrenziale basato anche sul prezzo. 

2. La disciplina precedente 

Con riferimento agli incarichi tecnici, di progettazione e connessi potremmo dire riferendoci alla terminologia del vecchio codice dei contratti pubblici, il tema vanta precedenti risalenti nel tempo. 

Nel passato: Tariffa scontata del 20% massimo per incarichi tecnici dello Stato e degli enti pubblici 

Fino al 2006, anno in cui venne adottata la legge n.248, di conversione con modifiche del decreto 4 luglio 2006, n.2231, il trattamento delle prestazioni tecniche era, infatti, disciplinato da apposita normativa speciale, l’articolo 4, comma 12 bis, della legge 26 aprile 1989, n.1552, di conversione con modifiche del decreto legge 2 marzo 1989, n.65, dove si prevedeva che, per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non può superare il 20 per cento. 

Nel quadro di un processo di liberalizzazione di matrice euro unitaria originato da alcune sentenze della Corte di Giustizia3, la regolamentazione citata veniva superata dall’art. 2, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n.248, che disponeva l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. 

Decreto ”Bersani” e  decreto legislativo 16 aprile 2016, n. 50. 

Successivamente a detta abrogazione, il rilievo della tariffa professionale tornava peraltro in evidenza con il decreto legislativo 16 aprile 2016, n. 50 che, al comma 8 dell’articolo 24, disponeva che i corrispettivi da fissarsi con decreto del Ministero della Giustizia, di fatto adottato il successivo 17 giugno 2016 e tuttora in essere, dovessero essere utilizzati dalle stazioni appaltanti quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento.  

Anche in considerazione delle letture comunitarie rese sul tema, e di alcune correzioni testuali apportate all’originaria formulazione ad opera del d.lgs. n.56 del2017 (cosiddetto correttivo) la più accreditata interpretazione di tale previsione si è rivelata essere nel senso che la norma non sanciva, per le stazioni appaltanti, l’obbligo di trasporre negli avvisi di gara i corrispettivi indicati nelle tabelle ministeriali, ma le lasciava libere di stabilire detti corrispettivi, spostando la questione sul sindacato che il giudice amministrativo era chiamato a compiere sulle ragioni a fondamento della eventuale decisione di discostarsene (così Cons. Stato 29 marzo 2019, n. 2094). 

3. L’assetto definito dal nuovo codice 

L’assetto descritto risulta peraltro attualmente mutato in forza del nuovo codice, le cui previsioni sono entrate in vigore il 1° aprile 2023, con efficacia differita al successivo 1° luglio. 

In tal senso è la lettura dell’Anac che, nella relazione che accompagna la bozza di bando tipo in materia di servizi di architettura ed ingegneria posto recentemente in consultazione pubblica4, scrive che la formulazione dell’articolo 41, comma 15, del d.lgs. 36 rimanda all’allegato I.13 al fine di stabilire le modalità̀ di determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, mediante attualizzazione del quadro tariffario di cui alla tabella Z-2 del decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016. La norma – continua l’Autorità – stabilisce che detti corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento. Tale formulazione differisce da quella utilizzata in vigenza del decreto legislativo 50/2016, laddove l’articolo 24, comma 8, prevedeva che i corrispettivi così individuati fossero considerati come «criterio o base di riferimento». Da tale locuzione, la giurisprudenza aveva ricavato che le stazioni appaltanti dovessero utilizzare i corrispettivi previsti dalle tabelle ministeriali solo quale parametro di cui tener conto per effettuare il calcolo del compenso da porre a base di gara, considerando tale importo come soggetto a ribasso in sede di offerta. La diversa formulazione dell’articolo 41, comma 15, – conclude la relazione – induce quindi a ritenere che i compensi calcolati sulla base delle tabelle ministeriali siano da porre come importo a base di gara.  

Da notare peraltro che, a fronte di un caso di applicazione preventiva di una riduzione del 20% della tariffa, operata dalla stazione appaltante nella vigenza del vecchio codice per quotare la base d’asta di un servizio di progettazione, la delibera 20 luglio 2023, n. 343, resa dall’Autorità, aveva già sottolineato che, così facendo, sarebbe stata violata la legge sull’equo compenso che ha ritenuto congrui e non derogabili i riferimenti stabiliti dal DM 17 giugno 2016 per il calcolo dell’importo a base di gara, con conseguente superamento della giurisprudenza. 

Il problema: la mancanza di coordinamento tra legge sull’equo compenso e nuovo codice dei contratti 

Era infatti accaduto che senza alcun specifico coordinamento, successivamente all’entrata in vigore del nuovo codice (ma non alla sua efficacia) il Parlamento aveva varato la legge 49, in vigore dal 20 Maggio 2023. Questa, all’articolo 1, espressamente prevede che per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità̀ e alla qualità̀ del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché́ conforme ai compensi previsti per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia di cui all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali di cui all’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1; al comma 3 dell’articolo 2, che le disposizioni di detta legge si applicano anche alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società̀ ricadenti nel testo unico sulle partecipate pubbliche; al comma 1 dell’articolo 3, che sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera, tali essendo le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale; al comma 4 dell’articolo 3 che la nullità̀ delle singole clausole, rilevabile d’ufficio, non comporta la nullità̀ del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto, operando la nullità̀ solo a vantaggio del professionista; al comma 5 dell’articolo 3 che la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati dalle tariffe possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per luogo di residenza o domicilio, onde far valere la nullità̀ della pattuizione e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività̀ professionale prestata; all’articolo 12, infine, che a decorrere dal 20 maggio 2023, la lettera a) del comma 1 dell’articolo 2 del decreto 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modifiche, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è abrogato.  

Di più: la legge delega5 relativa all’adozione del nuovo codice dei contratti prevedeva, tra i vari criteri, quello del divieto di prestazione gratuita delle attività̀ professionali, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. 

4. Le diverse letture. 

Orbene, premesso che per espressa previsione dell’art.11, la disciplina della legge 49 non si applica alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge, in ordine al suo concreto operare si fronteggiano diverse letture. 

La tesi dell’inderogabilità dei minimi tariffari. 

La prima ritiene che seppur non coordinate nella forma (nessun rinvio all’una o all’altra si rinviene in entrambe le previsioni) né nella sostanza, la legge sull’equo compenso sia destinata a prevalere sulla disciplina della contrattualistica pubblica, in primo luogo ratione temporis

Attingendo ancora alla relazione che accompagna la proposta di nuovo bando tipo per incarichi tecnici si ha modo di leggere che in forza del dato normativo, potrebbe sostenersi che il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali da porre a base di gara sia in ogni caso inderogabile e, pertanto, non possa essere assoggetto al ribasso in sede di offerta. Conseguentemente le gare che hanno ad oggetto esclusivamente prestazioni professionali devono essere aggiudicate a prezzo fisso, in applicazione delle indicazioni fornite dall’articolo 108, comma 5, del codice dei contratti pubblici. La competizione tra i concorrenti quindi potrà̀ essere soltanto di tipo qualitativo ed avere ad oggetto specifiche caratteristiche del servizio, ferma restando la possibilità̀ di premiare l’offerta di un tempo di esecuzione inferiore rispetto a quello previsto nel bando di gara. 

La tesi della derogabilità. 

La seconda, basata sul principio di specialità e su un approccio eurounitario che peraltro da ultimo sarebbe in qualche modo riconfermato dalla decisione Corte di Giustizia Europea  25 gennaio 2024 C-438/22, ritiene, viceversa, inapplicabile la legge 49 per lo meno nel campo degli appalti pubblici e delle concessioni, con conseguente conferma dello stato quo ante nonostante l’intervenuta abrogazione espressa della legislazione del 2006. 

Sempre attingendo alla relazione dell’Anac, si ha modo di leggere che i sostenitori di tale tesi affermano che la previsione di tariffe minime si pone in netto contrasto con il principio di concorrenzialità̀, con evidenti dubbi di compatibilità̀ anche a livello di normativa comunitaria. 

Inoltre, occorre considerare che l’articolo 2, comma 1 della legge 49/2023 definisce il proprio ambito di applicazione in relazione ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile. Ciò significa che la relativa disciplina è circoscritta alle ipotesi in cui la prestazione professionale trova fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale, in cui il singolo professionista assicura lo svolgimento della relativa attività̀ principalmente con il proprio lavoro autonomo. Resterebbero, quindi, escluse dall’applicazione della disciplina sull’equo compenso le ipotesi in cui la prestazione professionale viene resa nell’ambito di un appalto di servizi, attraverso una articolata organizzazione di mezzi e risorse e con assunzione del relativo rischio imprenditoriale. Altro argomento portato a favore di tale ricostruzione è l’espressa applicazione della normativa sull’equo compenso alle “convenzioni” che sarebbero identificabili in particolari rapporti contrattuali caratterizzati da una posizione dominante del committente, con conseguente necessità di ristabilire gli equilibri contrattuali proprio attraverso l’introduzione di tariffe minime. Tale situazione non ricorrerebbe nell’ambito delle procedure di gara caratterizzate dalla presentazione di offerte libere e adeguatamente ponderate da parte degli offerenti e dalla previsione di adeguati meccanismi atti proprio ad evitare la presentazione di offerte eccessivamente basse e quindi non sostenibili (anomalia dell’offerta). Ulteriori considerazioni – conclude su questa seconda ipotesi argomentativa l’Anac – muovono dall’esigenza di interpretare le disposizioni appartenenti a diversi ordinamenti in modo sistematico, tenendo conto del contesto ordinamentale complessivo in cui si inseriscono, pena l’annullamento dei principi di concorrenzialità̀ e di evidenza pubblica che governano l’affidamento dei contratti pubblici. 

Il ribasso sugli elementi non corrispondenti all’esercizio attività professionali  

Una posizione intermedia, che in qualche modo appare maggiormente condivisa dall’Autorità, che peraltro da tempo aveva evidenziato il problema con apposito atto di segnalazione alla competente Cabina di Regia presso la Presidenza del Consiglio fin dal 27 giugno 2023, prevede la ribassabilità delle sole spese generali, in quanto non corrispondenti all’esercizio attività professionali sebbene incluse nella tariffa. 

In tal senso la relazione citata recita sul punto che fermo restando il divieto di sottoporre a ribasso il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali, si potrebbe mantenere ferma la possibilità̀ di effettuare una gara con valutazione dell’offerta economica limitatamente alla parte di costo che esula dal compenso professionale e, pertanto, sostanzialmente, limitata alle spese generali. Con riferimento a tale possibilità̀, si evidenzia che consentendo il ribasso su una quota di tali spese, potrebbe verificarsi che i concorrenti più strutturati offrano il massimo ribasso sostenibile, attestandosi tutti su una quota fissa. In sostanza, ci sarebbe il rischio di attivare, anche in questo caso, ad una gara a prezzo fisso. Inoltre, si verificherebbe l’aspetto negativo che i professionisti singoli o le società̀ di piccole dimensioni potrebbero essere costretti ad offrire un ribasso inferiore, non riuscendo ad abbattere nella stessa misura i costi. Quindi, sostanzialmente, la competizione verrà̀ svolta sulle dimensioni dell’operatore economico o sulla capacità organizzativa e non sulla qualità̀ del servizio

5. Alcuni problemi specifici 

Tanto fin qui riportato, molte sono le questioni specifiche che interferiscono rispetto alle diverse letture testé riportate, ciò che rende in principio necessario un chiarimento normativo, considerato anche che l’adesione all’una o all’altra tesi implica risvolti non secondari anche sul piano della responsabilità erariale. 

Orbene, a parte il fatto che la tesi della limitazione dell’offerta economica alla parte di costo che esula dal compenso professionale dovrebbe a questo punto riferirsi tanto alle spese generali previste dall’articolo 5 della Tariffa, di cui al d.m. 17 giugno 2016, che a quelle per le altre attività (rilievi sondaggi ecc.) cui si riferisce il successivo articolo 6, un primo profilo riguarda il diritto intertemporale: se è vero, infatti, che la legge 49 esclude in modo espresso l’applicazione retroattiva delle relative previsioni, v’è da chiedersi come tale regola sia destinata ad operare in caso di Accordi Quadro già avviati, con offerte aggiudicate ante 20 maggio 2023, quindi affidati nel vigore della precedente disciplina, i cui contratti applicativi vengano attivati successivamente a tale data. 

Il caso degli Accordi Quadro  

In virtù del principio per il quale l’offerta economica risulta formulata in un regime giuridico diverso dall’attuale e che, ai sensi della disciplina vigente, l’accordo quadro fissa le condizioni economiche alle quali i singoli contratti attuativi dovranno essere stipulati, una scelta che andasse, ora per allora, ad azzerare gli effetti della componente prezzo offerto (rectius ribasso sulla tariffa) sulla determinazione della graduatoria di gara parrebbe oltremodo forzata, specie sotto il profilo della completa vanificazione del senso della gara svolta. 

Ulteriore questione riguarda il calco del compenso nel caso degli incarichi di supporto al RUP a libero professionista esterno, un tema che evidenzia la necessità di coordinamento tra le disposizioni di cui all’articolo 45, comma 6, del codice, che destinano risorse finanziarie non superiori all’1% dell’importo posto a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di tali incarichi e la legge n. 49. 

Gli incarichi di supporto al RUP a libero professionista esterno 

Secondo la Corte dei Conti6, infatti, l’ammontare dei relativi compensi, a seconda della tipologia di incarico da conferire, dovrà avvenire sulla base dei parametri normativi previsti per le specifiche figure professionali, tra cui l’allegato I.13 ed il d.m. 17 giugno 2016, qualora si tratti del l’affidamento degli incarichi professionali di natura tecnica; da notare come laddove tali incarichi abbiano natura di supporto giuridico legale il tema riguarderebbe le tariffe per professioni legali di cui al d.m. 55/2014 come modificato dal d.m. 147/20227

Al riguardo va detto che, secondo il nuovo articolo 25-bis codice deontologico forense, l’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti8

6. Conclusioni: la necessità di un intervento normativo 

Appare dunque evidente la necessità di un intervento legislativo a chiarimento del rapporto tra i due sistemi normativi. 

Nel frattempo, una soluzione da analizzare per i casi di affidamento diretto potrebbe essere nel senso della valorizzazione della natura professionale degli incarichi rispetto alla loro riconduzione, sempre e comunque, nell’alveo dell’appalto; ciò specie in relazione alle caratteristiche soggettive del soggetto destinato ad assumere l’incarico. 

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Questo articolo è stato scritto da...

Stefano De Marinis
Avvocato, già vicepresidente FIEC
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