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Premesse

La riforma del codice dei contratti pubblici attuata con il D.Lgs. n. 36/2023 si inserisce nel processo di esecuzione degli impegni assunti dal Governo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’accesso ai fondi del Next Generation EU: l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici costituisce in particolare attuazione del traguardo M1C1-73 del PNRR.

La riforma della disciplina della contrattualistica pubblica nell’ambito del PNRR corrisponde soprattutto a un’esigenza di semplificazione, resasi ancora più necessaria a seguito della diffusione della pandemia da Covid-19 e anche dello scoppio del conflitto russo-ucraino, eventi che hanno determinato uno stravolgimento dei mercati con inevitabili ripercussioni anche sulla fase esecutiva dei contratti pubblici. Gli effetti derivanti da detti eventi hanno, infatti, alterato l’equilibrio contrattuale inizialmente individuato fra le parti, ponendo l’esigenza di trovare rimedi volti alla manutenzione e conservazione del rapporto obbligatorio anziché alla demolizione.

Come vedremo nel presente contributo, l’art. 9 del D.Lgs. n. 36/2023 recante il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale trae origine proprio dal contesto appena descritto e dimostra il mutato orientamento del nostro legislatore nei confronti del principio di immodificabilità del contratto pubblico, già in parte ridotto per effetto delle misure straordinarie messe in atto dalla normativa emergenziale per contrastare la congiuntura economica e l’aumento dei prezzi generati dalla pandemia e dal conflitto russo-ucraino.

L’alterazione dell’equilibrio contrattuale a causa di eventi straordinari quali la pandemia e il conflitto russo-ucraino ha posto l’esigenza di trovare rimedi volti alla conservazione e non alla demolizione del contratto

1. La codificazione dei principi nel D.Lgs. n. 36/2023

Uno dei tratti distintivi e più significativi del D.Lgs. n. 36/2023 rispetto alla struttura del precedente D.Lgs. n. 50/2016 (come anche del D.Lgs. n. 163/2006) è sicuramente la Parte I del Libro I, interamente dedicata ai “Principi”.

Facciamo in particolare riferimento al Titolo I relativo ai “Principi generali”, individuati dal legislatore come i principi del risultato, della fiducia, dell’accesso al mercato, di buona fede e di tutela dell’affidamento, di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, di auto-organizzazione amministrativa, di autonomia contrattuale, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione, di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore.

Tra i citati principi generali del D. Lgs. n. 36/2023 ve ne sono alcuni particolarmente innovativi, sia nel nome che nel contenuto, i quali integrano quelli di derivazione comunitaria ovvero di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità nonché quelli generali che guidano l’agire amministrativo ai sensi della Legge n. 241/1990 (già noti e disciplinati anche nel D.Lgs. n. 50/2016, da anni alla base della contrattualistica pubblica nel nostro ordinamento).

Con ambizione il legislatore del 2023 è andato anche oltre la legge delega, che chiedeva solo di recepire i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di contratti pubblici. In tal senso, con la legge 21 giugno 2022 n. 78 (recante «Delega al Governo in materia di contratti pubblici») il Governo è stato «delegato ad adottare … uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici, anche al fine di adeguarla al diritto europeo e ai princìpi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali».

Nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 36/2023 elaborata dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato viene messo in luce che «nella consapevolezza dei rischi che sono talvolta correlati a un uso inappropriato dei principi generali (e in particolare alla frequente commistione tra principi e regole)» il legislatore «ha inteso affidare alla Parte I del Libro I il compito di codificare solo principi con funzione ordinante e nomofilattica», dando «un contenuto concreto e operativo a clausole generali altrimenti eccessivamente elastiche» oppure utilizzando «la norma-principio per risolvere incertezze interpretative … o per recepire indirizzi giurisprudenziali ormai divenuti “diritto vivente”».

La Relazione Illustrativa indica ancora che attraverso la codificazione dei principi il nuovo D.Lgs. n. 36/2023 vuole «favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze». L’idea sarebbe «quella non tanto di richiamare i principi “generalissimi” dell’azione amministrativa (già desumibili dalla Costituzione e dalla legge n. 241/1990), ma di fornire una più puntuale base normativa anche a una serie di principi “precettivi”, dotati di immediata valenza operativa, che vanno in parte a soppiantare la struttura normativa rigida, dettagliata, a volte contraddittoria, attraverso la quale detti principi hanno finora trovato spazio angusto, nel tessuto normativo»

A differenza del D.Lgs. n. 50/2016, il cui art. 30 elencava paritariamente i vari principi da osservare ai fini dell’affidamento dei contratti pubblici, il D.Lgs. n. 36/2023 opera un contemperamento tra gli stessi, fornendo criteri perché nessuno prevalga in modo assoluto, fermo restando la priorità esplicitamente riferita ai primi tre a cui il legislatore ha voluto attribuire particolare rilevanza. Per la loro rilevanza emergono infatti i primi tre principi generali: il principio del risultato (art. 1), il principio della fiducia (art. 2) e il principio dell’accesso al mercato (art. 3). Il successivo art. 4 dispone in particolare che le posizioni del codice «si interpretano e si applicano in base principi di cui agli articoli 1, 2, 3» i quali pertanto sono da ritenersi prioritari.

Tra i “principi generali” codificati nel D.Lgs. n. 36/2023 ve ne sono alcuni particolarmente innovativi

2. Dall’hardhip clause al principio conservazione dell’equilibrio contrattuale

Come anticipato, fra i principi generali del Titolo I della Parte I del Libro I del D.Lgs. n. 36/2023 ve ne sono alcuni particolarmente “innovativi”: fra questi rileva certamente l’art. 9 che ha l’obiettivo di codificare una disciplina generale da applicare ai contratti pubblici nelle ipotesi in cui si presentino talune sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, considerate dalla disposizione stessa come tali da determinare una sostanziale alterazione dell’equilibrio contrattuale.

L’esigenza di una tale innovazione è stata largamente sentita in ragione dalla congiuntura economica e sociale che ha di recente dispiegato i suoi effetti dopo la diffusione della pandemia da Covid-19 e lo scoppio del conflitto in Ucraina, con un aumento vertiginoso del costo delle materie prime tale da mettere in crisi l’intero settore dei contratti pubblici.

Per fronteggiare la crisi ingenerata nel settore il legislatore ha inizialmente introdotto delle misure emergenziali che potessero far fronte nel breve periodo allo stallo degli approvvigionamenti pubblici per poi passare a introdurre nel corpo del codice degli appalti una serie di disposizioni a carattere strutturale a cui ricorrere nel lungo periodo al fine di garantire l’equilibrio economico delle prestazioni e prevenire eventi patologici quali la risoluzione dei contratti.

Nella Relazione Illustrativa la Commissione speciale illustra che la previsione di detto principio prende le mosse dalla prassi internazionale in cui si parla di clausole “hardship” per la regolazione dei rapporti privati internazionali.

Queste clausole, insieme alle clausole di forza maggiore, sono state elaborate nel 2003 dalla Camera di Commercio Internazionale (ICC), successivamente aggiornate nel 2020[1]. I contratti commerciali, soprattutto quelli di durata, prevedono spesso l’inserimento delle clausole di forza maggiore o hardship per definire ex ante i requisiti per accertare l’esistenza di una forza maggiore o di un evento inatteso che impediscono o rendono troppo oneroso l’adempimento degli obblighi contrattuali per la parte che ne subisce gli effetti, consentendole di sospendere l’esecuzione del contratto o addirittura risolverlo.

Mentre la clausola di forza maggiore disciplina i casi in cui si verificano tutte quelle circostanze non imputabili alle parti che comportano l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali (ad esempio scioperi, calamità naturali, guerre, etc..) in cui la parte che non può dare esecuzione al contratto per il verificarsi di una causa maggiore non è ritenuta responsabile, la hardship clause disciplina le ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

Hardship” sta, infatti, per “difficoltà” e nel commercio internazionale indica una situazione sopravvenuta o sconosciuta al momento della conclusione di un contratto. Al verificarsi di tali eventi le parti possono rinegoziare i termini del contratto così da adeguarlo al nuovo stato di fatto, tramite l’intervento di un terzo o mediante apposita negoziazione tra le stesse e solo in caso di mancato accordo è possibile richiedere la risoluzione del contratto.

La clausola standard dell’ICC indica innanzitutto l’eccezionalità della fattispecie rispetto al normale principio dell’adempimento. Viene inoltre precisato che per invocare la hardship clause la parte deve provare che la sua prestazione è diventata eccessivamente onerosa a causa di un evento fuori dalla sua sfera di controllo, che non poteva essere ragionevolmente previsto alla data di conclusione del contratto né evitato.

Nel nostro ordinamento in ambito privatistico si parla di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione: ai sensi dell’art. 1467 c.c. la parte contrattuale colpita dall’eccessiva onerosità sopravvenuta a causa di eventi straordinari e imprevedibili – derogando al principio di vincolatività del contratto di cui all’art. 1372, comma 1 c.c. – può domandare la risoluzione del contratto. L’altra parte può evitare la risoluzione del contratto offrendo di modificare le condizioni del contratto in modo da ripristinarne l’equilibrio: non è previsto, quindi, un diritto della parte svantaggiata alla rinegoziazione.

Giova segnalare che la Corte di Cassazione già nella Relazione Tematica n. 56 dell’8 luglio 2020 recante “Novità normative sostanziali del diritto ‘emergenziale’ anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale”, muovendo dal presupposto che le norme del codice civile prevedono rimedi volti quasi esclusivamente alla scioglimento del rapporto contrattuale ovvero alla conclusione del rapporto stesso (art. 1467 c.c.), rileva che l’art. 1372 c.c., relativo alla vincolatività assoluta del contratto, deve essere però temperato con il principio del “rebus sic stantibus”, specialmente nei casi in cui per effetto di accadimenti successivi l’equilibrio contrattuale si mostri sostanzialmente snaturato. 

La Corte di Cassazione osserva che nel nostro sistema codicistico gli artt. 1175 e 1375 c.c. impongono alle parti il rispetto dei principi di correttezza e di buona fede i quali, secondo il ragionamento della Corte, devono essere presi in considerazione per la soluzione delle problematiche correlate all’esecuzione del contratti in situazioni emergenziali, come quella legata alla pandemia. In particolare, è il principio della buona fede previsto nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.) che deve emergere nei casi in cui sopravvengono situazioni imprevedibili che pregiudicano l’esecuzione contrattuale. Si tratta, secondo la Corte di Cassazione, di assumere una visione che sostituisca la logica del contratto “statico e blindato” con quella della leale collaborazione tra le parti, tesa a superare le sopravvenienze che incidono sull’equilibrio contrattuale.

Ne è così scaturito il principio generale secondo cui, per ipotesi straordinarie quali la pandemia (e oggi gli effetti del conflitto russo-ucraino) sussiste un dovere giuridico di cooperazione tra le parti finalizzato a salvaguardare il sinallagma del rapporto contrattuale nell’ambito della “rinegoziazione del contratto squilibrato”.

L’introduzione nel D.Lgs. 36/2023 del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale prende le mosse dalle clausole “hardship” operanti nella prassi internazionale

3. La disciplina dell’art. 9 del D.Lgs. n. 36/2023

Il legislatore del D.Lgs. n. 36/2023, muovendosi nel contesto descritto al paragrafo che precede, con l’art. 9 ha introdotto anche nella contrattualistica pubblica il concetto di rinegoziazione secondo buona fede sulla scorta del principio civilistico dell’equilibrio contrattuale e riconduzione ad equità, prevedendo il diritto per la parte che risulta svantaggiata di rinegoziare il contratto al fine di ripristinare l’originario equilibrio contrattuale.

Si parla quindi di diritto alla rinegoziazione per la parte svantaggiata, al fine di scongiurare la risoluzione del contratto.

Viene, dunque, subito in rilievo la differenza tra l’art. 1467 c.c. e l’art. 9 del D.Lgs. 36/2023: il primo, facendo riferimento alla risoluzione del contratto, descrive una tutela demolitoria mentre il secondo prevede una tutela manutentiva sulla base dell’interesse dell’amministrazione e del contraente privato.

Come indicato nella Relazione Illustrativa, l’art. 9 del D.Lgs. n. 36/2023 «mira a disciplinare le sopravvenienze che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione del contratto, alterandone l’equilibrio originario o facendo venir meno, in parte o temporaneamente, interesse del creditore alla prestazione. Viene, in tal modo, introdotto un rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c.».

La ratio di tale norma è, dunque, quella del ripristino e conservazione del sinallagma contrattuale andando oltre l’ordinaria fluttuazione economica e il normale rischio di mercato. Il legislatore pone però anche un limite al ripristino dell’equilibrio contrattuale specificando che la rinegoziazione non deve alterare l’originario equilibrio economico poichè lo squilibrio deve essere stato determinato da circostanze straordinarie ed imprevedibili estranee alla normale alea del contratto.

Testualmente il comma 1 dell’art. 9 dispone che «Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta».

Il comma 1 dell’art. 9 definisce, quindi, quali sono le sopravvenienze rilevanti ai fini dell’applicazione della norma stessa e sancisce il diritto alla rinegoziazione della parte svantaggiata al quale, dunque, corrisponde un obbligo della controparte. Dette sopravvenienze devono integrare determinati requisiti su cui la Relazione Illustrativa chiarisce che «la disposizione reca riferimento ad eventi che integrano determinati requisiti:

  • deve trattarsi di eventi straordinari e imprevedibili;
  • i rischi concretizzati da tali eventi non devono essere stati volontariamente assunti dalla parte pregiudicata dagli stessi;
  • tali eventi devono determinare una alterazione rilevante dall’originario equilibrio del contratto e non devono essere riconducibili alla normale alea, alla ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato».

Chiarisce ancora la Relazione Illustrativa che dette circostanze «oltre che sopravvenute e imprevedibili, devono essere estranee anche al normale ciclo economico, integrando uno shock esogeno eccezionale e imprevedibile. La disposizione deve, pertanto, essere interpretata restrittivamente e richiede un rilevante squilibrio tra le prestazioni, da valutarsi alla luce delle concrete circostanze e dello specifico contenuto negoziale. È necessario, poi, che tali rischi non siano stati volontariamente assunti dalla parte, sebbene non sia necessaria una assunzione espressa».

Solo nel caso in cui risultino integrati tutti i predetti requisiti, il diritto alla rinegoziazione viene riconosciuto alla parte pregiudicata che deve conformarsi alla buona fede e sulla quale grava l’onere di fornire i relativi elementi a comprova.

Con l’art. 9 del D.Lgs. 36/2023 viene introdotto nella contrattualistica pubblica il concetto di rinegoziazione secondo buona fede prevedendo il diritto per la parte svantaggiata di rinegoziare il contratto al fine di ripristinare l’originario equilibrio contrattuale

Ai sensi del comma 2 dell’art. 9 è previsto che «Nell’ambito delle risorse individuate al comma 1, la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica». Come anticipato, da disposizione precisa che la rinegoziazione ha come finalità unicamente quella di ripristinare l’originario equilibrio del contratto, avuto riguardo al complesso degli atti alla base della costituzione del rapporto. In sostanza, la rinegoziazione deve essere volta a ripristinare l’equilibrio contrattuale senza alternarne la “sostanza economica” così da non eludere la procedura ad evidenza pubblica a suo tempo esperita.

Sul punto si segnala la recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 5989 del 19.06.2023 con cui i Giudici di Palazzo Spada hanno fornito una prima interpretazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale e della rinegoziazione oggi disciplinati dall’art. 9 del D. Lgs. n. 36/2023.

Il Consiglio di Stato cita quale principale riferimento del nuovo principio il parere espresso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato n. 1084/2000 assunto nell’adunanza del 12 ottobre 2001 indicando che «Nell’occasione, la commissione del Consiglio di Stato ebbe in particolare modo di affermare che anche la rinegoziazione successiva all’aggiudicazione potrebbe alterare la par condicio dei concorrenti, e ciò in quanto “il divieto di rinegoziare le offerte deve razionalmente intendersi in linea di principio (…) anche successivamente all’aggiudicazione, in quanto la possibilità di rinegoziazione tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario, modificando la base d’asta, finirebbe (seppure indirettamente) coll’introdurre oggettivi elementi di distorsione della concorrenza, violando in tal modo i principi comunitari in materia”».

Nella recentissima sentenza il Consiglio di Stato, ritenendo ancora valido l’assunto della Commissione Speciale, ha tuttavia osservato che «non a caso, anche il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. del 31 marzo 2023 n. 36, che pure all’art. 9 introduce innovativamente il principio di conservazione dell’equilibrio negoziale e il dovere ex fide bona di rinegoziazione del contratto, fissa al comma due il relativo limite costituito dalla mancata alterazione della sostanza economica del contratto, nonché, ai commi 5 e 6 dell’art. 120, la necessità che le modifiche al contratto non siano “sostanziali” ovvero non incidano … sulla struttura dell’operazione economica sottesa al contratto di affidamento».

Il legislatore ha posto un limite al ripristino dell’equilibrio contrattuale specificando che la rinegoziazione non deve alterare l’originario equilibrio economico

Il successivo comma 3 dell’art. 9 dispone che «Se le circostanze sopravvenute di cui al comma 1 rendono la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, questi ha diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell’impossibilità parziale». Come chiarisce la Relazione Illustrativa, la previsione in parola disciplina la specifica ipotesi in cui le sopravvenienze di cui al comma 1 incidano «non sul generale equilibrio del contratto, ma sull’utilità o utilizzabilità della prestazione per la parte creditrice, come accaduto nella fase pandemica che ha determinato l’inutilizzabilità per un lungo periodo dei locali commerciali oggetto di locazione, rendendo sostanzialmente inutile la prestazione resa dal locatore. In tal caso la sopravvenienza rende la prestazione inidonea a soddisfare l’interesse del creditore ex art. 1174 c.c. e legittima una proporzionale riduzione del prezzo secondo le regole dell’impossibilità sopravvenuta parziale del contratto ai sensi dell’art. 1464 c.c. Anche in tale ipotesi viene privilegiato il rimedio manutentivo su quello demolitorio».

Prosegue la disposizione, inserendo al comma 4 una previsione volta a incentivare l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, soprattutto laddove la durata del contratto o altre circostanze, quali il contesto economico, lo rendano opportuno.

Il comma 5 prevede poi espressamente che in applicazione proprio del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale di cui all’art. 9 (norma generale) si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120 dello stesso D.Lgs. n. 36/2023 recanti rispettivamente la disciplina della revisione dei prezzi e quella della modifica dei contratti di appalto in corso di esecuzione.

In particolare, l’art. 60 al comma 1 ha disposto che è obbligatorio l’inserimento nei documenti iniziali di gara di clausole di revisione prezzi le quali, per espressa previsione normativa, «non apportano modifiche che alterino la natura generale del contratto o dell’accordo quadro; si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire» (comma 2).

L’art. 120 disciplina invece le modifiche dei contratti in corso di esecuzione stabilendo al comma 8 che «Il contratto è sempre modificabile ai sensi dell’articolo 9 e nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto. Nel caso in cui queste non siano previste, la richiesta di rinegoziazione va avanzata senza ritardo e non giustifica, di per sé, la sospensione dell’esecuzione del contratto. Il RUP provvede a formulare la proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi. Nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario, salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione».

Gli artt. 60 e 120 del D.Lgs. n. 36/2023 recanti la disciplina della revisione dei prezzi e quella della modifica dei contratti di appalto in corso di esecuzione sono applicazione del principio di cui all’art. 9

4. Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui evidenziato risulta evidente che il legislatore, tenuto conto delle estreme difficoltà che hanno interessato il settore degli appalti pubblici in ragione della crisi economica ingenerata dalla pandemia e acuita dagli effetti derivanti dal conflitto russo-ucraino, ha deciso di riconoscere una posizione di tutela alla parte svantaggiata al verificarsi di circostanze impreviste e imprevedibili tali da alternare l’equilibrio contrattuale originario.

In tal senso con l’introduzione del principio della rinegoziazione di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 36/2023 il legislatore ha voluto introdurre, nell’ottica anche dell’interesse pubblico a conseguire il risultato atteso, uno strumento idoneo a preservare l’efficacia del contratto quale alternativa al rimedio di tipo demolitorio quale è la risoluzione del contratto.


[1]Le nuove clausole di forza maggiore e hardship sono disponibili al seguente link dell’ICC https://iccwbo.org/news-publications/icc-rules-guidelines/icc-force-majeure-and-hardship-clauses/

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
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