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( votes)Trincee, fortificazioni, gallerie, caserme. Sono la testimonianza della cruenta Grande Guerra. Per affrontare il nemico fu necessario edificare strutture belliche ancora oggi visibili e visitabili come quelle comprese nel territorio di Rovereto o, più ad est, tra Re di Puglia e Gorizia.
Anche quando la guerra contro il coronavirus sarà terminata ci saranno strutture che ricorderanno quanto aspri e tristi siano stati questi giorni. Giorni di guerra di trincea, come nella prima guerra mondiale. Ma lo scenario è totalmente diverso. Inimmaginabile, se non per qualche regista che aveva già raccontato qualcosa di simile. La fantascienza a volte (purtroppo) è una branchia subdola della veggenza. Le corsie degli ospedali trasformate in trincee, le terapie intensive come campi di battaglia, le mascherine come armi. Una guerra inedita per il tipo di nemico da affrontare e per la globalità del conflitto.
Dopo ogni guerra, i paesi hanno pensato che fosse strategicamente giusto aumentare i propri armamenti, costruire nuove caserme, arruolare nuovi soldati per non lasciarsi trovare impreparati davanti ad un nuovo conflitto.
E quando la nostra guerra sarà finita, cosa ci resterà?
In queste frenetiche settimane abbiamo assistito ad una concitata realizzazione di nuovi reparti ospedalieri per far fronte alla crescente domanda di posti letto. Ospedali riconvertiti per ospitare pazienti che necessitavano di terapia intensiva, riapertura di strutture ormai dismesse, realizzazione di ospedali da campo con le tende o con moduli prefabbricati, inaugurazioni anticipate.
In questa fase storica, molte procedure ordinarie delle gare d’appalto sono state sospese. Molte gare sono state affidate utilizzando la procedura negoziata d’urgenza. Addirittura, si è riscontrato il caso in cui è stato preparato e pubblicato in poche ore il bando per la realizzazione di tre ospedali da campo con prefabbricati, con un solo giorno a disposizione per la presentazione delle offerte. In appena tre giorni l’aggiudicazione era già fatta.
Come le trincee, le fortificazioni, le gallerie, le caserme della prima guerra mondiale, queste nuove strutture saranno la memoria di quanto accadde tra la fine dell’inverno e la primavera del 2020. Magari, non come monumenti da visitare ma come strutture funzionanti ed efficienti, un’eredità (seppur triste) del passaggio del covid-19.
Quando tutto sarà finito bisognerà riflettere sulle difficoltà affrontate: ospedali impreparati ad affrontare l’emergenza, personale dal cuore grande ma insufficiente nei numeri, costretto a turni lunghissimi, estenuanti. Si dovrà prendere coscienza che con la globalizzazione scenari del genere potrebbero ripresentarsi. Non è più possibile circoscrivere un’epidemia. Dobbiamo essere pronti. Come quando gli Stati hanno investito in armi e militari, così ora, dovremmo investire in ospedali e personale medico e paramedico. In questi anni abbiamo assistito alla chiusura di tanti presidi ospedalieri, una strategia che sarebbe meglio rivedere.
Abbiamo a disposizione un efficiente sistema militare anche se “l’Italia ripudia la guerra” come è scritto all’articolo 11 della Costituzione. Non possiamo non avere un’efficiente sistema ospedaliero in presenza dell’articolo 32 della stessa Carta Costituzionale che afferma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Battiamo il covid-19, riapriamo i cantieri sospesi, progettiamone di nuovi pensando ad una rete di ospedali all’avanguardia come siamo abituati a vedere nelle nostre amate serie tv. Ma questa non è una fiction. Se sbagli non c’è un regista che ferma tutto e fa ripetere la scena. Questa è la realtà. E se non si vuole sbagliare bisogna essere molto attenti. Pensare a tutto nei minimi dettagli. Dominare la superficialità che ha infettato il nostro modo di essere. Pensare. Ripensare. Valutare. Magari accartocciare tutto. Ammettere di aver sbagliato e riprendere daccapo. Mettere da parte l’ipervelocità della modernità. Rallentare. Riflettere. Fare, dire qualcosa solo quando abbiamo la piena consapevolezza di ciò che si fa e ciò che si dice ricordando come canta Daniele Silvestri che “c’è stato un tempo in cui comunicare era molto più scomodo e meno immediato per questo un discorso era più ragionato. Se avere risposte richiede dei mesi diventa importante non esser fraintesi e le dichiarazioni, di guerra o d’amore non ammettevano errore”. In piena fase 2, con 33mila morti da piangere, si deve guardare avanti. Come in fondo ad una guerra, sperare che arrivino tempi migliori, sperare che sugli errori si edifichi un futuro migliore. Sperare che i giorni più neri della crisi siano serviti a qualcosa, siano concime (come il titolo della canzone di Silvestri) per un futuro più fertile.