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L’appalto pubblico di un lavoro conosce diverse fasi che vanno dall’atto di indizione della procedura di gara culminante con l’atto di aggiudicazione (fase pubblicistica stante la natura degli interessi in gioco) cui segue la fase negoziale con la stipula del contratto di appalto (fase esecutiva) e si conclude, appunto con l’atto di collaudo che segna la fase finale dell’opera pubblica. Il Collaudo delle opere pubbliche è un atto significativamente importante per il Committente, che nell’ambito degli appalti pubblici assume il ruolo di Stazione appaltante, il quale, attraverso il collaudo, verifica la rispondenza dell’opera eseguita agli elaborati progettuali e contrattuali attestando la piena collaudabilità dell’opera sotto ogni profilo tecnico-economico. Al tempo stesso l’atto di collaudo è importante anche per l’impresa esecutrice in quanto è liberata, salvo residue responsabilità come si dirà avanti, da ogni responsabilità inerente i lavori eseguiti.
1. Riferimenti normativi sul collaudo nelle opere pubbliche
Nel vigente Codice degli appalti, di cui al d.lgs. n.50/2016 entrato in vigore a decorrere da aprile 2016, la norma che disciplina il collaudo delle opere pubbliche è l’art.102 che riprende la disciplina relativa all’attività di collaudo di cui agli articoli 120-141 del previgente d.lgs. n.163/2006 (codice De Lise). Per gli appalti di lavori sino ad un milione di euro, il certificato di collaudo può essere sostituito dal Certificato di regolare esecuzione da redigersi da parte del direttore dei lavori.
2. Soggetti preposti al collaudo
Per l’effettuazione dell’attività di collaudo di opere pubbliche, le stazioni appaltanti possano nominare da uno a tre dipendenti, anche appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche, che siano in possesso di adeguati titoli ed iscritti all’albo dei collaudatori secondo modalità da contenersi in un decreto del Ministro delle infrastrutture. La norma, e ciò costituisce un “novus” rispetto la previgente normativa, chiarisce che l’incarico di effettuare il collaudo non può essere affidato a: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, nonché agli avvocati dello Stato in attività di servizio ovvero, per quelli in quiescenza, limitatamente agli appalti superiori alla soglia comunitaria di cui all’art. 35 del codice, nelle regioni dove hanno svolto il servizio. Opportunamente la nuova disciplina ha inteso escludere dall’incarico di collaudo di opere pubbliche alcune categorie di soggetti al fine di evitare possibili situazioni di conflitto e quindi garantire la terzietà del collaudatore e quindi massima trasparenza nell’effettuazione di un’attività particolarmente importante.
3. Beni di pregio storico ed artistico
Stante la peculiarità dei Beni di interesse artistico e/o storico, il nuovo codice (art.102 ultimo comma) prescrive che, al termine del lavoro, venga redatto dal Direttore dei lavori: un consuntivo scientifico (una sorta di relazione di carattere tecnico-scientifico); l’aggiornamento del piano di manutenzione, una relazione particolareggiata (redatta da professionisti restauratori) con la indicazione dei risultati eventualmente raggiunti (ove per esempio fossero emersi rilievi di interesse storico-artistico etc). Le prescrizioni anzidette rispondono all’oggettiva esigenza di garantire una maggiore tutela nel caso di opere aventi determinate caratteristiche quali sono gli immobili di pregio storico e/o artistico. Alla stessa “ratio” risponde la prescrizione di effettuare il collaudo in corso per i lavori eseguiti su beni aventi la medesima tipologia così come è prescritto dall’ art. 150 del nuovo codice.
4. Termini per il collaudo di opere pubbliche
L’art. 102 del nuovo codice detta una disciplina analoga a quella già prevista nel previgente codice di cui al D.lgs 163/2006: Il collaudo delle opere pubbliche deve concludersi in mesi sei dall’ultimazione dei lavori salvo i casi di particolare complessità, da definirsi con decreto del Ministro delle infrastrutture, per i quali il termine viene elevato ad un anno. Il certificato di collaudo, emesso in esito alle operazioni di collaudo, ha carattere provvisorio ed assume carattere definitivo quando sono decorsi due anni dalla sua emissione. Vi è, invero, una forma di tacita approvazione allorchè siano decorsi due anni e due mesi dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio senza che sia intervenuto l’atto formale di approvazione; in siffatta ipotesi il legislatore ha configurato, per il solo decorso dei termini, il silenzio assenso al pari di altre situazioni nelle quali la legge equipara il silenzio della p.a. all’atto vero e proprio riconoscendo, pertanto, ogni effetto collegato. Nell’ambito degli appalti pubblici di lavori vi sono altre situazioni, come nel caso del subappalto, nelle quali il silenzio viene equiparato all’adozione dell’atto; nel subappalto, infatti, il silenzio diventa silenzio-assenso laddove siano decorsi giorni trenta dalla richiesta di autorizzazione senza che la stazione appaltante comunica la sua determinazione. Come vedremo avanti, gli effetti giuridici che circoscrivono la responsabilità dell’impresa esecutrice sono distinti a seconda se è intervenuto il solo collaudo provvisorio ovvero definitivo.
5. Effetti del collaudo
Come premesso sopra, gli effetti giuridici in capo all’impresa esecutrice, sono diversificati a seconda se è intervenuto il solo collaudo provvisorio ovvero quello definitivo. Il collaudo c.d. provvisorio ed il collaudo c.d. definitivo rappresentano momenti salienti nel contesto del collaudo delle opere pubbliche, diversificando per ciascuna fase, effetti e risultati. Prima di entrare nel merito degli effetti, occorre sottolineare che il collaudo delle opere pubbliche può essere di segno positivo il che comporta che l’opera è collaudabile nella sua interezza; ma può essere di segno negativo in quanto il Collaudatore ha ritenuto, per esempio, l’opera collaudabile in parte: in siffatta ipotesi saranno effettuate delle penali (tecnicamente detrazioni) a danno dell’impresa esecutrice in rapporto al disvalore dell’opera realizzata.
Entriamo nel merito dei distinti effetti a seconda del momento della fase di collaudo. Se emesso il certificato provvisorio, fatto salvo il pagamento della rata di saldo entro gg. 90 dalla sua emissione dietro garanzia fideiussoria, restano a carico dell’impresa esecutrice l’eventuale eliminazione di tutti i vizi e le difformità dell’opera, ancorchè riconoscibili, a condizione che gli stessi siano denunciati dalla stazione appaltante prima che il certificato di collaudo provvisorio diventa definitivo. Pertanto, qualora nel biennio decorrente dalla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio dovessero emergere vizi o difetti dell’opera realizzata, il responsabile del procedimento, per conto della stazione appaltante, denuncerà tali evenienze all’impresa esecutrice che sarà tenuta ad intervenire ed in caso di suo rifiuto, la stazione appaltante farà eseguire gli interventi, da altra ditta, in danno della impresa esecutrice. Giuridicamente, quindi, il pagamento della rata di saldo non costituisce accettazione dell’opera da parte del committente il quale resta titolare di azioni di garanzia contro l’impresa esecutrice qualora emergessero vizi e/o difformità nell’opera eseguita e quindi sussiste sempre una responsabilità dell’impresa esecutrice pur in presenza dell’intervenuto collaudo provvisorio.
La sola condizione cui è subordinata l’esercizio dell’azione da parte della stazione appaltante è che la stessa provveda a denunciare i vizi e/o le difformità entro i due anni dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio. Ovviamente si aprirà un contraddittorio con l’impresa esecutrice che, secondo i canoni delle obbligazioni di fare ex art.1218 codice civile, potrà provare la sua estraneità ai fatti contestati, laddove, riuscisse a dimostrare che i fatti denunciati siano da imputare a cause di “forza maggiore” e non imputabili al suo operato
Tecnicamente per difformità si intende una divergenza tra quanto previsto contrattualmente e quanto, invece, realizzato; per vizi si intende, invece, la violazione delle regole dell’arte nella realizzazione dell’opera. Situazione ben differente e significatamente complessa si porrà allorchè si è in presenza di un certificato di collaudo definitivo: evenienza che si concretizza sia in caso di esplicito atto formale di approvazione che nell’ipotesi di semplice decorso del tempo (due anni e due mesi dalla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio) c.d. tacita approvazione. Dopo che il collaudo è diventato definitivo, è esperibile da parte della stazione appaltante l’azione di cui all’art.1669 del codice civile. la quale stabilisce una responsabilità a carico dell’appaltatore, qualora nel corso di dieci anni dal compimento dell’opera, dovessero verificarsi gravi danni e/o difetti. L’azione è esperibile a condizione che la stazione appaltante denunci i gravi vizi entro un anno dalla loro scoperta.
6. Elementi costitutivi dell’azione ex art. 1669 del codice civile
L’azione ex art 1669 del c.c. poggia su una pluralità di elementi che sono riferibili alla natura dell’intervento realizzato: deve trattarsi di immobili unitamente alla gravità del danno verificatosi; a tal riguardo la Giurisprudenza, (Cassazione civ. 11 04 2012 n.5135) nel corso degli anni, ha elaborato la nozione di danni gravi compatibili con l’’esercizio dell’azione “de qua” tali da compromettere la staticità ovvero da comportare un consistente deprezzamento dell’uso dell’opera: sono stati considerati gravi difetti per esempio le persistenti infiltrazioni di acqua per rottura di tubature o per cattiva realizzazione del tetto. In relazione alla circostanza che i gravi vizi devono essere denunciati, a pena di decadenza dell’azione, entro un anno dallo loro scoperta, la Giurisprudenza ha evidenziato che la scoperta, quindi il suo momento, coincide con un apprezzabile grado di conoscenza del vizio e che, ove per la scoperta sia necessario un accertamento tecnico, il termine decorrerà dal compimento dell’accertamento stesso. Si ritiene che l’azione di cui all’art.1669 del c.c. abbia natura pubblicistica: ciò implica un allargamento dei soggetti legittimati ad esperire l’azione con inclusione, oltre che al committente, anche di soggetti privati comunque danneggiati dall’evento dannoso. Riguardo i rimedi esperibili, è riconosciuto alla stazione appaltante il diritto di chiedere all’impresa esecutrice la riduzione in pristino dell’immobile, previa eliminazione dei difetti riscontrati, fatta salva la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni. Giuridicamente, quindi, è riconosciuta alla stazione appaltante, quale committente, la domanda di esecuzione in forma specifica.
7. La responsabilità concorrente del progettista e del direttore dei lavori
Accanto alla responsabilità dell’appaltatore in tema di azione ex art. 1669 c.c. ma lo stesso discorso vale anche in riferimento alla responsabilità per vizi riscontrabili prima del collaudo definitivo, può configurarsi responsabilità del progettista dei lavori. Oggi, comunque, è pacifico che anche quando il progetto è fornito dal committente, l’impresa esecutrice è corresponsabile con il progettista non essendo più il suo ruolo di “nudus minister“. Ciò comporta che l’impresa esecutrice, qualora ravvisasse durante l’esecuzione dei lavori lacune progettuali tali da pregiudicare il prosieguo dell’intervento, è tenuta a denunciare i fatti pregiudizievoli al Committente ed in prima battuta alla direzione dei lavori la quale a sua volta dovrà redigere apposita relazione da trasmettere al RUP: responsabile del procedimento, perche provveda a definire la situazione anche attraverso la redazione di perizie di variante. Pertanto è riconosciuta la responsabilità solidale di appaltatore e progettista e conseguente azione di regresso tra loro; il che significa che l’appaltatore chiamato a rispondere per vizi connessi ad un deficit sul piano progettuale può chiamare in garanzia il progettista delle opere o rivalersi nei suoi confronti. Trova applicazione il disposto dell’art. 2055 del c.c. secondo il quale se il fatto dannoso è imputabile a più soggetti, tutti sono obbligati in solido al risarcimento dei danni; fatta salva, appunto, l’azione di regresso che consiste nel diritto, di chi ha risarcito il danno, di agire contro gli altri obbligati nella misura in cui ciascuno è responsabile in base alle rispettive colpe.
In sede di giudizio civile sarà quindi il Giudice a graduare le colpe di ciascun coobbligato con l’ausilio, ove necessario, di una consulenza tecnica conferita ad un professionista che abbia le competenze del caso. Analogo principio in tema di responsabilità e quindi di coobbligazione vale nei rapporti tra direttore dei lavori ed impresa esecutrice. Si è evidenziato sopra come gli effetti del collaudo nelle opere pubbliche sono diversificati a seconda se è intervenuto il solo certificato provvisorio: fattispecie nella quale resta a carico dell’impresa esecutrice, comunque, la responsabilità per vizi e/o difformità a condizione, tuttavia, che la stazione appaltante titolare della relazione azione denunci i vizi o le difformità prima che il certificato diventi definitivo; una volta che il certificato diventa definitivo (fattispecie, quest’ultima che può verificarsi, pur in presenza di inerzia della stazione appaltante), l’azione esperibile dal Committente è quella (complessa) prevista dall’art.1669 del c.c ed il cui onere probatorio è a carico della stazione appaltante che, in pratica, dovrà provare non solo il verificarsi di un grave danno ma la imputabilità ad un vizio occulto come tale non conosciuto o non conoscibile secondo i canoni dell’ordinaria diligenza.
8. Responsabilità della stazione appaltante in caso di ritardi ed Orientamenti Giurisprudenziali
Ulteriori effetti, parimenti importanti, sono invece connessi al ritardo nell’effettuazione del collaudo di opere pubbliche da parte della stazione appaltante. La stessa Giurisprudenza, anche quella datata (Corte Cassazione Sezioni Unite 28/10/1995 n.11312 ) ha stabilito che il collaudo nelle opere pubbliche costituisce atto dovuto annoverando l’attività di collaudo tra tutte le obbligazioni contrattuali a carico della stazione appaltante: il principio della duplice natura è presente in pronunciamenti recenti: Cassazione. Civ sez 1 del 24 05 2012 n.8242; Cassazione Civ. Sez. 1 del 07 06 2015 n. 7425. Sulla stessa scia e cioè sulla l’obbligatorietà del collaudo di opere pubbliche nel rispetto dei termini previsti, si collocano diverse Deliberazioni dell’Autorità del mercato degli appalti pubblici: oggi ANAC; si segnalano per tutte le Deliberazioni n.48/2007 e n.81/2012. Denominatore comune degli Atti è costituito dal principio che la stazione appaltante non può ritardare “sine die” le sue Determinazioni sul collaudo, cogliendo la duplice natura del collaudo di opere pubbliche: diritto-dovere della medesima. Non si può che condividere appieno l’assunto stante, senza enfatizzare ovviamente la tesi, che l’attività di collaudo nelle opere pubblche, ed in specie con riferimento ai lavori, costituisce sicuramente una fase molto importante ed estremamente delicata in considerazione alla molteplicità degli effetti che produce. Pertanto in caso di ritardo nell’emissione del certificato di collaudo si configura una responsabilità a carico della stazione appaltante nella sua veste di committente. Sul piano giuridico, quindi, nell’ipotesi che il ritardo nell’emissione del certificato di collaudo e/o della sua approvazione nei termini prescritti, sia imputabile al comportamento (colposo) della stazione appaltante, si delinea una fattispecie di inadempimento contrattuale come tale suscettibile di risarcimento danni in favore dell’impresa esecutrice secondo i criteri civilistici in materia con riferimento alle prescrizioni dettate dagli artt. 1374 e 1375 del codice civile.
La stessa Autorità, nelle citate Deliberazioni, ha addirittura ipotizzato danno erariale in presenza di un comportamento di una commissione di collaudo di opere pubbliche che ritardi, oltre il termine di mesi sei dalla data di ultimazione dei lavori, l’emissione del certificato di collaudo laddove il suddetto ritardo comporti la corresponsione all’appaltatore di interessi moratori. Quanto ai danni risarcibili, gli stessi sono circoscritti all’aumento di spese generali e di minore utile;in verità, sulla scorta di decisioni Arbitrali, il parametro maggiormente utilizzato quantifica i danni, da ritardo del collaudo di opere pubbliche, nella misura del 2/3 per cento annuo dell’importo netto contrattuale, al netto delle spese generali ed utile, e rapportato al tempo di ritardo. La logica di riconoscere una sorta di risarcimento-danni ovvero di indennizzo, oltre ad essere strettamente connessa alla fattispecie generale di inadempimento contrattuale a carico di una delle parti; per quel che rileva la stazione appaltante,, risiede nell’indennizzare l’altra, cioè l’impresa esecutrice, dai maggiori oneri economici subiti in conseguenza del ritardo nell’effettuazione del collaudo. E’ indubbio, stante la peculiarità della fase del collaudo unitamente a tutte le implicazioni che l’esito di un collaudo possa provocare nei rapporti tra stazione appaltante ed impresa esecutrice, che il collaudo nelle opere pubbliche rappresenta una delle cause frequenti di contenzioso tra le parti da incardinarsi nell’ambito della Giurisdizione ordinaria e quindi innanzi al Giudice civile competente per territorio in considerazione del fatto, come esposto in premessa, che il collaudo di opere pubbliche rappresenta l’atto finale della fase negoziale dell’appalto nella quale la stazione appaltante agisce, sia pure con prerogative speciali, “iure privatorum” spogliandosi della sua veste autoritativa, diversamente da quello che accade nella fase della procedura di gara connotata da rilevanti aspetti pubblicistici e la cui tutela, in caso di controversie, è demandata al Giudice amministrativo. Il contenzioso, come accennato, può insorgere per carenze esecutive che la stazione appaltante ha inteso denunciare nei confronti dell’impresa esecutrice; ovvero per istanze risarcitorie avanzate da quest’ultima nei confronti della stazione appaltante in relazione dai gravi ritardi nell’effettuazione del collaudo.