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( votes)Strade da rifare e porti da ricostruire, argini da ritracciare e ponti da riprogettare. Sono solo alcuni dei lavori da attivare dopo l’ondata di maltempo che ha attraversato l’Italia da nord a sud, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, lasciandosi dietro distruzione e morti.
I danni provocati da pioggia e vento secondo le prime stime fatte dal Ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli ammonterebbero a 3 miliardi di euro. Un evento eccezionale? Secondo qualcuno non c’è nulla di straordinario, nulla del quale meravigliarsi. Sarebbe la diretta conseguenza del surriscaldamento globale che, come scrive il giornalista olandese Bert Wagendorp, “in Italia sembra manifestarsi con più chiarezza che altrove”.
Nei prossimi anni, chissà per quanto tempo, le amministrazioni pubbliche dovranno essere pronte a fronteggiare il rischio sempre più reale e frequente di dover ricostruire infrastrutture e territori esposti ad ondate di maltempo devastanti. Dovranno avere le idee chiare su quello che potrebbe accadere ed un piano di interventi pronto per essere attivato. Oppure si può lavorare sulla prevenzione. “Dobbiamo agire per uscire dalle continue emergenze e ricominciare ad occuparci quotidianamente della salvaguardia della nostra bella e martoriata Italia” ha detto Toninelli. Passare dallo stato di emergenza ad una gestione continua del territorio significa operare con una maggiore cognizione su quanto è necessario per evitare che le scene che abbiamo visto nei telegiornali, o peggio, che abbiamo vissuto in prima persona, possano ripetersi con la stessa violenza.
Nell’emergenza si lavora per riparare al danno. E non si ha il tempo per pensare ad interventi più accurati. Si deve al più presto ripristinare lo stato dell’arte. Non si ha la possibilità di approfondire la situazione, di valutare opzioni risolutive. Definitive.
In questo scenario, in questa sfida alla salvaguardia del paese contro gli eccessi meteorologici, dovremmo mettere a punto strategie per salvaguardare le città, le aziende, il patrimonio paesaggistico. Dovremmo immaginare lo sviluppo di un nuovo e specifico settore degli appalti pubblici, quello che si occuperà di realizzare opere che ci difendano dai cambiamenti climatici. Un settore che nasce con il Mose. Sperando in un percorso progettuale e realizzativo meno oneroso in termini di tempi delle barriere che salveranno Venezia dall’acqua alta. Un’opera di cui si sentì la necessità sin dal 1966 e di cui il primo progetto fu presentato nel 1989. Un progetto macchiato dalle vicende giudiziarie del 2013 e 2014. Ora a meno del 6% dei lavori per la sua ultimazione.
Per progettare nuove opere in questo ambito, c’è bisogno di alcuni passaggi preliminari. In primo luogo bisogna rendersi conto che i cambiamenti climatici non sono un’ipotesi. Sono reali e sono già cominciati. Il secondo passo è comprendere quali sono le conseguenze nell’immediato.
Secondo uno studio dell’ENEA pubblicato nel 2017, il livello del mare nell’Adriatico potrebbe aumentare fino 140 centimetri entro il 2100. 5500 metri quadrati del territorio nazionale sarebbero sommersi.
Oltre a questa previsione e lungo termine, abbiamo bisogno di conoscere cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima perturbazione e come difenderci. Quali opere pubbliche devono essere progettate e appaltate? Team di meteorologhi, scienziati, ingegneri e architetti dovrebbero essere già all’opera per non farci più trovare impreparati. A livello mondiale accade. Ma la voce degli esperti che dimostra come sia diventato già eccessivamente fragile l’equilibrio climatico del nostro pianeta è per lo più ignorata. Visioni apocalittiche vengono pubblicate periodicamente suscitando preoccupazione e allarmismi. Ma tutto si esaurisce nel tempo di pochi mesi se non addirittura settimane o giorno. Dimenticate. Come qualcosa che non ci riguarda. E invece, lo hanno provato sulla propria pelle gli italiani, è qualcosa nella quale siamo già abbondantemente coinvolti. “Non è vero – scrive Bert Wagendorp – che non si stanno prendendo contromisure, ma non lo si fa abbastanza in fretta e con il dovuto rigore”.