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Le clausole finalizzate a soddisfare esigenze sociali, che prevedano, ad esempio, l’obbligo del riassorbimento del personale da parte del gestore subentrante ovvero l’obbligo di impiegare, per l’esecuzione dell’appalto, determinate categorie di lavoratori, sono oggetto di rilevante diffusione nella concreta prassi delle stazioni appaltanti.
Le indicazioni che giungono dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, dagli orientamenti della Autorità di Vigilanza e dell’Autorità Antitrust con particolare riguardo al rapporto fra la disciplina delle c.d. “clausole sociali” ed i principi della libertà dell’iniziativa economica e della tutela della concorrenza inducono a riflettere sulla legittimità di questo modello di politica legislativa, consolidato nell’ordinamento interno.
1. Inquadramento normativo
1.1.Codice degli appalti.
L’art. 2 del Codice dei contratti pubblici considera legittime le “clausole sociali”, ma le perimetra entro binari alquanto angusti: “Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”.
In altri termini, nei casi in cui trova applicazione il Codice dei Contratti Pubblici, le clausole ispirate ad esigenze sociali possono condizionare e prevalere sul principio di economicità solo se ciò sia espressamente previsto non solo da una specifica e vigente disposizione normativa, ma anche dal Codice medesimo.
Tale principio generale ha trovato attuazione in successive disposizioni del Codice.
L’art. 52, inserito nella sezione del Codice relativa ai “requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento”, prevede invero che le stazioni appaltanti possano riservare la partecipazione alle gare “a lavoratori protetti nel rispetto della normativa vigente, o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili i quali, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali”.
Al fine di potersi avvalere della disposizione in parola, le stazioni appaltanti devono rendere nota la propria intenzione dandone indicazione negli atti di gara[1].
Il successivo art. 69 – in recepimento dell’art. 26 della Direttiva 2004/18/CE e dell’art. 38 della Direttiva 2004/17/CE – prevede che le stazioni appaltanti possano esigere “condizioni particolari per l’esecuzione del contratto”.
Peraltro, già con la “Comunicazione Interpretativa sul diritto comunitario degli appalti pubblici e la possibilità di integrare aspetti sociali negli appalti pubblici” del 15.10.2001, la Commissione Europea aveva rilevato che “è soprattutto nella fase di esecuzione che un appalto pubblico può costituire uno strumento con cui le amministrazioni aggiudicatrici possono incoraggiare il perseguimento di obiettivi sociali. Esse hanno infatti la possibilità di imporre al titolare del contratto l’osservanza di clausole contrattuali… che possono comprendere misure a favore di alcune categorie di persone e azioni positive per l’occupazione”.
Il Codice, tuttavia, subordina la legittimità di tali clausole alla circostanza che le stesse:
- siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità;
- siano precisate nel bando di gara, nell’invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d’oneri[2].
La predetta disposizione precisa, inoltre, al comma 2, che dette condizioni possono attenere ad esigenze sociali o ambientali e aggiunge, al comma 3, la possibilità per la stazione appaltante di comunicare tali condizioni all’Autorità di Vigilanza, per ottenerne una pronuncia sulla compatibilità con il diritto comunitario. Decorso il termine di trenta giorni per l’ottenimento del parere, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti.
Le “esigenze sociali o ambientali” che giustificherebbero il ricorso a tali clausole non sono, tuttavia, tipizzate dal legislatore comunitario, che ne fornisce una elencazione meramente esemplificativa[3]: tali norme infatti “pongono delle ipotesi esemplificative dalle quali si ricava che tali condizioni possono attenere ad esigenze sociali o ambientali, ma anche ad altre esigenze perseguite dall’amministrazione, purché non in contrasto con i predetti principi comunitari”[4].
Ci si riferisce, dunque, a clausole attinenti ad esigenze sociali – sebbene la norma non escluda anche altre “esigenze” comunque perseguite dall’Amministrazione – di varia natura: clausole che prevedano, ad esempio, misure a favore di alcune categorie di lavoratori (lavoratori svantaggiate o invalidi) ovvero a sostegno dell’occupazione; clausole rispondenti ad esigenze ambientali, che prevedano, ad esempio, particolari modalità di recupero, riciclaggio o riutilizzo dei materiali e dei prodotti utilizzati dall’appaltatore.
“Le stazioni appaltanti devono effettuare un’attenta valutazione della conformità delle condizioni particolari di esecuzione richieste ai principi del Trattato UE al fine di evitare discriminazioni, dirette o indirette, tra gli offerenti, e di scongiurare il rischio che le stesse possano avere effetti pregiudizievoli sulla reale ed effettiva concorrenza tra le imprese” (AVCP, parere 4/4/2012 n. AG 7/12).
1.2. Codice civile.
Il Codice civile prevede unicamente la clausola sociale relativa all’obbligo del passaggio del personale, dal gestore uscente a quello subentrante, con riguardo alla specifica ipotesi del “trasferimento d’azienda” o di un suo ramo[5].
Come statuito dalla Corte di Giustizia, la mera successione fra un imprenditore ed un altro nel compimento di un’opera o nella gestione di un servizio non rivela, di per sé, l’esistenza di un “trasferimento d’azienda”: affinché si configuri tale trasferimento è necessario invero il transito di una “entità economica produttiva organizzata” in favore di un’impresa concorrente[6].
1.3. Statuto dei lavoratori.
Con la L. n. 300/1970 (cd. “Statuto dei lavoratori”), è stato previsto, all’art. 36, l’obbligo per gli Enti pubblici non statali d’inserire nei capitolati d’appalto per l’esecuzione delle opere pubbliche la clausola determinante l’onere per l’appaltatore “di applicare o far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona”[7]. Si tratta di una delle prime previsioni normative di “clausola sociale”, rispetto alla quale la Corte Costituzionale, con sentenza n. 226 del 19 giugno 1998, ha esteso l’obbligo di inserimento anche alle concessioni di pubblico servizio[8]. Tali previsioni di carattere sociale volte ad imporre un limite inderogabile alla libertà d’iniziativa economica delle imprese appaltatrici di opere o servizi pubblici, o concessionarie, consistente nel trattamento economico e normativo minimo, previsto nei contratti collettivi a favore dei lavoratori dipendenti[9].
1.4. Discipline di settore: il caso del TPL.
Nel settore dei servizi pubblici locali (“SPL”) sono particolarmente avvertite le esigenze di tutela del personale alle dipendenze del gestore uscente, nel caso in cui si addivenga ad un nuovo affidamento del servizio e quindi al subentro di un nuovo soggetto nella relativa gestione.
Con particolare riguardo al settore del trasporto pubblico locale (“TPL”), occorre evidenziare quanto disposto dalla normativa comunitaria di settore[10], che lascia alle amministrazioni pubbliche competenti la facoltà di prevedere clausole di assorbimento del personale: “Fatta salva la legislazione nazionale e comunitaria, compresi i contratti collettivi tra le parti sociali, le autorità competenti possono imporre all’operatore del servizio pubblico prescelto di garantire al personale precedentemente assunto per fornire i servizi i diritti di cui avrebbe beneficiato se avesse avuto luogo un trasferimento ai sensi della direttiva 2001/23/CE. Qualora le autorità competenti impongano a un operatore di servizio pubblico di conformarsi a taluni standard sociali, i documenti di gara e i contratti di servizio pubblico individuano il personale interessato e ne precisano in modo trasparente i diritti contrattuali e le condizioni alle quali si ritiene che i dipendenti siano vincolati ai servizi”.
Al riguardo, il legislatore nazionale, con l’art. 18, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 422/1997 (“Decreto Burlando”), fa rinvio a quanto disposto dall’art. 26 del R.D. 8 gennaio 1931 n. 148, contenente la disciplina speciale applicabile al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri (art. 26 R.D. 8 gennaio 1931, n. 148), il quale stabilisce l’obbligo del passaggio del personale solo in relazione alla “cessione di linee ad altra azienda” e alla “fusione di aziende”, ipotesi in cui devono essere osservate le disposizioni stabilite dall’autorità governativa all’atto dell’approvazione della cessione o della fusione, mantenendo, per quanto è possibile, al personale un trattamento non inferiore a quello in precedenza goduto[11]. Ciò non esclude che obblighi di trasferimento del personale possano essere previsti dalle singole leggi regionali ovvero dalla contrattazione collettiva, alle quali dunque dovrà farsi riferimento caso per caso[12].
1.5. Contrattazione collettiva.
La Corte di Giustizia ha evidenziato come la contrattazione collettiva possa contenere clausole aventi effetti limitativi della concorrenza fra le imprese (CGCE, 21 settembre 1999, C-67/199), fermo restando, tuttavia, il necessario rispetto dei principi di concorrenza previsti dal Trattato e dei limiti meglio delineati ai successivi paragrafi. Tale assunto è, peraltro, pacifico negli orientamenti in merito espressi dall’AVCP nonché dalla giurisprudenza amministrativa[13].
2. I limiti alla operatività delle clausole sociali
Ai sensi del quadro normativo sopra delineato, la previsione di clausole sociali negli atti di gara è legittima solo se prevista dalla legge (come nel caso dell’art. 2112 cod. civ. per il trasferimento d’azienda) o dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento.
In tali casi la legittimità delle clausole è comunque subordinata al rispetto dei principi generali enucleati dalla giurisprudenza e dalla prassi dell’Autorità di Vigilanza.
2.1. Libertà d’impresa e autonomia contrattuale.
La legittimità delle clausole sociali incontra un limite nel rispetto dei principi di libertà di impresa e della autonomia contrattuale (artt. 41 Cost. e 1322 cod.civ.).
Al riguardo la giurisprudenza di merito ha evidenziato infatti come “L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale, di cui all’art. 1322 del codice civile, dal momento che determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre, al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal Legislatore”[14].
Da simili pronunce può trarsi l’assunto secondo cui, fermo restando il rispetto degli obblighi di legge in tema di tutela dei lavoratori, la lex specialis dovrebbe, in genere, limitarsi a specificare le condizioni di affidamento, senza occuparsi del come l’imprenditore intenda organizzare l’esecuzione della prestazione.
Su queste basi, si sono affermati orientamenti restrittivi in ordine alla legittimità delle clausole sociali, ritenendosi che – anche nei casi in cui le stesse siano previste dalla contrattazione collettiva come legittime – non possa prescindersi dal rispetto di ulteriori limiti derivanti da principi generali[15].
Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, occorre dare una lettura delle norme contrattuali, relative a simili clausole, che sia coerente con il principio della libertà di iniziativa economica e con il quadro normativo di riferimento: “la c.d. clausola sociale va interpretata nel senso che l’appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante. I lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali”. In altri termini, se è vero l’iniziativa economica privata deve essere volta anche a garantire l’utilità sociale, è parimenti vero, secondo tale indirizzo giurisprudenziale, che tale strumento va “controbilanciato”e accompagnato dai necessari accorgimential fine di evitare che si influisca negativamente sulla stessa libertà di impresa e sulla concorrenza. In particolare, il Giudice amministrativo ha ritenuto la clausola sociale lesiva dei predetti valori costituzionali solo laddove imponga l’assorbimento integrale, indistinto ed indifferenziato di tutto il personale in servizio. Applicata, invece, in modo razionale, cioè mediante un riassorbimento compatibile con l’organizzazione d’impresa dell’appaltatore subentrante, il rischio di violare tali principi non sussisterebbe. Tale orientamento è stato recepito di recente dall’AVCP, che ha evidenziato la necessità di valutare, caso per caso, in relazione all’oggetto e alle caratteristiche dell’appalto se i requisiti imposti appaiano irragionevolmente stringenti e cogenti per l’impresa[16].
“Le clausole sociali che, nei bandi di gara, richiamano condizioni di esecuzione attinenti al personale da assumere per un determinato appalto, devono contenere, infatti, disposizioni volte a permettere il contemperamento di due diverse esigenze: da una parte, l’onere posto a carico dell’appaltatore di assumere il personale necessario al servizio e, dall’altra, il dovuto rispetto dell’autonomia imprenditoriale dell’aggiudicatario” (AVCP n. 7/2012).
2.2. Tutela della concorrenza.
La tutela delle esigenze sociali perseguite dalle clausole in esame trova un limite particolarmente pregnante nella tutela della concorrenza.
Tale limite è presente, come sopra visto, nella stessa disciplina dettata dal Codice dei Contratti: l’art. 69 del Codice subordina infatti la legittimità delle “clausole sociali” alla compatibilità con i principi di tutela della concorrenza.
Al riguardo, il 33° Considerando della Direttiva 2004/18/CE precisa che la compatibilità delle suddette previsioni con il diritto comunitario si ravvisa “a condizione che [tali clausole] non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie e siano indicate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri”. Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza amministrativa, prescrivendo alla stazione appaltante di valutare attentamente la legittimità di tali clausole al fine di evitare che le stesse siano suscettibili di “discriminare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori, determinando così un’incompatibilità delle previsioni del bando o dell’invito con il diritto comunitario”[17]. Del resto, le norme comunitarie e la disciplina di recepimento prevedono espressamente che debba trattarsi di “condizioni di esecuzione”, “con ciò chiarendo implicitamente che le stesse non possono costituire barriere all’ingresso, nella forma della richiesta di elementi di ammissibilità dell’offerta”[18]. E’, dunque, necessario evitare che si determini un ingiustificato vantaggio per l’impresa uscente: la clausola di riassorbimento del personale, infatti, favorisce di fatto l’impresa uscente che, partecipando alla nuova gara, formula la propria offerta senza subire alcuna coartazione nella propria libertà organizzativa, in quanto i dipendenti da “riassorbire” sono già propri.
A tali principi è particolarmente sensibile l’AVCP, che, nei più recenti pareri, ha evidenziato la necessità – anche nei casi in cui la clausola sociale sia prevista ex lege – di adottare accorgimenti al fine di evitare alterazioni della concorrenza[19].
Anche nel caso in cui la “clausola sociale” sia prevista ex lege o della contrattazione collettiva non può prescindersi dal rispetto dei principi generali di concorrenza e libertà di impresa (AVCP n. 7/2102).
3. Casistica
Passando brevemente in rassegna alcune tra le più recenti decisioni dell’AVCP è possibile individuare in concreto quale sia il limite massimo entro cui può essere costretta la tutela della libertà d’impresa, a fronte della salvaguardia dei diritti sociali.
a) La clausola della lex specialis che “detta gli obblighi dell’aggiudicatario e precisa che questi si impegna a svolgere il servizio con una dotazione di organico minima, così come appare precisata in altro articolo del Capitolato speciale di appalto (art. 15), e che tale dotazione minima di personale dovrà prevedere che almeno 10 unità siano appartenenti ai soggetti svantaggiati, di cui sopra. (…).” appare compatibile con il diritto comunitario; tuttavia, “giacché tali clausole richiedono una parziale deroga alla disciplina comunitaria” sono necessari taluni accorgimenti:
- sul piano formaleoccorre una “formulazione espressa e univocamente individuabile della richiesta, tale che essa si possa identificare, in una clausola apposita e specifica del Bando di gara, oltre che del Capitolato speciale di appalto, con formulazione idonea ad evidenziare la specificità esecutiva.”;
- sul piano sostanziale è altresì necessario, “perché la condizione di esecuzione appaia più chiaramente rispettosa della libertà di impresa”, limitare l’obbligo dell’imprenditore ad impiegare – e non già ad assumere – soggetti a tempo indeterminato nell’organico dell’impresa [20].
b) La clausola che impone l’impiego di persone con disabilità, quale condizione di esecuzione dell’appalto, è compatibile con il diritto comunitario (“la condizione di esecuzione è, peraltro, riferita a soggetti che non dovranno essere assunti nell’organico aziendale e che prenderanno parte all’attività lavorativa per acquisire le nozioni teoriche e l’aspetto pratico del servizio di manutenzione del verde pubblico oggetto dell’appalto. Tali circostanze consentono di ritenere che la prestazione richiesta all’impresa aggiudicataria sia “adeguata allo svolgimento del servizio e proporzionata agli scopi perseguiti dall’amministrazione”)[21].
c) L’AVCP ha ritenuto conforme ai principi comunitari l’inclusione, nei bandi di gara, di clausole comportanti l’impiego (o il mantenimento dell’impiego) di “persone svantaggiate” quali condizioni di esecuzione dell’appalto, “in quanto modalità di prestazione del servizio finalizzata al perseguimento di obiettivi sociali, espressamente richiamate dall’art. 69 e dal 33° considerando della Direttiva Unificata, nei limiti in cui non discrimini gli operatori economici diversi dalle cooperative sociali che siano in grado di soddisfare le prescritte condizioni di esecuzione”[22].
d) L’Autorità ha, inoltre, ritenuto conformi ai principi comunitari ed alle finalità di promozione dell’occupazione perseguite dal legislatore “le condizioni di esecuzione del contratto d’appalto relative all’utilizzo – da parte dell’aggiudicatario – di cooperative di tipo B (parere del 08/01/2010), di “persone svantaggiate” (parere del 14/05/2009 e parere del 10/09/2008), di lavoratori di pubblica utilità (parere del 13/05/2009), di lavoratori socialmente utili (parere del 24/09/2008)”[23].
e) In una procedura per l’affidamento della concessione di accertamento e riscossione delle entrate comunali, secondol’AVCP, “non è conforme alla normativa di settore la clausola dei documenti di gara che imponga al concessionario entrante di assumere i dipendenti di quello uscente. La previsione di un siffatto obbligo, infatti, appare giustificabile solo nei limiti in cui lo stesso sia imposto da specifiche disposizioni di legge o dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. La clausola in questione, altrimenti, risulterebbe senz’altro lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché sarebbe atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione”[24].
f) La clausola del bando di gara contemplante l’obbligo per l’appaltatore di attingere la manodoperanecessaria per l’esecuzione del contratto dagli elenchi del personalegià utilizzato dalla precedente impresa appaltatrice “non presenta profili di contrasto con il diritto comunitario e con i principi del Trattato CE, richiamati dall’art. 69 del D.Lgs. 163/2006”[25].
g) “La clausola del bando contemplante il subentro dell’aggiudicatario (..) non attiene a modalità di prestazione del servizio finalizzate al perseguimento di obiettivi ambientali o sociali, né ad altre particolari esigenze di esecuzione del contratto ai sensi dell’art. dell’art. 69, del D.Lgs. 163/2006, ma è finalizzata esclusivamente a consentire all’amministrazione la cessione del contratto d’appalto, peraltro vietata dall’art. 118 del medesimo decreto legislativo.”[26].
[1] Cfr. Parere Aut. vig. sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture 19/1/2011 n. AG1-11, secondo cui “con l’art. 52, il legislatore ha inteso perseguire le esigenze sociali di cui all’art. 2, comma 2, del D.lgs n.163/2006 attraverso la creazione di una riserva di partecipazione operante sia sotto il profilo soggettivo (lavoratori protetti) che oggettivo (programmi protetti), in entrambi i casi caratterizzata dall’impiego maggioritario di disabili. Ha inoltre specificato che la riserva a favore dei programmi di lavoro protetto non si fonda sulla qualifica soggettiva dei partecipanti alla gara ma sul ricorso, da parte delle imprese partecipanti, nella fase esecutiva dell’appalto, all’impiego, in numero maggioritario, di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali. In tali casi, pertanto, la partecipazione alla gara deve intendersi riservata ai soggetti di cui all’art. 34 del D.lgs. n.163/2006, anche privi dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento come laboratori protetti, che si avvalgono, ai fini dell’esecuzione dello specifico appalto, di piani che vedono coinvolti una maggioranza di lavoratori disabili, anche sulla base di accordi conclusi con soggetti operanti nel settore sociale. L’Autorità ha rammentato altresì che ai soggetti che si avvalgono della riserva di cui all’art. 52 deve essere richiesto il possesso dei requisiti generali di partecipazione e di quelli speciali previsti in ragione della tipologia dell’appalto.”.
[2] Ai sensi di tale disposizione, “1. Le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando, o nel capitolato d’oneri.
2. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali o ambientali.
3. La stazione appaltante che prevede tali condizioni particolari può comunicarle all’Autorità, che si pronuncia entro trenta giorni sulla compatibilità con il diritto comunitario. Decorso tale termine, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti. 4. In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare le condizioni particolari, per l’ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari.
4. In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare le condizioni particolari, per l’ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari.”.
[3] Con specifico riguardo alle esigenze sociali contemplabili nella Direttiva 2004/18/CE si precisa che “tali condizioni possono essere finalizzate alla formazione professionale nel cantiere, alla promozione dell’occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento, alla lotta contro la disoccupazione o alla tutela dell’ambiente. A titolo di esempio, si possono citare, tra gli altri, gli obblighi applicabili all’esecuzione dell’appalto di assumere disoccupati di lunga durata o di introdurre azioni di formazione per i disoccupati o i giovani, di rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nell’ipotesi in cui non siano state attuate nella legislazione nazionale, di assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale” (Parere Aut. vig. sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture 19/1/2011 n. AG1-11).
[4] AVCP, Parere sulla normativa 26 febbraio 2009, n. 4; Parere sulla normativa 7 maggio 2009, n. 15.
[5]Cfr. art. 2112 cod.civ., recante “Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda“, secondo cui “In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. (…)”.
[6] Cfr. CGCE 9 dicembre 2004, C-460/2002, Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica italiana.
[7]Ai sensi di tale articolo, “(…) nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.
Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l’imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. …”.
[8] In particolare, la Corte ha rilevato come la clausola sociale svolga “un ruolo essenziale non solo nell’ambito dell’appalto ma anche nella concessione del pubblico servizio, in quanto è funzionale alla scelta del contraente secondo i principi della concorrenza fra imprenditori (…) e della parità di trattamento dei concorrenti nella gara (…) In tal senso, anche i costi per le imprese, derivanti dall’obbligo di “equo trattamento”, concorrono alla migliore individuazione del soggetto idoneo”.
[9] Sulle clausole sociali cd. di “prima generazione” v. COSTANTINI S., Limiti all’iniziativa economica privata e tutela del lavoratore subordinato: il ruolo delle cd. clausole sociali, in www.unisi.it, il quale osserva come, prima dello Statuto dei Lavoratori, per molto tempo nell’ordinamento italiano il ricorso alle “clausole sociali” non è stato previsto in una norma di carattere generale: tali clausole erano di volta in volta contemplate nei provvedimenti che dettavano una specifica disciplina per la realizzazione di opere pubbliche in un determinato settore produttivo e nella legislazione relativa ai provvedimenti di concessione di agevolazioni e benefici accordati dalla P.A..
[10] Art. 4, par. 5, del Regolamento (CE) n. 1370/2007.
[11] Ai sensi dell’art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 422/1997, “Allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale, per l’affidamento dei servizi le regioni e gli enti locali si attengono ai principi dell’ articolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481 garantendo in particolare: (…)
e) l’indicazione delle modalità di trasferimento, in caso di cessazione dell’esercizio, dal precedente gestore all’impresa subentrante dei beni essenziali per l’effettuazione del servizio e del personale dipendente con riferimento a quanto disposto all’articolo 26 del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148.”
[12] Sul punto si segnalano, ad esempio, le disposizioni dettate all’art. 18-bis della L.R. Toscana n. 42/1998, applicabili alla futura procedura ad evidenza pubblica relativa all’affidamento del servizio di trasporto regionale, secondo cui “1. Gli enti affidanti, non appena reso noto l’atto con cui si determinano i lotti da mettere a gara, effettuano una ricognizione, per quantità e tipologia, del personale dei vari settori aziendali collegati al trasporto pubblico locale da attribuire a ciascun nuovo lotto. I risultati di tale ricognizione, che deve assicurare la piena tutela occupazionale, sono comunicati alle imprese ed alle organizzazioni sindacali di categoria, nonché alla Regione, al fine di verificare la congruenza tra il personale assegnato ai lotti e quello complessivamente impiegato nel settore. (…) 3. L’impegno all’assunzione del personale, come definito ai sensi del comma 2, è sancito, sulla base di espressa previsione del bando di gara, nel capitolato speciale d’appalto, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 15, comma 1”.
[13]Cfr. CGCE C-460/2002, secondo cui le clausole sociali dei contratti collettivi, al pari di qualsiasi altra disposizione tesa alla protezione sociale dei lavoratori che ”preveda il riassorbimento da parte dei nuovi entranti di personale del precedente gestore, ancorché non fondata, su un obbligo legale ma derivante da una imposizione in via di fatto», sono incompatibili con il diritto comunitario nella misura in cui, in concreto, sono in grado di produrre “l’effetto di porre a carico dei nuovi operatori i costi i gestione di chi li ha preceduti”; AVCP, Parere n. 44 del 25.2.2010; Consiglio di Stato, sez. V, nn. 3.848 e 3.900 del 16.6.2009.
[14] TAR Piemonte, sez. I, 27.11.2011, n. 114. Nel caso di specie, la clausola presente negli atti di gara imponeva l’obbligo dell’impresa aggiudicataria di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente. Avverso tale clausola viene proposto ricorso, sulla base della contrarietà della stessa rispetto ai principi di libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost., e di autonomia contrattuale, di cui all’art. 1322 del codice civile. Cfr. sul punto M. ALESIO, È illegittima la clausola di riassorbimento del personale del gestore uscente, La Gazzetta degli Enti Locali 9 marzo 2011.
[15] Consiglio di Stato, sez. V, nn. 3.848 e 3.900 del 16.6.2009; cfr. altresì TAR Puglia, Lecce, II, 18 dicembre 1007, n. 4628, secondo cui “a ciascun imprenditore va riconosciuta la libertà di organizzare la propria impresa secondo i criteri ritenuti più confacenti in vista dei risultati che ci si prefigge di ottenere (…)” e, conseguentemente, che “le ditte che partecipano ad una gara di appalto ben possono, fermo restando l’obbligo di assicurare l’esatto adempimento delle prestazioni richieste dal capitolato, organizzare il personale e i mezzi da impiegare nell’esecuzione del contratto secondo i propri schemi, non potendo la stazione appaltante imporre l’adozione di una certa organizzazione di impresa” .
[16] AVCP, 4.4.2012 n. AG 7/12: “Preme rendere evidente, dunque, che l’inserimento lavorativo dei suddetti lavoratori non può che essere commisurato alle necessità derivanti dall’ampiezza dell’intervento. In tal senso, alcuni requisiti appaiono oltremodo stringenti e cogenti per l’impresa, a meno che non sia chiarito che l’“obbligo di assunzione” di soggetti svantaggiati si risolve in un obbligo di impiego di tali soggetti per il tempo pari a quello dell’affidamento e non in un obbligo di assunzione a tempo indeterminato nell’organico dell’impresa.”.
[17] Consiglio di Stato, Sez. cons. per gli atti normativi, Parere 6 febbraio 2006, n. 355.
[18] AVCP, Parere sulla normativa 26 febbraio 2009, n. 4; Parere sulla normativa 7 maggio 2009, n. 15.
[19]Secondo un primo orientamento dell’AVCP, invece, l’obbligo di assunzione del personale, già adibito allo svolgimento del servizio oggetto dell’appalto, è irragionevole ed ingiustificato, salvo il caso in cui sia imposto da specifiche disposizioni di legge o della contrattazione collettiva nazionale di riferimento: cfr. AVCP, Parere n. 44 del 25.2.2010.
[20] AVCP, Parere 4.4.2012 – AG 7/12.
[21] AVCP, Parere 18.4.2012 – AG 11/12.
[22] AVCP, Parere sulla Normativa del 10.03.2011 – AG 6/11.
[23] AVCP, Parere sulla Normativa del 31.03.2010 – rif. AG8/2010.
[24]AVCP, Parere di Precontenzioso n. 44 del 25.02.2010.
[25] AVCP, Parere sulla Normativa del 07.05.2009 – rif. AG15/09.
[26] AVCP, Parere sulla Normativa del 26.02.2009 – rif. AG4/09.