Questo articolo è valutato
( votes)Un uomo, un singolo uomo e un pipistrello, proprio quell’esemplare, affetto da un virus sconosciuto, che entrano in contatto. L’incontro che innesca quel concatenarsi di eventi che porta all’esplosione della pandemia; il battito d’ali della farfalla brasiliana che provoca un tornado in Texas enunciato dal matematico e meteorologo statunitense Edward Lorenz nel 1972. Ad un anno dalla scoperta del paziente numero uno in Italia, quel tornado chiamato covid19 come ha cambiato la nostra vita? Ha agito sul nostro modo di socializzare e di lavorare, ci ha riscoperti vulnerabili, impreparati. Ha messo in crisi il nostro sistema di relazioni e il nostro sistema produttivo ed economico. Ci siamo fermati. Poi abbiamo ripreso. Ma nulla è tornato come prima. Nelle scuole, in famiglia, nei luoghi di svago, nelle aziende, negli uffici pubblici, tra i cantieri.
La pandemia ci ha catapultati in uno scenario nuovo. Una condizione con la quale dover convivere. Una convivenza forzata che, come qualsiasi cosa imposta, non è facile da accettare. Destabilizza la routine. La rifiutiamo. La viviamo come una limitazione, una castrazione delle nostre libertà. Ci confonde. E’ il caos.
Il caos paralizza. Sulla soglia di un labirinto, differenti percorsi davanti ai nostri passi. Restiamo bloccati. Quale direzione prendere? Probabilmente la prima scelta sarà affidata al caso. Se la strada non dovesse essere quella giusta, ci ritroveremmo al punto di partenza. Fatto tesoro dell’errore ci incammineremmo verso un’altra via. Così, sbagliando e sperando nella buona sorte, prima o poi ci ritroveremo dall’altra parte del dedalo. Per arrivarci ci si deve muovere e non lasciarsi paralizzare dal panico.
Ad essere paralizzato, in questa fase della pandemia è il settore degli appalti pubblici. Si sperava in una ripresa rilanciata dal Decreto Semplificazioni. E invece i segnali sono di natura opposta. L’ANCE denuncia lo stallo; nei primi nove mesi del 2020 le ore lavorate si sono ridotte del 16,8%. Cosa blocca il rilancio? I tempi in primo luogo. La semplificazione contenuta nel Decreto di luglio non è una bacchetta magica. Favorisce l’affidamento diretto a discapito delle procedure ordinarie fino alla soglia di 150mila euro ma non agisce sui tempi di realizzazione dei lavori. Confartigianato ha di recente rilevato come in Italia le tempistiche siano notevolmente dilatate rispetto alla media europea. “Per realizzare un appalto pubblico infrastrutturale in Italia servono 7 mesi in più rispetto alla media europea” denuncia l’organizzazione degli artigiani. La requisitoria si sofferma su lavori ordinari come il rifacimento di soli 20 km di una strada a doppia corsia che, calcolano gli artigiani, necessita con l’iter corrente di un tempo medio complessivo di 815 giorni, dalla pubblicità del bando di gara al termine dei lavori, comprendendo il pagamento dell’impresa appaltatrice. Che significa? Che i lavori che si dovrebbero sbloccare con il Decreto del 16 luglio 2020 li vedremo realizzati non prima di 2 anni. Nonostante le semplificazioni è sempre la burocrazia al banco degli imputati. “A rallentare i lavori sono i numerosi passaggi burocratici che incidono per il 54,3% sui tempi complessivi per completare le opere” afferma Confartigianato.
Alle inefficienze cristallizzate del sistema si aggiungono le nuove dinamiche dovute all’eccezionalità del momento. Con la pandemia abbiamo scoperto lo smart working. Lo applicano aziende private e uffici pubblici. E tra questi, gli uffici tecnici. Una condizione che non agevola l’agognata accelerazione del settore degli appalti. Lo rileva lo studio “Il mercato immobiliare tra emergenza covid-19 e smart working” della Banca d’Italia. Per Luigi Donato, Capo del Dipartimento Immobili e appalti, i ritardi sono dovuti “al congelamento delle procedure degli appalti, in corso o da bandire, determinato dalla legge 18/2020, e il dilatarsi dei tempi per l’approvazione dei progetti da parte dei diversi uffici pubblici”.
È nel passaggio dall’inchiostro ai fatti che si aggrovigliano tutti quei fattori che non ci permettono di dare slancio ad un settore nel quale siamo fiduciosi per il futuro ma al quale non vogliamo dare fiducia. E così ogni annunciata semplificazione, per qualche arcana stregoneria è solo una nuova complicazione. Ad ogni riforma ci sembra che il comparto debba prendere finalmente il volo. E invece non si fa altro che trasferire il sistema da una gabbia ad un’altra gabbia. E non è detto che la nuova sia più spaziosa della precedente perché si passa da un complessità di norme ad un’altra complessità.
Il bandolo della matassa sembra possa risiedere nella sottile linea di confine tra il confidare nelle potenzialità del settore e il diffidare in chi lo gestisce. E’ l’ombra della corruzione a pesare su tutto. Il sospetto che in ogni attore si annidi il germe della criminalità. Il vice presidente ANCE Edoardo Bianchi lo ha detto chiaramente: “se è un settore di furfanti lo si chiuda, non si continui a legiferare. Se è un settore che serve al paese lo si metta in condizione di operare”.
Siamo nel bel mezzo del caos e la crisi di Governo, in un momento come questo, è un film che avvilisce chi, con tanti sacrifici, sta cercando di sopravvivere alle proprie criticità. Aggiungiamo caos ad altro caos. Friedrich Nietzsche diceva che “bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”. Ma il cielo della politica è solcato da evanescenti meteore: rapide scie di luce che si consumano schiantandosi al suolo. Giusto il tempo che intercorre tra due salite al Colle; per giurare e per dimettersi. E la storia vive di corsi e ricorsi. Un ballo di gruppo. Due passi avanti. Due passi indietro. E si finisce sempre nello stesso punto dal quale si è partiti. In questo balletto di stelle danzanti non ce ne sono: consoliamoci con quelle proposte da Milly Carlucci per dimenticare per un po’ il caos che ci circonda.