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( votes)Di pubblici incanti si parla nella parte del Codice Penale in cui il Legislatore ha trattato i temi relativi ai delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione e cioè nell’articolo 353, il quale stabilisce le sanzioni per la “turbata libertà degli incanti”.
La norma in argomento è stata più volte oggetto di critica da parte della dottrina, la quale riteneva che lo schema normativo stabilito attraverso il citato articolo di legge non consentisse un ampio ed efficace controllo penale dei pubblici incanti e non fosse, soprattutto, scevro da interferenze con le altre fattispecie di reato concernenti i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.
Pubblici incanti: interferenze, difficoltà e novità
Sono proprio le interferenze citate, il difficile raccordo applicativo dell’articolo 353 con il successivo articolo 354 c.p. e la necessità di costruire armi sempre migliori al fine di combattere le infiltrazioni mafiose nella Pubblica Amministrazione ad aver agitato confronti e nuove idee, in dottrina e in giurisprudenza, perché fosse innovata la materia dei pubblici incanti.
Intenzioni di modernità e di aggiornamento, quindi, hanno spinto il Legislatore a introdurre nel nostro Codice Penale il reato di cui all’articolo 353 bis, il quale punisce la “turbata libertà di scelta del contraente”.
La norma de qua ha avuto ingresso nel nostro ordinamento a seguito dell’emanazione dell’art 10 della L.136/2010, c.d. “Piano straordinario contro le mafie”.
Ebbene, siamo al cospetto di una nuova tipologia di reato, del tutto rivoluzionaria, la quale, anticipando la tutela penale, colpisce i comportamenti delittuosi consumati immediatamente prima dell’inizio della gara d’appalto, segnando una differenza di base rispetto all’articolo 353 c.p., che, invece, aggancia la tutela penale alla fase della gara.
Ora, nonostante questa evidente e sostanziale diversità tra i due principi legislativi in oggetto, vi è da rimarcare che l’art. 353 bis è costruito sulla base della fattispecie di cui all’art 353 c.p..
L’innesto, però, ha comportato una commistione di linee teoriche ed elementi formativi dei reati, che rende non così forte la tutela penale apprestata dall’art. 353 bis c.p., sì da lasciare in parte insoddisfatti gli auspici di coloro i quali invocavano una radicale innovazione della materia dei pubblici incanti.
In ogni caso, per cogliere appieno la struttura della fattispecie della “turbata libertà di scelta del contraente” è necessario esaminare la norma relativa alla “turbata libertà degli incanti”, poiché, come detto, su questa seconda poggia la edificazione giuridica della prima.
L’articolo 353 c.p., al primo comma, punisce: “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti”.
Analisi
Sono offerenti coloro che hanno fatto o che sono in procinto di fare un’offerta di partecipazione alla gara, ma anche coloro i quali hanno la seria intenzione e la possibilità di parteciparvi.
Il reato può essere commesso da chiunque, sia esso estraneo, interessato o persino contro-interessato alla gara. Nell’ipotesi in cui il soggetto attivo sia un preposto agli incanti o alle licitazioni, in forza della legge o per provvedimento dell’autorità amministrativa, il secondo comma dell’art 353 c.p. prevede una circostanza aggravante.
Sono tutelati gli interessi della Pubblica Amministrazione, la quale detta le regole per lo svolgimento della gara, e il meccanismo della libera concorrenza; la tutela, inoltre, si estende, in modo più indiretto, al privato che abbia subito danni a seguito del turbamento che ha sofferto la libertà degli incanti.
L’impedimento si verifica quando ricorre la mancata effettuazione della gara nei tempi previsti o si verifica la sospensione della stessa per un apprezzabile periodo di tempo.
La definizione di turbamento è, invece, più controversa, ma prevale la tesi per la quale esso si sostanzia in un “inquinamento” o in una modificazione delle condizioni di svolgimento della gara.
La condotta punita, secondo l’architettura normativa dell’articolo 353 c.p., può esplicarsi in varie forme, ossia violenza, minaccia, doni, promesse e collusioni. Queste ultime vanno intese come ogni simulato o celato accordo tra due o più persone, le cui condotte devono convergere in una reciproca correlazione strumentale, così da alterare o eludere il normale svolgimento della gara.
Le collusioni, poi, rappresentano il nucleo prototipo da cui ottenere, per analogia, il significato di “ALTRI MEZZI FRAUDOLENTI”.
La Suprema Corte, attraverso una elencazione mai tassativa, bensì indicativa dei comportamenti più diffusi, ha sancito che gli “altri mezzi fraudolenti” possono consistere, per esempio, “nell’interpretazione restrittiva di particolari clausole; nell’esclusione di un offerente sulla base di un rigido formalismo nel controllo dei requisiti delle istanze; nell’iniziativa del preposto di dichiarare inammissibile un’offerta sulla base della mera inosservanza di requisiti formali della istanza, quali, ad es., la data di nascita del concorrente”.
Ancora: “L’offerta in ribasso assolutamente anomala ed economicamente del tutto ingiustificata, effettuata nella consapevolezza che essa concorra, in modo del tutto prevalente, a determinare a livello minimo la c.d. offerta media, idonea ad identificare l’aggiudicatario della gara, può integrare l’artificio sufficiente ad impedire o turbare il regolare gioco della concorrenza” (Sez. VI 99/9062).
Anche il MENDACIO, ovviamente, può costituire un mezzo fraudolento, sia esso proveniente dagli organi pubblici o preposti ad una qualsiasi fase del procedimento, sia esso proveniente da un partecipante alla gara. Il mendacio può anche ritrovarsi in un documento dotato di idoneità probatoria ex lege, recante una dichiarazione contra verum, strumentale al fine di trarre in inganno la P.A.
I mezzi fraudolenti, per la dottrina, possono anche consistere nel discredito della cosa che forma oggetto della gara oppure dell’ente che l’ha indetta, nella soppressione di mezzi di pubblicità o nell’aver fatto circolare la falsa voce che la partecipazione all’asta in corso non fosse conveniente, ottenendo l’astensione dalla gara di alcuni offerenti.
In altre parole, “altro mezzo fraudolento” può essere qualunque anomalia ed attività ingannevole.
Ora, alla stregua dell’intera analisi sin qui condotta, è evidente che la struttura complessiva della figura criminosa del reato di turbativa d’asta ha come momento tipizzante LA GARA., sicché la condotte consumate prima di quel momento non subiscono alcuna sanzione.
E’ della Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, infatti, la sentenza n. 11005 del 2009, con la quale si stabilisce che “il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile, neanche nella forma del tentativo, prima che la procedura di gara abbia avuto inizio, ossia prima che il relativo bando sia stato pubblicato, dovendosi ritenere carente in tale situazione il presupposto oggettivo per la realizzazione delle condotte previste dalla norma incriminatrice.”.
In sostanza, è da quell’area grigia di impunità, rappresentata dal periodo di tempo precedente all’espletamento della gara, che discende la necessità dell’introduzione della nuova norma incriminatrice, articolo 353 bis c.p., posta nel nostro sistema attraverso la L.136/2010.
Ebbene, la nuova disciplina, la quale appartiene al c.d. “Piano straordinario contro le mafie”, consente di racchiudere nella atipica, ma esplicativa formula “il fatto sussiste” tutte le condotte illecite realizzate prima della pubblicazione del bando o di altro atto equipollente, finalizzate a condizionare le modalità di scelta del contraente.
E’ sempre più dei nostri tempi l’infiltrazione mafiosa nei procedimenti riguardanti i pubblici incanti o le licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni ed è un fenomeno in espansione la stretta interconnessione tra la criminalità organizzata e l’attività della P.A. Di talché, l’evoluzione della materia relativa alla turbativa d’asta, confluita nell’articolo 353 bis c.p., in sintonia con l’evoluzione dei sistemi di contrasto nei confronti dei sodalizi criminali, vuole rappresentare la misura principe di tutela penale nello specifico ambito di cui si discute.
E’ tipico, infatti, dell’infiltrazione mafiosa, proprio perché si tratta di infiltrazione, l’agire secondo modalità fraudolente e secondo tempi che precedono di gran lunga il momento topico della vicenda: nel caso di specie la gara.
L’articolo 9 della legge 136 del 2010, poi, ha inasprito le pene di cui all’articolo 353 c.p., il quale, ora, in uno con l’art. 353 bis, incide nella società criminale con una forbice sanzionatoria più grave, la quale prevede la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Quanto al bene tutelato dall’art 353 bis c.p., il Legislatore ha inteso soddisfare il pubblico interesse di ottenere il MIGLIOR RISULTATO ATTRAVERSO LA GARA INDETTA e conseguentemente ogni espediente inteso a ridurre il numero dei possibili partecipanti integra gli estremi del delitto in argomento.
La condotta incriminata è ad alto contenuto finalistico, giacché deve essere sorretta dal dolo specifico, volto a condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della P.A.
Ed è proprio la costruzione della norma intorno al dolo specifico che ci rivela quale sia la ratio posta dal “riformatore” a base della norma stessa: scongiurare che il contenuto del bando venga predisposto in modo tale che un singolo “favorito” soggetto possa risultare aggiudicatario della gara.
La pretesa, però, che, nella fattispecie che dovranno valutare i Giudici ai sensi dell’articolo 353 bis c.p., ricorra il dolo specifico pone un onere probatorio a carico della Pubblica Accusa di più impegnativa portata e sancisce, inoltre, un’ulteriore differenza rispetto all’ordinario articolo 353, punito, invece, a titolo di dolo generico.
Concludiamo, ritenendo che dottrina e giurisprudenza provocheranno nuovi momenti di confronto attraverso i quali ricercare e ritrovare strumenti sempre più efficaci di tutela penale nell’ambito dei pubblici incanti, al fine di ergere scudi sempre più forti e risolutivi nella battaglia di tutti i giorni contro le “mafie”, sempre più organizzate e moderne nel tentativo di raggiungere risultati illeciti.
Avv. Rinaldo Alvisi Dott.ssa Federica Abbattista