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1 Premessa

La Cina era lontana, l’orgoglio di fantastiche operaie…” Cosi’ cantava Franco Battiato nel 1982. A circa trent’anni di distanza, il Mondo si e’ ristretto e la Cina, come dimostrano le cronache economiche di queste settimane, e’ diventata vicinissima. Il Mondo non e’ mai stato cosi’ piccolo.

La Cina fa parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“OMC” od anche in inglese “World Trade Organization”) da ormai dieci anni. I rapporti tra imprese cinesi ed italiane sono divenuti intensi, dando origine in molti casi a vere e proprie partnership sino-italiane. Come noto, i membri del W.T.O. sono tenuti a garantire nei confronti di tutti gli altri membri lo status di “most favourite nation”, favorendo quindi il reciproco scambio commerciale.

E’ appena il caso di ricordare come l’Organizzazione Mondiale del Commercio sia un’organizzazione internazionale dotata di una propria struttura organizzativa, creata con lo scopo di ridurre le barriere tariffarie al commercio internazionale. Oggetto del WTO sono tanto i beni commerciali, quanto i servizi e la proprieta’ intellettuale.

E’ altresi’ necessario evidenziare come la Repubblica Popolare cinese non abbia ancora sottoscritto l’allegato n. 4 all’accordo istitutivo del WTO che riguarda, tra l’altro, anche la materia dei pubblici appalti. In tale ambito, gli accordi commerciali plurilaterali sono stati sottoscritti unicamente da alcuni dei Paesi aderenti all’OMC.

In questo quadro di “apertura” e di cooperazione tra i Paesi aderenti al WTO, molte imprese cinesi hanno sviluppato capacita’ tecniche ed economiche di pregio, delle quali imprese italiane ed europee hanno interesse ad usufruire, anche ai fini della partecipazione alle gare pubbliche.

Occorre distinguere tra l’ipotesi di partecipazione diretta agli appalti pubblici in Italia, dalla eventualita’ di ricorrere all’istituto dell’avvalimento nei confronti di una impresa stabilita in Cina.

Occorre altresi’ interrogarsi sulla legittimita’ del ricorso al subaffidamento verso imprese cinesi e/o extra UE da parte di operatori economici italiani.

2 La normativa italiana ed i presupposti per la partecipazione alle gare d’appalto.

L’art. 47 del D. Lgs. 163 del 2006 (Codice dei Contratti Pubblici) si rivolge agli operatori economici stabiliti in Stati diversi dall’Italia e, secondo l’interpretazione che di esso da’ la Giurisprudenza come la stessa Autorita’ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, ammette la partecipazione ad appalti pubblici da parte di Societa’ extra UE a condizione che esse siano stabilite:

  1. nei Paesi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici che figura nell’allegato 4 dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio;
  2. o in Paesi che, in base ad altre norme di diritto internazionale, o in base ad accordi bilaterali siglati con l’Unione Europea o con l’Italia, consentano la partecipazione ad appalti pubblici a condizioni di reciprocità.

3 Il divieto di partecipazione alle gare da parte delle imprese cinesi. Quid iuris in caso di avvalimento verso un’impresa cinese?

Secondo la ricostruzione operata dalla Giurisprudenza, le imprese cinesi non possono partecipare direttamente all’assegnazione delle gare pubbliche, in quanto la Repubblica Popolare Cinese non ha ancora sottoscritto l’allegato n. 4 all’accordo istitutivo del WTO. Manca dunque uno dei presupposti richiesti espressamente dal richiamato art. 47.

Con riferimento al rapporto di avvalimento, sarebbe anch’esso vietato in quanto concreterebbe di fatto una partecipazione -seppur indiretta- alla Gara d’appalto.

Come noto, il rapporto di “avvalimento”, indica le modalita’ con le quali una Societa’ –ai fini della partecipazione ad una gara d’appalto- utilizza e, per cosi’ dire, “fa proprie” le capacita’ tecnico-economiche di un’altra, al fine di rispettare i requisiti richiesti da un Bando di Gara.  Tale possibilita’ e’ estesa, in caso di R.T.I., Consorzio o gruppo, alle singole Imprese raggruppate o raggruppande, ovvero consorziate o consorziande.

Con l’avvalimento dunque, il concorrente ad una Gara d’appalto indetta da un ente pubblico, al fine di raggiungere l’importo del fatturato (globale e/o specifico), ovvero la capacita’ tecnica richiesta dal Bando quale condizione minima di partecipazione che di per se non avrebbe, puo’ utilizzare la capacita’ messagli a disposizione da parte di societa’ terze, indipendentemente dal rapporto giuridico che ha con esse.

Nel caso di societa’ non riconducibili al medesimo Gruppo imprenditoriale, il rapporto di avvalimento si concreta in un “contratto di avvalimento” che e’ un vero e proprio contratto atipico da considerarsi ammesso nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 1321 del codice civile.

Secondo la giurisprudenza, anche la partecipazione a mezzo di avvalimento da parte di impresa stabilita nella Repubblica Popolare Cinese, violerebbe quanto richiesto dall’articolo 47 del Codice dei Contratti Pubblici per la partecipazione alle gare d’appalto da parte di imprese extracomunitarie. La giurisprudenza ha infatti chiarito che debbono valere per l’ausiliaria le medesime regole che governano la partecipazione alle gare d’appalto da parte dell’impresa principale. A tale riguardo infatti, il TAR Lazio Roma Sez. I bis, con sentenza 2 luglio 2007 n. 5896, partendo proprio dal presupposto che la Repubblica Popolare Cinese non ha ancora sottoscritto l’allegato 4 all’accordo costitutivo del WTO (il che l’avrebbe evidentemente legittimata sia alla partecipazione diretta che indiretta delle sue imprese), ha espressamente negato la possibilita’ da parte di impresa italiana di far ricorso all’istituto dell’avvalimento nei confronti di societa’ cinese in quanto difettano in capo a quest’ultima i requisiti di cui al richiamato articolo 47. Secondo il ragionamento operato dal citato TAR Lazio, infatti, la societa’ ausiliaria “diviene titolare passivo di un’obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente, e tale obbligazione si perfeziona con l’aggiudicazione e la stipula a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti; egli rispondera’ pertanto a titolo di responsabilita’ contrattuale dell’inadempimento delle promesse fatte all’amministrazione”.

Sulla stessa lunghezza d’onda e’ anche l’Autorita’ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici che nel parere n. 81 del 30 luglio 2009 ravvisa la ratio dell’art. 47 citato nella disciplina della partecipazione ad appalti pubblici indetti in Italia “stabilendo il principio che l’operatore economico straniero, per poter partecipare agli appalti indetti in Italia, deve necessariamente appartenere ad uno dei paesi individuati dalla stessa norma, ossia uno degli Stati dell’Unione Europea, o uno dei Paesi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici che figura nell’allegato 4 dell’accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio, o un Paese che, in base ad altre norme di diritto internazionale o in base ad accordi bilaterali siglati con l’Unione Europea o con l’Italia, consenta alle imprese italiane la partecipazione ad appalti pubblici in condizioni di reciprocità”.

Piu’ di recente ed in senso del tutto analogo a quello sopra riferito, si e’ espresso anche TAR Campania  il quale ha ribadito il sostanziale divieto al ricorso all’avvalimento con imprese di paesi extra UE che non abbiano sottoscritto l’accordo OMC od accordi bilaterali con Paesi UE o con l’Italia (cfr TAR Napoli Sez. I sentenza 6 dicembre 2010 n. 26798).

Il TAR Campania afferma a tale riguardo che “[…] per la dimostrazione del possesso dei requisiti, occorre riferirsi allo svolgimento di servizi resi da un soggetto appartenente all’area della comunità europea o ad un’area ad essa equiparata in virtù di accordi internazionali. E’ da escludere, infatti, che un operatore comunitario possa avvalersi dei requisiti tecnico operativi messi a disposizione da parte di impresa extracomunitaria non appartenente ad alcuno dei Paesi di cui al comma 1 dell’art. 47 del d.lgs. n. 163 del 2006”.

Il TAR Campania ravvisa la ratio della limitazione contenuta nell’art. 47 del d.lgs. n. 163 del 2006 nella “necessita’ di assicurare la par condicio competitorum sostanziale, evitando l’ingresso nel mercato degli appalti pubblici di ditte i cui costi di gestione ambientale, operativi e tecnici sono o possono essere imparagonabili a quelli delle imprese comunitarie. Il divieto imposto ad impresa extracomunitaria non destinataria del comma 1 dell’art. 47 del d.lgs. n. 163 del 2006 di partecipare agli appalti pubblici comunitari deve ritenersi operativo tanto nelle ipotesi di partecipazione diretta dell’ impresa extracomunitaria quanto nell’ipotesi di partecipazione indiretta che può realizzarsi proprio col ricorso all’istituto dell’ avvalimento”.

Secondo il TAR Campania, infatti, “l’ impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto al contratto d’appalto, dovendosi essa impegnare (non soltanto verso l’ impresa concorrente ausiliata, ma) anche verso l’amministrazione aggiudicatrice a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente (l’ausiliario è infatti tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante). Tale impegno conforma precipuamente l’istituto dell’avvalimento e ne costituisce presupposto di legittimità. L’ impresa ausiliaria diviene quindi titolare passivo di un’obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente, e tale obbligazione si perfeziona con l’aggiudicazione e la stipula a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti; egli risponderà pertanto a titolo di responsabilità contrattuale dell’inadempimento delle promesse fatte all’amministrazione.”

Non a caso –conclude il TAR Campania- l’articolo 49, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 163 del 2006 impone all’impresa ausiliaria di allegare una dichiarazione sottoscritta attestante il possesso da parte di quest’ultima dei “requisiti generali di cui all’articolo 38“.

4 I dubbi in merito alla ricostruzione operata dai Giudici. Critiche.

La ricostruzione operata dalla richiamata giurisprudenza non convince del tutto.

Innanzitutto, l’art. 47 del Codice si riferisce espressamente alle condizioni per la “qualificazione” delle imprese che siano stabilite in Paesi diversi dall’Italia e non detta norme in materia di limitazione alla “partecipazione”.

A ben vedere, l’art. 47 afferma il principio che per gli operatori economici stranieri valgono le medesime regole di qualificazione previste per le imprese italiane, a condizione che essi siano stabiliti in uno dei Paesi aderenti all’Unione Europea, ovvero, per le imprese extracomunitarie, che essi siano stabiliti in uno dei Paesi firmatari dell’allegato n. 4 all’OMC o in Paesi che in base a norme di diritto internazionale o ad accordi bilaterali siglati con la UE o con l’Italia consentano la partecipazione ad appalti pubblici a condizione di reciprocita’.

Analogo principio lo si trova espresso – peraltro in materia di lavori – anche all’art. 103 del D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 per la qualificazione di imprese stabilite in Paesi diversi dall’Italia.

In altre parole, il legislatore sembra aver voluto semplicemente dettare delle norme per allargare il novero delle imprese che possono “qualificarsi” secondo i medesimi principi che governano la qualificazione delle imprese italiane. 

L’articolo 47 dovrebbe quindi riferirsi da un lato unicamente ai lavori in quanto solo con riferimento a questi ultimi puo’ parlarsi di necessita’ di una “qualificazione” (tesi confermata dalla sistemazione dell’art. 103 del regolamento in ambito lavori, appunto). E, comunque, la norma sembra mirare piu’ a stabilire dei principi per la qualificazione delle imprese non italiane, piuttosto che ad escludere le imprese cinesi dalla partecipazione alle gare d’appalto pubbliche.

La seconda obiezione che puo’ poi muoversi alla ricostruzione operata dalla giurisprudenza attiene alla mancata considerazione dei principi comunitari in materia di avvalimento che non prevedono particolari restrizioni o limiti per farvi ricorso.

Come noto, gli articoli 47 e 48 della Direttiva 18 in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi disciplinano rispettivamente le modalita’ con le quali un operatore economico puo’ provare la propria capacita’ economica o le proprie capacita’ tecniche e professionali.

Giova qui ricordare come il comma 2 dell’articolo 47 della richiamata Direttiva sancisca espressamente che “un operatore economico puo’, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacita’ di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporra’ dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti”. Analoghi principi sono rinvenibili anche nell’articolo 48 con riferimento alle capacita’ tecniche e professionali.

Non c’é dubbio che gli articoli 47 e 48 del Codice dei Contratti Pubblici costituiscono una potente norma di liberalizzazione e non dettano limiti particolari al ricorso all’istituto dell’avvalimento. Dunque, a ben vedere, se dovessimo limitarci ad una appliczione letterale del diritto comunitario, non ci sarebbero particolari ostacoli all’avvalimento verso impresa cinese.

Il TAR Lazio replica a questa obiezione ricordando che le richiamate disposizioni della Direttiva 2004/18/CEE hanno come destinatari gli Stati membri (i quali, quindi, godono di una ragionevole discrezionalita’ nel momento del recepimento potendo disciplinarne in concreto la relativa applicazione ed i limiti), mentre l’applicazione dei principi del WTO sono anch’essi rimessi al singolo legislatore (che, nel caso dell’Italia, ha deciso di recepire seppur alle condizioni di cui all’articolo 47).

A queste obiezioni si potrebbe ad esempio replicare ricordando come l’art. 49 del Codice dei Contratti Pubblici (vera e propria sedes materiae dell’avvalimento) non pone particolari ostacoli o limitazioni al ricorso all’istituto, se non la dimostrazione dei requisiti generali necessari anche per il partecipante in via diretta come l’assunzione di una coobligazione solidale nei confronti del Committente.

Anche forse alla luce del tormentato recepimento da parte del legislatore italiano dell’istituto dell’avvalimento ed alla necessita’ di numerosi interventi che hanno corretto in senso ampliativo le iniziali “restrizioni” alla possibilita’ di farvi ricorso, si e’ voluto evitare di inserire in questa sede dei “paletti” che avrebbero potuto poi essere contestati (od addirittura “fulminati”) in sede comunitaria in quanto confliggenti coi principi di cui ai richiamati articoli 47 e 48 della Direttiva 18.

Il TAR Lazio sottolinea infine che questa lettura dell’articolo 47 “non trova ostacolo neanche nei principi comunitari posti a presidio del valore della libera concorrenza: e cio’ in quanto tale valore trova il suo diretto equipollente in quello della par condicio degli operatori economici e non in un allargamento acritico della base di partecipazione a favore di ditte i cui costi di gestione ambientale, operativi e tecnici sono imparagonabili a quelli delle imprese comunitarie”.

A quest’ultimo riguardo e’ tuttavia facile obiettare come i Paesi aderenti al WTO abbiano condizioni economiche e politiche niente affatto omogenee. Affermare dunque che si guarda anche a criteri di “eguaglianza sostanziale” contraddice il richiamo – di natura meramente formale- all’adesione o meno ad uno o piu’ degli allegati al WTO. Potrebbe infatti anche accadere che la Cina aderisca all’allegato 4 al WTO. Ed allora, quest’ultimo ragionamento operato dal TAR Lazio non sarebbe davvero di per se sufficiente ad evitare l’ingresso delle imprese cinesi nel mercato italiano e dell’UE.

Inoltre, a ben vedere, analoghi criteri di eguaglianza sostanziale possono valere anche all’interno della stessa UE, laddove tra i Paesi membri esistono oggettivamente grandi differenze di sensibilita’ ambientale e di costi del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Insomma, applicando i presunti requisiti di omogeneita’ richiamati dal TAR Lazio, si dovrebbe finire con l’escludere dalla partecipazione alle gare d’appalto anche numerose societa’ stabilite in uno dei Paesi UE che non applichino i medesimi principi di tutela ambientale e di tutela dei diritti dei lavoratori, ovvero riconoscano corrispettivi decisamente inferiori a parita’ di prestazione.

5 La subfornitura verso impresa extra UE.

Nel richiamato parere dell’AVCP del 30 luglio 2009, l’Autorita’ ha avuto l’occasione per affrontare la problematica relativa al subaffidamento in favore di una societa’ indiana dichiarato in sede di gara da parte di una societa’ italiana che si era aggiudicata la fornitura di un certo numero di giubbetti ed elmetti in favore del Ministero della Difesa.

Nel caso di specie, una societa’ italiana distributrice dei prodotti che erano stati posti ad oggetto di gara, aveva precisato, in sede di istanza di partecipazione, di approvvigionarsi presso un’impresa extracomunitaria la quale avrebbe poi realizzato concretamente i prodotti in gara.

A tale riguardo, l’Autorita’, pur condividendo, come detto sopra, con la richiamata giurisprudenza l’interpretazione dell’art. 47 nel senso di una limitazione alla possibilita’ di partecipazione diretta od indiretta alle gare d’appalto, conclude per l’inconferenza del richiamato articolo 47  al caso in esame.

Infatti, secondo l’Autorita’, la societa’ extra comunitaria in questione “non è concorrente alla gara per la fornitura in questione, né direttamente né indirettamente, essendo semplicemente un soggetto terzo rispetto al contratto d’appalto, che non assume alcun obbligo giuridico nei confronti della stazione appaltante”.

Poiche’ dunque il subaffidatario non ha rapporti diretti con il Committente (rispetto al quale e’ terzo), egli non partecipa direttamente ne’ indirettamente all’appalto. Da cio’ consegue la legittimita’ dell’affidamento in subfornitura.

E’ chiaro, pero’, che a questo punto sorge un bisticcio logico tra la possibilita’ di prestare in subaffidamento da parte dell’impresa extra UE ed il divieto di operare quale impresa ausiliaria in avvalimento.

Il comma 10 dell’articolo 49 stabilisce infatti che “[…] l’impresa ausiliaria puo’ assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati”.

E’ chiaro che questa impostazione e’ destinata a suscitare un forte dibattito. Se, infatti, si riconosce che un’impresa extra UE, dotata delle necessarie qualificazioni soggettive (ad esempio in tema di certificazione di Qualita’, eccetera) e’ in grado di prestare in subfornitura, perche’ non puo’ mettere a disposizione quelle medesime qualita’ a mezzo di avvalimento in favore di impresa italiana che magari ne sia carente?

E’ chiaro che siamo solo all’inizio di un fenomeno di trasformazione epocale e su questi argomenti sara’ necessario tornarvi molto presto.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Fabio Salierno
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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