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11 in 48 ore. Tra il 28 e il 29 settembre. È il triste e drammatico numero delle vittime del lavoro registrato in un lasso di tempo così ristretto. Un bollettino che si aggiorna quotidianamente, quello delle morti bianche. Dall’inizio dell’anno al 31 agosto, sono 772 i lavoratori che al mattino hanno salutato i loro cari per andare a guadagnarsi da vivere trovando la morte.

Gli incidenti accadono ovunque, in tutto il paese, in qualsiasi settore, nel pubblico e nel privato.

Fatalità? Scarsa sicurezza? Stanchezza? Fretta? Il mix micidiale di tutti questi fattori. Sul fato, nulla da dire. Essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato è qualcosa su cui non è possibile intervenire. Si può di certo obiettare che quel posto non avrebbe dovuto essere sbagliato. Qualsiasi luogo di lavoro potrebbe diventarlo se si trascura la sicurezza. Anche quello che sembrerebbe il più innocuo, anche un lavoro d’ufficio se non si dispone, ad esempio, di un sistema antincendio adeguato.

Le leggi esistono. L’esperienza ci ha insegnato che in molti luoghi di lavoro sono trascurate. Spesso i sistemi di sicurezza sono disabilitati o insufficienti.

All’indomani delle ultime stragi politica e sindacati reagiscono annunciando la necessità di intervenire con norme più severe nei confronti di chi trasgredisce. “Come vedete dalle cifre c’è un’esigenza di prendere provvedimenti immediatamente” ha detto il premier Mario Draghi. “Qualità del lavoro, salute e sicurezza devono diventare priorità nazionale. […] La sicurezza deve essere considerata un investimento, non un costo” afferma il Segretario della Cgil Maurizio Landini su La Stampa.

Parla di qualità del lavoro Landini. Ma cosa possiamo intendere oggi con qualità del lavoro? Da cosa dipende? Dal rispetto di tutte le norme sulla sicurezza da parte del datore di lavoro e del lavoratore. Basta questo? Basta la stretta, preannunciata, sulle aziende che trasgrediscono a fare il salto di qualità? Perché, visti i numeri, non è sufficiente un miglioramento dei livelli di sicurezza, si deve lavorare per una svolta decisa e definitiva.

Norme e sanzioni servono a tracciare un percorso entro il quale devono muoversi imprenditori e operai. Durante questo percorso possono però subentrare interferenze che non si gestiscono con le norme sulla sicurezza. All’interno di un ambiente di lavoro possono definirsi dinamiche che ne incrinano la serenità. E il malcontento può generare pericolose disattenzioni che incidono su produttività e reattività alle situazioni di rischio. Cattiva gestione dei tempi e delle priorità sono fattori che creano apprensione nei lavoratori. Operare in tali condizioni non è sano.

La nostra è una società che corre. Correre stanca. Siamo sempre costretti a rincorrere scadenze, impegni, appuntamenti. Siamo sempre proiettati in quello che c’è da fare dopo. Ci affrettiamo per concludere ciò che stiamo facendo perché a seguire ci sono tante altre cose da portare a termine. In queste condizioni non si può essere efficienti. È difficile concentrarsi e nella distrazione cova l’incidente.

La nostra è una società che abusa della parola priorità. Una parola splendida di cui abbiamo perso il vero valore. Significa dedicarsi a qualcosa di straordinario, di tale importanza che non può aspettare e per la quale è richiesta tutta la nostra esperienza, professionalità, dedizione. Quando le priorità, nella vita cambiano di ora in ora, si sovrappongono, si annullano e sostituiscono, questa parola diventa grottesca. Perde di credibilità, disorienta, finisce per diventare un macigno che pesa sulla gestione del lavoro. Quando tutto è prioritario, nulla lo è veramente. Le false priorità, come le false notizie, creano scompensi che si ripercuotono sulla tranquillità con la quale si dovrebbe affrontare un lavoro.

Tutto questo potrebbe accadere a lavoro. In più, ogni lavoratore è una persona e come tale è la somma di fattori che racchiudono condizioni economiche, sociali, psicologiche e sentimentali che finisce per influenzare il singolo comportamento agendo sulla qualità della vita prima e sulla qualità del lavoro come conseguenza.

Cosa arrovella un lavoratore medio? La precarietà di un sistema sociale che non è in grado di assicurare tutti quei servizi che consentirebbero a una famiglia “il lusso” di portare a casa due stipendi senza dover fare i salti mortali per gestire la salute, l’istruzione, il divertimento dei propri figli.

Cosa tormenta un lavoratore? La sensazione di non essere in grado di poter assicurare il necessario alla propria famiglia, magari perché il proprio stipendio è al limite della soglia di povertà. In questi ultimi giorni si torna a parlare di salario minimo. Si esaltano i numeri che manifestano la ripresa e qualcuno solleva il dubbio che non ci può essere vera ripresa se le famiglie non hanno denaro da spendere. “Giovani e donne sono le categorie più colpite dalla pandemia e il salario minimo può aiutare soprattutto loro” afferma il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico che evidenzia come questo “genera crescita e aumenti di produttività e ovunque è stato introdotto ha permesso miglioramenti”.

Qualità del lavoro e qualità della vita: l’una non può esistere senza l’altra.

Se vogliamo che ogni posto di lavoro, ogni cantiere, ogni appalto pubblico, siano sinonimo di vita è su tutto questo che si dovrebbe lavorare. E’ complesso. Ma non per questo impossibile. Ci vuole volontà. “L’Italia è pronta a scelte audaci” ha detto Draghi in tema di lotta al riscaldamento globale. Con la stessa audacia si combatta il dramma delle morti bianche nel suo complesso. Norme e sanzioni potrebbero non bastare.  

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.