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Premesse: la disciplina dell’accesso civico generalizzato agli atti della gara d’appalto

Il presente contributo cerca di dar conto della particolare situazione delineatasi circa la questione dell’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato agli atti della gara d’appalto (e dell’esecuzione del contratto).

L’aspetto di particolare rilievo, che crea non pochi problemi al RUP, è che a livello di Consiglio di Stato si è replicato il contrasto giurisprudenziale esistente a livello di giudici di primo grado.

Come si vedrà, l’orientamento dei TAR è diviso tra giudici che sostengono la perfetta soggezione del codice dei contratti alle norme in tema di accesso civico generalizzato (art. 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 come modificato dal decreto legislativo 97/2016) e chi invece ne sostiene l’inapplicabilità.

Il Consiglio di Stato ha dapprima preso una posizione favorevole all’orientamento (probabilmente) maggioritario che afferma l’applicabilità ed al contempo, con la sentenza più recente ha sostenuto l’esatto contrario.

Nel contributo ci si limiterà alla sintesi di questi interventi evidenziando, però, che la posizione ultima assunta – ovvero la sostenuta inapplicabilità dell’accesso civico universale agli appalti – oggettivamente sembra quella maggioremente condivisibile.    

1. Accesso documentale, accesso civico semplice e accesso civico generalizzato

Necessaria premessa, prima dell’analisi della questione principale è quella sulla vigenza nell’ordinamento di tre fattispecie di accesso, come spiegato dalla stessa giurisprudenza ([1]).

Come anche chiarito dalle linee guida ANAC espressamente dedicata all’accesso civico generalizzato, con la determinazione n. 1309/2019, è possibile distinguere, in primo luogo il (tradizionale) accesso documentale – a cui fa riferimento anche l’articolo 53 del codice dei contratti -, di cui agli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, la cui finalità consiste nel “porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari” Accesso, pertanto, che esige rigorosi “requisiti” legittimanti ([2]).

L’accesso civico generalizzato deve essere tenuta distinta dall’accesso civico “semplificato” (sempre seondo le espressioni utilizzate dall’ANAC) delineato nell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 33/2013 che introduce  l’obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, “nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”, che “rimane circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione imposti dalla legge, sovrapponendo al dovere di pubblicazione, il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall’inadempienza” ([3]).

Si giunge quindi, alla fattispecie evoluta del FOIA con l’accesso civico generalizzato, delineato nel comma 2 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33/2013 come modificato dal decreto legislativo 97/2016 secondo cui “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis”.

Tale fattispecie ([4]) – “si traduce, in estrema sintesi, in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione” e risulta finalizzato (secondo quanto espressamente previsto dallo stesso art. 5, comma 2) a “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

2. La posizione della giurisprudenza di primo grado

La sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, del 5 giugno 2019 n. 3780 (favorevole, come si è anticipato  all’applicazione dell’accesso universale alla materia degli appalti) prende atto dell’esistenza di materia di un duplice orientamento giurisprudenziale, un orientamento che poteva essere sostenuto come maggioritario   secondo cui i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 ed il contrapposto – ma sicuramente minoritario – diverso orientamento per il quale, anche nella materia degli appalti deve riconoscersi  l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato (nello stesso senso anche l’ANAC con il parere n. 317/2017).

Tra le prime pronunce ad affrontare la tematica che si inseriscono in quest’ambito, deve essere considerata la pronuncia del T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, n. 197/2018 ([5]).

Nel caso di specie, il concorrente, in relazione ad una gara per l’affidamento di un servizio di manutenzione e riparazione di automezzi di una ASL (a cui, peraltro, non aveva partecipato), presentava alla stazione appaltante la richiesta di accesso civico generalizzato per ottenere copia della documentazione di gara nella sua interezza ed in specie, “il contratto stipulato” ed “i documenti attestanti i singoli interventi, i preventivi dettagliati degli stessi, l’accettazione dei preventivi, i collaudi ed i pagamenti con la relativa documentazione fiscale dettagliata”.

Il giudice, pur rammentanto che la fattispecie presentava effettivamente limitati casi di esclusione, ne ravvisava una specifica nel caso in cui (come dispone il comma 3, dell’articolo 5-bis del decreto legislativo 33/2013 come modificato dal decreto legislativo 97/2016) l’accesso risulti “subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.

Si imponeva pertanto, come indagine propedeutica alla decisione, l’esigenza di focalizzare il rapporto tra l’inciso normativo appena riportato e l’ambito applicativo dell’articolo 53 del codice dei contratti.

Considerazione propedeutica per chiarire se “la speciale disciplina contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 (ivi ricompreso l’espresso richiamo all’applicabilità delle regole in materia di diritto di accesso ordinario) debba considerarsi come un caso di esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis”.

A questo quesito il giudice – così come la maggior parte della giurisprudenza di primo grado successiva –  risponde positivamente.

Secondo la sentenza sarebbe stato “lo stesso legislatore del 2016 a considerare e regolamentare l’ipotesi di discipline sottratte per voluntas legis, anche se precedente all’introduzione del nuovo istituto, alla possibilità di accesso generalizzato”.

Il sistema normativo desumibile dall’articolo 53, quindi, dovrebbe essere configurato come un una sorta di “complesso normativo chiuso” espressione di precise direttive europee volte alla massima tutela del principio di concorrenza e trasparenza negli affidamenti pubblici, “che dunque attrae a sé anche la regolamentazione dell’accesso agli atti connessi alle specifiche procedure espletate”.

Deve, pertanto, ritenersi esclusa – come si legge in sentenza – la possibilità di un accesso indiscriminato alla documentazione di gara e post-gara da parte di soggetti non qualificati.

In termini, sostanzialmente, analoghi – ma con ulteriori dettagli – si è espresso anche il TAR Marche, Ancona, sez. I, n. 677/2018.

Il giudice, come già avvenuto con la sentenza appena citata, esclude che l’accesso civico generalizzato possa essere utilizzato nei confronti degli atti dell’appalto, ivi compresi mandati di pagamento e provvedimenti relativi all’esecuzione del contratto.

La sentenza aderisce all’orientamento restrittivo del giudice emiliano evidenziando che la disciplina specifica del procedimento di accesso agli atti della gara costituisce uno dei casi di esclusione dall’accesso civico generalizzato ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 3, del decreto legislativo 33/2013.

Nel caso di specie, il diniego risulta fondato non solo (e non semplicemente) come ipotesi di esclusione dell’applicabilità dell’accesso civico generalizzato alla “materia” degli appalti ma per la circostanza che la motivazione – pur non necessaria nel caso di specie – risultava fondata non sugli scopi del controllo sociale alla base del F.O.I.A. (e con le correlate finalità di prevenzione sull’attività della pubblica amministrazione) ma su un interesse meramente “egoistico” del richiedente.     

Pur non essendo tenuto, infatti, il ricorrente nell’istanza precisava che la richiesta di accesso era finalizzata al reperimento di informazioni utili per la partecipazione ad una nuova gara bandita dalla stessa stazione appaltante.

La legittimazione, secondo il ricorrente, doveva ritenersi fondata dal “fatto di essere un operatore del settore, invitato fra l’altro alla nuova gara indetta” dalla stessa stazione appaltante.

Proprio questa motivazione, secondo quanto si legge in sentenza, l’istanza non poteva ritenersi condivisibile in quanto diretta a “distorcere” le finalità dell’accesso civico generalizzato.

In sentenza si puntualizza che l’istanza del ricorrente veniva espressa “in stretta correlazione con la nuova gara indetta dal Comune” risultando in realtà “finalizzata, non ad un controllo sul perseguimento di funzioni istituzionali o sull’utilizzo di risorse pubbliche” che costituisce l’autentica finalità di controllo sociale dell’accesso civico generalizzato.

In concreto, si è registrato il tentativo di un uso “distorto” della fattispecie che veniva azionata per “acquisire informazioni utili con riguardo all’esecuzione del precedente appalto (per esempio, al fine di verificare se la ditta controinteressata – che quasi certamente parteciperà alla nuova selezione – abbia commesso errori professionali gravi, tali da determinarne l’esclusione dalla nuova procedura)” ([6]).

La richiesta, pertanto è stata respinta e ricondotta all’ambito naturale della legge 241/90 la cui legittimazione e fondamento – imprescindibili – costituiscono oggetto di valutazione nell’attività istruttoria del responsabile unico del procedimento.

In tempi recenti questa posizione è stata ribadita dal T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, del 25 marzo 2019 n. 630.

Il ricorrente, nel caso trattato, ha proposto l’istanza di accesso ai “preventivi di spesa per i servizi di assistenza legale” per il recupero dell’evasione ed elusione tributaria richiamati nella determina dirigenziale di affidamento.

L’amministrazione comunale, per il tramite del proprio responsabile della trasparenza, respingeva la richiesta evidenziando che la stessa avrebbe dovuto essere presentata – in presenza di presupposti legittimanti tutti da dimostrare – sulla base dell’accesso documentale ai sensi dell’articolo 22 della legge 241/90.

Il giudice analizza il rapporto, in pariticolare, tra le due fattispecie di accesso civico. L’istanza non poteva essere riconducibile alla fattispecie “semplice” considerato che i preventivi oggetto di ostensione non risultavano allegati alla determinazione di affidamento, e ciò è valso ad escludere la richiesta dall’ambito applicativo dell’accesso civico “semplice”.

La riflessione determinante, in generale, è che i preventivi (ovvero le proposte tecnico/economiche) devono essere considerati come documenti relativi alla “procedura di affidamento ed esecuzione” dell’incarico affidato.

Ed in questo senso, aderendo al ragionamento espresso dal giudice emiliano ([7]) gli stessi atti dovevano ritenersi esclusi dall’accesso civico c.d. “generalizzato” di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013.

L’accesso civico generalizzato/universale, in estrema sintesi, si sostanzia in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione” e risulta finalizzato (secondo quanto espressamente previsto dallo stesso art. 5, comma 2) a “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

3. La posizione favorevole all’applicazione della fattispecie agli atti del procedimento d’appalto

Nell’orientamento opposto, peraltro minoritario, deve essere inserita la pronuncia Tar Campania, Napoli, sez. VI, n. 6028/2017.

Nel caso di specie, il ricorrente – un operatore economico – presentava istanza di accesso civico generalizzato al fine di poter “visionare ed estrarre copia degli atti della Direzione dei lavori e/o del RUP”. Lo scopo, dichiarato nella richiesta, era quello di verificare se l’appaltatore avesse o meno eseguito correttamente l’esecuzione dell’appalto dei lavori assegnati.

La stazione appaltante respingeva la richiesta evidenziando, in primo luogo, come la stessa risultasse “ispirata da motivazioni diverse” rispetto a quelle di un concorrente non aggiudicatario, non conformandosi, neppure, allo spirito dell’accesso civico generalizzato né d’altra parte risultava una posizione legittimante la richiesta del tradizionale accesso documentale (ai sensi della legge 241/90).

Il giudice non viene persuaso dal ragionamento della stazione appaltante. In sentenza, si rammenta che l’accesso civico – in generale – ha invece “lo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, pertanto, sotto questo profilo la richiesta di verificare aspetti dell’esecuzione del contratto rientra a pieno titolo “nella finalità voluta dalla legge di consentire un controllo sull’uso delle risorse pubbliche”.

Ulteriore annotazione, prosegue la sentenza, è che una indagine sulle “reali motivazioni” di una richiesta di accesso civico generalizzato, in ogni caso, non è riconducible ai compiti attribuiti alla pubblica amministrazione. L’istruttoria del responsable del procedimento, infatti, deve “limitarsi a verificare che non ricorrano casi di esclusione previsti dalla legge”.

Non vengono in rilievo, secondo la sentenza, neppure aspetti di tutela del know how dell’aggiudicatario, visto che si può ritenere sufficiente fornire – in queste circostanze – un riscontro al richiedente nei limiti di quanto richiesto considerato che l’accesso civico generalizzato può avere ad oggetto (a differenza dell’accesso ordinario) non solo documenti ma anche meri “dati e informazioni”.

Ulteriori elementi sono rinvenibili nella posizione assunta dal TAR Lombardia ([8]) (che ha anche espresso, come visto sopra, riflessioni opposte).

Nel caso di specie, il ricorrente chiedeva l’ostensione delle offerte tecniche ed economiche e del piano finanziario relative ad “una procedura negoziata per l’affidamento in concessione mista di beni e servizi di interventi finalizzati all’efficienza energetica sugli edifici di proprietà comunale”.

La sentenza chiarisce come non possa certamente affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente D.Lgs. 50/2016.

In particolare, la tesi non può ritenersi suffraga dal mero riferimento al comma 3 dell’art. 5 bis, secondo cui l’accesso civico è escluso “nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.

Invero, prosegue il giudice, tali “condizioni, modalità o limiti”, devono in generale essere correlati sia al principio generale di trasparenza, quale affermato all’art. 1 dello stesso d. lgs. 50/2016, sia al fatto che essi sono coordinati, nell’ambito della stessa previsione a “divieti d’accesso”, e non a restrizioni di minor rilievo: la disciplina di cui al citato D.Lgs. 33/2013 costituisce, in definitiva, regola generale e le eccezioni alla medesima devono essere interpretate restrittivamente, per evitare la sostanziale vanificazione dell’intendimento del legislatore di garantire l’accesso civico.

La sentenza chiarisce come non possa  certamente affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente d.lgs. 50/2016.

In particolare, la tesi non può ritenersi suffraga dal mero riferimento al comma 3 dell’art. 5 bis, secondo cui l’accesso civico è escluso “nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.

4. La posizione dell’ANAC

Non è senza rilievo annotare che in questo stesso senso, del resto si è già espressa l’ANAC con la deliberazione n. 317/2017.

In particolare con la delibera si puntualizza che “le disposizioni del Codice dei contratti pubblici in materia di accesso agli atti delle procedure di affidamento rientrano nell’ambito dei limiti e delle condizioni alle quali è subordinato l’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del d.lgs. 33/13. Con riguardo a tale disciplina, si deve ritenere che – prima dell’aggiudicazione – il diritto di accesso civico generalizzato possa essere legittimamente escluso in ragione dei divieti di accesso previsti dall’art. 53 del d.lgs. 50/2016; successivamente all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a  chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e  2, del D.lgs 33/2013”.

5. Le sentenze del Consiglio di Stato

Il pronunciamento del Consiglio di Stato n. 3780/2019 costituisce una svolta importante sul tema dei rapporti tra la fattispecie introdotta con il decreto legislativo 97/2016 ([9]) dell’accesso civico generalizzato ([10]) e gli atti del procedimento d’appalto intesi sia con riferimento alla fase pubblicistica ed i correlati atti che si inseriscono nella procedura sia con riferimento ai provvedimenti che rientrano più propriamente nella fase esecutiva, di gestione del contratto stipulato.

La novità di rilievo è la definitiva, ritenuta ammissibilità/applicabilità dell’accesso civico generalizzato rispetto ad ogni atto che riguarda il procedimemento di affidamento dell’appalto e della correlata fase di esecuzione del contratto. Statuizione che si pone in perfetta antitesi rispetto a quello che – pur con riferimento alla giurisprudenza di primo grado, come si vedrà più avanti, – costituiva senza dubbio l’orientamento maggioritario.

Posizione, dell’orientamento maggioritario, che – salvo limitatissime eccezioni – tendeva ad escludere l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato agli atti dell’appalto.

Il giudice di Palazzo Spada, in questa sentenza, in premessa si puntualizza come ai fini di una corretta decisione, di deve necessariamente muovere dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. 33/2013.

Il dato oggettivo indiscutibile è che “il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato” ha inteso consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, “ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto”.

Condividendo il ragionamento dell’appellante, in sentenza si precisa che l’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, nel momento in cui precisa che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti” intende far riferimento a “specifiche condizioni, modalità e limiti” ma non ad intere “materie”.

Se ciò venisse disconosciuto, l’obiettivo del legislatore risultrebbe completamente frustrato con la consenguente esclusione dell’intera materia relativa ai contratti pubblici “da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione”, impedendo, in questo modo, quelle “forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” che si intende promuovere ed alimentare a fini preventivi di comportamenti patologici.

Entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. 50/2016 e nel d.lgs. 33/2013, mirando all’attuazione dello stesso, identico principio non consente di intercettare la ragione per cui la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dall’ambito  dei contratti pubblici.

In realtà, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 va interpretato alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. 33/2013.

Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” ha determinato il superamento del principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo erga omnes, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.

L’intento del legislatore delegato è quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.

In tale senso, esemplare, è quanto già annotato dallo stesso Consiglio di Stato (in sede di Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) che esprimendo un parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza per la decisione, In primo luogo, le ipotesi di esclusione indicate già nel decreto legislativo 97/2016 (articolo 5-bis) devono intendersi come casi eccezionali non estensibili analogicamente. Ed il Collegio non ha ritenuto che all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa avere legittimare una interpretazione nel senso di ritenere esclusa dall’accesso civico della materia degli appalti pubblici. In realtà, la recente normativa “sconta un mancato coordinamento” rispetto alle disposizioni sul procedimento amministrativo (legge 241/90 e succ. modif.), “a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre”.

Per superare tale carenza di coordinamento occorre affidarsi ad una interpetazione non statica ma “costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d.lgs. 97/2016” valorizzando un impatto “orizzontale” dell’accesso civico, che deve ritenersi non limitabile (e non limitato) da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto). Ciò che può determinare limitazioni, all’accesso civico generalizzato, in definitiva potrebbe essere ravvisato solamente in prescrizioni “speciali” purchè interpretate restrittivamente. Ipotesi che, come si diceva, “la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno”.

Ulteriore questione – per evitare di giungere a conclusioni opposte (ovvero per evitare la legittimazione di un “eccesso” di accesso agli atti della pubblica amministrazione) – è che la recente legislazione, prosegue la sentenza, “non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili” nè ha consentito un “libero” accesso  alla ordinaria “segretezza aziendale”.

Con riferimento specifico al procedimento d’appalto la questione si atteggia anche in modo differente considerato che, a gara conclusa viene meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, e l’accesso civico generalizzato può dispiegare la sua funzione generale che introduce nel nostro ordinamento forme di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33).

Rafforza poi la tesi dell’ammissibilità dell’accesso civico, nella materia degli appalti, l’esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione ([11]).

Ciò risulta coerente con la posizione espressa dalla Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”.

A tali indicazione si è quindi ispirato lo stesso “Piano Nazionale Anticorruzione, proprio a partire dal 2016, anno di entrata in vigore del d.lgs. introduttivo dell’accesso civico”.

L’ultimo inciso utile, al RUP e/o al responsabile della trasparenza (nel momento in cui si decide positivamente sulla richiesta di accesso) – della pronuncia -, è che nella richiesta di ostensione (il contratto stipulato con l’aggiudicataria; i preventivi dettagliati, i collaudi, i pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”), si presti particolare attenzione contingentando l’accesso solo a quella documentazione, inclusa quella fiscale, “strettamente relativa alla procedura di gara per cui è richiesto l’accesso civico, e alla esecuzione dell’appalto”. E quindi, solo quella funzionale a consentire il controllo difusso sotteso alla fattispecie del F.O.I.A.

Per l’ANAC il diritto di accesso civico generalizzato può essere legittimamente escluso in ragione dei divieti di accesso previsti dall’art. 53 del d.lgs. 50/2016; successivamente  all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e  2, del d.lgs. 33/2013”

Per il Consiglio di Stato,sentenza 3780/2019, favorevole all’applicazione dell’accesso civico generalizzato agli atti dell’appalto, occorre affidarsi ad una interpretazione non statica ma “costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d.lgs. 97/2016” valorizzando un impatto “orizzontale” dell’accesso civico, che deve ritenersi non limitabile (e non limitato) da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto).

6. Il nuovo approdo che nega l’applicabilità dell’accesso civico universale agli atti dell’appalto

Diverso è l’approccio della più recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5503/2019. Secondo questa nuova, e definitiva posizione, per ritenere ammissibile l’accesso civico agli atti del procedimento d’appalto è necessario un intervento esplicito del legislatore non apparendo sufficiente – per ammetterne l’applicazione – evidenziare un mancato coordinamento tra norme (tra il decreto trasparenza ed il codice dei contratti).

La quinta sezione perviene, quindi, a soluzioni differenti rispetto alla terza sezione (sentenza n. 3780/2019) che, come visto, ha ammesso l’accesso civico generalizzato anche nella materia (e quindi agli atti della fase pubblicistica e civilistica) degli appalti.

Si premette in sentenza che nell’ambito delle tre fattispecie di accesso (documentale ai sensi della legge 241/90, accesso civico “semplice” e accesso civico generalizzato previsti nel decreto legislativo 33/2013) non è rinvenibile alcuna posizione di superiorità in quanto ciascuna fattispecie ha una specifica disciplina.   

In particolare, l’accesso civico generalizzato non può essere considerato come fattispecie di “chiusura” che subentra qualora le altre fattispecie non possano essere applicate.  

Nei rapporti reciproci, si rileva, “ciascuno opera nel proprio ambito, sicché non vi è assorbimento dell’una fattispecie in un’altra; e nemmeno opera il principio dell’abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva nel tempo (…) tale che l’un modello di accesso sostituisca l’altro, o gli altri, in attuazione di un preteso indirizzo onnicomprensivo che tende ad ampliare ovunque i casi di piena trasparenza dei rapporti tra pubbliche amministrazioni, società e individui”.

L’aspetto che contraddistingue la pronuncia, che giunge come detto a soluzioni opposte (rispetto alla sentenza n. 3780/2019), è che nell’ambito del comma 3 dell’articolo 5 bis del decreto legislativo 33/2013 (in cui si prevedono i limiti all’accesso civico generalizzato) non opera una esclusione per “materie” ma, letteralmente, la norma individua in realtà dei “casi” – ovvero eccezioni assolute –  in cui la trasparenza è costretta a recedere.

Si tratta di “casi” la cui individuazione è espressamente rimessa – per volontà del legislatore – ad altre disposizioni di legge, direttamente o indirettamente, richiamate dallo stesso comma 3 (sicché l’ampiezza dell’eccezione dipende dalla portata della normativa cui l’art. 5-bis, comma 3, rinvia).

In specie, devono ritenersi sottratte  dall’accesso generalizzato:

i casi di segreto di Stato;

i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie);

i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

In tutte queste ipotesi, il RUP non deve operare alcun bilanciamento tra contrapposti interessi per verificare se l’accesso civico generalizzato debba o meno essere ammesso. Sono situazioni che in realtà trovano “altrove” una specifica disciplina ed a questa occorre rifarsi.

Più nel dettaglio, nel caso dell’accesso agli atti dell’appalto, è l’articolo 53 che contiene la specifica indicazione dei dati/elementi che, esclusivamente, possono legittimare l’ostensione.   

In sentenza ben si chiarisce che le eccezioni riguardano tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a “condizioni, modalità o limiti” peculiari, come nel caso degli appalti.

Il diritto di accesso agli atti della gara, pertanto, risulta espressamente perimetrato attraverso “il rinvio agli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, quindi, mediante la fissazione delle deroghe del comma 2 (che elenca ipotesi di mero differimento) e del comma 5 (che elenca diverse ipotesi di esclusione assoluta ed un’ipotesi di esclusione relativa – quest’ultima dovuta all’eccezione alla lettera “a” posta dal comma 6)”.

Per la sentenza n. 5530/2019 (che esclude l’applicazione dell’accesso civico agli appalti), devono ritenersi sottratte  dall’accesso generalizzato, i casi di segreto di Stato; i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie),i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.

7. Limiti connaturati alla tipologia del procedimento

Secondo il giudice, si tratta di limiti che rispondono a scopi connaturati alla particolare tipologia di procedimento ad evidenza pubblica, quale quello di preservarne la fluidità di svolgimento (tanto da sottrarre i documenti procedimentali, mediante il differimento, anche all’accesso che l’art. 10 della legge n. 241 del 1990 riconosce in ogni momento e fase ai partecipanti) e di limitare la possibilità di collusioni o di intimazioni degli offerenti. Per giungere, infine, anche al divieto di divulgazione di cui all’art. 53, comma 3.

Importanti anche le ulteriori considerazioni. Tra queste, l’affermazione secondo cui ammettere (sempre) l’accesso civico generalizzato in tema di appalti avrebbe per effetto quello di annullare le potenzialità (ed i limiti) dell’articolo 53 del codice. In sostanza, ogni soggetto avrebbe comunque accesso agli atti attraverso un utilizzo distorto della fattispecie del FOIA.

Ulteriore conseguenza è che le stesse stazioni appaltanti, se si affermasse la prevalenza dell’accesso civico generalizzato, subirebbero un notevole “incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso” considerato  che l’attuale “applicazione della normativa sull’accesso generalizzato, (…) si basa sul principio della gratuità (salvo il rimborso dei costi di riproduzione)”.

Infine, il giudice ribadisce che la materia degli appalti risulta ben presidiata – sotto il profilo dei controlli e degli obblighi di trasparenza – dalle funzioni dell’ANAC e dalla previsioni (contenute nel decreto legislativo 33/2013) dell’obbligo di pubblicare, sostanzialmente, ogni atto/dato afferente i procedimenti di gara.   


[1] Cfr,  tra le diverse, la sentenza del T.A.R.  Trento n. 21/2017.

[2] In particolare, nel documento dell’ANAC si legge che “la legge 241/90 esclude, inoltre, perentoriamente l’utilizzo del diritto di accesso ivi disciplinato al fine di sottoporre l’amministrazione a un controllo generalizzato, il diritto di accesso generalizzato, oltre che quello “semplice”, è riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. Dunque, l’accesso agli atti di cui alla l. 241/90 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi. Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso 241 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni. In sostanza, come già evidenziato, essendo l’ordinamento ormai decisamente improntato ad una netta preferenza per la trasparenza dell’attività amministrativa, la conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni. Vi saranno dunque ipotesi residuali in cui sarà possibile, ove titolari di una situazione giuridica qualificata, accedere ad atti e documenti per i quali è invece negato l’accesso generalizzato”.

[3] Sentenza citata nota 6. Nelle linee guida ANAC, a proposito della distinzione tra le due fattispecie di accesso civico si legge che “l’accesso generalizzato non sostituisce l’accesso civico “semplice” (d’ora in poi “accesso civico”) previsto dall’art. 5, comma 1 del decreto trasparenza, e disciplinato nel citato decreto già prima delle modifiche ad opera del d.lgs. 97/2016. L’accesso civico rimane circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione imposti dalla legge, sovrapponendo al dovere di pubblicazione, il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall’inadempienza. I due diritti di accesso, pur accomunati dal diffuso riconoscimento in capo a “chiunque”, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva connessa, sono quindi destinati a muoversi su binari differenti, come si ricava anche dall’inciso inserito all’inizio del comma 5 dell’art. 5, “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria”, nel quale viene disposta l’attivazione del contraddittorio in presenza di controinteressati per l’accesso generalizzato. L’accesso generalizzato si delinea come affatto autonomo ed indipendente da presupposti obblighi di pubblicazione e come espressione, invece, di una libertà che incontra, quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5 bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono specifiche esclusioni (art. 5 bis, comma 3)”.

[4] In questo senso, la sentenza citata nella nota 5.

[5] Decisione annullata con la pronuncia del Consiglio di Stato in commento.

[6] Si trattava, semplificando, di un interesse strumentale ma con finalità essenzialmente “egoistiche”. Circostanza, per cui, l’accesso civico generalizzato non potrebbe essere azionato. In questo stesso senso, in relazione non al procedimento d’appalto, ha avuto modo di esprimersi il TAR Puglia, Lecce, sez. III, con la sentenza n. 242/2019. Il ricorrente, esperito l’accesso documentale a dati afferenti il personale in servizio ai sensi della legge 241/90 – al fine di verificare eventuali disparità di trattamento -, ricevuto il rigetto si determinava ad adire il giudice riproponendo  solo in fase di ricorso, la richiesta di ostensione degli atti ma per il tramite dell’accesso civico generalizzato. L’intento meramente “egosistico”, emerge dalla sentenza, intenti possono essere perseguiti, evidentemente, solo con l’accesso documentale come disciplinato dalla legge 241/90 mentre, prosegue il giudice, la nuova fattispecie dell’accesso generalizzato non può tollerare un’interpretazione così estesa “da risultare abrogativa della Legge n. 241/1990”. La disciplina dell’accesso civico generalizzato prevista dal comma 2 dell’articolo 5 del D. Lgs. n. 33/2013 “non può che essere interpretata come del tutto alternativa alla disciplina di cui alla legge n. 241/1990 e azionabile, da chiunque, solo in caso di un interesse alla legittima azione amministrativa e al suo controllo da parte della collettività e non nei casi in cui venga, invece, azionata una pretesa del singolo per suo esclusivo e concreto vantaggio”. In sostanza l’istituto del F.O.I.A. “presuppone come implicita la rispondenza della richiesta stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica” e non può restare confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che non favorisce la  partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischiando “di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto”.

[7] T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 197/2018.

[8] T.A.R.  Lombardia, Milano, sez. IV,  con la sentenza n. 45/2019.

[9] Decreto legislativo rubricato “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicita’ e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 132 dell’8 giugno 2016).

[10] Secondo la terminologia usata dall’ANAC in particolare, nelle “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013 – Art. 5- bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»” adottate con determinazione n. 1309/2016 pubblicata in nella Gazzetta Ufficiale – Serie  Generale n. 7 del 10 gennaio 2017. Secondo la definizione utilizzata nel documento citato l’accesso civico generalizzato “si traduce, in estrema sintesi, in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione”.

[11] In sentenza viene valorizzato il richiamo al parere del Consiglio di Stato n. 515/2016 (espresso sullo schema di decreto legislativo 97/2016) in cui si è chiarto che “la trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […]. In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate”.

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Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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